TAR Lazio, Sezione IV-ter, sentenza 4 febbraio 2025 n. 2619
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il silenzio tenuto dal legislatore in ordine all’individuazione dei requisiti di ammissione ad un concorso pubblico consente all’amministrazione banditrice di prevederli tenendo conto della preparazione culturale e delle professionalità richieste per il disimpegno delle funzioni tipiche del posto di lavoro messo a concorso.
Il sindacato del giudice amministrativo sulla scelta operata dall’amministrazione nell’individuare i requisiti di partecipazione ad un concorso pubblico in assenza di una puntuale disciplina normativa è sindacabile esclusivamente sotto i profili di illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
4.1. In disparte la genericità della censura circa l’inopportunità della restrizione all’accesso alla procedura selettiva in questione per i diplomati (in questi termini, insindacabile in sede di giurisdizione di legittimità, laddove non venga posta in rilievo e dimostrata, in modo preciso e circostanziato, la presenza di figure sintomatiche dell’eccesso di potere), tesa, nella sostanza, ad affermare il principio secondo il quale l’amministrazione dovrebbe prescindere dalla fissazione di requisiti di accesso alla procedura concorsuale e valutare esclusivamente le competenze “sul campo” (tesi che contrasta con la circostanza per cui è la preparazione di partenza del candidato che assicura la proficuità del periodo di formazione iniziale, al momento dell’immissione in servizio, e la successiva acquisizione di competenze specialistiche), e il richiamo di massime giurisprudenziali che riguardano, in realtà, i limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle operazioni valutative delle prove concorsuali da parte della commissione esaminatrice, nessuno dei riferimenti normativi menzionati nell’unico motivo di ricorso è idoneo a sorreggerne la fondatezza, né la scelta dell’amministrazione appare ictu oculi irragionevole o arbitraria.
4.2. Per quanto concerne quest’ultimo profilo, va ricordato che, in materia, opera il principio alla stregua del quale “In assenza di una fonte normativa che stabilisca autoritativamente il titolo di studio necessaria e sufficiente per concorrere alla copertura di un determinato posto o all’affidamento di un determinato incarico, la discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l’incarico da affidare, ed è sempre naturalmente suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà” (ex multis, T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 8 aprile 2024, n. 444; Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 6972). All’inverso, la regola opera nel senso che “salvo diversa disposizione espressa (…) deve ammettersi, in materia di concorsi pubblici, l’assorbimento del titolo di studio inferiore in quello superiore allorché il secondo presupponga il primo e le sue materie di studio comprendano, con un maggiore livello di approfondimento, quelle del primo” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 9 gennaio 2023, n. 288).