Corte di Cassazione Civile – Sezione Lavoro., ordinanza 3 marzo 2025, n.5618
PRINCIPIO DI DIRITTO
Più in generale, è risalente e costante il principio secondo cui: “L’art. 2087 cod. civ., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all’imprenditore l’adozione di misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, tenuto al dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche se non dipendenti da lui, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico – organizzativi dell’opera da eseguire” (cfr. Cassazione. n. 4129 del 2002; Cassazione. n. 22818 del 2009; Cassazione. n. 17092 del 2012; Cass. n. 11311 del 2017; in tema di azione di regresso dell’INAIL v. Cassazione. n. 375 del 2023.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I motivi di ricorso principale della società possono essere come di seguito sintetizzati;
1.1. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c. e dell’art. 7 D.Lgs. n. 626/1994, criticando la sentenza impugnata che, muovendo dall’immotivata “supposizione” secondo cui il sig. C.C. avrebbe quotidianamente disimpegnato dal 1952 al 1959 la propria prestazione lavorativa presso il cantiere anconetano della Fincantieri alle dipendenze di ditte appaltatrici, avrebbe “implicitamente qualificato la responsabilità della società discendente dall’art. 2087 c.c. ed in particolare di quanto previsto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 626/1994 in termini di responsabilità oggettiva”.
1.2. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2087 e 2697 c.c. oltreché dell’art. 21 D.P.R. n. 303/1956, per avere la Corte territoriale preteso a posteriori “la certezza ontologica che l’adozione delle misure di protezione (quali l’esecuzione di una periodica pulizia ed asportazione della polvere, l’esistenza di un sistema di areazione all’interno dello stabilimento, l’informativa dei lavoratori) avrebbe impedito l’evento come condizione per poter dire che l’omissione è stata causa dell’evento”;
1.3. Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 40 e 41 c.p., criticando la Corte anconetana per essersi allineata al decisum del Giudice di primo grado, senza prendere in considerazione buona parte delle contestazioni avanzate dalla scrivente società avverso la sentenza, in particolare trascurando che “il sig. C.C. successivamente al periodo lavorativo svolto ipoteticamente presso uno stabilimento della Fincantieri della durata di 4 anni ha svolto, per oltre 30 anni, la propria attività presso altri e distinti luoghi di lavoro subendo una certa esposizione a fibre nocive di asbesto”;
1.4. Il quarto motivo denuncia l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio” per non avere la Corte considerato che “nel periodo in cui il sig. C.C. ha ipoteticamente prestato la sua attività lavorativa presso uno stabilimento di proprietà della scrivente (dal 1952 al 1954 e dal 1956 al 1959), non esisteva sul mercato tecnologia atta ad evitare o ridurre in modo significativo, quanto al risultato, il pericolo dell’insorgere della specifica malattia di causa”.
1.5. Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 1226 c.c. “in punto di risarcimento del danno iure hereditatis”, censurando la sentenza impugnata che, nonostante il richiamo alle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, avrebbe poi “in concreto completamente disatteso le stesse adottando un criterio di quantificazione del risarcimento del tutto disancorato da qualsivoglia parametro oggettivo”.
1.6. Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2697 e 1223 c.c., “in punto di risarcimento del danno iure proprio”, perché la Corte d’Appello avrebbe confermato acriticamente le statuizioni rese dal primo giudice, senza che gli istanti avessero offerto elementi apprezzabili in direzione della sussistenza del danno richiesto;
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale gli eredi denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2041, 2727 c.c. e 115 c.p.c., per avere la Corte di Appello di Ancona negato la liquidazione degli interessi compensativi.
3. Il ricorso principale della società non può trovare accoglimento.
3.1. I primi quattro motivi, esaminabili congiuntamente per reciproca connessione, non sono fondati alla stregua di quanto già ritenuto da questa Corte in analoghe controversie su questioni sovrapponibili proposte dalla medesima difesa della Fincantieri Spa (cfr. Cass. n. 8292 del 2019 e Cass. n. 7640 del 2019, che richiamano pure Cass. n. 22710 del 2015; Cass. n. 17978 del 2015; Cass. n. 6352 del 2015; Cass. n. 26590 del 2014; Cass. n. 16149 del 2014; Cass. n. 10425 del 2014; Cass. n. 18626 del 2013; Cass. n. 8204 del 2003); a tali precedenti in termini si rinvia integralmente ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per respingere le censure articolate nei primi quattro motivi di gravame.
Nella specie, occorre solo aggiungere, quanto alla responsabilità della Fincantieri che non era datrice di lavoro del C.C. e per un periodo lavorativo, comunque, antecedente all’entrata in vigore dell’art. 7 del D.Lgs. n. 626 del 1994, come già ritenuto da Cass. n. 2393 del 2023, che “la responsabilità del soggetto committente appare pienamente giustificata alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata dall’art. 2087 cod. civ. in quanto proprio le caratteristiche di nocività dei luoghi in cui veniva svolta l’attività lavorativa, rimasti, per come pacifico, nella sostanziale disponibilità e controllo della società Fincantieri, implicava l’assunzione a carico di quest’ultima dell’obbligo di sicurezza unitamente al soggetto datore di lavoro”.
Ciò in coerenza con la giurisprudenza penale che anche prima della regolamentazione legislativa volta, anche in attuazione della direttiva 92/57/CEE, ad introdurre disposizioni specifiche sui rischi derivanti dall’esecuzione dei lavori in appalto, ha riconosciuto la responsabilità, esclusiva o concorrente del committente, originariamente nei soli casi di ingerenza, direttiva o tecnico-operativa, nell’attività appaltata o di manifesta inidoneità dell’appaltatore e, successivamente, per la prevenzione del rischio derivante dalla conformazione dell’ambiente di lavoro, nel caso di violazione dell’obbligo di destinare all’appaltatore un ambiente di lavoro sicuro (per tutte v. Cass. pen. n. 5802 del 2021).
Più in generale, è risalente e costante il principio secondo cui: “L’art. 2087 cod. civ., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all’imprenditore l’adozione di misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, tenuto al dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche se non dipendenti da lui, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico – organizzativi dell’opera da eseguire” (cfr. Cass. n. 4129 del 2002; Cass. n. 22818 del 2009; Cass. n. 17092 del 2012; Cass. n. 11311 del 2017; in tema di azione di regresso dell’INAIL v. Cass. n. 375 del 2023).
3.2. Anche il sesto motivo non è accoglibile per le ragioni già esposte nel precedente che ha rigettato analoga censura (Cass. n. 8292 del 2019).
in particolare, va rilevato che il motivo contiene, di fatto, una critica alla valutazione delle prove come operata dai giudici del doppio grado ai fini del riconoscimento del danno iure proprio degli eredi del dante causa, critica non ammissibile in questa sede di legittimità e peraltro non veicolata attraverso lo schema del nuovo art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis;
3.3. Il quinto motivo è infondato.
Esclusa da Cass. SS.UU. n. 15350 del 2015 la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, questa Corte ha da tempo ritenuto configurabile e trasmissibile il danno subito dalla vittima nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo nella duplice componente di danno biologico “terminale”, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta (Cass. n. 26727 del 2018; Cass. n. 21060 del 2016; Cass. n. 23183 del 2014; Cass. n. 22218 del 2014), e di danno morale consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita (Cass. n. 13537 del 2014; Cass. n. 7126 del 2013; Cass. n. 2564 del 2012).
Ancora di recente è stata ribadita (Cass. n. 7923 del 2024) la duplicità della componente del danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, distinguendo il danno morale terminale e quello biologico terminale: il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nell’avvertire consapevolmente l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo (cfr. Cass. n. 21837 del 2019; Cass. n. 26727 del 2018).
Quanto alla quantificazione in equivalente pecuniario di tale tipologia di danni, ferma la natura intrinsecamente equitativa della stima per non avere il valore della persona un prezzo, la giurisprudenza di questa Corte ha avallato tecniche di liquidazione del danno biologico commisurate alle tabelle che stimano l’inabilità temporanea assoluta con opportuni “fattori di personalizzazione” che tengano conto dell’entità e dell’intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus (Cass. n. 15491 del 2014; Cass. n. 23053 del 2009; Cass n. 3549 del 2004).
Tra le altre: Cass. n. 17577 del 2019 ha respinto le censure rivolte ai giudici di merito che, nella specie, avevano utilizzato un criterio equitativo basato sul valore tabellare giornaliero della totale inabilità temporanea, incrementato di tre o quattro volte per la personalizzazione dovuta alle circostanze del caso concreto; Cass. n. 17995 del 2019 ha confermato la decisione che aveva utilizzato un criterio equitativo basato sul valore tabellare giornaliero della totale inabilità temporanea, incrementato con un aumento dell’80% per la personalizzazione dovuta; più di recente, anche Cass. n. 4658 del 2024 ha ribadito la determinazione del risarcimento dovuto a titolo di danno biologico “iure hereditatis”, nel caso in cui il danneggiato sia deceduto dopo un apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo, parametrata alla menomazione dell’integrità psicofisica patita dallo stesso per quel determinato periodo di tempo, con commisurazione all’inabilità temporanea da adeguare alle circostanze del caso concreto, tenuto conto del fatto che, detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l’esito mortale; Cass. n. 8292 del 2019 ha, invece, cassato la decisione dei giudici del merito che aveva liquidato il danno iure hereditatis rapportandolo non alla menomazione temporanea dell’integrità psico-fisica patita dai lavoratori deceduti, bensì alla invalidità permanente totale dei medesimi, come se questi fossero sopravvissuti alla malattia per il tempo corrispondente alla loro ordinaria speranza di vita (per il diverso caso dell’invalidità temporanea che viene a cessare con l’adattamento dell’organismo alle mutate e degradate condizioni di salute – la cd. stabilizzazione- v. Cass. n. 35416 del 2022, secondo cui il danno biologico subito dalla vittima dev’essere liquidato alla stregua di invalidità permanente).
Ciò posto, la sentenza impugnata – come ricordato nello storico della lite – ha provveduto a liquidare il danno non patrimoniale cd. terminale, nella sua duplice componente biologica e morale; ciò ha fatto mediante l’uso di valori medi giornalieri derivanti dalle tabelle per l’inabilità temporanea e attraverso personalizzazioni ritenute opportune quanto alla durata e agli incrementi percentuali; la valutazione che ne deriva risulta scevra da automatismi e correlata alle circostanze del caso concreto e si è tradotta in un criterio equitativo ragionevole la cui misura non è suscettibile di sindacato ad opera di questa Corte senza sconfinare in una sostituzione nell’apprezzamento riservato ai giudici del merito;
4. Il motivo di ricorso incidentale degli eredi è infondato.
Il Collegio condivide l’orientamento, al quale si è esplicitamente conformata la Corte territoriale, secondo cui: “L’obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano costituisce un debito di valore, rispetto al quale gli interessi “compensativi” valgono a reintegrare il pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità della somma equivalente al danno subito nel tempo intercorso tra l’evento lesivo e la liquidazione; la relativa determinazione non è, peraltro, automatica né presunta iuris et de iure, occorrendo che il danneggiato provi, anche in via presuntiva, il mancato guadagno derivatogli dal ritardato pagamento” (Cass. n. 36878 del 2021; conf. Cass. n. 19063 del 2023; v. pure Cass. n. 4938 del 2023, con l’ampia giurisprudenza ivi citata, che ribadisce come nei debiti di valore derivanti da fatto illecito, gli interessi compensativi sulla somma rivalutata costituiscono una modalità liquidatoria del danno, che deve essere allegato e provato, su specifica domanda).
5. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti.
La reciproca soccombenza induce a compensare le spese della presente fase del giudizio nella misura di 1/4, ponendo le residue a carico della società in ragione del criterio che grava la parte che abbia dato causa in misura prevalente agli oneri processuali (per tutte: Cass. n. 3438 del 2016), liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
In caso di diffusione della presente ordinanza, va disposto l’oscuramento dei dati personali dei ricorrenti.