Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza, 25.02.2025, n. 4892
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il “maggior danno” di cui si discorre nell’art. 1591 c.c. rimarrebbe pur sempre riferito, stricto senus, alle conseguenze pregiudizievoli direttamente riferibili al ritardo nella restituzione dell’immobile e, dunque, non estensibili alle conseguenze più ampiamente legate al fallimento del programma contrattuale per fatto del conduttore.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- Dev’essere preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività sollevata dal controricorrente, avendo la società ricorrente comprovato l’avvenuta notificazione del ricorso introduttivo del giudizio di legittimità (avvenuta in data 14/1/2019) entro il termine di sessanta giorni computati dalla data di notificazione della sentenza impugnata (avvenuta il 13/11/2018), non potendosi tener conto, quali giorni di scadenza del termine ad quem, delle giornate di sabato 12/1/2019 e di domenica 13/1/2019 (cfr. l’art. 155 c.p.c.).
- Parimenti priva di fondamento deve ritenersi l’eccezione sollevata dal controricorrente, in ordine all’asserita inammissibilità per tardività della domanda risarcitoria relativa ai danni corrispondenti alle conseguenze dell’inadempimento del conduttore ex art. 1453 c.c. (sul presupposto dell’avvenuta asserita limitazione dell’’originaria domanda risarcitoria della società locatrice al solo maggior danno ex art. 1591 c.c.), avendo la società attrice espressamente identificato, nel corpo dell’originario atto di citazione e nelle relative conclusioni, le lamentate conseguenze dannose del comportamento contrattuale della controparte nella mancata percezione dei canoni di locazione fino alla naturale scadenza del contratto.
In tal modo è rimasto riservato al giudice di merito adito il potere-dovere di qualificare la domanda in relazione agli elementi obiettivi di identificazione dell’azione senza che sia configurabile alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cfr. Cass., Sez. 2, n. 11289 del 10/5/2018; Cass., Sez. 3, n. 906 del 17/1/2018; Cass., Sez. 3, n. 919 del 3/2/1999).
La sentenza impugnata, nell’affrontare e decidere la questione relativa alla risarcibilità delle conseguenze connesse, in generale, all’inadempimento contrattuale del conduttore (ai sensi dell’art. 1453 c.c.), ha infatti sostanzialmente e correttamente riconosciuto la possibilità della più ampia interpretazione dell’’originaria domanda risarcitoria proposta dalla Immobiliare Callipigia s.r.l.
- Con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1453 c.c. in combinato disposto con l’art. 1223 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale negato il risarcimento dei danni relativi al conseguimento dei canoni di locazione fino alla naturale cessazione del contratto sulla base di un orientamento della giurisprudenza di legittimità minoritario (cfr. Cass., Sez. 6-3, n. 27614 del 10/12/2013) e, in ogni caso, suscettibile d’essere rimeditato, siccome erroneamente fondato sul presupposto secondo cui il corrispettivo della locazione si risolverebbe nella prestazione, da parte del conduttore, di un compenso per il sacrificio, da parte del locatore, della propria facoltà di godimento dell’immobile, là dove, al contrario, la dimensione causale del contratto di locazione imporrebbe di qualificare la cessione del godimento dell’immobile dietro il pagamento del corrispettivo alla stregua di un’operazione economica di scambio tra utilità di diversa natura sì che la mera risarcibilità dell’immobile prima della naturale conclusione del contratto non varrebbe mai a reintegrare il patrimonio del locatore della mancata realizzazione del credito relativo a tutti i canoni convenuti, così come peraltro riconosciuto dal prevalente orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass., Sez. 3, n. 2865 del 13/02/2015).
- Con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91 e 664 c.p.c., in combinato disposto con il d.m. n. 127/2004 (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale illegittimamente omesso di liquidare, in proprio favore, le spese di lite relative alle procedure di sfratto di morosità e di esecuzione per rilascio, sulla base dell’erroneo presupposto secondo cui tali spese, in quanto non riconducibili alla liquidazione delle spese in favore del difensore per l’attività svolta, non sarebbero state adeguatamente comprovate o specificate attraverso il deposito di una notula, là dove, al contrario, la liquidazione di tale rimborso avrebbe dovuto ritenersi svincolata dall’assolvimento di alcun onere di previa specificazione da parte dell’istante, e doverosamente operata d’ufficio, ai sensi degli artt. 91 e 664 c.p.c., sulla base degli atti processuali debitamente depositati dalla società ricorrente.
- Con il terzo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente disposto l’integrale compensazione tra le parti delle spese relative al procedimento di mediazione in ragione della pretesa legittimità del rifiuto del conduttore di accettare la proposta di conciliazione della locatrice (atteso il carattere eccessivamente oneroso delle condizioni offerte in rapporto a quanto viceversa riconosciuto in sede definitiva), là dove, al contrario, trattandosi di mediazione obbligatoria ed essendo comunque stata riconosciuta nel merito la soccombenza del convenuto, comprensiva delle spese relative al procedimento di mediazione.
- A seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 31276 del 9/11/2023 della Terza Sezione Civile, il ricorso & stato assegnato a queste Sezioni Unite per la soluzione del contrasto posto dal primo motivo.
- Secondo l’ordinanza di rimessione della Terza Sezione «convivono nella giurisprudenza di questa Corte, e segnatamente di questa sezione, due orientamenti.
Secondo un primo orientamento, più risalente e tendenzialmente prevalente, il locatore, che abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, ed il cui ammontare è riservato alla valutazione del giudice di merito sulla base di tutte le circostanze del caso concreto (Cass. n. 194 del 2023; n. 8482 del 2020; n. 2865 del 2015; n. 10677 del 2008; n. 18510 del 2007; n. 676 del 1980; n. 1880 del 1970).
Secondo altro orientamento, recepito dalla sentenza di merito, in ipotesi di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenuto il rilascio del bene locato, la mancata percezione da parte del locatore dei canoni che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza convenzionale o legale del rapporto, ovvero fino al momento in cui il locatore stesso conceda ad altri il godimento del bene con una nuova locazione, non configura di per sé un danno da “perdita subita”, né un danno da “”mancato guadagno”, non ravvisandosi in tale mancata percezione una diminuzione del patrimonio del creditore locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’inadempimento del conduttore, stante il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento, mentre un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio può, invece, configurarsi se, per le condizioni in cui si trova l’immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio nei sensi dell’art. 1590 cod. civ. (Cass. n. 1426 del 2017; n. 27614 del 2013).
«Il punto di divergenza fra i due orientamenti risiede nelle conseguenze che vengono ricollegate alla valutazione in termini di godimento indiretto della locazione.
Per l’indirizzo recepito dalla corte territoriale non c’è pregiudizio, con riferimento ai canoni che, dopo il rilascio, sarebbero stati esigibili fino alla scadenza del contratto, se il godimento torna al proprietario locatore in seguito al rilascio all’esito della risoluzione per inadempimento, posto che il canone è il corrispettivo per la privazione del godimento.
Per il primo indirizzo, invece, il rilascio dell’immobile non neutralizza il danno del mancato conseguimento del canone fino alla scadenza del rapporto contrattuale.
Afferma in particolare Cass. n. 8482 del 2020 che “il danno da risarcire non può non ritenersi rappresentato dall’ammontare dei canoni dovuti per la durata ulteriore della locazione ormai sciolta per inadempimento, senza che si possa prendere in considerazione la ripresa disponibilità della cosa, perché questa, finché non viene locata di nuovo, per il soggetto che aveva scelto di ricavare dal bene un reddito locatizio, non può rappresentare — o quanto meno non può a priori presumersi rappresenti — un effettivo e reale vantaggio a quello paragonabile”.
Alla luce di tale indirizzo, l’interesse protetto dal contratto di locazione, e che è stato leso dall’inadempimento, è lo specifico interesse al godimento indiretto mediante la percezione di un corrispettivo per l’altrui godimento, che il proprietario, in base all’esercizio di autonomia che gli compete, ha affidato alla tutela contrattuale, per cui l’inadempimento avrebbe violato il programma di godimento del bene prefigurato dal negozio.
«Quest’ultimo indirizzo si è evoluto, fino alle più recenti manifestazioni, nel senso che il danno risarcibile non corrisponde ut sic alla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, ma è necessario l’apprezzamento da parte del giudice del merito di tutte le circostanze del caso concreto.
Si tratta di precisazione quanto mai opportuna, in primo luogo perché l’azione risarcitoria non può essere confusa con l’azione di adempimento, solo grazie alla quale, per ipotesi, il locatore può esigere il mancato pagamento dei canoni convenuti fino alla scadenza del rapporto.
In secondo luogo, tale esito evolutivo è coerente alla distinzione fra il danno evento ed il danno conseguenza. Il danno evento, coincidente con l’inadempimento, si identifica effettivamente con la mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore.
Il danno risarcibile è, però, il danno conseguenza, disciplinato dall’art. 1223 cod. civ. Emerge, a questo proposito, l’onere probatorio del locatore, che deve provare il nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli.
È parte di tale onere probatorio del locatore l’essersi attivato per rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione. In questo quadro, potrà essere rilevante anche quanto il conduttore possa opporre ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cod. civ.
«Di contro al primo indirizzo, pur apprezzato in questo esito evolutivo, che distingue fra danno evento e danno conseguenza, deve valutarsi, ai fini della risoluzione del contrasto, la portata dell’art. 1591 cod. civ.
E pur vero che tale norma disciplina la fattispecie dei danni da ritardata restituzione, e dunque gli effetti della mora del conduttore a restituire l’immobile, ma è anche vero che la portata della norma è riducibile alla fattispecie della restituzione dopo la scadenza del rapporto, potendo essa sul piano pratico trovare applicazione anche al caso della restituzione prima della scadenza, e dunque all’ipotesi della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore e del protrarsi del godimento della cosa da parte di quest’ultimo, nonostante la cessazione per risoluzione.
Il conduttore è tenuto in base all‘art. 1591 a corrispondere, a titolo risarcitorio, il canone convenuto fino alla restituzione. Resta tuttavia il margine, come è noto salvaguardato dalla norma, del “maggior danno”.
Volendo rileggere la fattispecie sulla base del punto di vista dell’art. 1591, l’interrogativo da porsi è se in tale “maggior danno”, una volta imposto al conduttore dalla legge l’obbligo di risarcire il locatore mediante la corresponsione del canone fino alla restituzione, trovi ospitalità, ed in quali termini, il danno conseguente, ai sensi dell’art. 1223, all’’evento dannoso rappresentato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, si intende all’interno al termine di scadenza del rapporto» (Cass., Sez. 3, n. 31276 del 9/11/2023).
- 1l Collegio ritiene che, ai fini della risoluzione delle questioni di diritto poste dal primo motivo di ricorso – in relazione al quale è stato sollecitato l’intervento di queste Sezioni Unite – debba essere condiviso orientamento interpretativo volto, da un lato, a escludere che la restituzione dell’immobile locato prima della naturale scadenza del contratto valga di per sé a precludere il diritto del locatore a rivendicare, a titolo risarcitorio, il pagamento dei canoni destinati a scadere successivamente alla restituzione (fino alla prevista scadenza del contratto o all’eventuale nuova locazione dell’immobile) e, dall’altro, a negare che il danno risarcibile in favore del locatore debba ricomprendere, con carattere di automaticità, tutti i canoni non percepiti fino alla scadenza del contratto originariamente stabiliti dalle parti o, in alternativa, al reperimento di un nuovo conduttore.
- Al fine di giustificare tali conclusioni varrà in primo luogo osservare come, secondo l’indirizzo fatto proprio dalla giurisprudenza minoritaria di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 6-3, n. 27614 del 10/12/2013) – e posta a fondamento della decisione di merito impugnata in questa sede – nel caso in cui sia pronunciata la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore e sia intervenuto il rilascio del bene locato, la mancata percezione da parte del locatore dei canoni che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza convenzionale o legale del rapporto, ovvero fino al momento in cui il locatore stesso conceda ad altri il godimento del bene con una nuova locazione, non configuri di per sé un danno da ‘perdita subita’, né un danno da “mancato guadagno”, non ravvisandosi in tale mancata percezione una diminuzione del patrimonio del creditore-locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l’inadempimento del conduttore.
- Tale orientamento interpretativo, ad avviso di queste Sezioni Unite, non può essere condiviso.
- Secondo tale orientamento, la causa del contratto di locazione si sostanzierebbe nella relazione funzionale asseritamente esistente tra la ‘rinuncia’, da parte del locatore, al godimento diretto del proprio immobile e il ‘compenso’ costituito dal pagamento del canone da parte del conduttore.
Al riguardo, «la concessione in godimento di un bene iure locationis si risolve ex latere del locatore in una particolare forma di esercizio del godimento del bene nelle sue utilità, cioè nel conferimento al conduttore della facoltà di esercitare in via diretta su di esso il godimento materiale, che altrimenti sarebbe esercitabile dal locatore.
A fronte di tale conferimento e, quindi, con diretta giustificazione in ragione di esso, il conduttore versa al locatore il corrispettivo, il canone, che viene a rappresentare in tal modo una modalità di fruizione indiretta dell’utilità sottesa al godimento del bene sostitutiva del possibile godimento diretto.
Godimento diretto che il locatore, se conservasse la detenzione del bene potrebbe, si badi, esercitare con l’estrinsecazione della facoltà di godimento materiale su di esso, utilizzandolo per una qualche destinazione conforme alla sua natura o alle sua funzionalità, ma che, potrebbe anche esercitare anche estrinsecandola in negativo, cioè attraverso la mera conservazione della detenzione del bene, senza cioè il compimento di attività di godimento materiale di esso, come ad esempio tenendolo intercluso ed inaccessibile, nonché incolto, trattandosi di terreno, o, trattandosi di edificio, inutilizzato.
«Ebbene, quando il locatore concede in locazione l’’immobile, il corrispettivo della locazione, cioè il canone, rappresenta l’equivalente della privazione della possibilità di esercitare il godimento dello stesso in via diretta, cioè sia attraverso lo svolgimento su di esso dell’attività di godimento materiale possibile secondo la natura del bene, sia attraverso un atteggiamento di non utilizzazione del bene per il tramite di tale attività di godimento materiale e, quindi, attraverso la sua mera detenzione» (cosi Cass., Sez. 6-3, n. 27614 del 10/12/2013, §3.3, pagg. 8-9).
- Il Collegio ritiene che |’affermazione secondo cui la dimensione causale del contratto di locazione riposerebbe sulla preliminare ‘rinuncia al godimento diretto’ da parte del locatore esprima una prospettiva del tutto marginale della realtà contrattuale della locazione: non appare, infatti, necessariamente configurabile, in capo a tutti coloro che intendono trasmettere a terzi il godimento di un immobile di cui hanno la disponibilità, un qualche apprezzabile interesse per il godimento diretto del proprio immobile, né necessariamente una volontà di tale forma di godimento.
Data pubblicazione 25/02/2025 Si pensi, al riguardo, ai casi di collocazione sul mercato di immobili precedentemente acquistati dal locatore a soli fini di investimento del risparmio (da cui trarre occasione di possibili rendite), o ai casi di locatori (come una società commerciale) orientati a realizzare profitti attraverso l’acquisto sistematico di immobili da destinare con immediatezza al godimento di terzi dietro compenso.
In relazione a tale punto (e, dunque, sul piano dell’’identificazione della causa del contratto di locazione) converrà piuttosto tener ferma e valorizzare la più limitata dimensione dello scambio (in sé considerato) tra l’utilità economico-sociale rappresentata dal godimento di un bene immobile e l’importo monetario del canone: uno scambio in cui la prestazione patrimoniale del conduttore non risulta affatto volta a ‘compensare’ il sacrificio del godimento diretto del bene da parte del locatore, bensì a ‘corrispondere’ alle utilità offerte del locatore secondo i termini di una specifica dinamica funzionale di carattere economico-sociale.
In forza di tale specifica dinamica funzionale, la prefigurazione negoziale dell’esecuzione delle reciproche prestazioni delle parti è destinata a prospettare la realizzazione di un nuovo, originale e più avanzato assetto economico-giuridico delle sfere di entrambi i contraenti; un assetto destinato a stabilizzarsi definitivamente attraverso il puntuale compimento del ‘programma contrattuale’ alla cui puntuale attuazione entrambe le parti risultano vincolate.
Con la realizzazione di tale nuovo assetto, da un lato, il locatore avrà soddisfatto il suo specifico interesse alla ‘trasformazione’, in una definitiva disponibilità monetaria, della temporanea utilizzabilità del bene e, dall’altro, il conduttore il suo particolare interesse a ‘trasformare’ la sua originaria disponibilità monetaria nel temporaneo godimento delle specifiche utilità offerte dal bene altrui. Data pubblicazione 25/02/2025.
- Muovendo da tali elementari premesse, apparirà di immediata comprensione come la restituzione dell’immobile prima della conclusione del contratto da parte del conduttore inadempiente non potrà mai valere a determinare di per sé l’integrale ricostituzione della condizione economico-giuridica del locatore configuratasi a seguito della conclusione del contratto di locazione.
- Su questo punto, secondo l’orientamento interpretativo qui criticato, il rilascio dell’immobile locato a seguito di risoluzione per inadempimento del conduttore non sarebbe «di per sé tale da integrare né un danno da “perdita” (danno emergente), né un danno da “mancato guadagno” (lucro cessante) derivanti dall’inadempimento»; infatti, una volta «rilasciato l’immobile in conseguenza della risoluzione, viene ripristinata la posizione del locatore in ordine al godimento del bene nei termini in cui essa si poteva estrinsecare prima della scelta dell’esercizio del godimento nella suddetta forma indiretta: il locatore viene posto, cioè, nella condizione di esercitare il godimento sul bene in via materiale oppure con atteggiamento di mera inerzia oppure nuovamente in forma indiretta, cioè conferendolo in godimento ad un terzo, a titolo oneroso, cioè iure locations, o, eventualmente, gratuito, iure commodati.
«Poiché il canone locativo lo compensava della privazione della facoltà di godimento diretto, in via di utilizzazione positiva del bene o per mera detenzione, nonché di quella indiretta mediante conferimento ad altro terzo per uno di quei titoli, è palese che la mancata percezione del canone, tanto fino alla scadenza quanto fino alla rilocazione, non può essere considerata di per sé una “perdita” e ciò per il suo carattere corrispettivo rispetto alla privazione del godimento.
La mancata percezione potrebbe automaticamente essere considerata una “perdita” per il locatore solo se il canone come utilitas non fosse stato conseguibile come compenso per la privazione della facoltà di godimento in altro modo. Cessata quella privazione e ripristinato il godimento la mancata percezione del canone non può essere considerata perdita» (cfr. Cass., Sez. 6-3, n. 27614 del 10/12/2013, 83.3, pagg. 8-10).
- Una simile ricostruzione del fenomeno contrattuale (rivisto dalla prospettiva della patologia funzionale dell’inadempimento) non è condivisibile, poiché, nella misura in cui trascura la mancata realizzazione del programma negoziale originariamente convenuto tra le parti in conseguenza dell’inadempimento, si risolve nella totale neutralizzazione della rilevanza giuridica di quest’ultimo.
La restituzione anticipata dell’immobile da parte del conduttore inadempiente, infatti, non potrà mai costituire il ripristino di un preesistente equilibrio delle sfere giuridico-patrimoniali delle parti (se non quello prenegoziale, ormai superato dalla conclusione del contratto), quanto piuttosto l’attestazione del fallimento (per responsabilità del conduttore) del programma contrattuale alla cui realizzazione le parti si erano positivamente vincolate e, conseguentemente, della sopravvenuta impossibilita (sempre per fatto del conduttore) di pervenire alla realizzazione del piano degli effetti economici e giuridici che i contraenti avevano originariamente prefigurato.
E appena il caso di sottolineare al riguardo come, attraverso la conclusione di un contratto, le parti non si propongano affatto di ricomporre, come conseguenza della realizzazione della causa contrattuale, il medesimo equilibrio economico originario astrattamente considerato (sia pure in una diversa composizione materiale: una somma di danaro al posto di un periodo di godimento dell’immobile, e viceversa), bensì a raggiungere un diverso e più avanzato assetto economico-giuridico della propria sfera patrimoniale, rivisto attraverso il prisma delle proprie prospettive d’interesse.
In breve, così come il significato del rapporto obbligatorio non si esaurisce nell’astratto apprezzamento economico dell’’esecuzione della prestazione del debitore – estendendosi bensì alla decisiva considerazione dell’interesse (anche non patrimoniale, ex art. 1174 c.c.) del creditore e alla sua soddisfazione (destinata a rivestire un ruolo, sotto molti profili, determinante e decisivo nella disciplina delle diverse fasi del rapporto) – allo stesso modo, il complessivo assetto di interessi composto nel programma contrattuale è destinato a rivestire una considerazione decisiva nella ricostruzione della disciplina del contratto, tanto nella sua fase interpretativa, quanto in quella esecutiva, quanto infine in quella (del tutto eventuale) che riguarda l’eventuale governo degli effetti dell’inadempimento.
La frustrazione che il locatore & costretto a subire per effetto dell’inadempimento del conduttore, in relazione al compimento del programma contrattuale originariamente convenuto (e, dunque, in relazione al forzato sacrificio degli interessi negoziati), non potrà in tal senso mai essere reintegrata, sul piano risarcitorio, dalla ricollocazione dello stesso locatore nella medesima condizione economico -patrimoniale precedente la conclusione del contratto.
Una simile affermazione – varrà ribadirlo – trascurando la considerazione del piano di interessi già negoziato dalle parti (e il suo fallimento per la responsabilità del conduttore), finisce inevitabilmente col neutralizzare la rilevanza dell’inadempimento di quest’ultimo.
- La conferma dell’erroneità della prospettiva interpretativa qui criticata appare peraltro desumibile anche attraverso l’analisi delle conseguenze dell’inadempimento cosi come regolate dal legislatore (ossia del danno giuridicamente rilevante).
Infatti, la tesi secondo cui viene rimossa, per effetto dall’anticipata restituzione dell’immobile da parte del conduttore inadempiente, la dannosità del fallimento del programma contrattuale in conseguenza dell’inadempimento del conduttore, si traduce inevitabilmente nella definitiva cancellazione dell’interesse positivo quale componente costitutiva del danno contrattuale regolato dall’art. 1223 c.c. (ai sensi del quale «Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere cosi la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta»), finendo col determinare la sostanziale assimilazione del danno da inadempimento al danno precontrattuale, per tradizione identificato nella limitata considerazione del solo interesse negativo.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha già espressamente avuto modo di rilevare che, nei contratti a prestazioni corrispettive, alla risoluzione per inadempimento si accompagna sempre il diritto, per il contraente fedele, al risarcimento del danno, non limitato all’interesse negativo (id quod interest contractum non fuisse), bensì esteso all’interesse positivo (quantum lucrari potuit), atteso, per un verso, che l’azione di risoluzione è alternativa all’azione di adempimento (per sua natura finalizzata al conseguimento dell’interesse positivo) e considerato, per altro verso, che, diversamente opinando, la responsabilità (contrattuale) per inadempimento coinciderebbe quoad effectum con la responsabilità precontrattuale, venendosi a trattare in modo uguale situazioni diverse (cfr. Cass., Sez. 3, n. 28022 del 14/10/2021; v. altresì Cass., Sez. 3, n. 36497 del 29/12/2023).
Un‘ulteriore coerente conferma, sotto altro profilo, della neutralizzazione, per il medio di un’incongrua lettura del fenomeno contrattuale, della responsabilità per inadempimento.
- Le considerazioni qui esposte valgono, dunque, a confermare la correttezza di quanto desumibile dalle riflessioni della giurisprudenza maggioritaria di questa Corte, secondo la quale il locatore, il quale abbia chiesto e ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l’anticipata cessazione del rapporto individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore; in tal caso, l’ammontare del danno risarcibile costituirà valutazione del giudice di merito, che terra conto di tutte le circostanze del caso concreto (Cass., Sez. 3, n. 8482 del 5/5/2020), prime fra tutte l’utile che il locatore avrà ricavato (o che avrebbe potuto comunque ricavare con l’uso della normale diligenza) dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura e il termine convenzionale del rapporto inadempiuto (Cass., Sez. 6 – 3, n. 194 del 5/1/2023).
- Il tema posto dalle conseguenze dell’inadempimento del conduttore chiede, dunque, d’essere affrontato e trattato alla stregua di un’ordinaria questione di determinazione (e liquidazione) del danno contrattuale risarcibile.
Una simile operazione, in quanto dedicata alla ricostruzione di circostanze di fatto necessariamente dominate dalla considerazione di occorrenze proprie al caso di specie, impone l’esclusione di ogni astrattezza teorica e, segnatamente, il rifiuto di ogni prospettabile automatismo in ipotesi volto a identificare, di necessita, il danno del locatore con l’insieme dei canoni non percepiti.
Tale ultima precisazione – come correttamente evidenziato nella stessa ordinanza di rimessione in questa sede – appare opportuna, dovendo, da un lato, ammonirsi sulla necessita di non confondere l’azione risarcitoria con l’azione di adempimento (solo grazie alla quale il locatore può esigere il mancato pagamento dei canoni convenuti fino alla scadenza del rapporto) e, dall’altro, rammentarsi come ‘operazione di liquidazione del danno si fondi necessariamente sulla preliminare distinzione fra danno-evento (qui coincidente con l’inadempimento e identificato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento e danno-conseguenza disciplinato dall’art. 1223 c.c., ai sensi del quale – varrà ribadire e sottolineare – il “mancato guadagno” del locatore, in tanto potrà ritenersi risarcibile, in quanto appaia configurabile alla stregua di una «conseguenza immediata e diretta» dell’inadempimento.
Tale nesso di ‘causalità giuridica’ tra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (alias il carattere di derivazione immediata e diretta di queste ultime dal primo) costituisce materia di un onere probatorio (necessariamente) incombente sul locatore ai sensi dell’art. 2697 c.c.; e tanto, a prescindere da quanto il conduttore potrà eventualmente opporre ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.
Da questa prospettiva, la circostanza dell’avvenuta restituzione anticipata dell’immobile da parte del conduttore inadempiente a seguito della risoluzione del contratto se, da un lato, non esclude di principio la risarcibilità delle possibili conseguenze dannose correlate alla mancata percezione dei canoni dovuti fino alla naturale scadenza del contratto (o alla conclusione di un’eventuale nuova locazione), dall’altro, non potrà non offrire al giudice del merito elementi utili (sul piano del ragionamento probatorio d’indole critica) ai fini della più corretta ricostruzione in fatto delle conseguenze dannose effettivamente ricollegabili all’inadempimento, normalmente identificabili con la perdita dei canoni previsti fino alla naturale scadenza del contratto.
E in questo quadro che si colloca la giustificazione dell‘attribuzione di un carattere ragionevolmente dirimente alla dimostrazione, da parte del locatore, d’essersi convenientemente attivato, non appena ottenuta la riconsegna del proprio immobile, al fine di rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell’immobile per una nuova locazione.
Un atteggiamento di persistente ingiustificata inerzia del locatore nel riattivare le possibilità di recupero della redditività del proprio bene 25 a seguito della sua riacquistata disponibilità (in tesi confidando sul diritto a conseguire, a titolo risarcitorio, tutti i canoni convenuti fino alla naturale scadenza del contratto), non potrà non legittimare, secondo l’id quod plerumque accidit, la prospettazione dell’eventuale riconducibilità della cessata redditività del bene alla responsabilità dello stesso locatore; una responsabilità nella specie assumibile anche ex fide bona, in coerenza a un criterio valutativo generale del comportamento delle parti contraenti riferibile, oltre che alla relazione prenegoziale (ex art. 1337 c.c.), all’interpretazione del contratto (ex art. 1366 c.c.) e alla sua esecuzione (ex art. 1375 c.c.), anche alla fase che segue la formale risoluzione degli effetti del negozio (arg. altresì ex art. 1175 c.c., nella prospettiva della determinazione del credito risarcitorio, là dove impone al creditore di «comportarsi secondo le regole della correttezza»).
- Deve pertanto ritenersi gravante sul locatore l’onere di comprovare che, nonostante la restituzione dell’immobile prima della scadenza del contratto da parte del conduttore inadempiente, il danno costituito dalla mancata percezione del canone fino a detta scadenza, o fino alla stipulazione di una nuova locazione, si è ugualmente verificato.
- Varrà infine considerare la questione da ultimo sollevata dall’ordinanza di rimessione della Terza Sezione civile in ordine all’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 1591 c.c. (e delle regole di liquidazione in esso contenute) ai fini della determinazione dei danni risarcibili in favore del locatore.
- Secondo tale norma, «Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno».
- In forza di quanto adombrato dall’ordinanza di rimessione, l’eventuale applicazione in via analogica di tale norma al caso di specie giustificherebbe l’eventuale limitazione della liquidazione del danno in favore del locatore al solo corrispettivo convenuto fino alla riconsegna dell’immobile locato, salva la dimostrazione del maggior danno subito.
- In linea con quanto fin qui esposto, le Sezioni Unite ritengono per contro che la delineata estensione analogica della regola dettata dall’art. 1591 c.c. al governo delle conseguenze dannose riferibili a forme di inadempimento del conduttore diverse da quella consistente nel ritardata riconsegna dell’immobile (“il conduttore in mora a restituire la cosa”) – e, segnatamente, all’inadempimento consistito nella mancata corresponsione dei canoni nel corso del rapporto (come accaduto nel caso di specie) – non trovi giustificazione, dovendo confermarsi la positiva riferibilità della norma di cui all’art. 1591 c.c. alle sole conseguenze risarcitorie connesse al ritardo nella restituzione dell’immobile da parte del conduttore.
Si tratta, infatti, con riguardo alla fattispecie astratta delineata nell’art. 1591 c.c., di una vicenda del tutto diversa da quella posta a oggetto dell’’odierno ricorso; e ciò, pur volendo considerare il ‘ritardo nella riconsegna’ come ritardo (non solo rispetto alla scadenza naturale del contratto, bensì anche) rispetto al momento della risoluzione per inadempimento del conduttore prima della scadenza contrattuale.
- L’insieme delle considerazioni sin qui svolte vale a giustificare l’accoglimento del primo motivo del ricorso proposto dall’ I. C. sulla base del seguente principio di diritto.