Corte Costituzionale, sentenza 18 aprile 2025 n. 53
PRINCIPIO DI DIRITTO
Non vanno ritenute fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., sollevate in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost., per lesione del diritto all’identità personale e per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’adozione piena del minore d’età.
Si tratta dell’interesse a cancellare il cognome che attesta la propria origine naturale, poiché, nonostante la funzione identitaria da esso lungamente svolta, l’interessato percepisce che quel segno reca una memoria per lui pregiudizievole, in quanto capace di rinnovare il ricordo di un abbandono.
Sennonché, simile interesse è tale da dover coinvolgere esclusivamente la persona, che quel cognome ha portato, e può trovare tutela in altre previsioni dell’ordinamento, come l’art. 89, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con ordinanza del 30 maggio 2024 (iscritta al n. 159 del reg. ord. 2024), il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sezione prima civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost.
1.1.– I citati parametri costituzionali sono evocati sotto un duplice profilo: per lesione del diritto all’identità personale e per irragionevole disparità di trattamento tra la disciplina che regola l’attribuzione del cognome al minore d’età adottato dalla famiglia cui era stato in precedenza affidato e quella che si applica al maggiore d’età che viene adottato dalla famiglia alla quale era stato affidato quando era minorenne.
1.2.– La disposizione censurata prevede che «[l]’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio».
Tale norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con la sentenza n. 135 del 2023, «nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto».
1.2.1.– Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della norma censurata, «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto e i genitori biologici dell’adottato siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale».
1.2.2.– Di seguito, formula ulteriori variazioni del secondo periodo della pronuncia additiva, proponendo l’aggiunta, dopo l’affermazione «se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto», delle seguenti frasi che prospetta in via alternativa:
– «e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o siano deceduti prima di potersi esprimere al riguardo»;
– ovvero, «e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o siano deceduti prima di potere esprimere consenso o dissenso, e l’adottato sia il figlio del coniuge dell’adottante o sia stato affidato alla famiglia dell’adottante o degli adottanti nel tempo della sua minore età»;
– ovvero, ancora, «e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o, in caso di opposizione o nel caso in cui non possano esprimersi al riguardo, per morte o altro motivo, il giudice accerti che sussistono gravissimi motivi che inducano a ritenere pregiudizievole per l’adottato tale mancato assenso».
Infine, con un’ultima declinazione del petitum, il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., «[n]ella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di sostituire, anziché di aggiungere o di anteporre, il cognome dell’adottante che abbia ricevuto in affidamento l’adottato nella sua minore età a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto, e i genitori biologici dell’adottato non si oppongano a tale scelta, o, in caso di opposizione o nel caso in cui non possano esprimersi al riguardo, per morte o altro motivo, il giudice accerti che nel tempo successivo all’emissione del provvedimento che ha disposto l’affidamento i genitori biologici dell’adottato sono venuti meno ai propri obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione dell’adottato in maniera continuativa, grave e ingiustificata».
2.– A fronte delle varie richieste additive ipotizzate dal rimettente, occorre anzitutto rilevare, in linea con la giurisprudenza costituzionale, che «“il petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente”, ma non vincola questa Corte, che, “ove ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata” (sentenza n. 221 del 2023, punto 4 del Considerato in diritto; in senso conforme, più di recente, sentenza n. 12 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto)» (sentenza n. 46 del 2024).
Ciò premesso, da un lato, si deve constatare che, nell’odierno giudizio, il senso delle questioni è chiaro, poiché il giudice a quo dubita, in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost., della legittimità costituzionale della norma censurata, in quanto impedisce all’adottato maggiore d’età di assumere il solo cognome dell’adottante.
Da un altro lato, ove questa Corte ravvisasse nella previsione censurata un vulnus ai citati principi costituzionali, potrebbe attingere anche aliunde le eventuali condizioni idonee a porre rimedio alle asserite violazioni.
Le censure sono, pertanto, ammissibili.
3.– Nel merito, la questione sollevata in riferimento all’art. 2 Cost., per lesione del diritto all’identità personale, non è fondata.
4.– In via preliminare, è opportuno rammentare che «[i]l cognome, insieme con il prenome, rappresenta il nucleo dell’identità giuridica e sociale della persona: le conferisce identificabilità, nei rapporti di diritto pubblico, come di diritto privato, e incarna la rappresentazione sintetica della personalità individuale, che nel tempo si arricchisce progressivamente di significati» (sentenza n. 131 del 2022, nel solco di una giurisprudenza ultraventennale: sentenze n. 286 del 2016, n. 268 del 2002, n. 120 del 2001, n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994; nello stesso senso, sentenza n. 135 del 2023).
Nella sua funzione identificativa, il nome – che è composto dal cognome e dal prenome ed è «per legge attribuito» (art. 6 cod. civ.) – è sottratto alla piena disponibilità del titolare, il cui consenso può essere solo il presupposto di eventuali modifiche, disposte o per provvedimento giudiziale o per provvedimento del prefetto (art. 89 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante «Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127»).
Nella sua funzione identitaria, il cognome, unitamente al prenome, configura un segno distintivo che, a partire dal momento in cui viene attribuito, determina un meccanismo di progressiva stratificazione e di consolidamento dell’identità personale, sicché proprio in tale diritto «si radicano le ragioni della tutela del cognome» (sentenza n. 135 del 2023).
Di riflesso, se, per un verso, il cognome originariamente si incardina nello status filiationis (sentenza n. 131 del 2022), per un altro verso, a mano a mano che l’identità personale si costruisce intorno a quel segno, è lo stesso diritto all’identità personale a rendere il cognome capace di resistere, di norma, ai mutamenti di status.
Sulla base di tali coordinate, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 165 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile), nella parte in cui non prevedeva che, in caso di rettifica dei registri dello stato civile per ragioni indipendenti dal soggetto (nella specie per accertata falsità parziale dell’atto di nascita), la persona potesse «ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere il cognome originariamente attribuitogli ove questo sia ormai da ritenersi autonomo segno distintivo della sua identità personale» (sentenza n. 13 del 1994).
Nel medesimo solco si colloca la sentenza n. 297 del 1996, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 262 cod. civ., nella parte in cui, al comma primo, «non prevede che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale».
Qualche anno più tardi, proprio con riguardo alla disposizione oggetto delle odierne censure – ovvero, l’art. 299, primo comma, cod. civ. – questa Corte ha ritenuto non fondata la questione prospettata dal rimettente vòlta a introdurre l’automatica e inderogabile anteposizione del cognome originario dell’adottato rispetto a quello dell’adottante, sul presupposto che la lesione della identità sia piuttosto «ravvisabile nella soppressione del segno distintivo» (sentenza n. 120 del 2001).
Di seguito, nel valutare l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione – in quanto applicabile, in virtù del rinvio di cui all’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), all’adozione in casi particolari – la sentenza n. 268 del 2002 ha dichiarato non fondata la questione che mirava a sostituire il cognome del minore adottato con il solo cognome dell’adottante, marito della madre.
Infine, proprio in ragione del diritto all’identità personale sotteso all’originario cognome dell’adottato, la sentenza n. 135 del 2023 (punto 5.2. del Considerato in diritto) ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 299, primo comma, cod. civ., «nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore di età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto».
5.– Ebbene, dallo stesso percorso tracciato dalla giurisprudenza di questa Corte trapelano le ragioni della non fondatezza dell’odierna questione posta in riferimento alla lesione del diritto all’identità personale.
La duplice funzione identificativa e identitaria del cognome, intorno al quale, unitamente al prenome, si stratifica nel tempo il diritto all’identità personale, rende, infatti, non irragionevole la scelta legislativa di escludere, con l’art. 299, primo comma, cod. civ., la possibile sostituzione, e dunque la cancellazione, del cognome originario dell’adottato, che per (almeno) diciotto anni ha rappresentato il segno distintivo della sua identità personale.
A riguardo, questa Corte ha ravvisato una possibile lesione dell’identità personale dell’adottato maggiore d’età proprio nel caso della «soppressione del segno distintivo» costituito dal suo originario cognome (sentenza n. 120 del 2001).
Del resto, finanche nell’adozione del minore in casi particolari, nel cui contesto la costruzione dell’identità personale intorno all’originario cognome è per definizione meno consolidata di quella che si riscontra nel caso del maggiore d’età, questa Corte ha escluso l’illegittimità costituzionale del rinvio operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente di assumere il solo cognome dell’adottante (sentenza n. 268 del 2002).
Perno di tale decisione è stata la tutela dell’originario cognome del minore quale «tratto essenziale della […] identità personale», da cui si è dedotta la non irragionevolezza della scelta di preservare «il legame del minore col proprio passato e, perciò, con la sua identità personale come essa è stata ed è conosciuta nell’ambiente sociale di cui egli è, e deve continuare ad essere, parte».
Un tale rilievo vale, evidentemente, tanto più nel caso dell’adottato maggiore d’età.
Vero è che nella prospettazione del rimettente la sostituzione del cognome dell’adottato con quello dell’adottante richiederebbe, similmente a quanto previsto dalla sentenza n. 135 del 2023, un consenso all’adozione favorevole al prodursi del peculiare effetto riguardante il cognome.
Sennonché, nel caso deciso con la sentenza n. 135 del 2023, il consenso dell’adottato è espressione dell’esigenza di dare maggior risalto al suo originario cognome, in quanto segno distintivo dell’identità personale, e il consenso dell’adottante sottende una mera condivisione di detta esigenza, che, comunque, non sacrifica l’interesse a trasmettere anche il suo cognome.
Di contro, nel caso della prospettata sostituzione del cognome dell’adottato, quest’ultimo dovrebbe far valere un interesse alla cancellazione del suo stesso cognome, il che lo espone al rischio di subire condizionamenti da parte dell’adottante, tanto più ove si considerino i benefici che l’adozione civile apporta all’adottato sul piano successorio.
Non può, dunque, ritenersi irragionevole la scelta del legislatore di garantire, in via di automatismo, il mantenimento del cognome originario dell’adottato, a latere di quello dell’adottante.
6.– Tale esito non è destinato a mutare in considerazione del perimetro entro il quale il rimettente ravvisa la possibile lesione del diritto all’identità personale, che sussisterebbe solo in presenza di particolari situazioni.
Nelle varie proposte additive prospettate dal giudice a quo si fa riferimento alternativamente: ai casi in cui i genitori biologici dell’adottato fossero decaduti dalla responsabilità genitoriale o fossero venuti meno – in maniera continuativa, grave e ingiustificata – ai loro obblighi di mantenimento, istruzione e educazione dell’adottato, quando questi era minorenne; oppure alle ipotesi in cui, al momento dell’adozione, i genitori biologici risultino deceduti o non si oppongano alla sostituzione del cognome del figlio che viene adottato da adulto o, alfine, in mancanza del loro consenso, sia accertato il rischio di un pregiudizio per lo stesso adottato.
Inoltre, in alcune delle ipotesi formulate, si evocano, cumulativamente rispetto ai già richiamati presupposti, le situazioni in cui l’adottato maggiore d’età sia figlio del coniuge dell’adottante o venga adottato dai precedenti affidatari.
In sostanza, le delimitazioni prospettate dal giudice a quo, da un lato, rivolgono lo sguardo al passato dell’adottato e al rapporto di questi, quando era minorenne, con i propri genitori biologici e, da un altro lato, sembrano voler dare risalto alla prospettiva plurifunzionale dell’adozione del maggiore d’età.
6.1.– Deve, invero, convenirsi con il rimettente che l’adozione di persona maggiore d’età ha conosciuto un’evoluzione sotto il profilo funzionale.
A fronte, infatti, dell’originario divieto di adottare per chi avesse «discendenti legittimi o legittimati» (art. 291, primo comma, cod. civ.), nonché dell’iniziale disciplina concernente l’età dell’adottante e il divario d’età rispetto all’adottato, vi sono stati un progressivo «“temperamento” dei divieti e dei limiti preesistenti», nonché «l’estensione del “potere di valutazione comparativa degli interessi in gioco attribuito dalla norma al tribunale” (sentenza n. 252 del 1996, punto 2 del Considerato in diritto)» (sentenza n. 5 del 2024).
Attualmente, il maggiore d’età può essere adottato da una persona capace di agire, che non abbia discendenti o che li abbia maggiorenni e consenzienti, che abbia compiuto i trentacinque anni di età e la cui età superi di «almeno di diciotto anni» quella dell’adottando (art. 291, primo comma, cod. civ.), a meno che sussistano motivi meritevoli che consentono al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza, quell’intervallo di età (sentenza n. 5 del 2024).
La richiamata evoluzione ha consentito, dunque, di ravvisare nell’adozione del maggiore d’età un istituto plurifunzionale (sentenza n. 135 del 2023 e, in senso conforme, sentenza n. 5 del 2024).
Da un lato, trova conferma la sua originaria e primaria funzione volta a «procurare un figlio a chi non l’ha avuto in natura e nel matrimonio (adoptio in hereditatem)» (sentenza n. 5 del 2024), in linea con quanto a lungo sostenuto da questa Corte (sentenze n. 120 del 2001, n. 500 del 2000, n. 240 del 1998, n. 252 del 1996, n. 53 del 1994 e n. 89 del 1993, nonché ordinanza n. 170 del 2003).
Da un altro lato, a essa si affiancano ulteriori funzioni che assecondano «istanze di tipo solidaristico, variamente declinate» (sentenza n. 135 del 2023 e, negli stessi termini, sentenza n. 5 del 2024). L’istituto può, infatti, abbracciare tanto la situazione in cui versano «persone, spesso anziane, [che] confidano in un rafforzamento – grazie all’adozione – del vincolo solidaristico che si è di fatto già instaurato con l’adottando», quanto i casi dell’«adottando maggiorenne, che già viveva nel nucleo familiare di chi lo adotta, in ragione di un affidamento [familiare] deciso nel momento in cui era minorenne, o ancora quello del figlio maggiorenne del coniuge (o del convivente) dell’adottante che vive in quel nucleo familiare» (sentenza n. 135 del 2023).
6.2.– Ciò precisato, la constatazione secondo cui l’adozione della persona maggiore d’età presenta presupposti applicativi più flessibili e può assolvere a plurime funzioni non determina, tuttavia, una perdita di autonomia dell’istituto, né crea una imprescindibile attrazione delle ultime due funzioni, sopra richiamate, verso la disciplina dell’adoptio plena del minore.
In particolare, non rilevano, sul piano giuridico, congiunture di mero fatto, quale può ritenersi il ritardo dell’affidatario, che omette di presentare la domanda di adozione di chi gli è stato affidato, quando questi era ancora minorenne, e si vede dunque costretto a fare ricorso all’adozione della persona maggiore di età.
Simili circostanze non possono, infatti, giustificare una commistione fra istituti giuridici associati a differenti presupposti normativi – per l’appunto, la minore o la maggiore età – che, in generale, comportano per l’ordinamento rilevanti implicazioni giuridiche e mutamenti di disciplina.
Alla luce di tali considerazioni non è, dunque, irragionevole che il legislatore abbia omesso di dare rilievo, nella disciplina concernente l’attribuzione del cognome all’adottato maggiore d’età, a elementi estranei a tale istituto, in quanto riguardanti il passato da minorenne di chi oramai è maggiore d’età, oppure in quanto diretti a coinvolgere nel procedimento soggetti non implicati nell’adozione civile, quali sono i genitori biologici dell’adottato divenuto maggiorenne.
7.– Le considerazioni sopra svolte disvelano, in pari tempo, le ragioni della non fondatezza anche della seconda questione posta in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., concernente la ritenuta irragionevole disparità di trattamento tra il minorenne adottato dalla famiglia affidataria, che assume solo il cognome degli adottanti, e il maggiorenne che viene adottato dai precedenti affidatari e che non potrebbe acquisire quel solo cognome.
È opportuno, in proposito, rammentare che, ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., in tanto può essere fatta valere l’irragionevole disparità di trattamento, in quanto la censura miri a estendere una medesima disciplina a situazioni che, avendo riguardo alla ratio di tale normativa, risultino omogenee (ex multis, da ultimo, sentenze n. 34 del 2025, n. 212 e n. 171 del 2024).
Ebbene, proprio dal confronto tra un istituto concepito intorno al minorenne e un altro plasmato in funzione del maggiorenne emerge l’evidente disomogeneità tra le due fattispecie poste a confronto.
Prova ne sia che lo stesso rimettente se, da un lato, evoca quale tertium comparationis la disciplina dell’adoptio plena, da un altro lato, non chiede l’estensione all’adozione del maggiore d’età della relativa disciplina, ovvero dell’art. 27, comma 1, della legge n. 184 del 1983, che comporterebbe l’attribuzione automatica del solo cognome degli adottanti.
Al contrario, il giudice a quo prospetta, in alternativa, vari interventi additivi che, insieme al consenso di adottante e adottando, introducono una serie di ulteriori presupposti, diretti a guardare retrospettivamente a quando il maggiore d’età era minorenne, al chiaro fine di creare una similitudine tra fattispecie che, tuttavia, restano disomogenee.
8.– Evidenziata la non fondatezza delle censure sollevate dal rimettente, deve piuttosto rilevarsi che la vicenda oggetto del giudizio principale lascia trapelare l’esigenza di tenere conto di un possibile interesse del tutto peculiare, non correlato in quanto tale all’istituto dell’adozione del maggiore d’età, neppure nel caso in cui l’adozione sia stata richiesta da coloro che erano stati i suoi affidatari.
Si tratta dell’interesse a cancellare il cognome che attesta la propria origine naturale, poiché, nonostante la funzione identitaria da esso lungamente svolta, l’interessato percepisce che quel segno reca una memoria per lui pregiudizievole, in quanto capace di rinnovare il ricordo di un abbandono.
Sennonché, simile interesse è tale da dover coinvolgere esclusivamente la persona, che quel cognome ha portato, e può trovare tutela in altre previsioni dell’ordinamento.
Giova, a riguardo, menzionare l’art. 89, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000, secondo cui, «[s]alvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque […] vuole cambiare il cognome, anche perché […] rivela l’origine naturale […], deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce.
Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta».
Proprio quest’ultimo inciso è indice di una possibile discrasia fra la oggettiva funzione identitaria, che si è via via stratificata intorno al cognome, unitamente al prenome, e possibili significati aggiuntivi associati a quel segno, che possono dare fondamento alla richiesta di prendere le distanze dalla propria originaria identità.
9.– Per le ragioni sopra esposte, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., sollevate in riferimento agli artt. 2 e 3, primo comma, Cost., per lesione del diritto all’identità personale e per irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’adozione piena del minore d’età.