Corte di Cassazione, V Sez. Penale, 10 aprile 2025, n. 14204
PRINCIPIO DI DIRITTO
“Nella tematica dei reati di diffamazione commessi tramite rete telematica, si è dunque formata la giurisprudenza di legittimità che ha stabilito come, al fine di radicare la competenza per territorio, debba aversi riguardo al luogo in cui è avvenuto il caricamento del dato informatico che contiene l’espressione diffamatoria – ove ciò sia stato accertato – perché tale segmento comportamentale individua l’ultimo luogo conoscibile in cui è avvenuta una parte dell’azione che incorpora uno degli elementi costitutivi della fattispecie; ove impraticabile tale accertamento processuale, si deve ricorrere, in via gradata, al luogo di residenza, domicilio o dimora dell’imputato, in attuazione della regola suppletiva di cui all’art. 9 comma 2 cod. proc. pen.”.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
Il ricorso, in parte inammissibile, è nel complesso infondato.
- Il primo motivo è in parte generico e, comunque, privo di pregio, per diversi ordini di ragioni.
1.1. La giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di locus commissi delicti del delitto di diffamazione, afferma da tempo che si tratti di reato di evento, che si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi – almeno due – percepiscono la espressione ingiuriosa (sez. 5, 27/12/2000 n° 4741, P.M. contro ignoti, Rv. 217745; sez. 2, n. 36721 del 21/02/2008, Buraschi, Rv. 242085; cfr. anche sez. 1, ord. n. 1524 del 15/05/1979, Mitolo, Rv. 142489; sez. 5, n. 495 del 17/03/1969, Fiore, Rv. 111696) e, più precisamente, che si perfeziona al momento e nel luogo in cui un secondo soggetto – diverso, naturalmente, dal soggetto passivo del reato – ne apprenda i contenuti.
Perché sussista diffamazione la persona offesa non deve essere contestualmente presente, fisicamente o “virtualmente” in base alle moderne tecnologie, al momento della condotta dell’offensore e della ricezione della notizia da parte di almeno due altre persone; non rileva, dunque – e rimane integrato il reato di diffamazione – che il destinatario della propalazione lesiva della reputazione sia aliunde ed altrimenti giunto a conoscenza diretta della comunicazione in suo danno (sez. 3, n. 17563 del 23/03/2023, Amurri, Rv. 284592).
1.2. Nel caso di reato commesso a mezzo stampa telematica, come nella specie, non può poi essere utilizzato il tradizionale criterio interpretativo in tema di stampa cartacea, a sua volta di formazione giurisprudenziale, secondo il quale il locus commissi delicti corrisponde al luogo nel quale si verifica la prima divulgazione del giornale, che normalmente, corrisponde a quello di stampa ovvero al luogo in cui è situata la tipografia; e secondo il quale, di conseguenza, la competenza viene individuata “nel luogo di prima diffusione dello stampato”, il quale di regola coincide appunto con quello della stampa, nella ragionevole presunzione che, una volta fuoriuscito lo stampato dalla tipografia, si realizzi l’immediata possibilità della sua lettura da parte di altre persone e, quindi, si perfezioni la diffusione potenziale dello stesso.
1.3. Trattandosi invero della immissione della notizia in uno spazio Web, la comunicazione deve ritenersi indirizzata a tutti i possibili visitatori del sito, ma l’introduzione nella Rete del messaggio non consolida l’evento di offesa alla reputazione, che si concretizza quando i visitatori entrano nel sito e prendono visione del contenuto della comunicazione.
Nel caso di offesa arrecata tramite Internet, la condotta, cioè l’introduzione nello spazio Web del messaggio dal contenuto illecito, è in altre parole distinta dall’evento, integrato dalla apprensione del messaggio da parte di terzi. E in certa misura anche la giurisprudenza civile (Cass., sez. Un., 13 ottobre 2009, n. 21661), in tema di responsabilità extracontrattuale ex artt. 2043 e 2059 cod. civ., si è collocata sulla medesima direttrice ermeneutica, precisando, in primo luogo, come non rilevi tanto «la semplice allocazione della notizia o del giudizio sui server», quanto piuttosto che la notizia divenga patrimonio dei destinatari; e, in secondo luogo, «ravvisando la necessità di identificare un unico luogo certo nel quale si verifichi il pregiudizio effettivo».
Tale obbiettivo può essere raggiunto, secondo tale impostazione, con l’individuazione del luogo di interesse nel domicilio del danneggiato «al momento della diffusione della notizia o del giudizio lesivi, perché la lesione della reputazione e degli altri beni della persona è correlata all’ambiente economico e sociale nel quale la persona vive e opera e costruisce la sua immagine, e quindi “svolge la sua personalità”».
1.4. Detto ciò, al lume della corrente di pensiero, consegue che il luogo nel quale si è verificato l’evento del reato in scrutinio andrebbe identificato con quello nel quale almeno due visitatori abbiano letto la notizia offensiva (e non si siano, cioè, meramente collegati al sito di riferimento, perché il reato si realizza con l’effettività dell’apprensione della notizia), e tuttavia è intuitivo che ciò, nel mondo virtuale di ampiezza planetaria, sia nella stragrande maggioranza dei casi di complicato, se non impossibile accertamento.
In un contesto, insomma, di problematica utilizzabilità di indicatori oggettivi certi che guidino l’accertamento del luogo di consumazione, nella tematica dei reati di diffamazione commessi tramite rete telematica, si è dunque formata la giurisprudenza di legittimità che ha stabilito come, al fine di radicare la competenza per territorio, debba aversi riguardo al luogo in cui è avvenuto il caricamento del dato informatico che contiene l’espressione diffamatoria – ove ciò sia stato accertato – perché tale segmento comportamentale individua l’ultimo luogo conoscibile in cui è avvenuta una parte dell’azione che incorpora uno degli elementi costitutivi della fattispecie; ove impraticabile tale accertamento processuale, si deve ricorrere, in via gradata, al luogo di residenza, domicilio o dimora dell’imputato, in attuazione della regola suppletiva di cui all’art. 9 comma 2 cod. proc. pen. (sez.5, n. 31677 del 19/05/2015, Vulpio, Rv. 264521; sez. 1, n. 16307 del 15/03/2011, confl. comp. in proc. Pulina, Rv. 249974; sez.1, n. 2739 del 21/12/2010, confl. comp. in proc. Gennari, Rv. 249179).
1.5. La selezione dell’atto di upload è stata ritenuta preferibile al parametro dell’ubicazione del server, ovvero dell’elaboratore elettronico di conservazione dei dati informatici, in armonia con il principio esegetico stabilito, sia pure in tema di momento e luogo di consumazione del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 17325 del 26/03/2015, Rocco, Rv. 263020, secondo cui, ai fini della individuazione della competenza per territorio in caso di realizzazione di tale delitto, deve aversi riguardo – ove verificabile – al luogo in cui il soggetto usurpatore si introduca o si mantenga nel sistema informatico con l’utilizzazione della relativa chiave di accesso; ove il luogo della connessione non sia puntualmente collocabile, e di conseguenza non possa trovare applicazione la norma cardine sulla competenza di cui all’art. 8 cod. proc. pen., si deve avere riguardo ai criteri suppletivi sanciti dall’art. 9.
Ad analoghi principi interpretativi si è sostanzialmente ispirata la recente pronuncia di sez. 5. n. 43638 del 06/09/2023, Agnelli e altri, Rv. 285306, che ha affrontato ex art. 24 bis cod. proc. pen. una questione di rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio in tema di delitto di aggiotaggio che, a differenza della diffamazione, è fattispecie di pericolo concreto che si perfeziona al momento e nel luogo della messa a disposizione al pubblico dell’informazione alterata; è stata in linea generale ribadita la centralità, ai fini del radicamento della competenza per territorio per la tipologia di reato, del criterio dell’individuazione del luogo del caricamento del dato informatico, perché il caricamento segna la potenziale diffusione al pubblico dell’informazione di mercato; esso, tuttavia, è stato ritenuto, nel caso specifico, recessivo in quanto la decriptazione del dato è avvenuta solo all’atto della successiva veicolazione nel server di sistema, frammento del processo informatico a cui è stata ancorata la concreta fruibilità dell’informazione da parte della generalità dei destinatari e, dunque, identificativo dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione, ai sensi dell’art. 9 comma 1 cod. proc. pen..
Orbene, ripercorso in sintesi il panorama degli approdi giurisprudenziali pertinenti agli argomenti oggetto d’interesse, la ragione di ricorso si rivela, per un verso, formulata sulla scorta di rilievi inconferenti, perché i reati contestati in continuazione – in presenza della sola circostanza aggravante di cui al comma 3 dell’art. 595 cod. pen. – debbono ritenersi di pari gravità, a norma dell’art. 16 del codice di rito e, in presenza di reati di pari gravità, la competenza per territorio appartiene al giudice competente per il primo reato, che non si è consumato il 22 luglio 2017 come pure sostenuto, in modo poco perspicuo, dal ricorrente; per altro verso, puramente esplorativa e comunque infondata, perché la sentenza impugnata (pag.8), in sintonia con quanto apprezzato dal primo giudice, ha rilevato che il sito dell’upload del “file” contenente le dichiarazioni offensive dell’altrui reputazione è rimasto ignoto, con pedissequa e rituale applicazione del criterio suppletivo di individuazione della competenza per territorio, di cui all’art. 9 comma 2 cod. proc. pen.; le obiezioni dell’atto di impugnazione non oppongono puntuale confutazione all’enunciato e si limitano a lamentare che il luogo del “caricamento del dato informativo” sarebbe stato “facilmente individuabile”, senza tuttavia fornire alcuna allegazione del luogo fisico in cui si sarebbe allocato il trasferimento del flusso informatico la cui diffusione, tramite le “testate giornalistiche telematiche” tra cui quella del “(OMISSIS)”, ha successivamente prodotto e mantenuto l’effetto dell’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
E ciò tanto più che la sentenza di primo grado (pag. 3) ha sottolineato che il video, di contenuto diffamatorio, diramato il 19 luglio 2017, è stato nella medesima data veicolato su diverse piattaforme telematiche, come Facebook, You Tube e il sito web del quotidiano “(OMISSIS)”.
Correttamente, pertanto, nell’impossibilità di stabilire il luogo di perfezionamento del reato e di applicazione della prima regola suppletiva, attributiva della competenza con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione (art. 9 comma 1 cod. proc. pen.), è stata cristallizzata la competenza per territorio nel circondario del Tribunale di Enna, nel cui ambito è incluso il Comune di (OMISSIS), ove il ricorrente, che non lo ha contestato, era residente all’epoca dei fatti, in attuazione del parametro suppletivo immediatamente successivo, di cui all’art. 9 comma 2 cod. proc. pen..
- Il secondo motivo è infondato.
2.1. La sentenza impugnata ha esaminato nello specifico, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, così verificando se ed in quale misura le pregresse condotte criminose siano indicative di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice” (Sez. 3, Sentenza n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419; in motivazione, sez. U n. 32318 del 30/0/2023, Sabbatini; in motivazione, sez. U n. 20808 del 25/10/2018, Schettino; sez. U n. 5859 del 27/10/2011, Marcianò, Rv. 251690); nel caso di specie, la Corte di merito ha rimarcato, sia pure con motivazione sintetica, la pluralità dei precedenti penali specifici e, soprattutto, la loro contiguità temporale, continuità ed assonanza rispetto alla vicenda oggetto di scrutinio, razionalmente giudicata come “manifestazione di maggiore pericolosità sociale”.
2.2. D’altro canto, è ius receptum che la valorizzazione, da parte del giudice, dei precedenti penali dell’imputato ai fini del riconoscimento della recidiva, è compatibile con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attesa la autonomia e indipendenza dei giudizi riguardanti i due istituti (sez. 4, n. 14647 del 07/04/2021, Gallo, Rv. 281018), ed in particolar modo così deve ritenersi quando la concessione delle attenuanti innominate non investa il profilo personologico dell’imputato, che pertiene all’istituto della recidiva, ma interessi connotati della condotta oggettivamente tenuta nel caso concreto, ritenuti meritevoli di considerazione ai fini di un affievolimento del singolo rimprovero e del relativo trattamento sanzionatorio.
- Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di reiezione del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
- L’imputato deve essere infine condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, il cui difensore ha depositato conclusioni e nota spese, attraverso le quali ha contrastato la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi (cfr. Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 e Sez. U n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino); spese che, tenuto conto della natura del processo e dell’opera prestata, si liquidano in euro 3600, oltre accessori di legge.