Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24 febbraio 2025 n.4371
PRINCIPIO DI DIRITTO
Se pure deve ritenersi che la titolarità della pretesa allo scrutinio dell'(in)efficienza complessiva dell’amministrazione non possa essere riconosciuta in capo al quivis de populo, ma debba comunque in qualche modo differenziarsi in forza di un collegamento fra il soggetto che agisce in giudizio e l’oggetto dell’azione di classe […] la posizione giuridica legittimante è costituita da un “interesse diffuso” comune al gruppo di utenti di una determinata attività amministrativa.
[Tale rimedio] è preordinato non tanto a superare l’inerzia dell’amministrazione rispetto alla singola pratica, quanto piuttosto ad accertare (e a correggere) eventuali disfunzioni strutturali nell’organizzazione relativa alla complessiva gestione di un’attività amministrativa.
Tale conclusione è del resto coerente all’inquadramento dell’azione di classe come rivolta non all’atto ma all’attività, prescindendo da uno scrutinio di validità o meno dei singoli provvedimenti, nell’ottica di una valutazione del complessivo risultato organizzativo accertato.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- Con sentenza n. 4621/2023 il T.A.R. del Lazio, sede di Roma, ha respinto il ricorso proposto da alcuni cittadini e associazioni, ai sensi del d. lgs. 20 dicembre 2009, n. 189, al fine di accertare il disservizio nei procedimenti di emersione dal lavoro irregolare ex art. 103 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 in relazione al bacino di utenza relativo alla Prefettura di Roma.
- […] in ordine alle questioni di rito, deve essere esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dalle amministrazioni appellate.
2.1. L’eccezione non concerne la legittimazione ad appellare la sentenza gravata, ma si riferisce all’azione in quanto tale.
Come accennato, tale eccezione era stata sollevata anche in primo grado, ma su di essa il primo giudice non si è pronunciato, avendo respinto il ricorso nel merito, ed avendo comunque rilevato “che dette eccezioni riguardano solo alcuni dei ricorrenti e comunque non esimono il Tribunale dallo scrutinio del merito del ricorso”.
- Nel merito l’eccezione, ad avviso del Collegio, è infondata.
La disciplina della legittimazione ad agire è contenuta nell’art. 1, comma 1, del d. lgs. n. 198/2009, che individua i soggetti legittimati nei “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori”, che assumano di subìre una “lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché dalla mancata attuazione o violazione dei livelli di qualità dei servizi essenziali per l’inclusione sociale e l’accessibilità delle persone con disabilità contenuti nelle carte dei servizi oppure degli obblighi previsti dalla normativa vigente in materia”.
In argomento questa Sezione si è già espressa, su identica eccezione (ed identici argomenti), con la sentenza n. 7704/2024, che il Collegio condivide e alla quale si riporta nell’indicazione delle ragioni dell’infondatezza.
Tale posizione giurisprudenziale è del resto conforme all’autorevole insegnamento secondo cui quella prevista dal d.lgs. n. 198/2009 sarebbe un’azione “a legittimazione diffusa”, nel contesto del “processo storico di emersione degli interessi legittimi” che vede “ampliarsi la sfera di posizioni soggettive nei confronti della pubblica amministrazione riconosciutegli dall’ordinamento”.
Del resto anche la precedente giurisprudenza aveva ritenuto che la posizione giuridica legittimante è costituita da un “interesse diffuso” comune al gruppo di utenti di una determinata attività amministrativa (Cons. St., sez. V, 22 maggio 2023, n. 5031 e anche Cass. sez. un., 30 settembre 2015, n. 19453). In tal senso si determina, ex art. 1, comma 4, (in forza del riferimento alle finalità, ed agli interessi degli associati), anche la legittimazione delle associazioni o dei comitati (Cons. St., sez. V, 22 maggio 2023, n. 5031).
Costituiscono del resto una conferma dell’ampiezza che il legislatore ha voluto configurare in punto di legittimazione (recte: di partecipazione al giudizio), in relazione alla ridetta natura collettiva del rimedio, le norme di favor tese a consentire l’intervento in giudizio (art. 1, commi 2 e 3, del d. lgs. n. 198/2009).
Se pure deve ritenersi che la titolarità della pretesa allo scrutinio dell'(in)efficienza complessiva dell’amministrazione non possa essere riconosciuta in capo al quivis de populo, ma debba comunque in qualche modo differenziarsi in forza di un collegamento fra il soggetto che agisce in giudizio e l’oggetto dell’azione di classe, nel caso di specie un simile collegamento risulta positivamente riscontrato in relazione all’oggetto del giudizio, non rilevando in contrario le ragioni addotte a sostegno dell’eccezione in esame, in quanto – come meglio si dirà – estranee ai tratti caratterizzanti la disciplina e la funzione dello strumento processuale azionato dai ricorrenti.
Invero gli argomenti con cui la difesa erariale, specie in relazione ai ricorrenti persone fisiche, sostiene l’eccezione in esame, implicano sul piano logico che la posizione azionata sia di interesse legittimo (sono concettualmente propri di una tale impostazione): così però propriamente non è (non lo è quanto meno nel senso della limitazione dell’accesso al ricorso), proprio in ragione di quanto sopra chiarito.
- Inoltre l’eccezione in parola è argomentata con l’affermazione della “mancanza del requisito – indefettibile ex lege – di un interesse concreto ad attuale in capo ai ricorrenti persone fisiche, visto che già da tempo, tutte le 45 istanze segnalate nel ricorso presentato per l’efficienza della pubblica amministrazione ai sensi degli artt. 1 e 3, d.lgs. n. 198/2009 risultano definite”.
Una simile impostazione – come si dirà anche a proposito dell’esame del merito della pretesa – poggia su di una inesatta percezione del contenuto del rimedio: il quale è preordinato non tanto a superare l’inerzia dell’amministrazione rispetto alla singola pratica, quanto piuttosto ad accertare (e a correggere) eventuali disfunzioni strutturali nell’organizzazione relativa alla complessiva gestione di un’attività amministrativa.
Ne consegue l’irrilevanza del riferimento al fatto che le istanze dei ricorrenti siano poi state evase nel corso del giudizio.
- Per quanto riguarda invece le associazioni ricorrenti, l’eccezione in parola è argomentata in relazione al fatto che mancherebbe “(anche per loro, sebbene per altri motivi) il requisito dell’attualità e della concretezza dell’interesse”.
Anche per questa parte l’eccezione è viziata dal medesimo profilo di erroneità del presupposto interpretativo sopra rilevato.
Nel ricorso in appello si afferma che le associazioni ricorrenti “vantano un interesse attuale e concreto all’immediato ripristino del corretto funzionamento della PA, essendo tutte e sei portatrici di interesse diffuso nella specifica materia sottesa alla regolarizzazione”.
La difesa erariale non contesta tale elemento, vale a dire la connessione fra finalità statutarie e oggetto del giudizio, ma deduce che “la procedura di emersione, da ultimo finalizzata al rilascio di un permesso di soggiorno individuale, non può in alcun modo riguardare interessi di natura diffusa, ma involge esclusivamente il singolo richiedente: perdipiù, lungi dal voler tutelare un interesse diffuso di cui sarebbe titolare la collettività indifferenziata dei lavoratori stranieri, le associazioni de quibus agirebbero in giudizio in luogo del singolo soggetto richiedente il beneficio di emersione, il quale però manca di qualsivoglia interesse visto che, come ampiamente evidenziato, la sua posizione è già stata definita in toto”.
Sfugge, ancora una volta, a tale prospettazione che oggetto del presente giudizio non è il rispetto del termine di conclusione del singolo procedimento, ma l’attività di macro-organizzazione di un intero settore di attività amministrativa rispetto al quale il singolo esito procedimentale è del tutto irrilevante, in quanto tale, ai fini della legittimazione ad agire.
Non essendo contestato che il settore di attività delle associazioni appellanti ha una connessione funzionale con la regolarizzazione dei cittadini stranieri, l’eccezione è pertanto infondata anche in relazione a questo profilo.
- Venendo all’esame del merito del gravame, occorre preliminarmente delimitare i contorni strutturali e soprattutto funzionali del rimedio azionato.
In tal senso giova anzitutto richiamare quanto affermato nella citata ordinanza collegiale istruttoria n. 8242/2024, nel senso che “il rimedio in esame tende ad accertare non già l’esistenza di un atto adempitivo in quanto tale, ma l’efficienza e l’efficacia delle misure organizzative adottate dall’amministrazione in relazione ad un determinato settore di attività”.
Tale conclusione è del resto coerente all’inquadramento dell’azione di classe come rivolta non all’atto ma all’attività, prescindendo da uno scrutinio di validità o meno dei singoli provvedimenti, nell’ottica di una valutazione del complessivo risultato organizzativo accertato.
Attraverso la disciplina del rimedio in esame la categoria della illegittimità, intesa come contrarietà al disegno normativo, si configura pertanto non soltanto nell’ipotesi di positiva adozione di un provvedimento il cui contenuto contrasta con il paradigma normativo, ma anche nella fattispecie di non episodica od occasionale ineffettività del risultato voluto dalla norma, conseguente alla mancata adozione delle misure organizzative necessarie per garantirne l’attuazione.
La norma sanziona così scelte allocative di risorse che risultino disfunzionali (in quanto privilegiano attività ed obiettivi diversi o ulteriori), che determinano una sostanziale frustrazione o negazione dell’interesse pubblico primario indicato normativamente come tale, e che risultano pertanto lesivi di tale interesse (e dei correlati interessi legittimi) in modo non dissimile da quanto accade in ipotesi di adozione di un provvedimento illegittimo.
In tal modo la dimensione dell’ineffettività (dovuta ad inefficienza) è fatta transitare dal legislatore nel perimetro dell’illegittimità amministrativa: sia pure – anche in ragione dell’oggetto, collettivo e non individuale, della domanda e del connesso accertamento – con effetti non caducatori ma unicamente correttivi (in funzione del recupero di effettività dell’azione amministrativa).
Tale conclusione risulta da una disciplina che, in una fattispecie quale quella dedotta nel presente giudizio, implica quali presupposti per l’accoglimento della domanda: – l’accertamento della violazione dei termini (art. 1, comma 1); – la valutazione dello sforzo esigibile in relazione alle “risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione delle parti intimate”. Il contenuto della sentenza è in parte di accertamento, e in parte di condanna (“ordinando alla pubblica amministrazione o al concessionario di porvi rimedio entro un congruo termine, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”: art. 4, comma 1), senza che all’accoglimento della domanda possano correlarsi pretese risarcitorie (art. 1, comma 6); peraltro in caso di accoglimento l’amministrazione deve individuare “i soggetti che hanno concorso a cagionare le situazioni di cui all’articolo 1, comma 1, e adotta i conseguenti provvedimenti di propria competenza” (art. 4, comma 5).
Il giudizio è poi chiaramente distinto da quello sul silenzio-inadempimento, stante “la diversa finalizzazione dell’azione (collettiva) de qua alla correzione di una situazione patologica afferente alla “funzione” (e, quindi, alla pluralità dei procedimenti amministrativi di cui essa costituisce espressione) rispetto all’azione (individuale) di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., avente ad oggetto una specifica inerzia procedimentale” (Cons. St., sez. III, n. 7704/2024).
7.3 […] Nel caso di specie, l’inefficienza (sistematica) è incontestata, e comunque risulta dai dati acquisiti; le difese dell’amministrazione allegano elementi ordinari di difficoltà gestionale, quali scorrimenti di graduatorie ecc., che per la suddetta ragione risultano non pertinenti al thema decidendum, e che in ogni caso, quand’anche – superando la tipizzazione normativa – fossero considerati sul piano causale quali ipotetici fattori di inesigibilità del risultato di efficienza, andrebbero comunque considerati come meramente concorrenti rispetto al fattore determinante costituito dal descritto modus operandi procedimentale (connesso più a scelte amministrative in quanto tali che a profili organizzativi di scienza dell’amministrazione).
- Date le superiori premesse, e considerato che la (sistematica e non isolata) violazione dei termini procedimentali (in relazione all’Ufficio e all’arco temporale considerato) non è stata contestata dall’amministrazione (che ha addotto tuttavia l’esistenza di pretesi fattori – della cui rilevanza si è detto – che avrebbero reso inesigibile il rispetto di tali termini), e che è comunque risultata dagli accertamenti istruttori svolti, la domanda risulta fondata in base alla chiara ricostruzione che la Sezione ha fatto – in materia analoga (procedimenti relativi alla cittadinanza – con la sentenza n. 1390/2019, più volte invocata nella motivazione della stessa sentenza del TAR a supporto della pronuncia di rigetto).
Secondo tale ricostruzione l’azione “è diretta a presidiare non solo la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo oggettivo ma, come emerge chiaramente dalla costruzione letterale della norma (‘violazione di termini’), a porre rimedio a tutte le violazioni dell’obbligo di provvedere nei tempi previsti dall’art. 2 della L. n. 241/1990 e s.m.i.; – è esperibile per tutte le tipologie di procedimenti amministrativi ‘Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione’ e, come dimostra il riferimento agli organi ‘competenti a esercitare le funzioni’, senza alcuna specifica esclusione che non siano quelle espressamente considerate dalla disposizione di legge stessa (come del resto ricordato dagli appellanti incidentale con il giusto riferimento alla relazione alla legge delega).
In sostanza l’azione prevista dall’art. 1, comma 1 del d. lgs. n. 198/2009 è finalizzata al mantenimento dell’ordinaria efficienza delle pubbliche amministrazioni e, tra le varie ipotesi previste, concerne specificamente anche tutte le violazioni dei termini procedimentali stabiliti che provochino una lesione diretta, concreta ed attuale ad una pluralità di soggetti.
In sostanza si deve trattare di disfunzioni che, come tali, non siano però il frutto della ignavia manifestata nel caso singolo — contro la quale è sempre azionabile la tutela sul silenzio di cui all’art. 31 del c.p.a. — ma dipendono da disfunzioni sistematiche dell’azione amministrativa.
[…]Ne deriva, pertanto, in accoglimento dei motivi di appello, la riforma della sentenza gravata nel senso dell’accoglimento del ricorso di primo grado.
La peculiarità della fattispecie, che ha tra l’altro richiesto i ricordati adempimenti istruttori, giustifica la compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.