<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA – sentenza 21 maggio 2019 n. 8</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il requisito dell’omogeneità dell’interesse fatto valere in giudizio attraverso l’intervento in adesione o per opporsi ad un ricorso giurisdizionale amministrativo da parte di un ente collettivo deve essere accertato nell’ambito della sola base associativa, oltre che in relazione alla natura della questione controversa in giudizio e alla relativa riconducibilità agli scopi statutari dell’ente (con riguardo a quest’ultimo profilo si rinvia ancora al precedente dell’Adunanza plenaria poc’anzi citato). Sulla base di tali rilievi non può ritenersi sfornita della legittimazione ad intervenire in giudizio un’associazione di imprese quando, incontestata da un lato la rilevanza della questione per le finalità statutarie dell’interveniente, non risulta dall’altro lato che alcuno degli operatori economici che ad essa partecipi abbia assunto iniziative di carattere giurisdizionale contrastanti con l’intervento in giudizio dell’ente collettivo. L’appellante – nel caso di specie - pretende di desumere la legittimazione ad intervenire delle associazioni di imprese dalla loro rispettiva rappresentatività nell’ambito del rispettivo settore professionale; il criterio così ipotizzato introduce tuttavia una valutazione di carattere quantitativo, rilevante in ipotesi ai (diversi) fini dell’ammissione delle stesse alle sedi della contrattazione collettiva, ma non coerente con la natura delle odierne intervenienti di associazioni di diritto privato e pertanto non necessaria perché queste ultime possano perseguire gli scopi statutari di tutela degli interessi degli operatori economici ad esse aderenti.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il punto di diritto sottoposto - ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. - all’esame dell’Adunanza plenaria, si riassume sulla questione concernente quale sia il criterio di selezione delle offerte da applicare in appalti pubblici di servizi che, come quello che occupa, abbiano contemporaneamente caratteristiche di alta intensità di manodopera – ovvero il cui costo per tale voce dell’offerta sia «</em>pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto<em>» (art. 50, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, sopra richiamato) – e standardizzate; questione che si colloca nel contesto delle disposizioni di cui si compone l’art. 95 del codice dei contratti pubblici, relativo ai «</em>Criteri di aggiudicazione dell’appalto<em>» (così la rubrica). Vengono in rilievo in particolare i commi: – 2, il quale enuncia la regola secondo cui le stazioni appaltanti aggiudicano gli appalti («</em>procedono all’aggiudicazione<em>», recita la norma) «</em>sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa<em>», individuato secondo l’alternativa «</em>del miglior rapporto qualità/prezzo<em>» – corrispondente al tradizionale criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui al previgente quadro normativo (cfr. il considerando 89 della direttiva 2014/24/UE) – o «</em>sulla base dell’elemento prezzo o del costo<em>», quest’ultimo integrato dalla «</em>comparazione costo/efficacia<em>», sulla base degli elementi previsti nel successivo art. 96; – 3, per il quale «</em>Sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo<em>» i servizi ivi previsti, tra cui quelli «</em>ad alta intensità di manodopera<em>» (lettera a);– 4, che invece facoltizza le stazioni appaltanti («</em>Può essere utilizzato<em>») a ricorrere al «</em>criterio del minor prezzo<em>»per aggiudicare i contratti ivi elencati, tra cui «</em>i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate<em>» (lettera b); – 5, che per quest’ultima ipotesi onera le stazioni appaltanti a dare un’«</em>adeguata motivazione<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Dall’analisi dell’art. 95 del codice dei contratti pubblici si ricava che nell’ambito della generale facoltà discrezionale nella scelta del criterio di aggiudicazione, a propria volta insita nell’esigenza di rimettere all’amministrazione la definizione delle modalità con cui soddisfare nel miglior modo l’interesse pubblico sotteso al contratto da affidare, le stazioni appaltanti sono nondimeno vincolate alla preferenza accordata dalla legge a criteri di selezione che abbiano riguardo non solo all’elemento prezzo, ma anche ad aspetti di carattere qualitativo delle offerte. Più precisamente, la preferenza in questione: – è in primo luogo desumibile dal comma 2 dell’art. 95 del codice dei contratti, attraverso la previsione di due criteri di aggiudicazione in cui hanno rilievo aspetti di carattere qualitativo, e cioè il «</em>miglior rapporto qualità/prezzo<em>» e il criterio con a base il «</em>costo<em>» dell’opera, bene o servizio acquisito «</em>seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita<em>», che ai sensi del successivo art. 96 tenga conto degli oneri per l’amministrazione legati all’acquisizione, alla manutenzione, ai consumi energetici in fase di utilizzo, alle «</em>esternalità ambientali<em>» e a quelli connessi al “</em>fine vita<em>”; – è inoltre espresso sia al comma 3 del medesimo art. 95, con l’obbligo di fare ricorso per gli appalti di servizi ivi elencati al solo criterio del miglior rapporto qualità/prezzo, sia – all’opposto – attraverso l’obbligo di motivazione ai sensi del comma 5, laddove invece l’amministrazione opti per il criterio del massimo ribasso nelle ipotesi invece previste nel comma 4. La preferenza attribuita dal codice dei contratti pubblici a criteri non basati sul solo elemento del prezzo è poi coerente con i principi e criteri direttivi previsti dalla legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, per l’attuazione delle direttive sugli appalti pubblici del 2014, tra cui la direttiva europea 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, sui contratti di appalto pubblico; l’art. 1, comma 1, lett. ff) della legge delega prevede l’«</em>utilizzo<em> (…) </em>del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita e includendo il «miglior rapporto qualità/prezzo» valutato con criteri oggettivi sulla base degli aspetti qualitativi, ambientali o sociali connessi all’oggetto dell’appalto pubblico<em>». Ad esso fa seguito la seguente precisazione: «</em>regolazione espressa dei criteri, delle caratteristiche tecniche e prestazionali e delle soglie di importo entro le quali le stazioni appaltanti ricorrono al solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta<em>»; nella medesima linea si colloca la successiva lettera gg), recante il criterio direttivo secondo cui l’aggiudicazione dei contratti pubblici «</em>relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché a quelli di servizi ad alta intensità di manodopera<em>» deve essere disposta «esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come definita dalla lettera ff)», con esclusione«in ogni caso»del solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo«inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta». In termini analoghi è poi formulato il criterio direttivo previsto dalla lettera fff) del medesimo art. 1, comma 1, della legge delega. I criteri direttivi così previsti dalla legge delega costituiscono a loro volta attuazione dell’art. 67 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici; è infatti la disposizione di diritto sovranazionale ora richiamata ad avere integrato l’alternativa tradizionale tra offerta economicamente più vantaggiosa e minor prezzo, prevista dall’art. 53 della previgente direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi), con un ulteriore criterio di selezione delle offerte con a base il costo, secondo «</em>un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita<em>». L’ultimo capoverso del paragrafo 2 del medesimo art. 67 ha quindi riconosciuto al legislatore nazionale la facoltà di prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici «</em>non possano usare solo il prezzo o il costo come unico criterio di aggiudicazione<em>»o di «</em>limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto<em>». E’ poi nell’ambito del margine di apprezzamento discrezionale così attribuito al legislatore nazionale che il codice dei contratti pubblici ha da un lato escluso la possibilità di fare ricorso a qualsiasi criterio di aggiudicazione con a base il prezzo o il costo per i servizi previsti nel comma 3 dell’art. 95; e dall’altro lato ha consentito per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate, ai sensi del comma 4, lett. b), del medesimo art. 95, di impiegare il criterio del massimo ribasso, purché di ciò sia data adeguata motivazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La preferenza per criteri che consentano alle amministrazioni di valutare ai fini dell’aggiudicazione di appalti pubblici aspetti di carattere qualitativo va fatta risalire agli indirizzi di politica generale delle istituzioni sovranazionali, a partire dalla «</em>strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva<em>» denominata “</em>Europa 2020<em>”</em><em> (di cui alla comunicazione COM/2010/2020 del 3 marzo 2010 della Commissione europea), per l’attuazione della quale gli appalti pubblici svolgono un ruolo fondamentale (cfr. considerando n. 2 della direttiva 2014/24/UE). Nella comunicazione ora richiamata la Commissione europea ha infatti formulato l’obiettivo di conseguire una «</em>crescita inclusiva<em>», finalizzata a promuovere «</em>la coesione economica, sociale e territoriale<em>», ed inoltre una crescita «</em>intelligente<em>», per sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, e «</em>sostenibile<em>», in grado di migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse e che sia «</em>più verde e più competitiva<em>». Nell’ambito della coesione economica e sociale proprie dell’obiettivo di crescita intelligente si colloca quindi la promozione di migliori condizioni del lavoro nell’impresa, sotto il profilo della sicurezza sui luoghi di lavoro e del trattamento economico dei relativi addetti. In questo quadro, con specifico riguardo al settore dei contratti pubblici, nella risoluzione del 25 ottobre 2011 sulla modernizzazione degli appalti pubblici (2011/2048(INI)), prodromica all’approvazione delle direttive del 2014, il Parlamento europeo ha manifestato l’avviso che il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso «</em>non debba più essere il criterio determinante per l’aggiudicazione di appalti<em>», ma debba essere sostituito «</em>in via generale con quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa in termini di benefici economici, sociali e ambientali, tenendo conto dei costi dell’intero ciclo di vita dei beni, servizi o lavori di cui trattasi<em>», salvo mantenere il primo «</em>quale criterio decisivo in caso di beni o servizi altamente standardizzati<em>», così da stimolare «</em>l’innovazione e gli sforzi per ottenere la massima qualità e il massimo valore, promuovendo pertanto il rispetto dei criteri della strategia Europa 2020<em>» (punto n. 13). L’indirizzo è stato ribadito a posteriori nella risoluzione del 4 ottobre 2018 sul pacchetto sulla strategia in materia di appalti pubblici (2017/2278(INI)), in cui il Parlamento europeo ha valutato con favore il fatto che «</em>molti Stati membri abbiano adottato misure per l’uso di criteri di qualità (compreso il miglior rapporto qualità/prezzo<em>)», ed ha quindi incoraggiato il ricorso a «</em>criteri diversi dal semplice prezzo più basso, tenendo conto di aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali<em>» (punto n. 12). La preferenza per criteri non incentrati sul solo prezzo è poi espressa nei considerando della direttiva 2014/24/UE, e precisamente: – al considerando 90, in cui al fine di conseguire l’obiettivo di «</em>incoraggiare maggiormente l’orientamento alla qualità degli appalti pubblici<em>» si formula la seguente raccomandazione: «</em>dovrebbe essere consentito agli Stati membri di proibire o limitare il ricorso al solo criterio del prezzo o del costo per valutare l’offerta economicamente più vantaggiosa qualora lo ritengano appropriato<em>» (raccomandazione poi trasfusa sul piano precettivo nella facoltà di scelta attribuita agli Stati membri dal sopra citato art. 67, paragrafo 2, ultimo capoverso, della direttiva); – considerando 92, in cui, nel ribadire che le amministrazioni aggiudicatrici «</em>dovrebbero essere incoraggiate a scegliere criteri di aggiudicazione che consentano loro di ottenere lavori, forniture e servizi di alta qualità che rispondano al meglio alle loro necessità<em>», si precisa che la selezione non «</em>dovrebbe basarsi solo su criteri che prescindono dai costi<em>», ma anche su un «</em>approccio costo/efficacia, come ad esempio la determinazione dei costi del ciclo di vita<em>»; – considerando 93, in cui si afferma che anche nell’ipotesi di prezzi di beni o servizi definiti da normative nazionali dovrebbe comunque rimanere ferma la possibilità di «</em>valutare il rapporto qualità/prezzo sulla base di fattori diversi dal solo prezzo o dalla sola remunerazione<em>». Il ricorso a criteri di aggiudicazione degli appalti pubblici basati non sul solo prezzo, e quindi non orientati in via esclusiva a fare conseguire all’amministrazione risparmi di spesa, ma idonei a selezionare le offerte anche sul piano qualitativo, in funzione di un miglioramento tecnologico, di un più efficiente utilizzo delle risorse energetiche e – per venire al caso oggetto del presente giudizio – della tutela delle condizioni economiche e di sicurezza del lavoro, può dunque essere ascritto agli obiettivi di politica generale sovranazionale, poi recepiti nelle direttive del 2014 sui contratti pubblici; ed infine a livello nazionale con il codice dei contratti pubblici. Con specifico riguardo alla tutela delle condizioni economiche e di sicurezza del lavoro va quindi precisato che il ricorso a criteri in grado di valorizzare aspetti di carattere qualitativo è motivato dall’esigenza di assicurare una competizione non ristretta al solo prezzo, foriera del rischio di ribassi eccessivi e di una compressione dei costi per l’impresa aggiudicataria che possa andare a scapito delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro e dei costo per la manodopera, in contrasto con gli obiettivi di coesione sociale propri dell’obiettivo di crescita inclusiva enunciato dalla Commissione europea. Peraltro, nella medesima direzione finora considerata convergono imperativi di matrice costituzionale, espressi dal principio secondo cui l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto «</em>con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana<em>» (art. 41, comma 2), finalizzato a conciliare le esigenze della crescita economica, per la quale l’intervento pubblico mediante l’affidamento di contratti d’appalto costituisce un rilevante fattore, con quelle di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e delle loro condizioni contrattuali.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il comma 3 dell’art. 95 del codice dei contratti si pone ad un punto di convergenza di valori espressi in sede costituzionale e facoltà riconosciute a livello europeo ai legislatori nazionali, per la realizzazione dei quali nel codice dei contratti pubblici il miglior rapporto qualità/prezzo è stato elevato ad criterio unico ed inderogabile di aggiudicazione per appalti di servizi in cui la componente della manodopera abbia rilievo preponderante. Sulla base dell’analisi normativa interna ed europea, e della cornice indirizzo politico-legislativo ad esse presupposta, si può dunque pervenire a definire il rapporto tra i commi da 2 a 5 dell’art. 95 in esame nel senso seguente: – ai sensi del comma 2 le amministrazioni possono aggiudicare i contratti di appalto pubblico secondo il criterio (ora denominato in generale) dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata dal miglior rapporto qualità/prezzo o che abbia a base il prezzo o il costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia; – in attuazione della facoltà riconosciuta agli Stati membri dalla direttiva 2014/24/UE di escludere o limitare per determinati tipi di appalto il solo prezzo o il costo (art. 67, par. 2, ultimo cpv., sopra citato), e in conformità ai criteri direttivi della legge delega n. 11 del 2016, il comma 3 pone invece una regola speciale, relativa tra l’altro ai servizi ad alta intensità di manodopera, derogatoria di quella generale, in base alla quale per essi è obbligatorio il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo; – per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate si riespande invece la regola generale posta dal comma 2, con il ritorno alla possibilità di impiegare un criterio di aggiudicazione con a base l’elemento prezzo, e precisamente il «minor prezzo», purché questa scelta sia preceduta da una «</em>motivazione adeguata<em>». Nell’ipotesi in cui un servizio ad alta intensità di manodopera abbia contemporaneamente caratteristiche standardizzate ai sensi del comma 4, lett. b), del medesimo art. 95, come nel caso che ha dato origine alla rimessione all’Adunanza plenaria, vi è un concorso di disposizioni di legge tra loro contrastanti, derivante dal diverso ed antitetico criterio di aggiudicazione rispettivamente previsto per l’uno o l’altro tipo di servizio e dal diverso grado di precettività della norma. Si pone quindi un conflitto (o concorso apparente) di norme, che richiede di essere risolto con l’individuazione di quella prevalente. Il conflitto così prospettato non può che essere risolto a favore del criterio di aggiudicazione del miglior rapporto qualità/prezzo previsto dal comma 3, rispetto al quale quello del minor prezzo invece consentito in base al comma 4 è subvalente. La soluzione ora espressa (di recente riaffermata dalla V Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza 24 gennaio 2019, n. 605) è infatti conseguenza diretta di quanto rilevato in precedenza, e cioè del carattere speciale e derogatorio di quest’ultima regola rispetto a quella generale, laddove il criterio del minor prezzo ai sensi del comma 4 ne segna invece il ritorno, con la riaffermazione della facoltà di scelta discrezionale dell’amministrazione di aggiudicare l’appalto secondo un criterio con a base il (solo) prezzo. Il ritorno alla regola generale incontra tuttavia un ostacolo insuperabile nella deroga prevista nel comma 3, che impone alle Amministrazioni un obbligo anziché una mera facoltà, per cui per effetto di essa in tanto è possibile aggiudicare i contratti di appalto di servizi con caratteristiche standardizzate al massimo ribasso in quanto il servizio non abbia nel contempo abbia caratteristiche di alta intensità di manodopera.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Contrariamente a quanto sostiene l’appellante nel caso di specie, non è predicabile un carattere di specialità del comma 4 del medesimo art. 95 del codice dei contratti pubblici rispetto al precedente comma 3. Infatti, nella misura in cui esso si limita a riaffermare una facoltà di scelta, già consentita in via generale, con la sola precisazione rispetto al comma 2 secondo cui questa facoltà si estende sino al punto di porre a base della selezione delle offerte il solo prezzo senza alcuna comparazione con aspetti di carattere qualitativo delle offerte, la stessa non è in grado di derogare alla norma speciale prevista nel comma 3, in base alla quale nessuna facoltà di apprezzamento discrezionale è invece riconosciuto all’amministrazione. Pertanto, la tesi posta a base dell’appello attribuirebbe al comma 4 una portata eccedente dai relativi limiti oggettivi, con effetto di deroga alla norma a sua volta derogatoria contenuta nel precedente comma 3. La “</em>deroga della deroga<em>” così ipotizzata sortirebbe quindi l’effetto di impedire che sia invece quest’ultima disposizione ad essere applicata per i servizi ad alta intensità di manodopera con caratteristiche standardizzate. In questo modo gli obiettivi di tutela del lavoro potrebbero essere sacrificati alle esigenze di carattere tecnico e alle determinazioni discrezionali dell’amministrazione, laddove invece sulla base degli indirizzi elaborati in sede europea e dei valori affermati nella Costituzione i primi costituiscono obiettivi primari da perseguire nel settore dei contratti pubblici. A quest’ultimo riguardo, va aggiunto che sebbene una simile scelta sia soggetta ad un onere di motivazione rafforzata, secondo quanto previsto dal comma 5 dell’art. 95 d.lgs. n. 50 del 2016, nondimeno, in considerazione della portata del sindacato giurisdizionale di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale dell’amministrazione, si potrebbe determinare se non un’abrogazione </em>in parte<em> qua del comma 3 della medesima disposizione, quanto meno una relativa disapplicazione, di fatto, in via amministrativa. Per superare la descritta aporia cui la tesi l’appellante conduce, quest’ultima prospetta sul piano dell’interpretazione letterale delle norme un diverso grado di specialità interno a quest’ultimo comma dell’art. 95; in base ad esso dovrebbero essere obbligatoriamente aggiudicati secondo il miglior rapporto qualità/prezzo i soli servizi da esso elencati in modo puntuale, ovvero i contratti di appalto relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, e non anche quelli ad alta intensità di manodopera e ciò in base all’assunto secondo cui questi ultimi formano un insieme più ampio, definito dal codice mediante una formulazione di carattere generale, che pertanto sarebbe a sua volta derogabile dal comma 4, in ragione della sua natura di norma speciale. La soluzione interpretativa così prospettata non è tuttavia percorribile; infatti, per un verso con essa si scinde un precetto unitario, che obbliga le stazioni appaltanti a ricorrere al criterio di aggiudicazione da ultimo richiamato, senza alcuna distinzione, per tutte le fattispecie di appalti di servizi ivi previste (servizi sociali e di ristorazione collettiva oltre a quelli ad alta intensità di manodopera); e che inoltre si basa sul medesimo fondamento razionale, dato dalla necessità di tutelare persone in condizione di svantaggio sul piano sociale o economico: utenti del servizio nel caso di servizi sociali e di ristorazione collettiva, lavoratori ad esso addetti per quelli ad alta intensità di manodopera. Per altro verso la soluzione in esame porta ad affermare, in contrasto con l’analisi della normativa svolta finora, che la standardizzazione del servizio costituisca elemento specializzante e tale da giustificare la prevalenza del criterio di aggiudicazione del massimo ribasso per esso previsto, laddove questo è oggetto di una semplice facoltà discrezionale e non già di un obbligo, come invece il miglior rapporto qualità/prezzo per i servizi di cui al comma 3. Ulteriore argomento addotto dall’appellante a sostegno della tesi della possibilità di aggiudicare un appalto ad alta intensità di manodopera con caratteristiche standardizzate con il criterio del massimo ribasso consiste nel fatto che questa soluzione adottata dal codice dei contratti pubblici non sarebbe in contrasto con i criteri direttivi enunciati nella legge delega per l’attuazione delle direttive europee, n. 11 del 2016, sopra richiamata; il ridetto contrasto è invece evidente e ricavabile dalla formulazione letterale del criterio direttivo enunciato nella lett. gg), a tenore del quale devono essere aggiudicati «</em>esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come definita dalla lettera ff), escludendo in ogni caso l’applicazione del solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta<em>» i contratti d’appalto ivi elencati, tra cui i servizi ad alta intensità di manodopera e gli altri poi riprodotti nell’art. 95, comma 3, lett. a), del codice dei contratti pubblici [come in precedenza rilevato, anche il criterio di cui alla lett. fff), della legge delega si esprime in termini di esclusione del criterio «</em>del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta<em>» per i servizi ad alta intensità di manodopera]. Dalla tesi dell’appellante emerge dunque una possibile violazione dell’art. 76 della Costituzione nel rapporto tra legge di delegazione e decreto delegato, che impone di seguire quella contraria.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va risolta la questione di diritto deferita nel caso di specie all’Adunanza plenaria nei termini seguenti: </em><em>gli appalti di servizi ad alta intensità di manodopera ai sensi degli artt. 50, comma 1, e 95, comma 3, lett. a), del codice dei contratti pubblici sono comunque aggiudicati con il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo, quand’anche gli stessi abbiano anche caratteristiche standardizzate ai sensi del comma 4, lett. b), del medesimo codice. In questo senso va dunque composto il contrasto di giurisprudenza venutosi a creare per effetto delle pronunce richiamate dalla Sezione rimettente, in particolare per effetto della sentenza della III Sezione del 13 marzo 2018, n. 1609, in precedenza richiamata, che pure per un servizio di vigilanza antincendio a favore di un’azienda sanitaria locale aveva invece affermato la prevalenza del criterio del massimo ribasso ai sensi dell’art. 95, comma 4, lett. b), del codice dei contratti pubblici (peraltro supponendo che: «</em>la tipologia di cui alla lett. b) del comma 4 dell’art. 95 attiene ad un ipotesi ontologicamente del tutto differente sia dall’appalto “ad alta intensità di manodopera” di cui all’art.95 comma 3 lett. a) che concerne prestazioni comunque tecnicamente fungibili<em>»; e non già all’esito di un’analisi del rapporto strutturale tra le due diverse disposizioni di legge). Richiamato il principio poc’anzi espresso, va quindi ribadito che le caratteristiche di servizio ad alta intensità di manodopera della vigilanza antincendio non consentono che lo stesso sia aggiudicato con il criterio del massimo ribasso, benché caratterizzato anche da una forte standardizzazione dello attività in esso comprese.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Se da un lato l’operatore economico che sia stato invitato ad una procedura di affidamento non conforme agli obblighi di evidenza pubblica improntati alla massima partecipazione non può lamentare </em>ab origine<em> alcuna lesione della sfera giuridica, donde la carenza di interesse a formulare censure di legittimità al riguardo, non altrettanto può sostenersi, dall’altro lato, nel caso di esito per lo stesso non favorevole della gara a causa del criterio di valutazione delle offerte prescelto dall’amministrazione; dall’accertamento dell’illegittimità di quest’ultimo deriva infatti la reintegrazione del relativo interesse ad ottenere l’aggiudicazione – il solo rilevante nei giudizi di impugnazione di atti di procedure di affidamento (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 26 luglio 2012, n. 30) – sia pure in via strumentale, attraverso la relativa rinnovazione parziale. Che poi l’interesse di carattere strumentale alla ripetizione della procedura di gara sia sufficiente ad integrare l’interesse ex art. 100 cod. proc. amm. ad agire in sede giurisdizionale è acquisizione ormai pacifica presso la giurisprudenza amministrativa (a livello nomofilattico si ricorda: Cons. Stato, Ad. plen., 10 novembre 2008, n. 11; presso le Sezioni di questo Consiglio di Stato, oltre alla sentenza parziale di rimessione, vanno ricordate della stessa le sentenze 15 novembre 2018, n. 6439, 22 giugno 2018, n. 3861; e della VI Sezione, 18 gennaio 2018, n. 293).</em></p>