CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni unite civili, Ordinanza 06 marzo 2025 n. 5992
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati.
Pertanto, l’insussistenza di un provvedimento giudiziario o di una successiva convalida delle scelte governative è di per sé sufficiente ad affermare l’arbitrarietà del trattenimento dei migranti ai sensi dell’art. 5 CEDU, atteso che l’art. 13 della Costituzione prescrive il cumulativo soddisfacimento di entrambe le riserve, di giurisdizione e di legge, affinché possa dirsi integrata una legittima restrizione della libertà personale.
Inoltre, perché un evento dannoso sia imputabile a responsabilità della p.a. è necessaria una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana.
La sussistenza di tale elemento sarà riferita non al funzionario agente, ma alla p.a. come apparato, e sarà configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.
Per ciò che concerne il danno non patrimoniale da lesione dei diritti inviolabili della persona quel che rileva ai fini risarcitori non è la lesione in sé del diritto ma le conseguenze pregiudizievoli che ne derivano, nella doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell’essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza. È anche vero però che tale prova ben può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, in ipotesi di restrizione della libertà personale, i margini di un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, ferma restando la non predicabilità di un danno in re ipsa, risultano particolarmente forti.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Muovendo dunque dalla questione ─ per quanto detto, logicamente preliminare ─ posta con il primo motivo del ricorso incidentale, se ne deve rilevare l’infondatezza.
Deve, infatti, escludersi che nei comportamenti indicati a fondamento della pretesa risarcitoria possano ravvisarsi i tratti tipologici dell’atto politico per così dire «puro», come tale sottratto al sindacato giurisdizionale. […]
1.1. L’art. 7, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. amm. ─ riprendendo una previsione già contenuta nell’art. 31 del Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato (approvato con il regio decreto n. 1054 del 1924), e, prima ancora, nell’art. 3, comma 2, della legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (legge n. 5992 del 1889) ─ esclude dall’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo gli atti ed i provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico.
1.2. Per qualificare un atto come politico, la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2022, n. 4636) richiede due requisiti:
─ sotto il profilo soggettivo, l’atto deve provenire da un organo preposto all’indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello;
─ sotto il profilo oggettivo, l’atto deve essere libero nel fine perché riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici, deve concernere, cioè, la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione.
È ritenuto tale non l’atto amministrativo che sia stato emanato sulla base di valutazioni specificamente di ordine politico, ma solo l’atto che sia esercizio di un potere politico.
1.3. La nozione di atto politico è di stretta interpretazione e ha carattere eccezionale, perché altrimenti si svuoterebbe di contenuto la garanzia della tutela giurisdizionale, che la Costituzione assicura come indefettibile e con i caratteri della effettività e della accessibilità.
1.4. Il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere, di soggezione del potere alla legge ogni qualvolta esso entra in rapporto con i cittadini, costituisce un profilo basilare della Costituzione italiana.
L’impugnabilità dell’atto è la regola: una regola orientata ad offrire al cittadino una concreta protezione della propria sfera soggettiva individuale contro le molteplici espressioni di potere in cui si concreta l’azione della pubblica amministrazione.
Il diritto vivente conferma la recessività della nozione di atto politico, che coincide con gli atti che attengono alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali. […]
1.5. La chiave di volta ai fini del giudizio di insindacabilità di un atto del potere pubblico è costituita, in generale, dalla mancanza di specifici parametri giuridici protesi a riconoscere posizioni di vantaggio meritevoli di protezione.
Viene in rilievo, infatti, l’art. 101, secondo comma, Cost., il quale, nel fissare il principio della soggezione dei giudici soltanto alla legge, individua nella legge il fondamento e la misura del sindacato ad opera del giudice.
Ciò significa che, in assenza di un parametro giuridico alla politica, il sindacato deve arrestarsi: per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza. Lo preclude il principio ordinamentale della separazione tra i poteri. La “zona franca” è il riflesso della presenza di una politicità dell’atto che non si presta ad una rilettura giuridica.
L’insindacabilità è il predicato di un atto non sottoposto dall’ordinamento a vincoli di natura giuridica.
1.6. Ove, viceversa, vi sia predeterminazione dei canoni di legalità, quello stesso sindacato si appalesa doveroso.
Il giudice, quale che sia il plesso di appartenenza, è non solo rispettoso degli ambiti di attribuzione dei poteri, ma anche, sempre per statuto costituzionale, garante della legalità, e quindi non arretra là dove gli spazi della discrezionalità politica siano circoscritti da vincoli posti da norme che segnano i confini o indirizzano l’esercizio dell’azione di governo.
La giustiziabilità dell’atto dipende dalla regolamentazione sostanziale del potere. Se dunque esiste una norma che disciplina il potere, che ne stabilisce limiti o regole di esercizio, per quella parte l’atto è suscettibile di sindacato.
1.7. È questo un approccio coerente con gli approdi della giurisprudenza costituzionale.
Con la sentenza n. 81 del 2012, la Corte costituzionale ha stabilito che gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto.
Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.
E tra tali vincoli rilievo primario ha certamente il rispetto e la salvaguardia dei diritti inviolabili della persona.
L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati.
1.8. Questa prospettiva metodologica informa gli svolgimenti della giurisprudenza, del Consiglio di Stato e di questa Corte regolatrice.
Il giudice amministrativo è giunto alla conclusione che l’insindacabilità in sede giurisdizionale dell’atto va esclusa in presenza di una norma che predetermina le modalità di esercizio della discrezionalità politica o che comunque la circoscriva: è impugnabile l’atto, pur promanante dall’autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica, la cui fonte normativa riconosce l’esistenza di una situazione giuridica attiva protetta dall’ordinamento riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’amministrazione (Cons. Stato, Sez. I, 19 settembre 2019, n. 2483).
- Alla luce di queste premesse va certamente escluso che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale.
2.2. Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione.
Non si è di fronte, cioè, ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali.
2.3. Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini.
Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo.
2.4. Non vi è dunque difetto assoluto di giurisdizione, e nemmeno relativo, in favore cioè del giudice amministrativo (il che per vero non è nemmeno eccepito dalle amministrazioni ricorrenti), non vertendosi in materia riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
- Rigettato dunque il primo motivo del ricorso incidentale e passando all’esame del ricorso principale se ne deve rilevare, anche alla luce delle considerazioni che precedono, la fondatezza, con riferimento ad entrambi i profili di censura. […]
3.1. Occorre al riguardo anzitutto rimarcare che, diversamente da quanto postulato dalle resistenti nel controricorso, il ricorrente non manca di indicare il parametro giuridico cui riferire il denunciato vizio di violazione di legge, chiaramente indicato nella responsabilità da illecito extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ., né ha inteso sostenere che, nel caso di specie, occorra prescindere dal requisito della colpa della amministrazione, né infine ha mancato di allegarne i presupposti nella fattispecie concreta.
3.2. Ha piuttosto censurato la valutazione negativa operata dalla Corte di merito in ordine alla sussistenza di detti presupposti in quanto inficiata da un errore di prospettiva, quello cioè commesso nel rapportare tale valutazione alla la mancata concessione del c.d. POS (Place of Safety) anziché alla restrizione della libertà personale non giustificata da provvedimenti amministrativi o giudiziari, in violazione dell’art. 13 Cost.. […]
- Ciò detto quanto agli oneri di allegazione, deve osservarsi che, nel merito, quanto al negato presupposto della colpa, la motivazione della Corte di merito poggia essenzialmente sui seguenti due argomenti:
─ le Autorità nazionali hanno agito in una situazione di opinabilità idonea quantomeno ad escludere o a ritenere del tutto insufficiente la sussistenza della colpa; la condotta lesiva, risoltasi essenzialmente nel ritardo di dieci giorni nella indicazione del POS (Place of Safety) e nel conseguente diniego della autorizzazione allo sbarco si inserisce in un quadro di forte incertezza delle norme internazionali che regolano la materia dello sbarco a seguito di operazioni di soccorso marittimo: incertezza che ha generato un vero e proprio “conflitto” di attribuzioni, specie tra i paesi rivieraschi, ed ha portato all’emersione di vere e proprie controversie internazionali, come quella avvenuta tra Malta e Italia; mancano in particolare regole chiare circa l’individuazione dello Stato che, dopo il primo soccorso, deve farsi carico dei soggetti tratti in salvo;
─ non appare comunque sussistente, in termini di certezza, un obbligo giuridico – in capo allo Stato competente – di rilasciare il POS ovvero di rilasciarlo entro un determinato termine e secondo determinate modalità: […] vi è quindi la possibilità di aprire una fase endoprocedimentale diretta a contemperare tutti gli interessi in gioco, in primis quello della tutela dell’ordine pubblico; tale procedimento va ponderato caso per caso attraverso un non sempre agevole bilanciamento tra le esigenze umanitarie, da un lato, e quelle di contrasto del fenomeno migratorio via mare, dall’altro; inevitabilmente, tale procedura potrà comportare dei ritardi nello sbarco, i quali dovranno tuttavia essere minimizzati.
4.1. Sotto entrambi tali profili il ragionamento della Corte di merito appare privo di efficacia argomentativa idonea a contrastare i fondamenti fattuali e giuridici della pretesa risarcitoria, e per certi versi anche contraddittorio.
- Alla stregua di tali univoche indicazioni si rivela destituita di fondamento già la premessa da cui muove la Corte d’appello, circa l’«assenza di regole chiare circa l’individuazione dello Stato che, dopo il primo soccorso, deve farsi carico dei soggetti tratti in salvo»
5.1. Nel caso di specie, secondo quanto è pacifico in causa, i migranti sono stati soccorsi e accolti da una unità della Guardia Costiera ed a bordo di essa si trovavano quando ha avuto inizio e si è protratta la condotta di cui si assume il carattere lesivo e civilmente illecito. Deve dunque ritenersi che, indipendentemente dalle contestazioni in merito allo Stato competente secondo la ripartizione in zone SAR, le operazioni di soccorso erano state di fatto assunte sotto la responsabilità di una autorità SAR italiana, la quale era tenuta in base alle norme convenzionali a portarle a termine, organizzando lo sbarco, «nel più breve tempo ragionevolmente possibile».
5.2. Non può dubitarsi allora che la mancata tempestiva indicazione del POS, unitamente alla decisione di non far scendere i 177 migranti per cinque giorni sebbene la nave fosse già ormeggiata nel porto di Catania, costituisca una chiara violazione della predetta normativa internazionale.
5.3. Del tutto correttamente la Corte d’appello (che non ne ha tratto però poi conclusioni coerenti) ha osservato che la procedura per la designazione del POS è un atto amministrativo endoprocedimentale vincolato nell’an e discrezionale nel quomodo, inerente all’individuazione del punto di sbarco più opportuno sul territorio nazionale, evidenziando che in tale scelta intervengono valutazioni tecniche in ordine al luogo in ragione al numero di migranti da assistere, al sesso, alle condizioni psicofisiche, alla necessità di garantire una struttura di accoglienza e alle cure mediche appropriate dopo lo sbarco.
5.4. Ha trascurato, però, di considerare che sono invece da ritenere estranee a tale ambito le valutazioni politiche connesse al controllo dei flussi migratori.
Proprio queste, invece, nel caso di specie, nella prospettazione delle stesse amministrazioni, sono le uniche ad aver determinato il differimento dello sbarco al fine di attendere le determinazioni in sede europea, peraltro niente affatto destinate a dirimere il contrasto insorto tra Malta e Italia sulla competenza ad assumere le responsabilità delle operazioni di soccorso ma limitatesi di fatto alla individuazione degli Stati ed Enti tra i quali distribuire i migranti (fase indipendente e non pregiudicata in alcun modo dalla ultimazione delle operazioni di soccorso) e ciò, peraltro, su base esclusivamente volontaria.
- Sono tuttavia i connessi profili legati alla violazione della libertà personale dei migranti a segnare più propriamente la prospettiva nella quale occorre valutare la fattispecie in relazione alla dedotta responsabilità civilistica.
6.1. Giova rammentare che la libertà personale, oltre ad essere tutelata dall’art. 13 Cost. quale diritto inviolabile della persona, presidiato dalla riserva di giurisdizione e dalla riserva assoluta di legge, è riconosciuta quale garanzia minima ed imprescindibile di ogni individuo ai sensi dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948, ha trovato una dettagliata tutela, sul piano regionale in seno al Consiglio d’Europa, ai sensi dell’art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, e successivamente, a livello internazionale in seno alle Nazioni Unite, ai sensi dell’art. 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Da ultimo, l’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il diritto «alla libertà e alla sicurezza» di «ogni individuo».
Sulla base di tale quadro normativo, teso a garantire l’inviolabilità della persona, occorre valutare se il trattenimento dei migranti a bordo della nave Diciotti integri, oppure no, un’arbitraria violazione della libertà personale.
6.2. Rilievo particolare assume al riguardo l’art. 5 par. 1 lett. f) CEDU il quale ammette, eccezionalmente, la privazione della libertà personale nella peculiare ipotesi in cui si tratti dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione.
In tale prospettiva, però, escluso che il trattenimento a bordo della nave costiera di migranti non ancora compiutamente identificati (e potenzialmente titolari del diritto di asilo ex art. 10, terzo comma, Cost.) possa essere inquadrato nell’ambito di procedimenti di espulsione o di estradizione, non può nemmeno ipotizzarsi che detto trattenimento possa trovare copertura sovranazionale quale misura (assimilabile all’arresto o alla detenzione regolare) finalizzata a impedire l’ingresso illegale nel territorio.
6.3. Una tale interpretazione della norma convenzionale è stata chiaramente respinta dalla Corte EDU nella sentenza Khlaifia and Others v. Italy, relativa ad un caso — per alcuni aspetti analogo a quello in esame — di trattenimento di migranti tunisini a bordo di navi, ormeggiate nel porto di Palermo, per effetto di un atto dell’Esecutivo. […]
La Corte ha quindi, in quel caso, riscontrato l’arbitrarietà delle misure restrittive per violazione della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione, prescritte ex art. 13 Cost..
Analogamente nel caso in esame, l’insussistenza di un provvedimento giudiziario o di una successiva convalida delle scelte governative è di per sé sufficiente ad affermare l’arbitrarietà del trattenimento dei migranti ai sensi dell’art. 5 CEDU, atteso che l’art. 13 della Costituzione prescrive il cumulativo soddisfacimento di entrambe le riserve, di giurisdizione e di legge, affinché possa dirsi integrata una legittima restrizione della libertà personale. […]
- Le considerazioni sopra svolte restituiscono un quadro giuridico di tale chiarezza e cogenza da rendere insostenibile l’assunto della insussistenza di elementi sufficienti per affermare la colpa delle amministrazioni resistenti.
7.1. È noto che, perché un evento dannoso sia imputabile a responsabilità della p.a., tale imputazione non potrà avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, richiedendo, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana.
7.3. La sussistenza di tale elemento sarà riferita non al funzionario agente, ma alla p.a. come apparato, e sarà configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa. […]
7.4. Non si può, dunque, in linea di principio, escludere la rilevanza dell’errore scusabile commesso dalla P.A..
L’accento deve essere spostato sulla scusabilità dell’errore nei casi singoli.
E su questo versante non è dubbio che l’errore nell’interpretazione della legge possa essere considerato, eccezionalmente, scusabile solo se riconducibile ad una oggettiva oscurità (attestata, eventualmente, da persistenti contrasti interpretativi) della norma violata (Cass. n. 5361 del 1984) o altrimenti inevitabile a stregua delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale (sent. n. 364 del 1988 e altre), operando, in ogni altro caso, la regola della inescusabilità dell’error iuris (Cass. n. 12839 del 1992; n. 2762 del 1978).
Elemento essenziale per la sussistenza dell’errore scusabile è, quindi, l’inevitabilità dello stesso, determinata da cause oggettive, estranee all’agente, che finisce per escludere la colpevolezza, intesa quale forma di qualificazione dell’azione soggettiva nelle fattispecie di responsabilità. […]
7.5. Su tale piano la valutazione della Corte di merito si appalesa del tutto inadeguata e contraddittoria, tanto da potersi dire meramente apparente. […]
È frutto di una erronea impostazione qualificatoria l’affermazione che le norme internazionali non fondano un diritto allo sbarco, atteso che non si trattava di valutare se tali norme fondassero oppure no un tale diritto, quanto al contrario di valutare se, con quali presupposti e in che limiti tali norme autorizzassero il trattenimento dei migranti a bordo della unità dell’amministrazione statale che li aveva soccorsi.
7.6. Come evidenziato in sentenza ciò che si deduce a fondamento della domanda è la lesione del diritto («inviolabile») alla libertà personale ex art. 13 Cost., cagionata a causa dell’illegittimo trattenimento a bordo della nave “U. Diciotti”; gli appellanti lamentano di essere stati trattenuti dapprima sulla nave militare italiana (dal 16 al 20 agosto 2018) nonché successivamente nel porto di Catania (dal 20 al 25 agosto) senza autorizzazione allo sbarco, chiedendo conseguentemente il risarcimento dei danni patiti.
7.7. In questa diversa prospettiva appare evidente che non può risultare sufficiente ragione di scriminazione della condotta, sotto il profilo della colpa, l’incertezza normativa in ordine alla individuazione dello Stato competente, né la pure consentita flessibilità sulle determinazioni da adottare al momento di individuare il POS e autorizzare allo sbarco, non potendo tale flessibilità comunque risultare esente da ragionevoli limiti temporali senza altrimenti tradursi di fatto in una misura restrittiva della libertà personale, intollerabile per l’ordinamento costituzionale e sovranazionale. […[
7.8. la valutazione di merito appare monca, non avendo la Corte territoriale in alcun modo valutato se, al netto della discrezionalità attribuita alla P.A. e della flessibilità delle procedure di sbarco, potesse considerarsi comunque ragionevole il forzato trattenimento a bordo della nave (dapprima per effetto del mancato consenso all’attracco in un porto italiano e quindi per il mancato consenso allo sbarco, una volta attraccata la nave al porto di Catania) protratto per dieci giorni, anche in considerazione delle condizioni logistiche legate alle caratteristiche della nave stessa, al numero degli occupanti, alle condizioni di salute degli stessi, alle fasi pregresse della loro drammatica esperienza, alle condizioni climatiche.
7.8. Non possono non considerarsi pienamente valide e pertinenti anche nello scrutinio del caso in esame le considerazioni di Corte Cost. n. 105 del 2021, là dove si stigmatizza — sebbene nella diversa ma contigua ipotesi del trattenimento illegittimo — «quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale. Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti.
Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani».
7.10. Correlativamente, sotto il profilo della colpa attribuibile all’amministrazione come apparato, si trattava di valutare -e non è stato fatto- se potesse considerarsi oppure no ascrivibile a criteri di normale prudenza e diligenza, specie in considerazione della natura dei diritti in gioco, il convincimento della tollerabilità di un tale prolungamento del trattenimento dei migranti soccorsi a bordo della nave.
- Non può condurre a diversa conclusione il fatto che, nel caso della nave Diciotti, con un voto del 20 marzo 1989, il Senato della Repubblica abbia negato l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’Interno (Sen. Matteo Salvini) richiesta dal Tribunale dei Ministri di Catania per il reato di sequestro di persona pluriaggravato (art. 605, commi primo, secondo, n. 2, e terzo, c.p.), segnatamente «per avere, nella sua qualità di Ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 177 migranti di varie nazionalità giunti al porto di Catania a bordo dell’unità navale di soccorso U. Diciotti della Guardia Costiera Italiana alle 23:49 del 20 agosto 2018 […]. Fatto aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale e con abusato dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori di età». […]
8.1. La corretta impostazione della questione esige invero che ci si interroghi sulla natura giuridica del diniego di autorizzazione a procedere e in particolare se la insindacabilità della condotta che esso determina sul piano penale si riverberi anche sulla configurabilità dell’illecito civile, nel senso di escluderla. In tale secondo caso, infatti, non residuerebbe spazio per separare la responsabilità civile del Ministro da quella dell’amministrazione come apparato, posto che è dalla decisione del primo di negare il POS e l’autorizzazione allo sbarco che è derivato il trattenimento a bordo della nave costiera indicato come lesivo della libertà personale.
8.2. Ebbene, l’indagine al riguardo deve muovere dalla considerazione che la legge cost. n. 1 del 1989 è evidentemente diretta a garantire la funzione governativa attribuendo al Parlamento il potere di sottrarre alla giurisdizione penale ordinaria determinate condotte nei casi previsti dall’art. 9, comma 3 («interesse dello Stato costituzionalmente rilevante» o «perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo»).
L’autorizzazione della camera di appartenenza, secondo le norme stabilite con legge costituzionale, è prevista dall’art. 96 Cost., come modificato dall’art. 1 l. cost. cit., solo per i «reati» commessi dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Ministri nell’esercizio delle
loro funzioni, anche se cessati dalla carica.
Le norme di dettaglio regolano la procedura in una prospettiva esclusivamente penalistica.
È vero che, come è stato obiettato in dottrina, una interpretazione della norma costituzionale che riconosca all’«insindacabile» voto parlamentare ricognitivo di un «interesse costituzionalmente rilevante» o del «preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo» rilevanza impeditiva rispetto alla sola giurisdizione penale escludendo invece ogni rilievo sul piano civilistico potrebbe apparire non conforme a razionalità del sistema.
8.3. Nondimeno, il rilievo riflesso che il diniego dell’autorizzazione può spiegare sul piano civilistico non può che declinarsi sul piano della valutazione della ingiustizia del danno (fondamento della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ.) secondo un criterio di bilanciamento tra gli opposti interessi (quello dell’interesse pubblico sottostante alla condotta e quello individuale che ne risulta leso) ed è dunque comunque destinata ad annullarsi ove la lesione attinga, come nella specie, diritti della persona inviolabili e come tali non comprimibili né suscettibili di minorata tutela di compromesso.
8.4. Se principio cardine di uno Stato costituzionale di diritto è la giustiziabilità di ogni atto lesivo dei diritti fondamentali della persona, ancorché posto in essere dal Governo e motivato da ragioni politiche, la sottrazione dell’agire politico a tale sindacato ─ pur prevista, in presenza di determinati presupposti, da norma costituzionale ─ non può che costituirne l’eccezione, come tale soggetta a interpretazione tassativa e riferibile, dunque, solo alla responsabilità penale.
- Il ricorso principale merita accoglimento anche in relazione alla rilevata insussistenza di prova di un danno-conseguenza.
È certamente vero che, secondo pluridecennale ed ormai pacifica acquisizione (v. Cass. Sez. U. 11/01/2008, nn. 576, 582, 581, 582, 584; Id. 11/11/2008, nn. 26972 – 26975; ma v. già Cass. 15/10/1999, n. 11629 e, in seguito, Cass. 21/07/2011, n. 15991; v. anche Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372), ad essere risarcibile non è la lesione dell’interesse giuridicamente protetto (danno-evento o evento di danno) ma il danno-conseguenza, vale a dire i pregiudizi derivanti secondo nesso di causalità giuridica (artt. 1223 e 2056 cod. civ.) dalla lesione stessa, da allegare e provare da parte del danneggiato.
9.1. Nel caso del danno non patrimoniale da lesione dei diritti inviolabili della persona quel che rileva ai fini risarcitori non è la lesione in sé del diritto ma le conseguenze pregiudizievoli che ne derivano, nella «doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell’essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza» (Cass. 17/01/2018, n. 901).
9.2. È anche vero però che tale prova ben può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti.
In particolare, in ipotesi, quale quella di specie, di restrizione della libertà personale, i margini di un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, ferma restando la non predicabilità di un danno in re ipsa, risultano particolarmente forti, tanto più per una vicenda dai contorni fattuali chiari come quelli di cui si tratta.
Ciò tanto più ove si consideri la dimensione eminentemente soggettiva e interiore del pregiudizio che si tratta di risarcire (danno morale), all’esistenza del quale non corrisponde sempre una fenomenologia suscettibile di percezione immediata e, quindi, di conoscenza ad opera delle parti contrapposte al danneggiato.
In tali casi ad un puntuale onere di allegazione – la cui latitudine riflette la complessità e multiformità delle concrete alterazioni in cui può esteriorizzarsi il danno non patrimoniale che, a sua volta, deriva dall’ampiezza contenutistica dei diritti della persona investiti dalla lesione ingiusta – non corrisponde, pertanto, un onere probatorio parimenti ampio.
9.3. Come è stato condivisibilmente rimarcato (v. in motivazione Cass. 10/11/2020, n. 25164), «esiste, difatti, nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione – sovente ricorrendosi, a tal fine, alla categoria del fatto notorio per indicare il presupposto di tale ragionamento inferenziale, mentre il riferimento più corretto ha riferimento alle massime di esperienza (i fatti notori essendo circostanze storiche concrete ed inoppugnabili, non soggette a prova e pertanto sottratte all’onere di allegazione) […]
La massima di esperienza, difatti, non opera sul terreno dell’accadimento storico, ma su quello della valutazione dei fatti, è esperienza, comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale, la cui utilizzazione nel ragionamento probatorio, e la cui conseguente applicazione, risultano doverose per il giudice, ravvisandosi, in difetto, illogicità della motivazione, volta che la massima di esperienza può da sola essere sufficiente a fondare il convincimento dell’organo giudicante.
9.4. Tanto premesso, non solo non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale, e segnatamente in tema di danno morale, ma tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell’impossibilità di provare il pregiudizio dell’essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d’animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito». […]
- Il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato è inammissibile.
Con esso si denuncia, nella sostanza, un vizio di omessa pronuncia (error in procedendo ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) sulla preliminare eccezione di difetto di legittimazione attiva degli appellanti e, dunque, dell’odierno ricorrente. […]
10.1. Deve in tal senso darsi continuità all’indirizzo già affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, ancorché in virtù del principio cd. della ragione più liquida, non essendo ravvisabile alcun rigetto implicito, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. 23/07/2018, n. 19503, Rv. 650157 – 01; 06/06/2023, n. 15893, Rv. 668115 – 01; in termini convergenti v. anche Cass. 02/07/2021, n. 18832; 03/02/2020, n. 2334; 12/11/2018, n. 28995, secondo cui, in tema di provvedimenti del giudice, l’assorbimento in senso improprio ─ configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre ─ impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza).