Consiglio di Stato, Sezione VII, Sentenza 26 febbraio 2025, n. 1688
PRINCIPIO DI DIRITTO
Non è consentito alle parti proporre un unico appello avverso più sentenze, trattandosi di un rimedio non previsto dalla legge processuale, il quale sottrae al Giudice il governo dei giudizi e pone le premesse per la creazione di situazioni processuali confuse o inestricabili (…)
Il contrasto con il diritto unionale della disciplina introdotta dall’art. 1, commi 682 e segg., della l. n. 145/2018 in materia di proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, e la conseguente disapplicazione di tale disciplina, costituiscono ormai acquisizione consolidata della giurisprudenza di questo Consiglio.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il 1. Con l’appello in epigrafe la società La Casetta S.r.l. (“La Casetta” o “Società”) ha impugnato le sentenze del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V-ter, nn. 19051/2023 del 15 dicembre 2023 e 4133/2024 del 1° marzo 2024, chiedendone la riforma.
1.1. La sentenza n. 19051/2023 ha respinto il ricorso della Società avverso il provvedimento di Roma Capitale – Municipio Roma X del 30 settembre 2019, recante rigetto dell’istanza della ricorrente di proroga della concessione demaniale marittima rilasciatale nel 1992 su un’area sita in Lido di Ostia, al lungomare Vespucci n. 68, per l’esercizio dello stabilimento balneare denominato “La Casetta”, e avverso gli atti presupposti e connessi (le note recanti il c.d. preavviso di rigetto).
1.2. In sintesi, il T.A.R., dopo avere dichiarato inammissibile l’impugnazione del c.d. preavviso di rigetto e disatteso l’eccezione di improcedibilità sollevata da Roma Capitale, ha respinto il ricorso in ragione dell’infondatezza dei motivi con esso dedotti, atteso che:
- A) la P.A. non è incorsa in alcun difetto di istruttoria, poiché nell’inviare alla Società il c.d. preavviso di rigetto ha indicato quale motivo ostativo alla proroga della concessione il fatto che questa fosse già scaduta e così ha avviato un doveroso contraddittorio con il privato;
- B) gli assunti della ricorrente, che la concessione demaniale, con durata ventennale, sarebbe scaduta non nel giugno del 2012, ma il 13 ottobre 2015 (data in cui sarebbe stata presentata la prima istanza di proroga), e che ad essa sarebbe applicabile la proroga prevista dall’art. 1, comma 683, della l. n. 145/2018 (che consente la proroga delle concessioni vigenti alla data di entrata in vigore del d.l. 31 dicembre 2009, n. 194 e che avrebbe tacitamente abrogato il limite massimo di venti anni fissato per la durata delle concessioni demaniali marittime), sono infondati, sulla base del profilo assorbente dell’illegittimità della proroga legale delle suddette concessioni;
- C) non potendo la Società beneficiare della proroga del titolo concessorio prevista dall’art. 1, commi 682 e 683, della l. n. 145/2018, stante l’illegittimità di essa come chiarito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, legittimamente il Comune ha respinto l’istanza di proroga avanzata dalla predetta Società e ha disapplicato, in coerenza con il quadro regolatorio europeo e nazionale vigente al tempo dell’adozione del provvedimento, la normativa interna di proroga ex lege dei rapporti concessori in essere;
- D) non può ritenersi che l’atto aggiuntivo del 13 ottobre 1995 abbia spostato il termine ventennale di scadenza della concessione, né che l’art. 1, comma 683, della l. n. 145/2018 abbia abrogato in modo tacito la previsione (art. 3, comma 4-bis, del d.l. n. 400/1993) che ha stabilito in venti anni il limite massimo di durata delle concessioni demaniali marittime;
- E) anche le censure dedotte contro le ulteriori motivazioni del diniego di proroga (realizzazione di abusi edilizi e mancato pagamento degli oneri per l’occupazione sine titulo dell’area demaniale) sono prive di fondamento perché, da un lato, la sentenza del T.A.R. favorevole alla ricorrente e da questa richiamata non riguarda tutti gli abusi accertati dalla P.A. e la sentenza penale di assoluzione reca formule diverse dalla mancata sussistenza del fatto; d’altro lato, il mancato pagamento degli oneri e quindi la posizione debitoria della Società non è posta in discussione da quest’ultima, che si è limitata a dolersi dell’esatta qualificazione e quantificazione delle relative voci.
1.3. La sentenza n. 4133/2024 ha invece dichiarato improcedibile il ricorso della Società avverso la determinazione di Roma Capitale – Municipio Roma X del 19 agosto 2019, con cui la ricorrente è stata convenuta il 16 settembre 2019 presso l’ingresso dell’area demaniale per la riconsegna della stessa e la restituzione delle chiavi dei locali, liberi da persone e cose.
1.4. In particolare, il T.A.R. ha accolto l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata da Roma Capitale. Infatti, a seguito della sentenza penale con cui sono stati disposti il dissequestro dell’area e la restituzione all’avente diritto di quanto sequestrato, la Polizia Locale ha notificato all’ex direttore del Municipio Roma X (custode giudiziario all’epoca nominato) il verbale di dissequestro in data 18 dicembre 2020, tramite il quale Roma Capitale (e per essa il Municipio) è rientrata nella disponibilità dello stabilimento balneare; questo, poi, è stato inserito nelle procedure di evidenza pubblica per l’assegnazione dell’area.
Pertanto – conclude la sentenza – La Casetta non può più ricavare alcuna utilità dal gravame promosso, poiché la Società non può più ritenersi chiamata a consegnare l’area, visto che il Comune è rientrato nella disponibilità della stessa, con il conseguente superamento della determinazione dirigenziale impugnata.
- Nell’appello la Società lamenta che le sentenze appellate sarebbero errate e chiede, pertanto, che siano integralmente riformate, deducendo i seguenti motivi:
- I) violazione ed errata applicazione dell’art. 258 TFUE in relazione all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria, perplessità, contraddittorietà, sviamento, violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa e del principio del legittimo affidamento, poiché la direttiva “servizi” n. 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) non sarebbe applicabile nel caso di specie, in quanto il rapporto concessorio tra La Casetta e Roma Capitale è sorto nel 1992 e dunque in una data anteriore alla scadenza del termine di recepimento della direttiva stessa (avvenuta con il d.lgs. n. 56/2010), con l’effetto che, riprendendo vigore la disciplina interna (rispetto alla quale non sarebbe predicabile la prevalenza della disciplina unionale), in base all’art. 1, comma 683, della l. n. 145/2018 la concessione demaniale marittima per cui è causa sarebbe prorogata fino al 31 dicembre 2034;
- II) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 682 e segg., della l. n. 145/2018 e in particolare del comma 683, eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria, perplessità, contraddittorietà, sviamento, violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa e del principio del legittimo affidamento, poiché il diniego impugnato, nel rigettare l’istanza di proroga sulla base della non applicabilità alla fattispecie della normativa di cui all’art. 1, commi 682 e segg., della l. n. 145/2018, recherebbe una motivazione erronea: a) quanto alla scadenza della concessione, che si sarebbe verificata non nel giugno 2012, ma a venti anni dall’atto aggiuntivo e quindi il 13 ottobre 2015 (data da considerare ai fini dell’individuazione delle norme applicabili); b) in merito alla proroga della concessione, giacché l’art. 1, comma 683 cit. prevede la proroga delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194/2009 (conv. con l. n. 25/2010), cioè al 1° gennaio 2010 (data in cui la concessione rilasciata a La Casetta era pienamente in essere); c) in ordine all’abrogazione del limite di durata ventennale delle concessioni, in quanto la P.A. sostiene che l’art. 3, comma 4-bis, del d.l. n. 400/1993 (conv. con l. n. 494/1993) non è stato espressamente abrogato dall’art. 1, comma 683, della l. n. 145/2018, ma, così opinando, non avrebbe considerato la possibilità di un’abrogazione tacita della disposizione ad opera di quella sopravvenuta (incompatibile con la disposizione previgente);
III) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 682 e segg., della l. n. 145/2018 e in particolare del comma 683 in relazione agli artt. 50 e 288 TFUE, nonché eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria, perplessità, contraddittorietà, sviamento, violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa e del principio del legittimo affidamento, in quanto la valutazione delle sentenze appellate, secondo cui la proroga automatica della durata della concessione demaniale contrasta con la normativa europea, la quale va considerata prevalente, non sarebbe condivisibile. Infatti, la direttiva n. 2006/123/CE non avrebbe efficacia diretta all’interno dei singoli Stati (non essendo self executing) e pertanto il suo contrasto con una norma di diritto interno potrebbe portare all’apertura di un procedimento per infrazione nei confronti dello Stato, ma non alla sua applicazione diretta da parte del giudice nazionale.
Peraltro, la nuova normativa di cui alla l. n. 145/2018 non si porrebbe in contrasto con i fini della normativa sovranazionale e quindi essa sarebbe immediatamente applicabile al caso di specie per quanto riguarda la proroga delle concessioni (anche ultraventennali), mentre non lo sarebbe la normativa europea, finché non sarà definito il nuovo assetto all’esito del percorso complessivo di riesame avviato dalla riforma.
2.1. L’appellante ha quindi concluso per l’integrale riforma delle sentenze appellate e, per l’effetto, per l’annullamento dei provvedimenti impugnati, l’accertamento del suo interesse a veder dichiarata la perdurante validità della concessione demaniale ad essa rilasciata, con proroga ex lege fino al 31 dicembre 2034 e la condanna generica delle Amministrazioni al risarcimento dei danni derivanti dalla loro condotta, da quantificarsi in separata sede.
- Si è costituito in giudizio il Comune di Roma (Roma Capitale), depositando di seguito memoria con cui ha eccepito:
- a) in via pregiudiziale di rito, l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 101 c.p.a., nonché, in stretta correlazione, del divieto di appello cumulativo avverso più sentenze, conle quali sono stati definiti, in primo grado, ricorsi sottoposti a trattazione distinta, in separati processi;
- b) sempre in via pregiudiziale, di rito, l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’obbligo di specificità dei motivi di ricorso, per il mancato assolvimento dell’appellante all’onere di formulare una critica puntuale della motivazione delle sentenze impugnate;
- c) ancora in rito, l’inammissibilità dell’appello avverso la sentenza n. 4133/2024 per l’intervenuta rinuncia ex art. 101, comma 2, c.p.a., poiché il petitum sostanziale del gravame non riguarderebbe in alcun modo la motivazione della sentenza n. 4133/2024, il che comporterebbe effettiva rinuncia e/o integrale acquiescenza alla succitata pronuncia;
- d) da ultimo in rito, l’inammissibilità parziale dell’appello avverso la sentenza n. 19051/2023 per l’intervenuta rinuncia ex art. 101, comma 2, c.p.a., in quanto la Società non ha appellato i capi della sentenza di prime cure recanti declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione del c.d. preavviso di rigetto e dunque per questa parte avrebbe rinunciato ad impugnare e/o prestato parziale acquiescenza alla sentenza n. 19051/2023;
- e) nel merito, l’infondatezza delle doglianze dell’appellante e pertanto la complessiva infondatezza dell’appello, del quale ha chiesto la reiezione, con reiezione altresì della domanda risarcitoria (di cui, in ogni caso, Roma Capitale ha eccepito l’inammissibilità, siccome formulata per la prima volta in grado di appello, oltre che generica e non comprovata).
3.1. Si è altresì costituita in giudizio l’Agenzia del Demanio, depositando, in violazione dei termini ex art. 73 c.p.a., note difensive e documenti sui fatti di causa.
3.2. La Società appellante, dal canto suo, ha dapprima depositato una memoria finale, con la quale ha invocato il d.l. 16 settembre 2024, n. 131 (conv. con l. n. 166/2024), entrato in vigore nelle more del giudizio di appello, che, a modifica della l. n. 118/2022, ha fissato al 31 dicembre 2027 il termine di espletamento delle procedure di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio di attività turistico- ricreative e sportive.
Quindi, ha depositato una memoria di replica, con la quale ha controdedotto alle eccezioni pregiudiziali di Roma Capitale (sostenendo in particolare l’ammissibilità del c.d. appello cumulativo) ed ha insistito per l’applicazione immediata al caso che la riguarda della novella di cui al d.l. n. 131/2024; ha precisato, inoltre, che la domanda risarcitoria da essa proposta sarebbe già stata contenuta nel ricorso di primo grado e perciò, al contrario di quanto eccepito da Roma Capitale, non costituirebbe una domanda nuova.
3.3. All’udienza pubblica del 4 febbraio 2025 sono comparsi i difensori della Società e del Comune di Roma, i quali hanno brevemente discusso la causa. In particolare, il difensore dell’appellante ha formulato dichiarazione di rinuncia all’appello avverso la sentenza n. 4133/2024 qualora il Collegio ritenesse insussistenti le condizioni per la proposizione del c.d. appello cumulativo contro ambedue le sentenze.
3.4. Il Collegio, uditi i difensori, ha trattenuto la causa in decisione.
- In via preliminare va disposto lo stralcio delle note difensive e dei documenti prodotti dall’Agenzia del Demanio, in quanto depositati tardivamente in violazione dei termini ex art. 73 c.p.a., senza alcuna giustificazione di detta tardività (art. 54, comma 1, c.p.a.), non essendo sufficiente, in proposito, il generico riferimento della difesa erariale ad un imprecisato “disguido tecnico”: ai fini della presente decisione, pertanto, non si tiene conto di tali note difensive e documenti.
4.1. Sempre in via preliminare, va delibata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla difesa di Roma Capitale sul rilievo dell’insussistenza, nella fattispecie in esame, dei presupposti per la proposizione del c.d. appello cumulativo.
4.1.1. La difesa comunale eccepisce, in particolare, che l’unico atto di gravame è rivolto avverso due pronunce del T.A.R. Lazio (la n. 19051/2023 e la n. 4133/2024), le quali hanno definito due giudizi autonomi, ognuno con la propria specificità e singolarità, mai riuniti dal G.A., e che l’appello censura indistintamente ambedue le sentenze, sebbene queste abbiano una motivazione ed un dispositivo del tutto diversi, risolvendosi la sentenza n. 4133/2024 in una pronuncia di improcedibilità e, dunque, di mero rito, laddove invece la sentenza n. 19051/2023 entra nel merito della questione portata al vaglio del Giudicante.
Pertanto, nonostante esista una connessione procedimentale tra gli atti impugnati nei giudizi definiti dalle due pronunce in commento, tuttavia queste non hanno contenuti interconnessi, con il corollario che non è ammesso l’uso contro di esse di un unico registro censorio (come ha fatto invece l’appellante), a ciò ostando i vincoli di cui all’art. 101 c.p.a..
4.1.2. Replica sul punto La Casetta che nel caso di specie l’appello cumulativo è ammissibile, sulla base delle coordinate formulate dalla giurisprudenza espressasi sull’argomento, perché la questione posta a base delle due sentenze e che l’appellante fa valere è la stessa, cioè l’illegittimità del diniego di proroga della concessione demaniale marittima.
4.2. Così riassunte le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che l’eccezione sollevata dalla difesa di Roma Capitale sia fondata e da condividere.
4.3. Invero, secondo l’orientamento più risalente, non è consentito alle parti proporre un unico appello avverso più sentenze, trattandosi di un rimedio non previsto dalla legge processuale, il quale sottrae al Giudice il governo dei giudizi e pone le premesse per la creazione di situazioni processuali confuse o inestricabili (C.d.S., Sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6102; id., 21 maggio 2010, n. 3232; Sez. V, 18 ottobre 2011, n. 5554; id., 23 novembre 2007, n. 6004; id., 17 febbraio 2006, n. 617; Sez. VI, 26 maggio 1999, n. 685; C.G.A.R.S., Sez. giurisd., 5 aprile 2002, n. 182).
La giurisprudenza più recente, tuttavia, valorizzando il principio di concentrazione della tutela giurisdizionale e quello di economia processuale, ha superato tale orientamento e ha ritenuto ammissibile la proposizione del c.d. appello cumulativo in talune circoscritte ipotesi, quando cioè tra le cause decise con le sentenze impugnate sussista una strettissima connessione soggettiva e oggettiva, ossia l’identità delle parti, la comunanza dei motivi di appello, l’identità delle questioni (cfr. C.d.S., Sez. II, 11 marzo 2024, n. 2290; Sez. IV, 17 febbraio 2022, n. 1177; Sez. V, 14 settembre 2018, n. 5385, che reca un approfondimento della questione, a cui si fa rinvio).
4.4. Nel caso ora in esame, tuttavia, non sono ravvisabili per intero i presupposti suindicati, a cui la giurisprudenza subordina l’esperibilità dell’unico appello avverso più sentenze: difetta, in particolare, il presupposto oggettivo dell’identità delle questioni, poiché, come giustamente eccepito dalla difesa di Roma Capitale, che l’ha ribadito anche nel corso della discussione orale in udienza, le due sentenze appellate non sono di tenore analogo, recando l’una (la n. 19051/2023) una pronuncia di merito (e in minima parte di rito, sub specie di inammissibilità), l’altra (la n. 4133/2024) una pronuncia di mero rito, sub specie di improcedibilità.
L’appello avverso la sentenza n. 4133/2024 cit. avrebbe, pertanto, dovuto contenere motivi rivolti a censurare la decisione in rito della causa, che non avrebbero potuto essere giammai comuni ai motivi dell’appello avverso la sentenza n. 19051/2023 (la quale non reca alcuna declaratoria di improcedibilità, anzi respinge la relativa eccezione sollevata dal Comune).
Né può bastare il fatto che la Società appellante si sia limitata al profilo “comune” – asseritamente – alle due cause (la mancata proroga della concessione), poiché in conseguenza delle vicende processuali ora riferite (la declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione proposta avverso la determinazione comunale che ha convocato il legale rappresentante della Società per la riconsegna dell’area de qua e la mancata deduzione, nell’appello, di specifiche censure avverso detta declaratoria), la legittimità della riconsegna dell’area non può più essere rimessa in discussione.
4.5. Consapevole della complessità del problema, l’appellante ha cercato di risolverlo fornendo nella pubblica udienza dichiarazione di rinuncia all’appello avverso la sentenza n. 4133/2024, condizionata all’accertamento, da parte del Collegio, dell’inammissibilità dell’appello c.d. cumulativo. In contrario deve però richiamarsi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’atto di rinuncia al ricorso non tollera l’apposizione di condizioni (v. Cass. civ., Sez. VI, 5 maggio 2017, n. 10934, avente a oggetto una fattispecie, sovrapponibile alla presente causa, in cui il ricorrente aveva dichiarato di rinunciare al ricorso proposto per l’ipotesi in cui la Corte ne avesse riscontrato l’inammissibilità), di tal ché la rinuncia condizionata deve ritenersi priva di efficacia.
4.6. In conclusione, pertanto, il riscontro dell’insussistenza, nel caso ora in esame, delle condizioni per la proposizione dell’appello cumulativo porta, in accoglimento dell’eccezione spiegata da Roma Capitale, alla declaratoria di inammissibilità dello stesso (v., per una vicenda in cui questo Consiglio, accertata la mancata dimostrazione dei presupposti di esperibilità dell’impugnazione cumulativa, ha dichiarato l’appello inammissibile, Sez. III, 22 novembre 2018, n. 6596).
- In ogni caso l’appello, oltre che inammissibile per carenza dei presupposti dell’azione cumulativa e in disparte gli altri profili di inammissibilità sollevati dal Comune, risulta infondato.
5.1. Invero, è innanzitutto infondato il primo motivo, poiché, a tacere di ogni altra considerazione, la direttiva n. 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) – peraltro self executing (cfr. C.d.S., Sez. V, 19 novembre 2024, n. 9266; Sez. VII, 9 maggio 2024, n. 4163) – era già stata recepita dall’ordinamento interno, con il d.lgs. n. 53/2010, alla data in cui (13 ottobre 2015) l’odierna appellante ebbe a presentare la prima richiesta di proroga, dunque non può in nessun modo e sotto nessun profilo dubitarsi della sua applicabilità alla fattispecie per cui è causa: e tale conclusione resta ferma anche ove si voglia invece considerare la scadenza della concessione al 2012 (secondo la tesi del Comune), ovvero l’istanza di proroga presentata dalla Società in data 23 luglio 2019 (cioè quella a cui il Comune ha risposto con il diniego oggetto della presente controversia).
5.2. Inconferenti sono, pertanto, i richiami effettuati dall’appellante, ancora in sede di pubblica udienza, al principio di irretroattività delle leggi e dei regolamenti, anche invocando la più recente giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 23 aprile 2024, n. 70), poiché nel caso di specie non viene in rilievo alcuna presunta applicazione retroattiva della direttiva “servizi” e della normativa interna di recepimento della stessa.
5.3. Altrettanto infondata è, inoltre, la pretesa che la concessione demaniale rilasciata alla Società nel 1992 avrebbe esonerato la stessa in perpetuo dall’applicazione della disciplina di cui alla direttiva n. 2006/123/CE, rendendola insensibile a detta disciplina anche in tutte le occasioni in cui si fosse andati a discutere del rinnovo o della proroga della predetta concessione.
5.4. Sono, altresì, palesemente infondati il secondo e il terzo motivo di appello, poiché il contrasto con il diritto unionale della disciplina introdotta dall’art. 1, commi 682 e segg., della l. n. 145/2018 in materia di proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, e la conseguente disapplicazione di tale disciplina, costituiscono ormai acquisizione consolidata della giurisprudenza di questo Consiglio.
Si fa rinvio, in argomento, alle recenti decisioni di questa Sezione nn. 4479, 4480 e 4481 del 20 maggio 2024, le cui motivazioni devono intendersi qui integralmente richiamate, in base ai precetti degli artt. 88, comma 2, lett. d), e 74 c.p.a. e in ossequio all’obbligo di sintesi di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a. (C.d.S., Sez. VII, 11 dicembre 2024, n. 10003; id., 9 ottobre 2023, n. 8742).
- Come si è accennato, negli ultimi scritti difensivi l’appellante sposta leggermente il tiro, ponendo l’accento sul d.l. n. 131/2024 e invocando la spettanza a proprio favore della proroga fino al 2027, introdotta dall’art. 1 del d.l. n. 131 cit. attraverso le modifiche apportate all’art. 3 della l. n. 118/2022.
Quest’ultima disposizione, al comma 1, delimita l’efficacia della proroga alle concessioni demaniali marittime, lacuali o fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive “se in essere alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base di proroghe o rinnovi disposti anche ai sensi della legge 30 dicembre 2018, n. 145, e del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126”.
Ma nel caso ora in esame non si può parlare di una concessione “in essere” alla data di entrata in vigore della l. n. 118/2022, tenuto conto del fatto che la concessione è scaduta nel 2012 o al più nel 2015 e che essa non è mai stata rinnovata o prorogata ed anzi Roma Capitale ha sempre opposto al riguardo il proprio diniego.
6.1. Sul punto è d’uopo aggiungere che sono stati respinti nel corso del tempo tutti i ricorsi presentati dall’odierna appellante avverso i provvedimenti comunali che contestavano l’intervenuta decadenza della concessione e chiedevano la restituzione dell’area.
In particolare:
– con decreto di questa Sezione n. 911/2023 del 4 luglio 2023 è stato dichiarato perento il ricorso in appello (R.G. n. 3681/2017) della Società avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. II, n. 5573/2017 del 9 maggio 2017, che ha respinto il ricorso da essa proposto contro il provvedimento di sgombero dell’area demaniale;
– con decreto n. 3317/2024 del 20 giugno 2024 il T.A.R. Lazio, Sez. V-ter, ha dichiarato la perenzione del ricorso R.G. n. 5012/2018 che La Casetta aveva proposto avverso il c.d. silenzio inadempimento serbato da Roma Capitale sulla sua istanza di rinnovo della concessione demaniale marittima, inviata il 2 febbraio 2018.
6.2. Nella fattispecie per cui è causa si può quindi prescindere dalla questione della compatibilità con il diritto unionale della nuova proroga legislativa, poiché è evidente come questa non possa operare a fronte di una concessione demaniale marittima, quale quella rilasciata all’appellante, le cui vicende amministrative e giudiziarie debbono considerarsi ormai definitivamente concluse, anche tramite il meccanismo della perenzione.
Detta conclusione tanto più si impone, ove si consideri che la Società ormai non ha più la disponibilità dell’area demaniale, dal 2020 tornata in capo al Comune, che l’ha inserita tra quelle da assegnare mediante procedure ad evidenza pubblica.
- L’integrale infondatezza del gravame comporta l’infondatezza, altresì, della domanda risarcitoria veicolata dalla Società nelle conclusioni dell’appello.
Ad abundantiam, l’appellante ha configurato la suddetta domanda in termini di condanna generica, ma nel processo amministrativo non è ammessa l’azione di condanna generica ex art. 278 c.p.c., limitata all’an debeatur (C.d.S., Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2097; id., 6 aprile 2009, n. 2143; Sez. IV, 4 agosto 2021, n. 5743; id., 11 dicembre 2014, n. 6080; id., 21 giugno 2010, n. 3876), essendo consentita unicamente la condanna con determinazione dei criteri (C.d.S., Sez. V, 20 aprile 2015, n. 1997; Sez. VI, 4 aprile 2011, n. 2102).
- In conclusione, per le ragioni esposte l’appello va dichiarato inammissibile e comunque va respinto siccome infondato nel merito, dovendo la sentenza appellata essere confermata.
- Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate a carico dell’appellante e in favore di Roma Capitale nella misura di cui al dispositivo, mentre sono compensate nei confronti dell’Agenzia del Demanio, attesa la tardività delle difese di quest’ultima.