CEDU-Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. I, sentenza 13 febbraio 2025 n. 47269/18 (causa C.G. ed altri c. Italia)
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va considerata la confisca di prevenzione non avente natura penale, ma riparatoria.
La confisca, infatti, non può essere considerata una pena ai sensi dell’articolo 7, per ragioni di coerenza nell’interpretazione della Convenzione nel suo complesso.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
1-78 […]
Motivi della decisione
- Riunione delle candidature
- […]
- Osservazioni preliminari
- La Corte rileva anzitutto che, in una serie di cause precedenti, le istituzioni della Convenzione hanno dichiarato che le misure di prevenzione previste dalle leggi italiane del 1956, del 1965 e del 1982, che non comportavano l’accertamento della colpevolezza, ma miravano a prevenire la commissione di reati, non erano paragonabili a una “sanzione” penale (v., tra gli altri, M. c. Italia, n. 12386/86, decisione della Commissione 15 aprile 1991, Decisioni e Recueil 70, p. 59, a p. 98; R. v. Italia, 22 febbraio 1994, § 30, serie A n. 281-A; P. c. Italia (dec.), n. 38662/97, §§ 2 e 4, 15 giugno 1999; A. e altri c. Italia (dec.), n. 52024/99, 5 luglio 2001; e C. e C. c. Italia, n. 24920/07, § 37, 17 maggio 2011, con ulteriori riferimenti).
- Nelle presenti cause, i ricorrenti hanno sostenuto che la misura di confisca preventiva prevista dall’ordinamento giuridico italiano aveva natura penale, a causa di alcune modifiche apportate alla normativa nazionale, in particolare l’autonomia delle misure di prevenzione nei confronti delle persone e delle confische e l’eliminazione del requisito secondo cui l’individuo rappresenta un “pericolo attuale” per la società ai fini dell’applicazione della misura di confisca preventiva ( v. supra, punti 20-21) – e di alcuni successivi sviluppi della giurisprudenza della Corte di cassazione che ha riconosciuto la natura penale della misura di confisca preventiva (v. supra, punto 34). Tale argomento è stato contestato dal Governo, il quale, basandosi sulla giurisprudenza interna (v. punti 47 e 54 supra), ha ribadito che la misura non aveva uno scopo punitivo, ma piuttosto preventivo e riparatore e, pertanto, non poteva essere considerata una sanzione.
- La Corte osserva che, a partire dalle cause in cui si era già pronunciata sulla questione, si sono verificati sviluppi significativi nella normativa e nella giurisprudenza nazionali e ritiene che tale circostanza richieda una nuova e approfondita valutazione della natura e della funzione della misura preventiva di confisca.
- Reclamo ai sensi dell’articolo 7 § 1 della Convenzione
- Il primo, il terzo e il quarto ricorrente lamentavano che la confisca dei loro beni aveva violato l’articolo 7 § 1 della Convenzione, in quanto la misura era di natura penale ed era stata loro imposta nonostante non avessero commesso alcun reato.
- L’articolo 7, paragrafo 1, così recita:
“Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Né può essere inflitta una pena più pesante di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”.
- Argomenti delle parti
- a) Il governo
- Il Governo ha sostenuto che, sulla base dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, la misura di confisca preventiva prevista dall’ordinamento giuridico italiano non poteva essere considerata una “pena” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione e che, pertanto, tali denunce dovevano essere dichiarate incompatibili ratione materiae con le disposizioni della Convenzione.
- Essi hanno osservato che la misura non era stata imposta a seguito di una dichiarazione di colpevolezza per un reato, ma piuttosto a seguito dell’accertamento del pericolo per la società rappresentato dall’individuo interessato al momento dell’acquisizione dei beni, della possibilità di utilizzo diretto o indiretto dei beni da parte dell’individuo pericoloso, la discrepanza tra tali beni e i redditi leciti dichiarati all’amministrazione finanziaria e la mancata dimostrazione della loro provenienza lecita.
- Basandosi sulla giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, il Governo ha sostenuto che l’obiettivo della misura non era di natura punitiva, ma piuttosto riparativa e preventiva, in quanto mirava a sottrarre alla circolazione economica i beni di provenienza illecita e a dissuadere l’interessato dal commettere ulteriori reati.
- Per quanto riguarda la procedura di imposizione della misura, il governo ha sottolineato che il procedimento relativo alle misure di prevenzione era pienamente autonomo dal procedimento penale, sia nel tempo che nel contenuto, in quanto la misura di confisca preventiva era stata imposta nell’ambito di procedimenti specifici dinanzi a sezioni specializzate degli organi giurisdizionali.
- b) I richiedenti
- Basandosi sulla sentenza della Corte di cassazione n. 14044 del 24 marzo 2013 (v. punto 34 supra), il primo, il terzo e il quarto ricorrente hanno sostenuto che, a seguito della riforma legislativa 2008-09, la misura di confisca preventiva aveva cambiato natura ed era arrivata ad assumere un “carattere oggettivamente punitivo” e, pertanto, era diventata una “pena” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione.
- Secondo i ricorrenti, tale conclusione è stata confermata dalla sentenza della Corte nella causa W. c. Regno Unito (n. 17440/90, 9 febbraio 1995, serie A n. 307-A), in cui essa aveva dichiarato che anche una decisione di confisca adottata indipendentemente da una condanna penale poteva essere considerata di natura penale.
- c) Il terzo interveniente
- L’associazione Unione delle Camere Penali Italiane ha sostenuto che la misura in questione poteva essere considerata una “pena” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione. A loro avviso, con l’affermazione che la misura aveva una dimensione “afflittiva”, nella sentenza n. 24 del 27 febbraio 2019 (si vedano i paragrafi 52-57 supra) la Corte costituzionale ne aveva implicitamente riconosciuto la finalità punitiva.
- Secondo l’associazione, la misura perseguiva molteplici obiettivi, vale a dire punitivi, preventivi e ricostituenti. Tuttavia, questa circostanza di per sé non poteva essere sufficiente per escludere la sua natura di “pena”. L’elemento decisivo sarebbero senza dubbio gli effetti afflittivi e la severità della misura. Inoltre, l’associazione ha sottolineato che la misura aveva perso la sua originaria finalità preventiva, dato che la sua applicazione non era più soggetta a una valutazione del rischio di futura commissione di reati.
- Valutazione della Corte
- a) Principi generali
- Ai fini della Convenzione non può esserci “condanna” a meno che non sia stato accertato, in conformità con la legge, che vi è stato un reato – un reato penale o, se del caso, un illecito disciplinare. Non può esserci sanzione a meno che non sia stata accertata la responsabilità personale (vedi U. c. Serbia (dec.), n. 41680/13, § 46, 2 febbraio 2021, con ulteriori riferimenti).
- La nozione di “pena” o “pena” di cui all’articolo 7 § 1 della Convenzione ha un ambito di applicazione autonomo. Per rendere effettiva la protezione offerta da questa disposizione, la Corte deve rimanere libera di andare dietro le apparenze e valutare da sola se una determinata misura costituisca sostanzialmente una “pena” ai sensi di questa disposizione (si veda W. c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, § 27, serie A n. 307-A; D.R.P. c. Spagna [GC], n. 42750/09, § 81, CEDU 2013; e G. S.r.l. e a. c. Italia [CG], nn. 1828/06 e altri 2, § 210, 28 giugno 2018). Il testo della seconda frase dell’articolo 7 § 1 indica che il punto di partenza in qualsiasi valutazione dell’esistenza di una pena è se la misura in questione sia imposta a seguito di una condanna per un “reato”.
Altri fattori che possono essere presi in considerazione come pertinenti a tale riguardo sono la natura e lo scopo della misura in questione; la sua qualificazione nel diritto nazionale; le procedure relative all’elaborazione e all’attuazione della misura; e la sua gravità (vedi W., sopra citata, § 28; D.R.P., sopra citato, § 82; e G. S.r.l. e a., sopra citata, § 211). La severità della misura non è di per sé decisiva, tuttavia, poiché molte misure non penali di natura preventiva possono avere un impatto sostanziale sulla persona interessata (si veda D.R.P., sopra citata, § 82, e i riferimenti ivi contenuti, e R. c. Slovenia, nn. 12096/14 e 39335/16, § 66, 4 giugno 2019).
- La Corte osserva di aver generalmente ritenuto che l’esistenza di una condanna per un reato non fosse che uno dei criteri da prendere in considerazione [v. S. c. Malta (dec.), n. 4251/02, 23 novembre 2004, e B. c. Francia, n. 42875/10, § 42, 3 settembre 2015], e che non poteva essere considerata decisiva per stabilire la natura della misura [v. V. S.r.l c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006-III, e B. c. San Marino, nn. 20319/17 e 21414/17, § 60, 8 ottobre 2019).
La Corte ha raramente considerato questo fattore come decisivo nel dichiarare inapplicabile l’articolo 7 (si vedano Y. c. Italia (dec.), n. 38602/02, CEDU 2003-IV, e B.I.U. c. Francia, n. 1946/06, § 67, 23 luglio 2009). Secondo la Corte, se la natura penale di una misura dovesse essere accertata, ai sensi della Convenzione, sulla sola base del fatto che l’interessato ha commesso un fatto qualificato come reato nel diritto interno ed è stato riconosciuto colpevole di tale reato da un giudice penale, ciò sarebbe incompatibile con il significato autonomo di “pena” (v. G. S.r.l. e a., sopra citato, § 216).
Senza un concetto autonomo di pena, gli Stati sarebbero liberi di imporre sanzioni senza qualificarle come tali, e gli individui interessati sarebbero quindi privati delle garanzie di cui all’articolo 7 § 1. Tale disposizione sarebbe quindi priva di qualsiasi effetto utile.
È di fondamentale importanza che la Convenzione sia interpretata e applicata in modo da rendere i suoi diritti pratici ed effettivi, non teorici e illusori, e questo principio si applica quindi all’articolo 7 (ibid., § 216, e D.R.P., sopra citato, § 88).
Di conseguenza, se è vero che la condanna da parte dei giudici penali nazionali può costituire un criterio, tra gli altri, per determinare se una misura costituisca o meno una “pena” ai sensi dell’articolo 7, l’assenza di una condanna non è sufficiente per escludere l’applicabilità di tale disposizione (v. G. S.r.l. e a., cit., § 217, e B., sopra citata, § 60).
- Le condizioni specifiche di esecuzione della misura in questione possono essere rilevanti, in particolare, per la natura e lo scopo, nonché per la severità di tale misura e, quindi, per valutare se la misura debba essere qualificata o meno come sanzione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1.
Tali condizioni di esecuzione possono cambiare durante un periodo di tempo coperto dalla stessa ordinanza giudiziaria (si veda I. c. Germania [GC], nn. 10211/12 e 27505/14, § 204, 4 dicembre 2018). In alcuni casi, una modifica sostanziale, in particolare delle condizioni di esecuzione della misura, può revocare la qualificazione iniziale della misura come sanzione ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione, anche se tale misura è attuata sulla base della stessa ordinanza (ibid., § 206).
La Corte ritiene di essere in grado di valutare pienamente se una misura costituisca, in sostanza, una sanzione alla luce dei criteri elaborati dalla sua giurisprudenza solo se essa tiene conto dei cambiamenti intervenuti nell’esecuzione stessa di una misura sulla base della stessa ordinanza. Osserva che alcuni di questi criteri possono essere descritti come “statici” o non suscettibili di modifiche dopo il momento in cui la misura è stata ordinata, in particolare il criterio se la misura in questione è stata imposta a seguito di una condanna per un “reato” o quello delle procedure coinvolte nella sua adozione.
Al contrario, altri criteri, compresi quelli relativi alla natura e allo scopo della misura e alla sua gravità, possono essere descritti come “dinamici” o suscettibili di modifiche nel tempo. Al fine di valutare la conformità di una misura all’articolo 7 § 1 durante un determinato periodo, il modo effettivo in cui la misura è stata eseguita durante tale periodo deve quindi essere considerato pertinente e deve essere preso in considerazione dalla Corte (ibid., § 208).
- La Corte ribadisce che la confisca non è una misura limitata alla sfera del diritto penale, ma che essa è ampiamente riscontrata nella sfera del diritto amministrativo, dove i beni passibili di confisca comprendono, ad esempio, l’importazione illegale (si veda A. c. Regno Unito, 24 ottobre 1986, serie A n. 108) o l’esportazione (si veda T.J.P.G.T. e a. c. Italia, n. 35271/19, § 314, 2 maggio 2024).
Inoltre, le confische non penali possono riguardare, ad esempio, oggetti considerati di per sé pericolosi (come armi, esplosivi o bestiame infetto) e beni connessi, anche solo indirettamente, ad un’attività criminosa (v. M. c. Italia, sopra citata, pag. 59; B.I.U., sopra citata, § 67; e G. e altri c. Georgia, n. 36862/05, § 126, 12 maggio 2015).
La Corte ha dichiarato che vari tipi di confisca, inflitti o meno da tribunali di giurisdizione penale, di natura riparativa, esulano dall’ambito di applicazione dell’articolo 7 della Convenzione (si veda, in particolare, U., sopra citata, §§ 55-58).
- A tal riguardo, la Corte ribadisce che ogni confisca deve essere vista nel suo contesto (si vedano B., § 64, e T.J.P.G.T. e a., § 308, entrambi sopra citati).
- b) Applicazione dei principi di cui sopra alle presenti cause
- Nelle presenti cause, la Corte deve verificare se la confisca di cui trattasi costituisca una “pena” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione. A tal fine, essa applicherà i criteri derivanti dai principi generali sopra ribaditi.
- i) Sulla questione se la confisca sia stata inflitta a seguito di una condanna per reati
- Per quanto riguarda il nesso tra la decisione di confisca relativa ai beni del primo, terzo e quarto ricorrente e un reato specifico, la Corte rileva che l’imposizione di una misura di confisca preventiva nell’ordinamento giuridico italiano non comporta un accertamento di colpevolezza, ma si fonda piuttosto sulla constatazione che la “persona in questione” (proposto, ossia il soggetto direttamente interessato da una richiesta di applicazione di una misura di prevenzione) rientra in una delle categorie soggettive di soggetti indagati per aver commesso reati, come previsto dagli articoli 1 e 4 del decreto n. 150/2011 (si veda il precedente paragrafo 24).
Nella prassi interna, la constatazione che un individuo rientra in una di tali categorie soggettive porta alla sua qualificazione come individuo che rappresenta un “pericolo per la società”, anche in assenza di una valutazione di un rischio specifico di commissione di ulteriori reati.
Una siffatta qualificazione implica la ragionevole presunzione che i beni acquisiti durante il periodo in cui la persona fisica rientrava in una di tali categorie soggettive, che sono sproporzionate rispetto al suo reddito lecito e per i quali non vi sono prove che dimostrino la loro origine lecita, siano proventi di attività illecite o siano stati acquistati con esse (v. punti 29 e 46 supra).
- Tuttavia, l’assenza di una condanna non è sufficiente per escludere l’applicabilità dell’articolo 7 (si veda, tra gli altri, B., sopra citata, § 60, con ulteriori riferimenti).
Come già ribadito, se il carattere penale di una misura dovesse essere accertato, ai fini della Convenzione, sulla sola base del fatto che l’interessato ha commesso un fatto qualificato come reato dal diritto interno ed è stato riconosciuto colpevole di tale reato da un giudice penale, ciò sarebbe incompatibile con il significato autonomo di “pena” (v. G. S.r.l. e a., sopra citato, § 216).
Ne consegue che tale criterio è solo uno tra gli altri da prendere in considerazione, senza che esso sia considerato decisivo per stabilire la natura della misura (si vedano B., § 60; U., §§ 48 e 58, e G. S.r.l. e a., § 217, tutti sopra citati).
- Pertanto, nel caso di specie, in cui la misura non è stata imposta a seguito di una condanna per un reato, la Corte deve esaminare se la confisca costituisse una sanzione alla luce degli altri elementi stabiliti dalla sua giurisprudenza.
- ii) La qualificazione della confisca nel diritto interno
- Per quanto riguarda la qualificazione della confisca nel diritto interno, la Corte osserva che la disposizione interna che disciplina tale misura, l’articolo 24, paragrafo 1, del decreto n. 159/2011 (codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), è contenuta nel capo II della parte I, intitolato “Misure di prevenzione patrimoniali” (v. punto 23 supra).
Pertanto, la Corte non può dedurre dalla qualificazione formale della misura la natura penale di quest’ultima.
- La Corte rileva che la giurisprudenza nazionale ha sviluppato un’evoluzione relativa alla qualificazione della misura in questione e al chiarimento della sua natura e del suo scopo.
Tuttavia, con una notevole eccezione (si veda il paragrafo 34 supra), sia la Corte di cassazione che la Corte costituzionale hanno sempre convenuto che la misura di confisca preventiva non aveva uno scopo punitivo. Per giungere a tale conclusione, detti giudici si sono basati, in varia misura, sulle sue finalità preventive e riparative.
- Quando la confisca in qualità di misura preventiva poteva essere applicata solo in combinazione con misure preventive applicate nei confronti di individui e sulla base della valutazione del “pericolo attuale” per la società rappresentato dall’individuo (vale a dire, di un rischio di commettere nuovi reati; v. punto 19 supra), essa era considerata una “sanzione amministrativa” volta a sottrarre beni e beni all’uso della persona sospettata di esserne membro di un’organizzazione di tipo mafioso.
Secondo la giurisprudenza nazionale pertinente (v. punto 32 supra), la misura era paragonabile, nel contenuto e negli effetti, a una “misura di sicurezza”, volta a prevenire la commissione di nuovi reati (v. punto 31 supra).
In questo particolare contesto, l’obiettivo della misura era quello di prevenire la commissione di specifici reati: sulla base del “pericolo attuale” per la società rappresentato dall’interessato, egli avrebbe potuto commettere ulteriori reati attraverso la disposizione e l’uso di beni illecitamente acquisiti.
- A seguito delle summenzionate modifiche legislative, che hanno introdotto la possibilità di imporre la misura di confisca preventiva in modo autonomo rispetto alle misure preventive applicate nei confronti dei singoli e indipendentemente dall’esistenza di un “pericolo attuale” per la società rappresentato dall’individuo interessato (v. punto 81 supra), la questione della natura e della finalità della misura in questione ha dato luogo a interpretazioni contrastanti da parte della Corte di cassazione.
- Secondo la maggior parte della giurisprudenza nazionale, la misura non aveva cambiato natura e rimaneva una “sanzione amministrativa”, avente una finalità preventiva generale, vale a dire l’obiettivo generale di prevenire la commissione di reati, il quale, tuttavia, era giustificato dall'”interesse generale alla rimozione dalla circolazione economica di beni di sospetta provenienza illegittima” (v. punto 35 supra). La misura è stata quindi considerata principalmente preventiva, ma anche giustificata dal suo scopo riparativo.
- Una sentenza della Corte di cassazione, tuttavia, ha concluso che la misura aveva acquisito un “carattere oggettivamente sanzionatoria”, in quanto poteva essere imposta indipendentemente dal “pericolo attuale” per la società rappresentato dall’individuo interessato nel momento in cui la misura è stata imposta e, quindi, in assenza di un rischio specifico che la misura intendeva prevenire (v. punto 34 supra).
- A causa dell’esistenza di una giurisprudenza contrastante, la questione è stata sottoposta alle sezioni riunite della Corte di cassazione (v. punto 37 supra). Quest’ultimo ha ritenuto che la misura in questione non avesse natura criminale e non avesse alcuna finalità punitiva.
- Chiare indicazioni sono state successivamente fornite dalla Corte costituzionale, la quale ha parimenti dichiarato che la misura non aveva natura penale.
Esso ha osservato che la confisca in quanto misura preventiva mirava a sottrarre definitivamente determinati beni alla circolazione economica (v. punto 51 supra). Pertanto, se la misura doveva essere considerata uno strumento di contrasto alla criminalità (v. punto 54 supra), essa aveva un “carattere meramente restaurativo”, in quanto mirava a ripristinare la situazione che sarebbe esistita se il bene non fosse stato acquisito illegittimamente (ibid.).
La Corte costituzionale ha sottolineato il carattere non punitivo della misura, come dimostra il fatto che essa doveva essere limitata ai beni acquisiti durante il periodo in cui l’interessato aveva presumibilmente commesso reati che comportavano un arricchimento senza causa, e doveva essere limitata ai profitti potenzialmente derivanti da tali reati (v. punto 57 supra).
- Ne consegue che il tipo di misure di confisca di cui trattasi è attualmente qualificato, ai sensi del diritto interno, come di natura prevalentemente riparativa. Secondo la Corte, quindi, la qualificazione nel diritto interno non indica che la confisca nei casi di specie costituisse effettivamente una pena (si veda B., sopra citata, § 61; contrasto G. S.r.l. e altri, sopra citata, § 221).
iii) Sulla natura e sullo scopo della confisca
- Per quanto riguarda la natura della confisca di cui trattasi, la Corte rileva che vi sono diversi elementi che dimostrano che la misura non è punitiva e presenta caratteristiche che la distinguono dalle sanzioni penali.
- In primo luogo, la Corte rileva che il grado di colpevolezza dell’autore del reato è irrilevante ai fini della determinazione dell’importo dei beni da confiscare, a differenza del caso delle sanzioni pecuniarie penali [si vedano D.F. e a. c. Liechtenstein (dec.), n. 696/05, 10 luglio 2007, e U., sopra citata, § 53; contrasto W., sopra citata, § 33]. A tal riguardo, la Corte sottolinea altresì che la confisca è indipendente dall’irrogazione di sanzioni penali.
- In secondo luogo, la misura riguarda specificamente i profitti dei reati presumibilmente commessi dalla persona che si ritiene rientri in una delle categorie soggettive previste dalla legge (v. punto 57 supra), anche se non vi sono prove concludenti di tali reati, e non può mai essere convertita in una misura privativa della libertà, che è un’altra caratteristica importante delle ammende penali (si vedano, mutatis mutandis, D.F. e a., sopra citati, e U., sopra citati, § 53; contrasto W., sopra citato, § 33).
- Inoltre, la misura sembra essere l’espressione di un crescente consenso internazionale sul ricorso alla confisca o a misure analoghe al fine di sottrarre alla circolazione economica i beni di provenienza illecita, con o senza un previo accertamento della responsabilità penale (v. punti 59-76 supra).
- Per quanto riguarda l’oggetto della confisca, la Corte osserva che essa ha subito modifiche significative nell’ambito delle modifiche legislative 2008-09.
(α) Finalità preventiva
- A tal riguardo, la Corte osserva che, nella sua formulazione iniziale, la misura mirava a prevenire l’uso illecito e pericoloso di beni di cui non era possibile stabilire la provenienza lecita.
Ciò è confermato dal fatto che essa poteva essere imposta solo in combinazione con una misura preventiva applicata nei confronti dei singoli e subordinata all’accertamento del “pericolo attuale” per la società rappresentato dall’individuo interessato (v. punto 28 supra), il che implicava una presunzione che l’individuo avrebbe potuto commettere nuovi reati.
In tale contesto giuridico, la misura di confisca preventiva potrebbe effettivamente essere equiparata a una “misura di sicurezza”, nel senso che mirava a prevenire la commissione di ulteriori reati (v. punto 32 supra).
- Queste caratteristiche della misura controversa sono state sottolineate nella prima giurisprudenza delle istituzioni della Convenzione.
Ad esempio, nel concludere che la misura di confisca preventiva non costituiva una pena ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione, la Commissione ha osservato, in particolare, che essa era subordinata a una previa dichiarazione di pericolosità per la società, basata sul sospetto di appartenere a un’organizzazione di tipo mafioso, ed era sussidiaria rispetto all’adozione di una misura preventiva restrittiva della libertà personale (si veda M. c. Italia, cit. supra, a p. 97).
La Commissione ha ritenuto che tale contesto giuridico confermasse il carattere preventivo della confisca e dimostrasse che essa mirava a prevenire l’uso illecito del bene oggetto del provvedimento (ibid., pag. 98). Inoltre, nel valutare l’obiettivo di una siffatta misura ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte ha osservato che essa mirava a prevenire l’uso illecito, in modo pericoloso per la società, di beni la cui origine legale non era stata dimostrata (si vedano, tra gli altri, R., sopra citata, § 30; A. e altri, sopra citata; e R. e altri c. Italia, n. 52439/99 del 4 settembre 2001).
- Secondo la Corte, tali caratteristiche dimostravano il carattere realmente “preventivo”, in senso stretto, della misura in questione.
E, in effetti, nella sua giurisprudenza la Corte ha spesso sottolineato, sia pure in contesti diversi, che la caratteristica principale delle misure preventive è quella di basarsi su elementi concreti che siano realmente indicativi del perdurare del rischio che tali misure cercano di prevenire (si veda, mutatis mutandis, L. c. Italia [GC], n. 26772/95, § 193, CEDU 2000-IV; V. e B. c. Russia, nn. 51279/09 e 32098/13, § 34, 20 settembre 2016; e P. c. Francia, n. 24203/16, § 194, 19 gennaio 2023, tutti relativi a restrizioni alla libertà di circolazione).
La Corte ha inoltre sottolineato che le misure preventive applicate nei confronti delle persone devono essere adottate tenendo conto del comportamento o delle azioni della persona interessata, a seguito di una valutazione individuale e dettagliata del rischio in questione (si veda D. c. Francia, nn. 34749/16 e 79607/17, § 104, 16 maggio 2024; si veda anche il parere consultivo sulla possibilità di negare a una persona l’autorizzazione a lavorare come guardia giurata o agente a causa del fatto di essere vicini o appartenenti a un movimento religioso [CG], richiesta n. P16-2023-001, Conseil d’État belga, §§ 97-98 e 100-01, 14 dicembre 2023).
- Tuttavia, la Corte ritiene che, alla luce delle riforme del 2008-09, la misura abbia perso la sua originaria finalità preventiva (in senso stretto) e abbia cambiato natura. In particolare, le misure di confisca possono ormai essere imposte in modo indipendente e autonomo rispetto alle misure preventive applicate nei confronti delle persone (v. punti 20 e 25 supra), indipendentemente dal “pericolo attuale” per la società rappresentato dall’individuo interessato (v. punto 21 supra), e anche in caso di decesso di quest’ultimo (v. punto 25 supra).
Lo stesso vale quando i beni in questione sono di proprietà di individui che non sono e non sono mai stati un pericolo per la società. Ciò significa che, nella sua attuale formulazione, l’irrogazione della misura di confisca preventiva non richiede l’accertamento del “pericolo attuale” per la società rappresentato dall’individuo interessato e, quindi, del rischio di commissione di ulteriori reati, che la misura in questione mirerebbe a prevenire.
- Pertanto, e indipendentemente dalla sua qualificazione formale nell’ordinamento giuridico interno – “misura di prevenzione patrimoniale” – la Corte ritiene che la misura non svolga più una funzione preventiva in senso stretto, dato che può essere applicata in assenza di qualsiasi valutazione dell’esistenza di un rischio concreto che essa mira a prevenire.
La Corte ritiene pertanto che la natura della misura sia sostanzialmente cambiata. Nella sua formulazione originaria, si basava su una valutazione prognostica: la valutazione della possibilità di presumere che l’individuo avesse commesso reati aveva come obiettivo una valutazione del rischio di ulteriori reati commessi in futuro.
Nella sua formulazione attuale, invece, la misura si basa su una valutazione diagnostica: le autorità nazionali devono verificare se, durante un determinato periodo di tempo, si possa presumere che l’interessato abbia commesso reati e se, durante tale periodo, abbia acquisito beni e proprietà la cui origine lecita non può essere dimostrata.
Le disposizioni nazionali applicabili, come interpretate e applicate nella giurisprudenza nazionale, non richiedono attualmente ulteriori valutazioni di “pericolosità” o di “rischio”, volte a determinare se la persona interessata commetterà ulteriori reati in futuro.
- Ciò premesso, la Corte osserva che, anche dopo le modifiche legislative del 2008-09, la Corte di cassazione (v. punto 47 supra) e la Corte costituzionale (v. punto 53 supra) hanno sottolineato che la misura di confisca preventiva conservava una finalità preventiva in senso generale: vale a dire, garantire che il reato non paga, recuperando i beni acquisiti illecitamente; la misura mirava a prevenire la commissione di ulteriori reati e, pertanto, conservava un effetto dissuasivo.
- A tal riguardo, la Corte osserva di aver già dichiarato che garantire che i criminali non traggano profitto da attività illegali è una questione fondamentale per la prevenzione della criminalità (si veda U., sopra citata, § 54).
Parimenti, nell’ambito dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte ha dichiarato che la logica sottesa alla confisca dei beni illecitamente acquisiti e delle ricchezze inspiegabili di proprietà delle persone accusate di reati gravi e dei loro familiari e parenti stretti era duplice, avente un duplice scopo sia compensativo che preventivo (v. G. e a., cit., § 101).
In tal modo, la Corte ha individuato l’elemento preventivo nell’obiettivo di prevenire l’arricchimento senza causa attraverso la commissione di reati (in tal caso, la corruzione), inviando un chiaro segnale ai funzionari pubblici già coinvolti nella corruzione o ritenendo così che i loro atti illeciti, anche se rimasti impuniti dal sistema di giustizia penale, non avrebbero comunque procurato un vantaggio patrimoniale né a loro né ai loro familiari (ibid., § 102; v. anche S. c. Lituania, n. 20496/02, § 65, 10 aprile 2012, e T. e V. c. Romania, n. 47911/15, § 74, 26 giugno 2018).
S., la Corte ha dichiarato che l’emissione di un provvedimento di confisca di beni acquisiti a titolo di reato opera nell’interesse generale come deterrente per coloro che intendono impegnarsi in attività criminali e garantisce anche che il crimine non paga (si veda D. e M. c. Russia, n. 16903/03, § 58, 1 aprile 2010, con ulteriori riferimenti).
Per quanto riguarda la confisca come misura preventiva in Italia, la Corte ha già osservato che essa era un’arma efficace e necessaria nella lotta contro la mafia (si veda, in particolare, R., sopra citata, § 30).
- La Corte non ritiene tuttavia necessario pronunciarsi in modo definitivo sulla questione se la misura abbia mantenuto, anche alla luce delle sue specificità derivanti dalla riforma 2008-2009, una funzione preventiva in senso generale.
- A tal riguardo, la Corte ribadisce di aver già osservato che l’obiettivo generale della prevenzione, inerente all’obiettivo di garantire che il reato non paghi effettivamente, è parimenti conforme a una finalità repressiva e può essere considerato come un elemento costitutivo della nozione stessa di pena (v., in particolare, sentenza W., citata, § 30).
Pertanto, anche supponendo che una funzione analoga possa essere attribuita alla misura di confisca di cui trattasi nonostante le modifiche legislative del 2008-2009, tale elemento non può di per sé portare alla conclusione che la misura non avesse uno scopo punitivo e non avesse natura criminale.
(β) Scopo riparativo
- Ciò premesso, la Corte osserva che la misura in questione, quale risulta dalle modifiche legislative del 2008-2009 e dalle precisazioni fornite dalla successiva giurisprudenza interna, presenta diversi elementi che la rendono più paragonabile alla restituzione di un arricchimento ingiustificato piuttosto che a un’ammenda di diritto penale.
- In primo luogo, la Corte rileva che, sebbene la Corte di cassazione abbia distinto la confisca di cui trattasi da una vera e propria actio in rem (v. punto 41 supra), essa ha dichiarato che l’obiettivo della misura era in ogni caso quello di sottrarre alla circolazione economica i “beni pericolosi” (v. punto 42 supra), identificati come tali sulla base del fatto che essi erano stati acquistati da un soggetto che, al momento della loro acquisizione, rientravano in una delle categorie soggettive, previste dalla legge, di persone sospettate di aver commesso reati (v. punto 43 supra).
L’obiettivo della misura in relazione al bene, e non al singolo, risulta dal fatto che la confisca può essere ordinata anche nei confronti di un bene appartenente a un terzo che lo ha ereditato o acquistato, se tale bene è stato acquistato da una delle persone sopra menzionate e il terzo non ha alcun diritto giuridico valido su di esso (v. punti 42 e 46 supra).
- La Corte ritiene pertanto che il tenore letterale della normativa pertinente, come interpretato nella giurisprudenza interna, indichi fortemente che la misura in questione è diretta contro la proprietà piuttosto che contro un individuo (v., ad esempio, U., sopra citata, § 53).
- In secondo luogo, la Corte attribuisce particolare importanza al fatto che la confisca di cui trattasi poteva essere applicata esclusivamente nei confronti di beni che si presumeva provenissero da attività illecite, a causa dell’assenza di elementi che ne dimostrassero la provenienza lecita.
- A tal riguardo, la Corte rileva che, alla luce delle precisazioni fornite dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 27 febbraio 2019, l’ambito di applicazione della misura in questione doveva essere limitato dalla sua finalità di prevenzione dell’arricchimento senza causa: in particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che la misura potesse essere giustificata solo nella misura in cui i reati presumibilmente commessi dall’interessato fossero fonte di profitti illeciti, in un importo ragionevolmente congruente con il valore dei beni da confiscare (v. punto 57 supra).
- Un’altra caratteristica rilevante è il principio, stabilito dalla Corte di cassazione (v. punto 48 supra) e confermato dalla Corte costituzionale (v. punto 57 supra), secondo cui la misura poteva essere applicata solo nei confronti dei beni acquisiti dall’interessato durante il periodo in cui egli aveva presumibilmente commesso reati che comportavano profitti illeciti, dimostrando in tal modo che tale misura mirava a prevenire l’arricchimento senza causa sulla base della commissione di reati.
- Secondo la Corte, limitare la confisca ai proventi illeciti derivanti dai reati presumibilmente commessi dall’interessato è un elemento rilevante che esclude il suo carattere punitivo (v., per contro, sentenza G. S.r.l. e a., cit., § 227, in cui la Corte ha ritenuto che il fatto che la misura potesse essere applicata indistintamente e indipendentemente dal terreno sul quale era stato commesso il reato di urbanizzazione illecita, era un fattore che militava a favore del suo scopo punitivo).
Ciò è confermato dal fatto che la stessa Corte costituzionale, sia pure con riferimento ad un diverso tipo di confisca, ha osservato che, limitandola al profitto illecito, la misura non aveva carattere punitivo, ma che sarebbe invece divenuta punitiva se si fosse estesa anche al prodotto del reato, dato che ciò avrebbe prodotto effetti pregiudizievoli sulla sfera personale dell’interessato che sarebbero andati oltre della mera privazione dell’arricchimento senza causa derivante dal reato (v. punto 58 supra).
- La Corte ritiene pertanto che lo scopo principale della misura fosse quello di evitare l’arricchimento senza causa derivante da reati, privando gli interessati di profitti illeciti, e rileva che, nella sua giurisprudenza vigente, le misure che perseguivano tale obiettivo sono state generalmente considerate come aventi uno scopo riparatorio piuttosto che punitivo (v. sentenze D.F. e a., Citata; B., sopra citato, § 65; U., sopra citato, § 57; e T. e altri c. Bulgaria, nn. 50705/11 e altri 6, § 304, 13 luglio 2021).
Per contro, la Corte ha considerato come misure punitive misure che erano più estesamente dirette contro i proventi di attività illecite, compreso il loro prodotto, senza limitarsi all’arricchimento o al profitto effettivo (si veda W., sopra citata, § 33).
γ) Conclusioni sulla natura e sullo scopo della confisca
- Pertanto, nella sua formulazione attuale, la decisione di confisca mirava a garantire che il reato non pagasse e a prevenire l’arricchimento senza causa, privando l’interessato e i terzi che non avevano un diritto valido sul bene da confiscare dei profitti delle attività criminose, ed era, pertanto, essenzialmente di natura riparatrice e non punitiva (v., v., in particolare, ad esempio, U., sopra citata, § 50).
- iv) Sulla severità della misura
- Per quanto riguarda la severità della misura, la Corte osserva che la confisca dei beni del primo, del terzo e del quarto ricorrente ha innegabilmente interferito gravemente con i loro diritti di proprietà e potrebbe quindi essere considerata una misura di relativa gravità.
Un provvedimento di confisca può essere utilizzato per confiscare beni di valore considerevole e non esiste un limite massimo a tale valore.
- Tuttavia, questa circostanza di per sé non è sufficiente, alla luce delle considerazioni supplementari che precedono, per giustificare la conclusione che le autorità abbiano inflitto ai ricorrenti una “pena” ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione (si veda T. e a., sopra citata § 306), poiché molte misure non penali di natura preventiva possono avere un impatto sostanziale sulla persona interessata (si veda B., § 64; D.R.P., § 82; e I., § 203, tutti sopra citati).
- Inoltre, la Corte rileva che, indipendentemente dal valore, la confisca è applicabile solo ai beni di cui non è possibile risalire all’origine giuridica. In particolare, esso è limitato ai beni per i quali, a causa del pericolo che l’individuo rappresentava per la società al momento della loro acquisizione e della discrepanza tra tali beni e i redditi leciti dell’individuo, esiste una presunzione giuridicamente giustificata che essi costituiscano profitti da reato (v. punto 57 supra).
- v) Procedure per l’adozione e l’esecuzione di una misura di confisca
- Per quanto riguarda le procedure di adozione e di esecuzione di una misura di confisca, la Corte osserva che essa è imposta da sezioni speciali di organi giurisdizionali penali. Tuttavia, questo non può essere di per sé decisivo.
In effetti, è una caratteristica comune di diverse giurisdizioni che i tribunali penali adottino decisioni di natura non punitiva come, ad esempio, la possibilità per i tribunali penali di ordinare misure di riparazione civile per la vittima di un reato (si veda B., sopra citata, § 63).
- Inoltre, la Corte osserva che la decisione di confisca nel caso di specie è stata emessa nell’ambito di un procedimento speciale di confisca e che la valutazione dell’opportunità di imporla si è basata su prove pertinenti in assenza di una confutazione accolta (cfr. U., sopra citata, § 55).
Il procedimento si è svolto in conformità con la legislazione specificamente concepita per la regolamentazione dei procedimenti in materia di misure preventive.
- c) Conclusioni
- Dalle considerazioni che precedono risulta che la misura in questione non costituiva una “pena” nel suo significato autonomo ai sensi della Convenzione, e quindi l’articolo 7 non è applicabile nelle presenti cause.
- Tali censure devono quindi essere respinte in quanto incompatibili ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) e devono essere respinte ai sensi dell’articolo 35 § 4.
D.Reclamo ai sensi dell’articolo 6 § 2 della Convenzione
- Il primo, il terzo e il quarto ricorrente hanno lamentato una presunta violazione della presunzione di innocenza garantita dall’articolo 6 § 2 della Convenzione, sostenendo di essere stati costretti ad assumersi la responsabilità per i crimini asseritamente commessi dal secondo ricorrente, e non da loro.
L’articolo 6 paragrafo 2 recita:
“Chiunque sia accusato di un reato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata provata secondo la legge”.
- La Corte ribadisce che la presunzione di innocenza può essere considerata in due modi. Nell’ambito di un processo penale, esso funge da garanzia procedurale, imponendo requisiti relativi, tra l’altro, all’onere della prova, alle presunzioni legali di fatto e di diritto, al privilegio contro l’autoincriminazione, alla pubblicità preprocessuale e all’espressione prematura, da parte del giudice di merito o di altri pubblici ufficiali, della colpevolezza di un imputato (v. A. c. Regno Unito [GC], n. 25424/09, § 93, CEDU 2013, e N. e H. c. Regno Unito [GC], nn. 32483/19 e 35049/19, § 101, 11 giugno 2024).
Tuttavia, in linea con l’esigenza di assicurare che il diritto garantito dall’articolo 6 § 2 sia pratico ed effettivo, la Corte ha sviluppato, nel tempo, un “secondo aspetto” della presunzione di innocenza, che entra in gioco dopo la conclusione del procedimento penale, con l’assoluzione o con l’archiviazione (si vedano N. e H., sopra citati, § 102).
Indipendentemente dalla natura del caso, la Corte ha sostenuto che lo scopo principale della presunzione di innocenza, nel suo secondo aspetto, è quello di proteggere le persone che sono state assolte da un’accusa penale o nei confronti delle quali è stato archiviato il procedimento penale dal trattare i pubblici ufficiali e le autorità come se fossero effettivamente colpevoli del reato addebitato (ibid., § 108).
- Per quanto riguarda la questione se il primo aspetto della presunzione di innocenza sia applicabile ai fatti del caso di specie, la Corte ribadisce che è un principio consolidato quello secondo cui la Convenzione deve essere letta nel suo insieme e interpretata in modo da favorire la coerenza e l’armonia interne tra le sue diverse disposizioni (v., v., in particolare, ad esempio, A. e altri c. Regno Unito [GC], nn. 39692/09 e altri 2, § 54, CEDU 2012; Catan e altri c. Repubblica di Moldova e Russia [GC], nn. 43370/04 e altri 2, § 136, CEDU 2012 (estratti); M. v. Croazia [GC], n. 4455/10, § 128, CEDU 2014 (estratti); e M. v. Georgia [GC], n. 72508/13, § 293, 28 novembre 2017). Inoltre, in molti casi, la Corte ha sottolineato il nesso tra l’articolo 6 e l’articolo 7 nelle cause penali, in particolare per quanto riguarda la nozione di “accusa penale” (si veda G.J. e R.H.H. c. Islanda [GC], nn. 68273/14 e 68271/14, § 112, 22 dicembre 2020).
- Dato che la Corte ha già concluso che la confisca non può essere considerata una pena ai sensi dell’articolo 7, per ragioni di coerenza nell’interpretazione della Convenzione nel suo complesso, essa ritiene che il procedimento in questione non abbia comportato la determinazione di un'”accusa penale” ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione.
- Pertanto, la decisione di confisca controversa non può dar luogo all’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 2 (v. sentenza G. e a., cit., § 126) e, pertanto, all’applicazione del primo aspetto della presunzione di innocenza.
- Si deve rilevare, inoltre, che il primo, il terzo e il quarto ricorrente non hanno sollevato alcuna censura relativa al secondo aspetto della presunzione di innocenza.
- Ne consegue che tali censure sono incompatibili ratione materiae con l’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 3, lettera a), e devono essere respinte conformemente all’articolo 35, paragrafo 4.
- Reclamo ai sensi dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione
- Il secondo ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’articolo 4 del protocollo n. 7 della Convenzione, una presunta violazione del principio del ne bis in idem, in quanto in un precedente procedimento relativo a una misura preventiva nei suoi confronti, il giudice competente aveva ritenuto che egli non fosse un individuo socialmente pericoloso. La parte pertinente di questa disposizione recita come segue:
“1. Nessuno può essere perseguito o condannato con un procedimento penale sotto la giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato con sentenza penale definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.”
- Le considerazioni che precedono in merito alla misura controversa (si vedano i paragrafi 140-141 e 146-148) valgono anche per quanto riguarda la censura di cui all’articolo 4 del Protocollo n. 7. Pertanto, la Corte non ritiene che il secondo ricorrente sia stato “giudicato o punito nuovamente in un procedimento penale” ai sensi di tale disposizione (si veda T. e altri, sopra citata, § 307).
- Alla luce di quanto precede, la Corte conclude che la censura di cui all’articolo 4 del Protocollo n. 7 è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) e deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 § 4.
P.Q.M.
Decide di aderire alle candidature;
I ricorsi sono irricevibili.