Corte di Cassazione, Sez. I Civile, ordinanza 15 aprile 2025 n. 9887
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va verificata, da parte del Giudice, l’esistenza del divario tra i coniugi ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile. Infatti, il divario economico costituisce, come da giurisprudenza consolidata, precondizione per il successivo accertamento dei requisiti per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno.
Va, quindi, ricostruita la vita coniugale nell’arco della sua esistenza, mettendo a confronto le posizioni economiche di entrambe le parti, accertandone un significativo divario e passando poi a considerare il contributo oggettivo che un coniuge può avere dato alla crescita professionale dell’altro, ad esempio, come nel caso di specie, allorquando l’uno accetti un trasferimento potendo contare sull’apporto dell’altro, su cui gravavano inevitabilmente gli oneri di accudimento di figli in tenera età che l’abbiano costretto ad optare per un lavoro part-time, retrocedendo in termini di carriera e retribuzione a tutto vantaggio del primo.
Tale ricostruzione non può che influire sull’importo e sul riconoscimento dell’assegno divorzile.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il primo motivo è infondato.
L’assegno divorzile, che va attribuito e quantificato facendo applicazione in posizione pari ordinata dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, dellaL. n. 898 del 1970, senza riferimenti al tenore di vita goduto durante il matrimonio, deve assicurare all’ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita – assistenziale, perequativa e compensativa -, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri, mediante complessiva ponderazione dell’intera storia coniugale e della prognosi futura, tenendo conto anche delle eventuali attribuzioni o degli introiti che abbiano compensato il sacrificio delle aspettative professionali del richiedente e realizzato l’esigenza perequativa (Cass., n. 4215/21).
Il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
L’assegno divorzile è finalizzato a garantire un livello reddituale parametrato alle pregresse dinamiche familiari ed è perciò necessariamente collegato, secondo la composita declinazione delle sue tre componenti (assistenziale, perequativa e compensativa), alla storia coniugale e familiare (cfr.Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5055 del 24/02/2021).
Ciò posto la Corte di appello ha correttamente verificato l’esistenza del divario che costituisce come da giurisprudenza consolidata precondizione per il successivo accertamento dei requisiti per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno.
Ha infatti ricostruito la vita coniugale sviluppatasi in un arco temporale di 10 anni mettendo a confronto le posizioni economiche di entrambe le parti accertandone un significativo divario e passando poi a considerare il contributo oggettivo che la moglie aveva dato alla crescita professionale del marito il quale aveva accettato il trasferimento a Roma potendo contare sull’apporto della moglie su cui gravavano inevitabilmente gli oneri di accudimento di figli in tenera età per il cui assolvimento la B.B., aveva dovuto optare per un lavoro part-time, retrocedendo in termini di carriera e retribuzione a tutto vantaggio del marito.
Il giudice distrettuale non ha pertanto limitato la sua analisi al divario reddituale ma ha spinto la sua indagine anche alla verifica dei presupposti normativi che giustificano l’erogazione dell’assegno divorzile.
Per il resto il motivo è ampiamente meritale, poiché – sebbene sia prospettata la violazione di legge – tende ad una inammissibile rivisitazione del giudizio in fatto operato dal giudice di merito.
Com’è noto, infatti, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019;Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017;Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017).
Il secondo motivo in cui si intrecciano profili di inammissibilità e di infondatezza è da respingere.
La pronuncia di appello ritiene che la ex moglie abbia assolto all’onus probandi su di lei ricadente dimostrando la contrazione del reddito e dell’impegno lavorativo in concomitanza con il trasferimento a Roma.
Da questi fatti noti ed univoci ne è conseguita la prova presuntiva del suo maggiore impegno domestico e di cura dei figli.
A tale valutazione parte ricorrente ne oppone una diversa non ammissibile in questa sede.
Il ricorrente per cassazione infatti non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 32505/2023).
La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.
Quanto sopra, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass., n. 20553/2021).
In tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass., n. 27266/23n. 9054/22).
Con riferimento agliartt. 2727e2729c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.
Si deve tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo.
Neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass., n. 22366/21).
Nella specie, il ricorrente lamenta l’apprezzamento dei fatti compiuto dalla Corte territoriale, assumendo che la pronuncia sull’assegno divorzile sarebbe stato il frutto di presunzioni erroneamente applicate in mancanza dei loro elementi costitutivi. […]
Inoltre, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto non dimostrate le mere deduzioni difensive contrapposte alla prova del ruolo endofamiliare svolto dalla controricorrente, sia in relazione alla autonomia assoluta di scelta del part time sia in relazione alle altre circostanze meramente dedotte riferite all’incremento di reddito, peraltro da ricomprendersi nella contrazione del quantum stabilita dal giudice di merito.
In conclusione, il ricorrente, per un verso ha opposto alla valutazione dei fatti a fondamento della prova presuntiva una propria contrapposta ed inammissibile valutazione.
Dall’altro non ha provato i fatti impeditivi che ha meramente dedotto, ritenendo, infondatamente che si dovesse ritenere onerata la controricorrente di provare anche la ragione soggettiva del part time e l’espresso riferimento ad un accordo preventivo familiare, laddove questi profili sono stati insindacabilmente ritenuti provati presuntivamente dal giudice del merito, sulla base della oggettiva fotografia della distribuzione dei ruoli familiari una volta trasferitosi per lavoro e per perseguire obiettivi di carriera il ricorrente.
Infatti, il ricorrente ha contrapposto a tale motivazione, una diversa prospettazione dei fatti di causa chiedendo, sul presupposto di un’erronea prospettazione di una violazione di legge concernente la corretta applicazione di asserite presunzioni, un riesame della valutazione di merito, inammissibile in questa sede.
Il terzo motivo è inammissibile.
Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e non più “per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, inteso come fatto storico, accadimento naturalistico.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto, ma un vero e proprio evento, un preciso accadimento, una determinata circostanza in senso storico-naturalistico, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022;Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019;Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. ancheCass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Non integrano, viceversa, fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio exart. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022;Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019;Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, o le mere ipotesi alternative, e neppure le singole risultanze istruttorie, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018), o le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, oppure i motivi di appello (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29952 del 13/10/2022).
Nel caso di specie nessun fatto, inteso nel senso sopra evidenziato, risulta non essere stato esaminato.
L’elemento dedotto dal ricorrente non riveste alcuna decisività giacchè la Corte di appello ha preso in esame la posizione economica della richiedente quale emergeva dalla dichiarazione dei redditi nel quale è riportata la retribuzione percepita in base alle ore lavorate.
Il quarto motivo è inammissibile.
In tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (tra le tanteCass. 27606/2019).
Nella specie, stante la riforma della sentenza del Tribunale, correttamente la Corte di merito ha proceduto ad una nuova regolazione delle spese di lite anche del primo grado tenendo conto dell’esito complessivo della lite riconoscendo una compensazione in ragione di 1/3.
È stato affermato che in materia di compensazione delle spese, “il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa” (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni,Cass. nn. 9014e3308del 2023;Cass. n. 37825 del 2022;Cass. n. 10685 del 2019), altresì ricordandosi che è la statuizione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a compensazione, totale o anche soltanto parziale (cfr.,Cass. n. 2984 del 2022;Cass. n. 26912 del 2020;Cass. nn. 11744e6756del 2004;Cass. n. 10009 del 2003).
In altri termini, la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in Cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr.Cass. n. 11329 del 2019).
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono il principio di soccombenza.