Cassazione civile, sez. II, ordinanza 20 marzo 2025, n. 7449
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va determinato il valore dei titoli di Stato, caduti in successione, in base al combinato disposto degli art. 556 e 750 ultimo comma cod. civ.. L’operazione deve essere compiuta in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell’apertura della successione, ove si tratti di titoli non ancora scaduti a quella data.
Altrimenti, ove questi abbiano avuto una scadenza anteriore all’apertura della successione, occorre aver riguardo al loro valore alla scadenza, allorché essi si trasformano in denaro e vengono assoggettati al principio nominalistico valevole per le obbligazioni corrispondenti.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 556 e 750 cod. civ. La Corte territoriale nel compiere la riunione fittizia per stabilire la quota disponibile e quella riservata a A.A., pari a 6/27, avrebbe erroneamente determinato il valore dei titoli di Stato oggetto di donazione da parte del de cuius in favore del figlio B.B. in data 15.11.1991 e 16.10.1992, facendo riferimento a tale valore alle date delle donazioni, anziché al momento dell’apertura della successione di G.G. (16.1.2005).
In base al combinato disposto degli articoli 556 e 750 ultimo comma cod. civ. la determinazione del valore dei titoli di Stato si sarebbe dovuta compiere, secondo la ricorrente, in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell’apertura della successione.
Peraltro, secondo la ricorrente, poiché tra le due donazioni e la morte del de cuius era intercorso un ampio arco temporale, sarebbe stato necessario espletare per la valutazione di tali donazioni una consulenza tecnica d’ufficio, come la stessa aveva espressamente richiesto sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado.
Il primo motivo è fondato e merita accoglimento, in quanto in base all’art. 556 cod. civ. per determinare la quota di cui il defunto poteva disporre e quindi quella riservata al legittimario, nell’ambito della riunione fittizia, occorre avere riguardo al valore dei beni relitti all’apertura della successione al netto dei debiti del de cuius (nella specie inesistenti) e sommarvi i beni donati in vita secondo il loro valore, che va determinato in base alle regole dettate negli articoli da 747 a 750 cod. civ.
Quando oggetto di donazione siano stati, come nella specie, dei titoli di Stato, occorre fare riferimento ai sensi dell’art. 750 ultimo comma cod. civ. al prezzo corrente stabilito nei listini di borsa e nelle mercuriali del tempo dell’apertura della successione, ove si tratti di titoli di Stato non ancora scaduti a quella data.
Altrimenti, ove questi abbiano avuto una scadenza anteriore all’apertura della successione, occorre aver riguardo al loro valore alla scadenza, allorché essi si trasformano in denaro e vengono assoggettati al principio nominalistico valevole per le obbligazioni corrispondenti. La Corte d’Appello, fuorviata dal fatto che le parti avevano fatto riferimento concordemente al valore delle due donazioni dei titoli di Stato del 15.11.1991 e del 16.10.1992 di Euro 234.203,42, calcolato però al momento delle donazioni, largamente anteriore alla data dell’apertura della successione di G.G. (16.1.2005), si è basata, nell’effettuare la riunione fittizia, su quel valorea.
Ma la posizione assunta dalle parti non poteva consentire di violare i criteri legali di stima dei beni donati, tanto più che A.A. aveva comunque chiesto di accertare la lesione della sua quota riservata per effetto delle molteplici donazioni dirette, indirette e dissimulate effettuate in favore del fratello B.B. e dei nipoti Omissis, figli della sorella premorta F.F., e la sua reintegrazione nella legittima, per importi assai rilevanti, sicché non si poneva un problema di limiti tra il chiesto ed il pronunciato.
2) Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. La Corte d’Appello non avrebbe motivato, o l’avrebbe fatto in modo carente, in ordine al rigetto dell’istanza istruttoria di ammissione della CTU richiesta dall’attrice nell’atto di citazione, reiterata con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c., e riproposta innanzi al Giudice di seconde cure, per la determinazione dell’esatta consistenza del patrimonio relitto del de cuius al momento del decesso, costituito dal 50% dell’appartamento di Milano, via Omissis, con annesso vano autorimessa, e dal 50% della villa di Fregene, e degli altri beni immobili asseritamente riconducibili al defunto, nonché del valore delle quote societarie asseritamente facenti capo al defunto e dei titoli di Stato donati a B.B.
Anzitutto non è configurabile alcuna violazione dell’art. 2697 cod. civ., quando, come nella specie, non si lamenti che l’impugnata sentenza abbia posto l’onere della prova a carico di una parte anziché di un’altra (vedi in tal senso ex multis Cass. 15.10.2024 n. 26739 ; Cass. ord. 23.10.2018 n. 26769 ), non essendovi dubbio sul fatto che proprio su A.A., che aveva esercitato l’azione di riduzione per lesione di legittima, incombeva l’onere di dimostrare la consistenza del relictum (nella specie non sono stati accertati debiti) e del donatum, per consentire il calcolo della quota disponibile e di quella a lei riservata, asseritamente lesa.
Quanto al vizio di motivazione, che peraltro andava censurato in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. ed all’art. 132 n. 4) c.p.c., premesso che dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è più censurabile la motivazione insufficiente, ma solo quella mancante, meramente apparente, o connotata da una contraddittorietà ed illogicità irresolubile di tale gravità da non consentire di comprendere le ragioni della decisione, nella specie, relativamente alla stima dei titoli di Stato donati dal defunto a B.B., il secondo motivo deve ritenersi assorbito a seguito dell’accoglimento del primo motivo.
L’impugnata sentenza non si è invece pronunciata sull’istanza di CTU relativa alla ricostruzione del patrimonio per quanto concerneva i beni immobili costituenti il relictum (50% dell’appartamento di Milano via Omissis con annesso vano autorimessa e 50% della villa di Fregene) e già riportati nella denuncia di successione presentata da A.A., in quanto ha ritenuto valida la stima alla data dell’apertura della successione di Euro 974.764,50 che ne aveva fatto il tecnico incaricato da A.A., che peraltro aveva solo chiesto di confermarla tramite CTU, posto che i coeredi medesimi non avevano sollevato sul punto contestazioni, ed in questo caso non c’è stata violazione della normativa che imponeva di fare riferimento al valore dei beni relitti alla data dell’apertura della successione.
Quanto alla CTU richiesta al fine di individuare le società asseritamente facenti capo al defunto, o costituite con i suoi fondi, ed ai loro beni immobili, l’impugnata sentenza l’ha correttamente respinta, a pagina 16, in quanto esplorativa e volta a supplire all’onere probatorio non assolto da A.A., ed ulteriormente ha motivato in maniera ampia e specifica sui difetti di allegazione e prova della predetta relativi alle varie società, asseritamente facenti capo (anche solo fiduciariamente) al defunto.
3) Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. La Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare alcuni documenti decisivi prodotti dall’appellante e, in specie, la sentenza n. 827/2018 della Corte di Appello di Milano del 16.2.2018, che aveva statuito in ordine alla successione di I.I., coniuge premorta del defunto, con cui sarebbe stato accertato che una quota dell’immobilesito in Milano via Omissis era stata oggetto di donazione indiretta da parte del de cuius in favore del figlio B.B. Ribadito per la violazione dell’art. 2697 cod. civ. quanto già sopra esposto, il motivo in esame è inammissibile, in quanto la violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. è invocabile per l’omessa considerazione di un fatto storico principale, o secondario decisivo, e non di un documento, quale la sentenza n. 827/2018 della Corte di Appello di Milano del 16.2.2018.
Peraltro, parte ricorrente non ha neppure indicato con quale atto questa sarebbe stata prodotta nel giudizio di secondo grado; inoltre, detta pronuncia non può rilevare come giudicato esterno, poiché manca l’attestazione di passaggio in giudicato, che per di più sarebbe intervenuto, in caso di mancata impugnazione, già nel corso del giudizio di secondo grado, per cui l’eventuale giudicato si sarebbe dovuto far valere in quella sede (Cass. 19.10.2016 n. 21170; Cass. 17.12.2015 n. 25401 ; Cass. 4.11.2015 n. 22506; Cass. sez. un. 20.10.2010 n. 21493). 4).
Col quarto motivo, subordinato al mancato accoglimento del terzo, la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 cod. civ. e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., l’omesso esame di fatti secondari, comunque decisivi.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente omesso di rilevare la sussistenza di presunzioni connotate dai caratteri di gravità, precisione e concordanza, comprovanti la sussistenza dell’animus donandi, in capo al defunto, in favore del figlio B.B.
Tale motivo è inammissibile, in quanto in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’articolo 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale).
Oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360, comma 1, n. 5) c.p.c. (vedi ex multis Cass. ord. 8.7.2024 n. 8561; Cass. ord. 27.7.2024 n. 21056 ), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Ulteriormente, quanto alla lamentata violazione dell’art. 2729 cod. civ., secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che le ragioni poste a base del ricorso non inducono a rimeditare, ” in tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'” id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito” (Cass. ord. 9.1.2025 n. 476; Cass. ord. 25.9.2023 n. 27266; Cass. sez. lav. ord. 5.8.2021 n. 22366).
Questa Corte ha puntualizzato che “la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma” (Cass. ord. 9.1.2025 n. 476; Cass. ord. 21.3.2022 n. 9054).
Ciò in quanto “la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo” (Cass. ord. 9.1.2025 n. 476; Cass. ord. 26.2.2020 n. 5279; e Cass. sez. lav. 30.6.2021, secondo cui “la critica deve concentrarsi sull’insussistenzadei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità, criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione”).
Nella specie, la Corte d’Appello ha reputato insufficienti a provare l’animus donandi le circostanze che, al momento dell’acquisto, B.B. fosse un giovane ingegnere neolaureato, e che G.G. avesse concluso il contratto preliminare del 21.10.1972 per l’acquisto dell’immobile di Milano, non accompagnato dalla prova della corresponsione da parte sua del prezzo del trasferimento, posto che, invece, all’atto di acquisto aveva partecipato, insieme al figlio B.B., la madre, I.I., per cui era ben possibile che fosse stata lei, e non G.G., a versare il prezzo, come peraltro sostenuto dalla stessa A.A. nel separato giudizio relativo all’impugnazione del testamento della I.I.
Tale motivazione, pienamente plausibile, non può essere censurata dalla ricorrente auspicando la valorizzazione, a scopo di ricostruzione del fatto, di altri documenti, elementi di prova, o di altri indizi, non potendosi trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di giudizio di merito.
5) Col quinto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. il travisamento del contenuto del documento 25 prodotto dai convenuti con la comparsa di risposta (dichiarazioni resa da A.A. nell’interrogatoriodel 13.5.2013 alla Procura della Repubblica), nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, individuato nel documento 99 prodotto da parte attrice (e.mail del 13.12.2006 indirizzata da J.J. della Arner Consulting a A.A.).
Pur non richiamandolo espressamente, il Giudice di secondo grado avrebbe travisato il contenuto del suddetto documento 25 dei convenuti, dal quale avrebbe erroneamente dedotto il riconoscimento, da parte dell’attuale ricorrente, della proprietà della società MAST Srl in capo ai Castelli nipoti del defunto, in qualità di beneficiari di un trust in cui sarebbe confluita la predetta società. In contrario la ricorrente sostiene che nelle dichiarazioni rese alla Procura della Repubblica nel 2013 si sarebbe limitata a riferire circostanze tratte dalla documentazione che all’epoca aveva a disposizione, e che solo in seguito ella avrebbe appreso della costituzione da parte del fratello e dei nipoti di tale trust, dopo l’apertura della successione di G.G. , allo scopo di occultare la titolarità delle quote sociali in capo al de cuius, come asseritamente desumibile dal citato documento 99.
Con la e.mail in esso rappresentata, lei stessa sarebbe stata invitata a sottoscrivere la costituzione d i un trust, per detenere la società (WREI S.A.), che a sua volta deteneva le società immobiliari costituite per difendere il patrimonio familiare.
Richiamato quanto già detto sulla violazione dell’art. 2697 cod. civ., il motivo è inammissibile per varie ragioni.
Anzitutto il vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è invocabile ai sensi dell’art. 384 ultimo comma c.p.c. per l’esistenza di una “doppia conforme” circa la mancata dimostrazione da parte di A.A. dell’esistenza di società reali, occulte, o fiduciarie facenti capo al defunto G.G. , né del resto la ricorrente ha allegato l’esistenza di divergenze ricostruttive tra le sentenze di primo e di secondo grado, come sarebbe stato suo onere per superare la suddetta inammissibilità, e comunque il vizio suddetto può essere invocato per l’omessa considerazione di un fatto storico principale, o secondario decisivo, e non di un documento (l’e-mail del 13.12.2006).
Quanto all’asserito travisamento delle dichiarazioni rese dalla ricorrente alla Procura della Repubblica nell’interrogatorio del 13.5.2013, premesso che il travisamento insé non è un vizio che possa essere fatto valere in sede di legittimità contro la sentenza di secondo grado, quando si tratti di un errore di percezione di un fatto, dovendosi fare ricorso in quei casi al diverso rimedio della revocazione ex art. 395 n. 4) c.p.c. (vedi in tal senso ex multis Cass. ord. 7.3.2024 n. 6131; Cass. 8.2.2019 n. 3867; Cass. 17.5.2012 n. 7772).
Va detto che nel caso di specie non si lamenta un vero e proprio travisamento di un fatto, ma una valutazione delle suddette dichiarazioni frutto del convincimento della Corte d’Appello, peraltro non difforme dal contenuto sostanziale delle dichiarazioni, ma non condivisa sulla base di conoscenze successivamente acquisite dalla ricorrente, che semmai avrebbe dovuto essere censurata – in ipotesi – sotto il profilo del vizio di motivazione.
6) Col sesto motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., la negazione di un fatto decisivo del giudizio, ossia del fatto che la MAST Srl sarebbe stata società riferibile al solo G.G., da ricomprendere quindi nell’asse ereditario, come desumibile dal documento 51 che lo indicava come beneficiarie economique dei conti di quella società e non come account holder (delegato ad operare sul conto, individuato in B.B.), e lamenta in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., ed ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. il travisamento del suddetto documento 51.
Vanno qui richiamate, in ordine all’inammissibilità del motivo, le considerazioni già svolte sui limiti di sindacato della violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. Va aggiunto che il motivo non si confronta con la motivazione addotta dalla Corte d’Appello, che non ha ignorato il suddetto documento 51, ma lo ha ritenuto irrilevante ai fini della dimostrazione della titolarità della MAST Srl in capo al de cuius.
Ciò perché tale documento, in cui G.G. era indicato come beneficiaire economique, consentiva solo di ricondurre al de cuius la titolarità dei conti aperti fiduciariamente presso la Unicredit Luxemburg SA, conti della cui consistenza alla data della morte di G.G. non era stata, però, offerta alcuna prova, ma non della titolarità da parte dello stesso della MAST Srl. Ancora una volta, quindi, la ricorrente sollecita una diversa valutazione del materiale probatorio, che non è consentita nel giudizio di legittimità, che non può essere un terzo grado di giudizio di merito. 7) Col settimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. il travisamento del documento 37 prodotto dall’attrice (scritto di pugno di G.G. non firmato, che elenca una serie di somme, del totale di Lire 1.629.440.000, che sarebbe riferibile alla donazione compiuta dal de cuius a B.B.).
La Corte distrettuale non avrebbe ritenuto idoneo il documento 37 a provare la dedotta donazione diretta di denaro, asseritamente avvenuta in favore di B.B., non recando esso alcuna sottoscrizione del de cuius.
La ricorrente sostiene l’irrilevanza dell’apposizione sul documento della firma di G.G. , attesa l’incontestata asserita circostanza che il documento sarebbe stato redatto di pugno dal de cuius, e sottolinea che le somme elencate nel documento si sarebbero riferite ai prelievi compiuti dai libretti al portatore di G.G. , libretti la cui esistenza era stata provata documentalmente e che sarebbero stati dal medesimo consegnati al figlio B.B. per un importo complessivo di Lire 1.629.440.000. L’ultimo motivo è palesemente inammissibile.
Richiamato quanto già esposto in ordine alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. per l’esistenza di una “doppia conforme” circa la negazione della donazione di Lire 1.629.440.000 da parte di G.G. in favore di B.B., va evidenziato che ancora una volta la ricorrente prospetta, come travisamento di prova, la valutazione effettuata dalla Corte d’Appello, e da lei non condivisa, di un documento prodotto (questa volta il suo documento 37), e cerca inammissibilmente di ottenerne in sede di legittimità una diversa valutazione in fatto.
Il giudice di secondo grado ha infatti valutato, a pagina 13 lettera b) della sentenza, il suddetto documento, ed ha ritenuto che si trattasse di un foglio di appunti asseritamente di pugno di G.G. (la circostanza è stata infatti contestata dai convenuti), ma non sottoscritto, recante annotazioni aritmetiche non accompagnate dall’indicazione dellaprovenienza delle somme coinvolte, né dallo scopo delle operazioni, e quindi priva di valore probatorio, ed a tale valutazione, pienamente plausibile, la ricorrente vorrebbe contrapporre una propria diversa ricostruzione in fatto, basata sulla mera documentazione dell’esistenza dei libretti al portatore del de cuius, che non è apprezzabile in questa sede.
La Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, davanti alla quale il giudizio dovrà essere riassunto in relazione ai motivi accolti, provvederà quale giudice di rinvio ed in base all’esito finale della lite, anche alla liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.