Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 26 febbraio 2025, n. 7812
PRINCIPIO DI DIRITTO
La circostanza aggravante della destinazione del bene a pubblico servizio, avendo natura valutativa e non autoevidente, può essere validamente contestata anche in forma non formale, purchè l’imputato sia posto in condizione di comprenderne il significato e di difendersi adeguatamente. La contestazione suppletiva all’aggravante in udienza, esercitata dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 517 c.p.p., è idonea a ripristinare la procedibilità d’ufficio del reato, senza che possa operare una declaratoria di improcedibilità retroattiva, in ossequio ai principi di obbligatorietà dell’azione penale e di ragionevole durata del processo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso deve essere accolto.
L’unico motivo di ricorso è fondato, atteso che il reato deve essere considerato procedibile d’ufficio, risultando contestata la circostanza aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio.
- Va premesso che, a seguito della modifica dell’art. 624, comma 3, cod. pen., intervenuta per effetto dell’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022 n.150, in vigore dal 30 dicembre 2022, il delitto di furto anche se aggravato o pluriaggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen.(prima procedibile di ufficio) è divenuto punibile a querela della persona offesa, tranne che nei seguenti casi: se la persona offesa è incapace, per età o per infermità; se ricorre taluna delle circostanze di cui all’art. 625, numero 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede (il reato, quindi, è procedibile di ufficio anche quando il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza); se ricorre taluna delle circostanze di cui all’art. 625, numero 7-bis.
In relazione ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della suddetta modifica legislativa, l’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022 ha stabilito che il termine per la presentazione della querela (pari a tre mesi ex art. 124, comma 1, cod. pen.) decorre dalla predetta data (30 dicembre 2022), se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
La novità normativa riguardante il regime di procedibilità, dunque, trova applicazione anche in ordine a fatti commessi prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022
- Venendo al caso in esame, va rilevato che: il reato è stato commesso prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia; nel termine previsto dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022, la persona offesa non ha presentato querela; il pubblico ministero, alla prima udienza utile (quella dell’8 luglio 2024), subito dopo la costituzione delle parti, ha contestato l’aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio.
- La circostanza aggravante in questione è sicuramente connotata da componenti di natura valutativa, poiché impone una verifica di ordine giuridico – sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di “pubblico servizio” – che si basa su considerazioni in diritto che non sono rese palesi dal mero riferimento all’oggetto sottratto.
Come già affermato da questa Corte, tuttavia, accanto alla contestazione formale della aggravante, può ritenersi consentita anche un tipo di contestazione non formale, che, però, deve essere configurata in maniera tale da rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dall’accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse dell’intera collettività e diretto a vantaggio della stessa. Con specifico riferimento alla sottrazione di energia elettrica, la circostanza aggravante può così ritenersi adeguatamente contestata ove venga addebitata «una condotta di furto posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore, la quale garantisce l’erogazione di un “servizio” destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’esigenza di rilevanza “pubblica”» (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291; Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario, n.m.)
- Le Sezioni Unite, con la sentenza Sorge (n. 24906 del 18/04/2019), hanno accreditato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità favorevole alla c.d. contestazione “in fatto” delle aggravanti.
La pronuncia chiarisce che per «contestazione in fatto» si intende una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge, ma che riporti, in maniera sufficientemente chiara e precisa, gli elementi di fatto integranti la circostanza, così da permettere all’imputato di averne piena consapevolezza e di espletare adeguatamente la propria difesa.
A ulteriore precisazione, le Sezioni Unite aggiungono che: «l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse»; «la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive»; «in questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice, in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato»; diversamente avviene «con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative, risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative»; infatti, «dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi, in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero, nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio». In relazione a quest’ultimo tipo di circostanze, ove il risultato della suddetta valutazione non sia esplicitato nell’imputazione, la contestazione deve essere considerata priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale.
L’insegnamento delle Sezioni Unite è, quindi, nel senso di ammettere la contestazione in fatto delle circostanze aggravanti, a condizione che, nel rispetto del diritto di difesa, l’imputazione riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie.
Chiarezza e precisione della contestazione vanno raccordate, di volta in volta, alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse: in presenza di elementi valutativi, il grado di determinatezza della contestazione va ragguagliato all’esplicitazione di essi.
Vi sono dei casi in cui la contestazione delle circostanze è resa immediatamente comprensibile dal mero riferimento a dati materiali che si possono definire “autoevidenti”, come ad esempio: il numero delle persone che hanno concorso nel reato di furto (art. 625, comma primo, n. 5, cod. pen.), quando l’imputazione indichi tutti i concorrenti; la pluralità delle persone offese, quando risulti dal capo di imputazione (cfr. Sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, D., Rv. 280013); il rapporto di parentela o di coniugio, quando l’imputazione lo specifichi (cfr. Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, Rv. 269615).
Sul versante opposto vi sono dei casi, come quello della aggravante del falso commesso su atto fidefacente, deciso da Sezioni Unite Sorge, che involgono elementi valutativi talmente complessi da non lasciare spazio ad alternative e rendere necessario esporre la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436).
Nella sentenza Sorge, si ricostruisce in modo articolato e non con una soluzione rigida la questione riguardante le modalità di contestazione delle aggravanti che non presentano la caratteristica dell’autoevidenza. Nei casi in cui la circostanza aggravante è integrata da elementi che richiedono un apprezzamento giuridico/fattuale di natura complessa, il cui esito è necessariamente “aperto”, per le Sezioni Unite, è certamente doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa, ma è anche consentito ritenere il connotato giuridico/fattuale in questione adeguatamente contestato mediante “espressioni evocative” che lo riguardino espressamente e che, perciò, risultino idonee a sostituire, con la medesima efficacia, la contestazione formale.
Per le aggravanti valutative, risulta, pertanto, consentito il ricorso a una contestazione “non formale”, mediante il ricorso alla perifrasi o al “giro di parole”.
- Il Collegio aderisce alla giurisprudenza secondo cui ha natura “valutativa” e non “autoevidente” la circostanza aggravante dell’essere il bene, oggetto di furto, destinato a pubblico servizio; con la precisazione, però, che, in coerenza a Sezioni Unite Sorge, essa possa ritenersi contestata anche quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella destinazione, siano univoca esemplificazione (cfr. Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291; Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario, n.m.). Deve, cioè, ritenersi consentita una sua contestazione “non formale”, «seppur doverosamente indicativa della finalità in gioco: e cioè quella di rendere manifesto all’Imputato che dovrà difendersi dall’accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse dell’intera collettività e diretto a vantaggio della stessa» (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291).
6.1. La destinazione a pubblico servizio del bene-energia, oggetto di furto, non è un connotato intrinseco e autoevidente del bene medesimo, posto che, per essere affermata o negata, richiede una complessa valutazione da parte dell’interprete, riguardante anche norme extra-penali. Ciò che determina la punizione più grave è, infatti, la dimensione pubblica e collettiva dell’interesse eventualmente attinto nel caso concreto.
L’aggravante in questione mira a punire più severamente l’azione ablativa dell’agente in quanto pertinente a un bene che, per volontà del proprietario o del detentore, ovvero per una sua intrinseca qualità, serve ad un uso di pubblico vantaggio.
La verifica circa la sussistenza dell’aggravante in parola passa, inoltre, per la nozione, più generale, di “destinazione a pubblico servizio”, che non è data dalla constatazione della fruizione pubblica del bene, bensì dalla qualità del servizio che viene organizzato e che è destinato appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati (Sez. 6, n. 698 dei 03/12/2013, Giordano, Rv. 257773).
6.2. In conclusione, l’aggravante in questione è sicuramente connotata da componenti di natura valutativa. Tuttavia, accanto alla contestazione formale dell’aggravante, può ritenersi consentita anche una tipologia di contestazione “non formale”, che, però, deve essere congeniata in maniera da rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dall’accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse dell’intera collettività e diretto a vantaggio della stessa.
Tale scopo appare raggiunto quando – come nel caso in esame – nel capo di imputazione si faccia riferimento a una condotta di furto di energia posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore; rete, per l’appunto, capace di dare luogo a un “servizio” e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’esigenza di rilevanza “pubblica” (così Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario, n.m.).
Discende che il Tribunale, a fronte di un capo di imputazione che specificava che il furto di energia era stato realizzato mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore, ha fatto un uso errato della regola di giudizio posta dall’art. 129 cod. proc. pen., poiché, pur in presenza della contestazione “non formale” di un’aggravante idonea a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece ritenuto decisivo il dato della mancanza di querela della persona offesa.
- La questione va analizzata anche sotto l’altro profilo prospettato dal ricorrente, che contesta la decisione del Tribunale di ritenere priva di «valenza processuale» la contestazione suppletiva operata in udienza dal pubblico ministero.
La questione non va limitata ai soli artt. 516 e ss. cod. proc. pen., implicando il necessario coordinamento di tali norme con l’art. 129 cod. proc. pen., che impone al giudice di pronunciare immediatamente il proscioglimento dell’imputato quando manca una condizione di procedibilità, e con l’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022, che ha posto una disciplina transitoria in ordine alla presentazione della querela per i reati per i quali la riforma Cartabia ha modificato il regime di procedibilità.
Va rilevato che, mentre il ricorrente ha dato rilievo esclusivamente al potere del pubblico ministero di procedere alla modifica dell’imputazione, a lui riconosciuto dagli artt. 516 e ss. cod. proc. pen., il Tribunale, invece, ha dato rilievo solo all’art. 129 cod. proc. pen., valutando la disciplina transitoria posta dal d.lgs. n. 150 del 2022, esclusivamente nell’ottica della persona offesa.
7.1. Il collegio non condivide l’impostazione del Tribunale, ritenendo – nel solco già tracciato da Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario, e ripercorso da parte della successiva giurisprudenza (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291; Sez. 5 n. 17532 del 11/04/2024, Laguzza, Rv. 286448; Sez. 5, n. 33657 del 02/05/2024, Occhipinti, Rv. 286890) – che la questione debba essere risolta attraverso una lettura coordinata degli artt. 129 e 517 cod. proc. pen., che tenga conto anche delle particolarità che, soprattutto in relazione all’esercizio dei poteri del pubblico ministero, si sono venute a delineare a seguito della disciplina transitoria posta dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022.
7.2. Come evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, l’analisi letterale e sistematica delle due norme del codice di rito appena citate restituisce la conformazione di un sistema che: sul versante dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. prevede, tra i poteri/doveri del giudice disciplinati in via generale, quello di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità «in ogni stato e grado del processo»; sul versante dell’art. 517 cod. proc. pen., riconosce, nel dibattimento – come anche nell’udienza preliminare e nell’udienza predibattimentale disciplinata dal nuovo art. 554-bis cod. proc. pen. – il potere/dovere del pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non menzionata nell’originaria imputazione, senza necessità di autorizzazione del giudice.
Lo scopo della contestazione suppletiva, prevista ora dal citato art. 554-bis cod. proc. pen., consiste nel permettere che il capo di imputazione contenga la descrizione del fatto, comprensivo delle circostanze, in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, in modo tale da garantire, alla fine del giudizio, il rispetto del principio di corrispondenza fra “chiesto” e “pronunciato” (cfr. Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291).
Il nuovo art. 554-bis cod. proc. pen. – introdotto dalla riforma Cartabia che ha recepito, estendendola, la regola fissata dalla sentenza delle Sezioni Unite Battistella (n. 5307 del 20/12/2007) – fornisce lo spunto per due ulteriori considerazioni.
In primo luogo, il legislatore, ammettendo contestazioni suppletive in limine litis, ha assegnato forza normativa al principio dettato dalle Sezioni Unite Barbagallo (n. 4 del 28/10/1998), secondo cui la modifica dell’Imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen. possono essere effettuate anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
In secondo luogo, all’art. 554-bis cod. proc. pen., ha fatto seguire il nuovo art. 554-ter cod. proc. pen., il quale declina, tra l’altro, la regola dell’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, in tal modo disegnando due scansioni processuali in rapporto logico e cronologico tra loro: prima si “aggiusta” la contestazione, anche grazie all’intervento del giudice, in modo che l’accusa rappresenti fedelmente il fatto storico principale e le sue connotazioni circostanziali; poi si procede, eventualmente, all’immediata definizione del processo (cfr. Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291).
Sul fronte dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., va osservato che la norma stabilisce un criterio di prevalenza di alcune formule proscioglitive (sostanziali o processuali) su qualsiasi attività ulteriore, anche volta ad approfondimenti istruttori in favore dell’imputato.
7.3. Va ricordato che (come ricostruito in Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291) il coordinamento sistematico fra l’art. 517 e l’art. 129 del codice di rito è stato analizzato dapprima da Sezioni Unite De Rosa (n. 12283 del 25/01/2005), e, successivamente, da Sezioni Unite Domingo (n. 49935 del 28/09/2023), che ha interpretato evolutivamente i principi elaborati dalla precedente giurisprudenza, valorizzando, tra gli altri, quelli della sentenza delle Sezioni Unite Perroni (n. 539 del 30/01/2020).
La prima sentenza – nell’affermare che non è consentito arrivare a una pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. attraverso il rito de plano – ha chiarito che l’art. 129 non attribuisce al giudice un potere ulteriore e autonomo al di fuori di quelli a lui già riconosciuti dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo (artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice): epilogo che dunque deve avvenire con le precisate cadenze e modalità procedimentali e non in modo disancorato da queste. Ha, inoltre, posto in rilievo che un’eventuale pronuncia estemporanea e anticipata della causa di non punibilità inciderebbe negativamente sulla partecipazione al procedimento del pubblico ministero, al quale verrebbe precluso l’esercizio delle facoltà tese a meglio definire e suffragare l’accusa, e determinerebbe una violazione del diritto di difesa dell’imputato, al quale verrebbe interdetto l’esercizio di facoltà esperibili solo nell’ambito della fase o grado in essere.
Il «portato essenziale dell’art. 129 cod. proc. pen. è stato individuato nell’inibizione al giudice, susseguente alla rilevazione della causa di non punibilità, dei poteri istruttori relativi al thema decidendum, con l’effetto che l’ambito della sua cognizione deve rimanere cristallizzato allo stato degli atti» – e ciò, in nome della semplificazione del processo e del favor rei -, «ma non anche nell’inibizione dell’attività processuale, diversa da quella istruttoria, che deriva dal diritto delle parti all’ascolto nel contraddittorio, avendo esse la potestà di dare “sfogo” alle pretese proprie della fase processuale in essere» (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291).
Tra le attività processuali in questione, viene espressamente richiamata, nella sentenza De Rosa, quella relativa all’esclusiva potestà del pubblico ministero di modificare l’imputazione.
La pronuncia delle Sezioni Unite Domingo, riguardante un caso di contestazione suppletiva a fronte della maturata causa di estinzione (per prescrizione) del reato, ha accolto, espressamente, la suddetta sistematica ma l’ha anche “rivista” in un punto essenziale: ha costruito il rapporto fra la contestazione suppletiva e la causa di estinzione precedentemente perfezionatasi in termini di prevalenza della seconda che, per effetto della sentenza, acquisisce forza giuridica “ora per allora” con riferimento non al momento della sua dichiarazione formale, ma a quello della sua maturazione.
L’attività processuale eventualmente svolta dopo tale momento, conseguentemente, non produce effetti, rimanendo neutralizzata dall’espandersi degli effetti della causa estintiva.
La «ratio di tale reimpostazione della questione complessiva appare riconducibile all’apprezzamento dei valori costituzionali sottesi alla prevalenza massima accordata alla causa di estinzione del reato per prescrizione e all’accentuazione del suo dover essere dichiarata con “immediatezza”», condensati essenzialmente nel principio della ragionevole durata del processo (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291).
- Con riferimento ai casi di improcedibilità per difetto di querela e, in particolare a quelli conseguenti all’entrata in vigore della riforma Cartabia, connotati da normativa processuale specifica e sopravvenuta, il Collegio ritiene di percorrere una strada diversa, per gli effetti, distorsivi e poco coerenti con il principio costituzionale di obbligatorietà della azione penale, che deriverebbero dal riconoscimento della prevalenza massima accordata al venire meno della condizione di procedibilità.
Va evidenziato che la disciplina derivante dalla c.d. riforma Cartabia ha coinvolto, nel mutamento delle regole sulla nuova procedibilità a querela e nel correlato regime transitorio, anche reati sub iudice, originariamente contestati secondo il rito della procedibilità di ufficio.
La situazione venutasi a creare, in tema di furto aggravato, con la riforma Cartabia e la sua disciplina transitoria è del tutto peculiare. Il reato è passato dalla procedibilità di ufficio alla procedibilità a querela, salva l’ipotesi – per quanto qui di interesse – dell’art. 625, n. 7, cod. pen. (con ulteriore eccezione riferita all’aggravante della esposizione alla pubblica fede).
In relazione ai numerosi reati di tal genere – contestati con aggravanti ex art. 625 diverse da quella in questione e portati a giudizio (nel caso di specie con un atto di citazione risalente al 10 marzo 2022) secondo le regole della procedibilità di ufficio poi superata – l’art. 85 del d.lgs n. 150 del 2022 ha riconosciuto alla persona offesa il potere di consentire la prosecuzione del processo, presentando querela entro il 30 marzo 2023 (ossia entro tre mesi dall’entrata in vigore della riforma).
Va sottolineato che nessun accorgimento occorreva accordare all’organo di accusa, al quale il sistema processuale già apprestava uno speculare e ordinario mezzo per il ripristino della procedibilità d’ufficio, attraverso lo strumento della contestazione suppletiva della circostanza aggravante utile (art. 517 cod. proc. pen.).
Tale strumento, però, non è risultato concretamente utilizzabile nei processi in cui, nel periodo di tempo fissato dall’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 (cioè dall’entrata in vigore della riforma fino al 30 marzo 2023), non è stata celebrata alcuna udienza.
Ebbene, un’interpretazione che neghi gli effetti dell’esercizio di tale legittimo atto propulsivo del pubblico ministero, in ragione dell’operatività della causa di improcedibilità “ora per allora”, nei casi in cui il rappresentante della pubblica accusa – a causa della scansione che lo specifico processo ha avuto nel tempo – non abbia avuto alcuna possibilità di assumere l’iniziativa necessaria per adeguare il processo alle nuove regole, secondo questo Collegio, si pone in contrasto con l’art. 517 cod. proc. pen. e con i valori tutelati dagli artt. 3 e 112 Cost.
Al riguardo, va evidenziato che l’esercizio del potere di contestazione suppletiva dell’aggravante, come riconosciuto dall’art. 517 cod. proc. pen., non prevede decadenze o limitazioni, neppure nel caso in cui l’elemento di fatto aggravatore sia emerso già prima dell’esercizio della azione penale.
Tale potere deve trovare uno spazio per il suo esercizio anche nei processi i cui, per effetto della novella e del suo regime transitorio, disegnato per l’iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, l’eventuale inattività processuale nel periodo 30 dicembre 2022-30 marzo 2023 abbia impedito di fatto al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato. Tale spazio deve essere individuato nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023, primo segmento processuale in cui il pubblico ministero può, nel contraddittorio tra le parti, esercitare il potere di contestazione suppletiva.
Il riconoscimento della prevalenza del venire meno della condizione di procedibilità, anche nei casi in cui il mancato esercizio del potere di contestazione suppletiva sia dovuto esclusivamente all’inattività processuale durante il periodo indicato all’art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022, infatti, porterebbe a un eccessivo e ingiustificato sacrificio dei poteri del pubblico ministero e al principio di obbligatorietà dell’azione penale.
Una lettura coordinata degli artt. 517 cod. proc. pen. e 85 d.lgs. n. 150 del 2022, che tenga conto del potere di contestazione suppletiva, come riconosciuto dal codice di rito, senza decadenze o limitazioni, induce a ritenere consentito l’esercizio di tale potere, nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023.
In tal modo si perviene a un’adeguata valorizzazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà della azione penale, al di fuori dell’ipotesi analizzata dalla sentenza delle Sezioni Unite Domingo, che non ha inteso prendere «le distanze dalla sentenza delle Sezioni Unite De Rosa nel suo impianto generale» (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 285291).
L’interpretazione qui sostenuta appare compatibile con la struttura dell’art. 129 cod. proc. pen., che non sembra implicare necessariamente un trattamento unitario delle diverse situazioni processuali evocate nell’articolo, che si prestano anche a valutazioni talvolta non omogenee.
Una valutazione differenziata delle situazioni processuali prese in considerazione dall’art. 129 cod. proc. pen. appare consentita soprattutto quando è funzionale a una lettura costituzionalmente coerente con il fenomeno processuale che venga in rilievo.
Va rilevato, peraltro, che un’espressa deroga al trattamento unitario delle diverse situazioni processuali evocate nell’art. 129 cod. proc. pen. può essere colta nel secondo comma dello stesso articolo, dove la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità non è menzionata assieme alle cause di estinzione del reato che sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291).
Va, poi, menzionata la giurisprudenza a Sezioni Unite (Sez. U, n. 24246 del 2004, Rv 227681, Chiasserini) che, in tema di rapporto tra giudicato sostanziale (da ricorso inammissibile) e causa estinzione del reato per remissione di querela, ha già dato prova di effettuare una distinzione rispetto alle altre cause di estinzione del reato elencate nell’art. 129 cod. proc. pen., in ragione della peculiare struttura processuale degli effetti della remissione, ritenendola, a differenza delle altre cause estintive, capace di prevalere sull’inammissibilità del ricorso (Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, Bevacqua, Rv. 286291).
Più in generale, va rilevato che la regola di cui all’art. 129 cod. proc. pen. non può non declinarsi in relazione ai caratteri specifici e alla correlativa modalità operativa delle cause di non punibilità di cui si occupa.
Sotto tale profilo, è fin troppo evidente che l’estinzione del reato per prescrizione costituisce una vicenda irreversibile: il reato, in un determinato momento, si estingue definitivamente per effetto del decorso del termine previsto dalla legge.
La condizione di procedibilità, invece, subisce vicende alterne: quando il procedimento viene iniziato, potrebbe anche mancare; può essere poi presentata querela a discrezione della persona offesa; infine, la querela può essere rimessa.
Risulta evidente che, nel caso della condizione di procedibilità, non è consentito far riferimento a un momento determinato in cui essa manca: questa all’inizio potrebbe mancare, ma non per questo si arriva a una sentenza di proscioglimento, “ora per allora”.
Nel caso dell’estinzione per prescrizione, invece, vi è un momento determinato in cui il reato si estingue e un’eventuale prosecuzione del processo potrebbe derivare esclusivamente dall’omessa pronuncia della doverosa sentenza liberatoria da parte del giudice. L’omissione di quest’ultimo, che, alla scadenza del termine di prescrizione, avrebbe dovuto pronunciare il proscioglimento dell’imputato, tuttavia, non può creare un pregiudizio a quest’ultimo, mediante il meccanismo della contestazione suppletiva che faccia rivivere il reato estinto.
Come evidenziato da Sezioni Unite Domingo «diversamente opinando, si rimetterebbe illogicamente alla diligenza del giudice di primo grado la sorte del processo, in presenza di identiche situazioni: un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al tempestivo rilievo (o meno) della causa di estinzione del reato da parte del giudice stesso …».
La situazione che si è determinata a seguito della scadenza del termine fissato dall’art. 85, nei processi in cui non era stata fissata udienza tra l’entrata in vigore della riforma e il 30 marzo 2023, è ben diversa: non vi è stata alcuna omissione da parte del giudice e tantomeno del pubblico ministero, che si è trovato nell’impossibilità di esercitare il suo potere di contestazione suppletiva. Seguendo l’interpretazione qui sostenuta, la sorte del processo non finisce per dipendere dalla diligenza del giudice o del pubblico ministero e l’imputato non riceve alcun pregiudizio per condotte omissive del giudice o della parte pubblica, ma si deve solo confrontare con il regime transitorio della nuova disciplina della procedibilità, come determinato dalla lettura coordinata degli art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022 e 517 cod. proc. pen.
Non aderendo all’interpretazione di questo Collegio, invece, si rimetterebbe, illogicamente, la sorte dei processi al calendario delle udienze e, in presenza di identiche situazioni, un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al fatto che il giudice di quel processo abbia o meno fissato udienza nel periodo tra l’entrata in vigore della riforma Cartabia e il 30 marzo 2023.
Questo Collegio, in definitiva, ritiene che: il pubblico ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile di ufficio, avendone il potere e l’occasione (la prima udienza dopo il 30 marzo 2023); con la contestazione suppletiva, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l’ostacolo processuale al prosieguo dell’azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di proscioglimento, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia “ora per allora”, dato che, nel caso di mancanza della condizione di procedibilità, a differenza dell’ipotesi di estinzione del reato, non si è in presenza di un reato venuto meno nella dimensione sostanziale, che non può rivivere.
Il complesso del rapporto così ricostruito fra contestazione suppletiva e mancanza della condizione di procedibilità porta a concludere nel senso che deve essere riconosciuta piena efficacia giuridica e operativa alla contestazione suppletiva effettuata in udienza dal pubblico ministero, quantomeno in relazione all’ambito temporale sopra evidenziato e alla novità rappresentata dalla riforma Cartabia sul tema.
- Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., alla Corte di appello di Catania per il relativo giudizio.