Corte di Cassazione, Sez. II Civile, ordinanza 10 aprile 2025 n. 9436
PRINCIPIO DI DIRITTO
Posto che l’accettazione tacita dell’eredità postula, ex art. 476 cod. civ., la ricorrenza delle due condizioni del compimento di un atto presupponente necessariamente la volontà di accettare e la qualificazione di tale atto, nel senso che ad esso non sia legittimato se non chi abbia la qualità di erede, può allora dirsi che la stessa stipulazione di un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un bene relitto da parte dei chiamati all’eredità, come accaduto nella specie, costituisca in sé accettazione tacita dell’eredità.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione della configurabilità di un inadempimento delle promittenti venditrici asseritamente dovuto sia alla mancata acquisizione, da parte loro, della proprietà dell’immobile compromesso in vendita nei termini pattuiti, sia alla trascrizione del relativo titolo nei medesimi termini, sono infondati, sebbene debba correggersene la motivazione.
Va al riguardo innanzitutto ricordato come, in presenza di un termine essenziale ex art. 1457 cod. civ., la risoluzione di diritto del contratto prescinda da un’indagine sulla rilevanza dell’inadempimento, già anticipatamente valutata dai contraenti, rilevando esclusivamente la sua sussistenza e imputabilità (Cass., Sez. 2, 3/7/2000, n. 8881; Cass., Sez. 3, 4/5/2005, n. 9275), con la conseguenza che il mancato adempimento entro un termine essenziale non dà luogo a risoluzione del contratto se questo non sia imputabile all’obbligato almeno a titolo di colpa, ma corrisponda alla mancata prestazione dell’altra parte che rivendica la risoluzione per scadenza di detto termine, spettando a chi si oppone alla risoluzione del contratto, nonostante la scadenza del termine, l’onere di dimostrare che soltanto per effetto del comportamento della controparte, contrario a buona fede, l’adempimento non è stato reso possibile (Cass., Sez. 2, 29/11/2024, n. 30714).
Nella specie, il promissario acquirente ha attribuito la colpa dell’inadempimento alle promittenti venditrici in quanto queste non avevano dimostrato, tra le altre cose (causa col confinante e certificato di destinazione urbanistica), di avere acquistato la proprietà del bene compromesso in vendita attraverso la produzione della dichiarazione di successione, alla quale però non si può attribuire la funzione voluta.
Infatti, ai fini dell’acquisto della qualità di erede, non è di per sé sufficiente, neanche nella successione legittima, la delazione dell’eredità che segue l’apertura della successione, essendo necessaria l’accettazione del chiamato mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 cod. civ. oppure mediante un comportamento obiettivo di acquiescenza (tra le tante, Cass., Sez. 6-2, 6/3/2018, n. 5247; Cass., Sez. L, 30/4/2010, n. 10525), rispetto alla quale nessuna rilevanza può essere attribuita alla denuncia di successione o al pagamento della relativa imposta, trattandosi di adempimenti fiscali che, in quanto diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, hanno scopo meramente conservativo e rientrano, dunque, tra gli atti che il chiamato a succedere può compiere in base ai poteri conferitigli dall’art. 460 cod. civ., senza comportare accettazione tacita dell’eredità (Cass., Sez. 2, 18/05/1995, n. 5463; anche Cass., Sez. 2, 11/5/2009, n. 10796; Cass., Sez. 2, 31/10/2016, n. 22017).
Questa viene, infatti, a configurarsi soltanto quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede o pone in essere atti gestori incompatibili con la volontà di rinunziare o significativi della volontà di accettare e non altrimenti giustificabili se non in relazione alla qualità di erede (v. Cass. Sez. 3, 17/11/1999, n. 12753; Cass., Sez. 2, 19/10/1988, n. 5688), come, per esempio, in caso di conferimento di procura a vendere beni ereditari (Cass., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20699) o di voltura catastale (per la rilevanza anche civilistica e non solo tributaria di tale atto, sul punto Cass., Sez. 2, 11/5/2009, n. 10796) o di concessione d’ipoteca su uno dei beni compresi nell’eredità (Cass., Sez. 6-2, 01/03/2021, n. 5569).
Posto che l’accettazione tacita dell’eredità postula, ex art. 476 cod. civ., la ricorrenza delle due condizioni del compimento di un atto presupponente necessariamente la volontà di accettare e la qualificazione di tale atto, nel senso che ad esso non sia legittimato se non chi abbia la qualità di erede, può allora dirsi che la stessa stipulazione di un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un bene relitto da parte dei chiamati all’eredità, come accaduto nella specie, costituisca in sé accettazione tacita dell’eredità.
Ciò significa che la questione prospettata con la censura in termini di assenza della proprietà del bene compromesso in capo alle promittenti venditrici non può che considerarsi infondata, stante l’efficacia di accettazione tacita dell’eredità attribuibile alla stessa stipulazione del preliminare, oltre a presentare, prima ancora, profili di inammissibilità per novità della stessa, atteso che, come risulta dalla sentenza impugnata, la doglianza aveva avuto riguardo, in sede d’appello, più che alla titolarità della proprietà, alla mancata sua dimostrazione mediante esibizione della dichiarazione di successione. Né può costituire inadempimento la mancata trascrizione dell’accettazione dell’eredità, come preteso dalla ricorrente.
Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affermare che, poiché a norma dell’art. 2648 cod. civ., ove il chiamato alla eredità abbia compiuto atti di accettazione tacita, se ne può chiedere la trascrizione del relativo acquisto sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, atto pubblico o scrittura autenticata o accertata giudizialmente, nel caso di contratto preliminare di vendita immobiliare il promissario acquirente che abbia ottenuto la sentenza ex art. 2932 cod. civ. nei confronti degli eredi del promittente venditore può, in base ad essa, procedere alla trascrizione (eventualmente mancante) dell’acquisto mortis causa dei detti eredi (presupponendo necessariamente detta sentenza che gli eredi abbiano accettato quell’eredità), oltre che del successivo trasferimento da questi ultimi in suo favore, con la conseguenza di non avere interesse a chiedere, ai fini della trascrizione ex art. 2648, comma terzo, citato, una pronuncia di accertamento del pregresso trasferimento della proprietà del bene per successione mortis causa (in questi termini, Cass., Sez. 2, 5/8/1987, n. 6724).
Consegue da quanto detto l’infondatezza delle censure.
- In conclusione, dichiarata l’infondatezza di entrambi i motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dell’impugnazione, se dovuto.