Corte di Cassazione Civile, Sez. II, ordinanza 10 aprile 2025, n. 9395
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va rilevato che nessuna delle deduzioni del ricorrente è utile a porre in dubbio il principio, al quale si deve dare continuità, secondo il quale il mediatore, sia quando agisca in modo autonomo- mediazione tipica- , sia su incarico delle parti- mediazione atipica- è tenuto a comportarsi secondo buona fede e correttezza e perciò a riferire alle parti le circostanze, conosciute o conoscibili secondo la diligenza qualificata ex art. 1175 cod. civ. propria della sua categoria, idonee a incidere sul buon esito dell’affare, senza che le eventuali più penetranti verifiche a ciò necessarie postulino il previo conferimento di specifico incarico, tali essendo- per quanto qui interessa- le circostanze afferenti alle iscrizioni o trascrizioni sull’immobile.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- Con il primo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1754,1755, 1757, 2909 cod. civ. e dell’art.324 e 113, 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.” e sostiene che l’accoglimento da parte del giudice di primo grado, con pronuncia passata in giudicato, della domanda di recesso ex art. 1385 cod. civ. proposta dalle promissarie acquirenti ha implicitamente accertato la sussistenza e validità del contratto preliminare e l’inadempimento della promittente venditrice per la mancata conclusione dell’affare; quindi sostiene che per questo sussista il diritto del mediatore alla provvigione. Aggiunge che l’accoglimento della domanda principale proposta nei confronti della promittente venditrice precluda e sia ostativa all’accoglimento delle domande proposte in via subordinata nei confronti del mediatore, essendo le stesse basate su accertamenti e titoli incompatibili con l’accoglimento della domanda principale; rileva che, diversamente, ammettere che la parte che ha ottenuto il doppio della caparra possa proporre una ulteriore azione risarcitoria per i danni derivanti dalla mancata stipula del contratto definitivo significherebbe vanificare la stessa funzione della caparra, che è quella di consentire una liquidazione.
- Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione delle norme di cui all’art. 2909 cod. civ. e art. 324 c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1385, 1223 e 1482 c.c. in tema di principio indennitario, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.”; evidenzia che, al fine di evitare un’indebita locupletazione a vantaggio del danneggiato, nella determinazione del quantum da risarcire è necessario tenere conto anche delle altre somme percepite dal danneggiato; sostiene che, poiché nella fattispecie le promissarie acquirenti hanno azionato la tutela prevista dall’art. 1385 cod. civ., hanno determinato ab origine la misura del danno e del mancato guadagno perché, diversamente, ci si troverebbe davanti all’abuso di una richiesta congiunta di restituzione del doppio della caparra e di risarcimento del danno. Quindi sostiene che la sentenza impugnata, dichiarando la responsabilità del mediatore per la mancata conclusione dell’affare e condannandolo a restituire la provvigione, non solo ha violato il giudicato, ma anche gli artt. 1223 e 1482 cod. civ., riconoscendo alle promissarie acquirenti una duplicazione di risarcimento per la medesima mancata stipula; a conferma della tesi, evidenzia che le attrici avevano chiesto in via principale il riconoscimento del doppio della caparra e in via subordinata la restituzione della caparra oltre il risarcimento di tutti i danni compresa la provvigione.
- Con il terzo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1754, 1755, 1757 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c.” e lamenta che sia stato escluso il diritto del mediatore al compenso omettendo di considerare che nel contratto preliminare vi era l’obbligo del venditore di liberare l’immobile da ipoteca e mutuo e che le promissarie acquirentiavevano dichiarato di volere concludere l’affare anche dopo avere saputo dell’esistenza dell’ipoteca. Quindi sostiene la violazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ., 1754, 1755 e 1757 cod. civ., perché quei dati comportavano il diritto del mediatore alla provvigione, in quanto dimostravano che le promissarie acquirenti erano state poste nella condizione di valutare la convenienza dell’affare. 4.Con il quarto motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 112, 115 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c. – conseguente violazione e falsa applicazione del D.M. 55/2014 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.”; lamenta che la sentenza abbia accolto la domanda di restituzione della caparra per l’importo di Euro 7.220,00 e quindi per un importo superiore a quello di Euro 4.500,00 richiesto a tale titolo dalle attrici. Evidenzia che da tale violazione sia conseguita la liquidazione delle spese di lite erroneamente individuando lo scaglione di riferimento compreso tra Euro 5.201,00 e 26.000,00 e applicando i minimi di quello scaglione, anziché i minimi dello scaglione da Euro 1.101,00 a 5.200,00.
- Con il quarto motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 112, 115 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c. – conseguente violazione e falsa applicazione del D.M. 55/2014 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.”; lamenta che la sentenza abbia accolto la domanda di restituzione della caparra per l’importo di Euro 7.220,00 e quindi per un importo superiore a quello di Euro 4.500,00 richiesto a tale titolo dalle attrici. Evidenzia che da tale violazione sia conseguita la liquidazione delle spese di lite erroneamente individuando lo scaglione di riferimento compreso tra Euro 5.201,00 e 26.000,00 e applicando i minimi di quello scaglione, anziché i minimi dello scaglione da Euro 1.101,00 a 5.200,00.
- Con il quinto motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 112, 115 c.p.c. ed art. 2697 c.c. nonché degli artt. 1385, 1223 e 1482 c.c. in tema di principio indennitario, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c. – conseguente violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55/2014 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.”; ulteriormente lamenta che la sentenza abbia pronunciato la condanna del mediatore alla restituzione della provvigione per l’importo di Euro 7.220,00 superiore a quello richiesto a tale titolo dalle attrici di Euro 4.500,00, in quanto in tal modo la sentenza ha violato il principio indennitario, duplicando il risarcimento per l’importo di Euro 2.700,00; ulteriormente lamenta che da tale violazione sia conseguita la liquidazione delle spese sulla base di uno scaglione superiore a quello corretto.
- Con il sesto motivo il ricorrente deduce “nullità della sentenza ex art. 156 e 161 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.” e con esso il ricorrente deduce la nullità della sentenza per contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza, insanabile e tale da non consentire di individuare la statuizione. Evidenzia che in motivazione la sentenza ha dichiarato che il mediatore doveva essere condannato alla restituzione della somma di Euro 7.220,00 percepita a titolo di provvigione e in assenza di prova del danno dedotto -in quanto era stata richiesta la somma di Euro 2.000,00 senza altre specificazioni- doveva essere rigettata la domanda risarcitoria; rileva che, diversamente, nel dispositivo la sentenza ha dichiarato la responsabilità del mediatore per la mancata conclusione dell’affare e per questo lo ha condannato a pagare la somma di Euro 7.220,00. Sostiene che, in questo modo, la pronuncia è stata ambigua e atecnica, mentre la parte ha diritto a una pronuncia chiara e comprensibile; se non era stato provato il danno, non dovuta non era solo la somma di Euro 2.000,00, ma l’intero importo richiesto a tale titolo,per cui la portata della decisione impedisce di comprendere le somme effettivamente dovute.
- Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalle controricorrenti in ragione delle modalità di redazione, per essere il ricorso composto di quarantasette pagine nelle quali i motivi e i concetti si ripetono e per non essere il ricorso rispettoso del principio di specificità. Secondo quanto enunciato dalle Sezioni Unite, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi- anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021- non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U 18-3-2022 n. 8950 Rv. 664409- 01). Inoltre, l’inosservanza dei principi di chiarezza e sinteticità puòcondurre a una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione solo nel caso incui si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intellegibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U 30-11-2021 Rv. 662971-01). Nella fattispecie, seppure il ricorso sia carente di sinteticità, è consentito enucleare il contenuto delle censure, che sono svolte anche con sufficiente indicazione agli atti richiamati.
- Procedendo quindi alla disamina dei motivi, logicamente deve essere esaminato il terzo motivo, che risulta inammissibile nella parte in cui è volto a sostenere che le promissarie acquirenti conoscessero dell’esistenza dell’ ipoteca al momento della conclusione del contratto preliminare, in quanto le deduzioni svolte non attingono l’accertamento eseguito dalla Corte d’Appello nei modi consentiti nel giudizio di legittimità. La sentenza impugnata ha accertato in fatto che la mancata conclusione del contratto definitivo di compravendita dell’immobile è stata determinata dall’omesso adempimento all’obbligo di informazione, gravante sul venditore e sul mediatore, in ordine all’esistenza di iscrizione ipotecaria sul bene. Le circostanze valorizzate nel motivo, delle quali si lamenta l’omesso esame, riferite al fatto che nel contratto preliminare fosse previsto che la venditrice avrebbe trasferito l’immobile libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli e che successivamente le promissarie acquirenti avessero diffidato, senza esito, la promittente venditrice a eseguire tale liberazione, non incide in alcun modo sull’accertamento della responsabilità del mediatore eseguito dalla sentenza impugnata. Infatti, il dato che il preliminare contenesse la garanzia della venditrice di trasferire l’immobile libero da pesi e il fatto che le promittenti acquirenti, scoperta l’esistenza di ipoteca, avessero manifestato l’interesse a concludere il contratto, tanto da eseguire la diffida, non comporta in sé che il mediatore avesse adempiuto all’obbligo di informazione su di lui gravante; non comporta neppure che le promissarie venditrici sapessero dell’esistenza dell’iscrizione di ipoteca al momentodella stipulazione del preliminare, così da essere poste in condizione di comprendere che la garanzia contenuta nel preliminare si riferisse a una specifica ipoteca già esistente in quel momento, anziché a pesi che eventualmente fossero andati a gravare sull’immobile nel periodo intercorrente fino alla stipula del definitivo. Per altro verso, nessuna delle deduzioni del ricorrente è utile a porre in dubbio il principio, al quale si deve dare continuità, secondo il quale il mediatore, sia quando agisca in modo autonomo – mediazione tipica-, sia su incarico delle parti -mediazione atipica- è tenuto a comportarsi secondo buona fede e correttezza e perciò a riferire alle parti le circostanze, conosciute o conoscibili secondo la diligenza qualificata ex art. 1175 cod. civ. propria della sua categoria, idonee a incidere sul buon esito dell’affare, senza che le eventuali più penetranti verifiche a ciò necessarie postulino il previo conferimento di specifico incarico, tali essendo-per quanto qui interessa- le circostanze afferenti alle iscrizioni o trascrizioni sull’immobile (cfr. Cass. Sez. 2 16-5-2022 n. 15577 Rv. 665164-01, Cass. Sez. 2 28-10-2019 n. 27482 Rv. 655676-01, con specifico riguardo alle iscrizioni o trascrizioni sull’immobile; cfr. altresì, nello stesso senso, con riguardo all’esistenza di irregolarità urbanistiche o edilizie non sanate, Cass. Sez. 2 2- 5-2023 n. 11371 Rv. 667761-02 e, con riguardo alle informazioni sulla classe energetica dell’immobile, Cass. Sez. 2 9-8-2022 n. 24534 Rv. 665394-01).
- Sono infondati il primo e il secondo motivo, esaminati unitariamente stante la stretta connessione. In linea generale, è stato enunciato al principio che al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 cod. civ., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato (Cass. Sez. 6-2 5-10- 2022 n. 28879 Rv. 665970-01, Cass. Sez. 2 19-11-2019 n. 30083 Rv. 656202-01). Quindi nella fattispecie la circostanza che il contratto preliminare fosse stato concluso e che le promittenti venditrici abbiano agito per ottenere l’accertamento della legittimità del loro diritto di recesso e del loro diritto di ottenere il doppio della caparra per l’inadempimento della promittente venditrice non era elemento che in sé escludesse il diritto del mediatore alla provvigione. Però, il diritto del mediatore a trattenere la provvigione è stato escluso dalla sentenza impugnata non per il fatto che non fosse stato concluso un contratto che, in quanto tale, giustificasse il riconoscimento della provvigione; il diritto è stato escluso per il fatto che la mancata conclusione del contratto definitivo, e perciò il mancato buon fine dell’affare avente a oggetto l’acquisto della proprietà dell’immobile da parte delle promissarie acquirenti, è stato causato anche dell’inadempimento del mediatore al suo obbligo di informazione. La pronuncia si sottrae alle critiche del ricorrente in quanto, a fronte di deficit informativo tale che alla stipulazione del contratto preliminare non è conseguito il contratto definitivo, legittimamente la sentenza impugnata ha ritenuto la provvigione esborso eseguito inutilmente e del quale perciò spettava alle promissarie acquirenti la restituzione. Né rileva, diversamente da quanto sostenuto ricorrente, la circostanza che le promissarie acquirenti avessero ottenuto, a titolo risarcitorio, il riconoscimento del loro diritto a ottenere il doppio della caparra da parte della promittente venditrice. Si tratta di responsabilità relative a due diversi rapporti, quello nascente dalla promessa di vendita con la promittente venditrice e quello di mediazione con il mediatore; quindi la responsabilità della promittente venditrice non poteva comportare in sé il venire meno dell’inadempimento del mediatore e non poteva incidere sul dirittodelle promissarie acquirenti a fare valere tale inadempimento, quanto meno al fine di escludere il diritto del mediatore alla provvigione, come effettivamente riconosciuto dalla sentenza impugnata (in tal senso, Cass. Sez. 2 14- 2-1996 n. 1102 Rv. 495824-01 e Cass. Sez. 3 8-5-2012 n. 6926 Rv. 622816-01). Poiché la sentenza impugnata ha riconosciuto alle promissarie acquirenti soltanto il diritto a ottenere la restituzione dal mediatore della provvigione che gli avevano pagato, non hanno fondamento le deduzioni riferite al fatto che esse avevano già ottenuto il risarcimento del danno dalla promittente venditrice attraverso il riconoscimento del doppio della caparra: l’esborso riferito all’importo della provvigione,in quanto avvenuto nell’ambito del rapporto di mediazione, non aveva alcuna attinenza con i danni riferiti all’inadempimento al contratto preliminare da parte della promittente venditrice.
- Infine, devono essere esaminati unitariamente, in quanto relativi alle medesime questioni, il quarto, quinto e sesto motivo, che sono fondati nei limiti di seguito esposti. In primo luogo, si deve escludere nella sentenza impugnata qualsiasi nullità determinata da contrasto tra motivazione e dispositivo o da una qualche incomprensibilità della pronuncia. La sentenza è chiara e inequivocabile, sia nel dispositivo che nella motivazione, nel riconoscere alle promissarie acquirenti soltanto la restituzione dell’importoche il mediatore aveva percepito a titolo di provvigione. In tal senso è evidente il contenuto della motivazione (pag. 6), laddove dichiara che va affermata la responsabilità del mediatore e lo stesso deve essere condannato alla somma “percepita a titolo di provvigione” e laddove di seguito dichiara che non vi è prova del danno e della sua entità, che era stato richiesto nell’importo di Euro 2.000,00 senza ulteriori specificazioni, aggiungendo che il danno non può configurarsi in re ipsa. Invece, la sentenza è evidentemente erronea laddove ha determinato l’importo della provvigione da restituire in Euro 7.220,00, perché la sentenza medesima ha dato atto (pag. 3) che le attrici avevano chiesto la condanna del convenuto al pagamento dell’importocomplessivo di Euro 7.220,00, di cui Euro 4.500,00 a titolo di restituzione del compenso. Si esclude, diversamente da quanto prospettato dalle controricorrenti, che si verta in ipotesi di mero errore materiale, perché il riconoscimento di una somma diversa da quella richiesta in riferimento alla provvigione si è riverberato anche nell’errore di giudizio, specificamente dedotto dal ricorrente, riferito alla liquidazione delle spese di lite. Infatti la sentenza ha dichiarato di determinare i compensi secondo i valori minimi di cui al D.M. 55/2014 (testualmente “considerati l’impegno non elevato richiesto dalla controversia, l’assenzadi una fase istruttoria e la decisione ex art. 282-sexies c.p.c.”) e poi, in dispositivo, ha liquidato per l’intero i compensi per il primo grado in Euro 2.738,00 e per il secondo grado in Euro 3.777,00. In questo modo la sentenza -sulla base dell’erroneo presupposto che il valore di riferimento ex art. 5 D.M. 55/2014 della domanda accolta (cfr. Cass. Sez. 3 7-11- 2023 n. 30999 Rv. 669456-01, per tutte) fosse quello di Euro 7.220,00- ha applicato i valori del relativo scaglione e non dello scaglione da Euro 1.101,00 a Euro 5.200,00, riferito al valore della domanda in realtà da accogliere. Quindi, in parziale accoglimento dei motivi di ricorso quarto, quinto e sesto, è cassata la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della somma riconosciuta alle promissarie acquirenti e alla relativa determinazione dei compensi di primo e di secondo grado. Poiché non sono necessari altri accertamenti in fatto, ex art. 384 co.2 cod. proc. civ. la causa è decisa nel merito, quantificando in Euro 4.500,00 l’importo che l’agente deve restituire alle promissarie acquirenti e determinandonei minimi del relativo scaglione i compensi di primo grado e di secondo grado; perciò, applicando i parametri vigenti nel momento in cui avviene la presente liquidazione (Cass. Sez. L 10-12-2018 n. 31884 Rv. 651920-01, per tutte), per il primo grado i compensi sono quantificati per l’intero in Euro 1.278,00 e per il secondo grado in Euro 1.458,00; ferme le ulteriori statuizioni della sentenza impugnata sulla quantificazione delle spese, sulla parziale compensazione e sulla distrazione, non oggetto di impugnazione.
- In ragione del parziale accoglimento del ricorso, si configura parziale reciproca soccombenza, che giustifica la compensazione per la quota di un terzo delle spese del giudizio di cassazione e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese a favore delle controricorrenti per i residui due terzi.