Corte di cassazione, Sez. II Civile, sentenza 10 aprile 2025 n. 9389
PRINCIPIO DI DIRITTO
Ai fini della distinzione tra compravendita e appalto, quando le modifiche che il soggetto obbligato alla prestazione è tenuto ad apportare a cose che rientrano nella sua normale attività produttiva non si risolvano in accorgimenti secondari e marginali, per adattarli alle esigenze previste contrattualmente, ma siano tali da far luogo ad un opus perfectum, di valore determinante ai fini del risultato, si rientra nello schema dell’appalto; viceversa, allorché le attività integrative (come l’installazione) siano meramente strumentali alla fornitura della res e non diano luogo ad un’opera diversa, anche in ragione del rapporto economico sussistente tra valore della cosa e spese relative al compimento di tali attività integrative, si ricade nello schema della vendita
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1470 e 1655 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1362 e ss. c.c. e con gli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente interpretato il contratto concluso tra le parti l’8 agosto 2015 come appalto anziché come vendita, sebbene il Sottana, sin dall’inizio della vertenza, avesse sempre riconosciuto di aver stipulato con Solare Italiano un contratto definito a chiare note come compravendita, sicché, alla luce del principio di non contestazione, sarebbe stata vincolante la qualificazione in termini di compravendita, mentre solo con l’atto di citazione in appello, nel tentativo di sottrarsi alla disciplina consumeristica, l’appellante avrebbe affermato ex novo che la fattispecie fosse inquadrabile nello schema dell’appalto, deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte.
1.1.– Il motivo è infondato. E ciò perché resta nel potere del giudicante la diversa qualificazione giuridica del contratto sulla scorta dell’immutato quadro fattuale reso. Pertanto, il giudice d’appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il petitum e la causa petendi ed eserciti tale potere dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 12875 del 15/05/2019; Sez. 1, Sentenza n. 16213 del 31/07/2015; Sez. 3, Sentenza n. 10617 del 26/06/2012; Sez. 3, Sentenza n. 8142 del 03/04/2009; Sez. 1, Sentenza n. 19090 del 11/09/2007). Ed ancora non costituisce domanda nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la prospettazione, in appello, di una diversa qualificazione giuridica del contratto oggetto di causa, ove basata appunto sui medesimi fatti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15470 del 03/06/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 6292 del 02/03/2023; Sez. 3, Sentenza n. 4384 del 07/03/2016; Sez. 2, Sentenza n. 24055 del 25/09/2008; Sez. 2, Sentenza n. 19812 del 04/10/2004). Nella specie, sin dall’inizio del giudizio, il Sottana ha addotto che il contratto concluso dalle parti aveva ad oggetto la fornitura e l’installazione, presso la sua abitazione, di una termo-stufa Edilkamin, di un bollitore, di tre collettori solari, con accessori. Sulla scorta del descritto stato fattuale della negoziazione intercorsa tra le parti, rimasto immutato, l’appellante ha richiesto, con l’atto introduttivo del gravame, che il contratto fosse qualificato come appalto anziché come compravendita. Qualificazione giuridica che avrebbe potuto essere accolta, senza alcuna violazione del principio della domanda e senza l’integrazione di alcun vizio di ultrapetizione.
2.1.– Il motivo è fondato.
2.2.– Ora, il giudice del gravame ha qualificato il negozio giuridico concluso dalle parti l’8 agosto 2015 come appalto anziché come vendita, alla stregua della circostanza che le parti, più propriamente, avessero concordato l’acquisto di una termostufa a pellet, con annessi accessori, l’installazione di pannelli solari e la conseguente progettazione e installazione dell’intero impianto termico. Sicché la descrizione delle forniture indicate (realizzazione di una canna fumaria, installazione del serbatoio di accumulo e impianto di distribuzione dei fluidi, impianto solare termico in copertura) avrebbe giustificato una valutazione di prevalenza del lavoro sulla materia, tale da legittimare la qualificazione del contratto in termini di appalto, tanto più che la Solare Italiano non era la fabbricante della termo-stufa fornita (ma la semplice rivenditrice).
2.3.– Tanto premesso, la distinzione tra le due figure negoziali muove dall’analisi dell’obbligazione cui è tenuta la parte e della correlata valutazione circa la prevalenza dei requisiti del facere su quelli del dare nella causa in concreto dell’operazione negoziale ovvero della prevalenza del lavoro sulla materia. Occorre, all’esito, verificare se la descrizione della fattispecie concreta e la correlata qualificazione giuridica attribuita al contratto di specie siano coerenti con l’analisi astratta che è sottesa alla distinzione tra le due figure negoziali. Ebbene nel contratto di appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare, mentre nel contratto di compravendita vi è un dare che può comportare anche un fare. Al riguardo, il metodo di ponderazione di detta prevalenza non può essere emarginato al solo aspetto soggettivo della volontà delle parti, ma quest’ultima dovrà essere letta sulla scorta del significato pratico dell’operazione negoziale, ossia della direzione funzionale del contratto, in modo da tenere conto dell’assetto di interessi dedotto nell’autoregolamento. La qualificazione, per l’effetto, presuppone che all’interpretazione della fattispecie concreta, secondo i criteri soggettivi e oggettivi, quale peculiare accertamento di fatto non sindacabile in sede nomofilattica, segua la comparazione degli elementi di sintesi del particolare contratto interpretato, ossia della causa concreta, con gli elementi di sintesi dello schema legale corrispondente, ovvero con la ratio propria dell’intera normativa dedicata al tipo negoziale, quale speciale operazione giuridica verificabile in sede di legittimità. Pertanto, nel caso in cui il contratto abbia ad oggetto la fornitura di beni prodotti con materiali ceduti dallo stesso esecutore della prestazione, il criterio fondamentale di distinzione tra le due figure si impernia sulla natura dell’attività espletata dal fornitore. È integrata la vendita se il lavoro è solamente uno strumento per trasformare la materia, mentre ricorre la figura dell’appalto quando la materia è un semplice mezzo per la produzione dell’opera e, quindi, il contratto ha per oggetto prevalentemente l’opera. Sicché il contratto è qualificabile come compravendita qualora detta attività consista nella trasformazione di materie prime in prodotti finiti, non necessariamente destinati ad essere riacquistati dall’originario cedente, e come appalto nel caso in cui essa consista, invece, nell’adattamento delle medesime materie alle specifiche esigenze del destinatario, sì da potersi considerare i prodotti come il risultato voluto ed effettivo della prestazione di un facere (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17855 del 22/06/2023; Sez. 5, Sentenza n. 1726 del 26/01/2007). Tutto ciò esige comunque una particolare cautela. L’analisi in ordine alla prevalenza del lavoro sulla materia deve essere condotta, non già sulla scorta del valore economico delle due componenti, ma in base alla rilevanza che a tali componenti hanno dato le parti nel regolamento contrattuale. Infatti, ove si ricada nell’ambito della vendita di cose rientranti nella normale produzione del venditore, difetta la faciendi necessitas, basata sul rapporto di prevalenza, in senso soggettivo — ossia con riguardo alla volontà delle parti —, dell’elemento del “lavoro” su quello della “materia”. Per converso, nell’appalto la faciendi necessitas è volta a creare la cosa mentre la prestazione della materia costituisce un semplice mezzo per la sua realizzazione. Dunque, nella vendita la res è negoziata come tale, non già come la risultante di un’attività: all’acquirente non interessa l’attività dell’alienante, bensì la cosa in sé. Per l’effetto, il discrimine tra compravendita di cosa futura e appalto si fonda sul criterio della prevalenza: nei casi in cui la prestazione del debitore consista sia in un dare che in un facere, occorre stabilire se l’attività lavorativa volta alla produzione della cosa sia prevalente rispetto alla fornitura del materiale ovvero se, al contrario, sia questa a costituire l’oggetto principale del negozio, rispetto al quale l’attività lavorativa, di adattamento della cosa alle specifiche esigenze della controparte, assume un rilievo accessorio e strumentale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5935 del 12/03/2018; Sez. 3, Sentenza n. 20301 del 20/11/2012; Sez. 2, Sentenza n. 6925 del 21/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 8445 del Corte di Cassazione – copia non ufficiale 15 di 23 21/06/2000; Sez. 2, Sentenza n. 14209 del 17/12/1999; Sez. 2, Sentenza n. 20391 del 24/07/2008; Sez. 2, Sentenza n. 3807 del 30/03/1995). Con la conseguenza che il criterio della prevalenza deve essere interpretato, non tanto nel senso di prevalenza meramente economica ed oggettiva nel raffronto tra lavoro e materia, quanto come prevalenza che l’intento oggettivizzato delle parti abbia dato all’uno o all’altro elemento, per cui si ha appalto quando la somministrazione della materia costituisce un mezzo per la produzione dell’opera e il lavoro è lo scopo essenziale del negozio; per converso, si ricade nella vendita ove il lavoro sia il mezzo ulteriore per la trasformazione della materia e il conseguimento della cosa costituisce lo scopo del negozio. Orbene, ai fini della determinazione dell’elemento dominante, può assumere rilievo il profilo dell’accessorietà o della centralità delle modifiche demandate all’esecutore: nella prima ipotesi la priorità della fornitura della materia attrae la fattispecie al modello della vendita; nella seconda la preminenza della prestazione d’opera enuclea lo schema dell’appalto. In sostanza, quando le modifiche che il soggetto obbligato alla prestazione è tenuto ad apportare a cose che rientrano nella sua normale attività produttiva non si risolvano in accorgimenti secondari e marginali, per adattarli alle esigenze previste contrattualmente, ma siano tali da far luogo ad un opus perfectum, di valore determinante ai fini del risultato, si rientra nello schema dell’appalto (per tutte Cass. Sez. U, Sentenza n. 7073 del 09/06/1992). Si ha cioè un prodotto diverso da quello normalmente realizzato dal fornitore, il che avviene quando sia necessario un cambiamento dei mezzi di produzione con una specifica attività di fabbricazione e di assemblaggio dei pezzi, compiuta con attrezzature idonee allo scopo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7697 del 08/09/1994).
2.4.– Nella fattispecie il fatto che sia stato evocato il ruolo centrale dell’acquisto di una termo-stufa a pellet, di un bollitore e di tre collettori solari, con i relativi accessori, rispetto al quale l’installazione ha avuto un ruolo marginale, e comunque non dirimente ai fini della creazione di un quid novi, impone una rivalutazione della qualificazione giuridica del contratto alla luce delle direttive innanzi delineate, ossia una rinnovata ponderazione della questione, tenuto conto della prevalenza della materia sul lavoro, o viceversa, secondo la volontà oggettivizzata nel contratto, in relazione allo scopo pratico perseguito. Sulla scorta degli elementi emarginati dalla stessa sentenza impugnata, con riferimento all’oggetto della contrattazione intervenuta tra le parti, le conclusioni cui essa è pervenuta non risultano, infatti, coerenti con la discriminazione astratta che è stata innanzi elaborata tra vendita e appalto, sotto il profilo dei canoni interpretativi, specie quello letterale, in concreto utilizzati.
3.– Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 128, primo comma, cod. cons., per avere la Corte distrettuale escluso l’applicazione della disciplina consumeristica, sostenendo che l’esistenza di un appalto avrebbe escluso tout court l’operatività del d.lgs. n. 206/2005, sebbene tale disciplina equipari ai contratti di vendita i contratti di permuta e di somministrazione nonché quello di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre.
4.– Con il quarto motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 128, 129, 130, 131 e 135 cod. cons., in combinato disposto con gli artt. 1453, 1490 e 1668 c.c., per avere la Corte del gravame mal individuato i rimedi spettanti alla controparte (riparazione o sostituzione e, in seconda battuta, riduzione del prezzo o risoluzione) e la relativa gerarchia tra tali rimedi, potendo richiedersi la risoluzione solo ove i rimedi della riparazione o sostituzione per difetto di conformità fossero impossibili o eccessivamente onerosi, in ragione del ruolo sussidiario assegnato alla disciplina codicistica.
5.– Con il quinto motivo la ricorrente rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1470 e 1655 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1668 c.c. e 128, 129 e 130 cod. cons., per avere la Corte d’appello mancato di considerare le offerte di riparazione e sostituzione formulate dalla ricorrente, che non avrebbero potuto essere trascurate in ragione dell’asserita perdita di fiducia nella Solare Italiano.
6.– Con il sesto motivo la ricorrente sostiene, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1668 c.c., in combinato disposto con l’art. 345 c.p.c., in relazione alla risoluzione dell’appalto, per avere la Corte di secondo grado accolto la domanda di risoluzione dell’appalto, in ragione del fatto che l’opera fosse risultata del tutto inadatta alla sua destinazione, sebbene tale domanda fosse stata formulata per la prima volta in sede di gravame.
7.– Con il settimo motivo la ricorrente adduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione al mancato completamento dell’opera, per avere la Corte di merito accolto la domanda di risoluzione, come rimedio speciale previsto in materia di garanzia per le difformità e vizi nell’appalto, benché l’opera non fosse stata interamente compiuta, come sarebbe emerso dai fatti dedotti in causa, il che avrebbe giustificato l’applicazione della disciplina sulla comune responsabilità contrattuale ex artt. 1453 e 1455 c.c.
8.– Con l’ottavo motivo la ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1668 c.c., in relazione all’idoneità dell’opera, per avere la Corte territoriale disposto la risoluzione dell’appalto per assoluta inidoneità dell’opera a perseguire la destinazione prevista, sebbene i difetti contestati non incidessero in modo notevole sulla sua struttura e funzionalità e sebbene le criticità riscontrate fossero risolvibili e non tali da compromettere in modo definitivo e irreparabile l’opera stessa.
9.– Con il nono motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’idoneità dell’opera, per avere la Corte distrettuale prospettato l’assoluta inidoneità dell’opera rispetto alla destinazione sua propria, sebbene essa non emergesse dai fatti di causa, in ragione della possibilità di sostituzione e dell’entità dei difetti.
10.– Con il decimo motivo la ricorrente profila, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alle origini della detonazione, per avere la Corte del gravame trascurato un fatto dirimente, ossia che il Sottana, in data 27 ottobre 2015, avrebbe autonomamente effettuato ben 77 tentativi di accensione della stufa di cui trattasi, finendo per dare maldestramente causa all’incidente, come sarebbe stato dimostrato, in via documentale, dal modulo C.A.T. prodotto da controparte nel procedimento per A.T.P. e dalle prove orali raccolte.
11.– L’undicesimo motivo investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alla valutazione delle deposizioni orali, per avere la Corte d’appello travisato il quadro probatorio da cui sarebbe emerso che Solare Italiano aveva informato il Sottana della necessità di attendere il collaudo da parte degli operatori Edilkamin, dando corso a plurimi tentativi di messa in funzione del macchinario, come da testimonianze raccolte.
12.– Il dodicesimo motivo concerne, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 696 c.p.c., in relazione all’inutilizzabilità delle risultanze dell’A.T.P., per avere la Corte di secondo grado confermato l’utilizzabilità delle risultanze della consulenza svolta in sede di accertamento tecnico preventivo, nonostante il difetto originario del requisito del periculum, come prontamente reiterato dall’odierna ricorrente, atteso che il ricorso per A.T.P. era stato depositato solo in data 24 agosto 2016 e dunque a distanza di quasi un anno dal verificarsi dell’esplosione della stufa del 27 ottobre 2015, senza premurarsi di chiarire le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile, a quel punto, attendere le tempistiche di un ordinario processo di cognizione, nel quale chiedere l’accertamento e la stima dei presunti danni asseritamente subiti a causa dell’operato della Solare Italiano.
13.– Il tredicesimo motivo riguarda, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per la mancata pronuncia sulle domande formulate dalla ricorrente, con espressa riproposizione delle questioni assorbite.
14.– I motivi che precedono sono assorbiti dall’accoglimento della seconda censura, poiché dipendono dalla qualificazione giuridica del contratto concluso tra le parti come appalto o come vendita. In definitiva, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, il primo motivo deve essere respinto mentre i rimanenti motivi sono assorbiti. La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai seguenti principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. “Ai fini della discriminazione tra compravendita e appalto, nei casi in cui la prestazione del debitore consista sia in un dare che in un facere, occorre stabilire se l’attività lavorativa volta alla produzione della cosa sia prevalente rispetto alla fornitura del materiale, secondo la causa concreta del contratto, ovvero se, al contrario, sia questa a costituire l’oggetto principale del negozio, rispetto al quale l’attività lavorativa, di adattamento della cosa alle specifiche esigenze della controparte, assume un rilievo accessorio e strumentale”. “Ai fini della distinzione tra compravendita e appalto, quando le modifiche che il soggetto obbligato alla prestazione è tenuto ad apportare a cose che rientrano nella sua normale attività produttiva non si risolvano in accorgimenti secondari e marginali, per adattarli alle esigenze previste contrattualmente, ma siano tali da far luogo ad un opus perfectum, di valore determinante ai fini del risultato, si rientra nello schema dell’appalto; viceversa, allorché le attività integrative (come l’installazione) siano meramente strumentali alla fornitura della res e non diano luogo ad un’opera diversa, anche in ragione del rapporto economico sussistente tra valore della cosa e spese relative al compimento di tali attività integrative, si ricade nello schema della vendita”.