Corte di Cassazione, Sezioni Unite penali, sentenza 8 aprile 2025 n. 13783
PRINCIPIO DI DIRITTO
La confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale. In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. li relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca, per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agii elementi acquisiti.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- “Se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente da quanto da ognuno eventualmente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; od ancora se, in quest’ultimo caso, la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base ai grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali“.
- La Sezione rimettente ha correttamente rilevato l’esistenza di un articolato contrasto giurisprudenziale sulla questione di diritto indicata; una questione che assume rilievo anche in fase cautelare.
2.1. Non è in contestazione che il punto relativo alla confisca non è stato oggetto dell’accordo intercorso tra le parti, sicché il provvedimento impugnato è sindacabile senza limiti da parte della Corte di cassazione, ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019 – dep. 2020, Savin, Rv. 279348). […]
- È consolidata l’opinione secondo cui il termine “confisca” raccoglie sotto un unico nomen iuris svariate tipologie di istituti diversi tra loro nella fisionomia strutturale e nei fini, accomunati solo dall’effetto del trasferimento coattivo di beni economici al patrimonio pubblico.
3.1. Per queste ragioni, si afferma in modo condivisibile, la direttrice metodologica fondamentale da seguire al fine di cogliere la natura di qualsiasi figura di confisca, è quella tracciata dalla Corte costituzionale sin dal 1961, quando il Giudice delle leggi chiarì che ” il suo contenuto consiste sempre nella privazione di beni economici, ma può essere disposta per motivi diversi ed indirizzata a varie finalità, sì da assumere natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero di misura giuridica civile o amministrativa”.
3.2. Nell’occasione la Corte affermò come, ai fini del sindacato di legittimità, occorra considerare non un’astratta e generica figura di confisca, ma in concreto la confisca così come risulta di volta in volta disciplinata da una determinata legge (Corte cost., sent. n. 29 del 1961).
3.3. È utile anche evidenziare come, nel codice Zanardelli del 1989, la confisca fosse elencata tra “gli effetti penali della condanna”; ciò costituiva un’opzione che non impegnava il legislatore sulla natura dell’istituto e consentiva di utilizzarlo in modo poliforme.
3.4. Il codice Rocco ha invece catalogato l’ipotesi generale di confisca, di cui all’art. 240 cod. pen., tra le misure di sicurezza patrimoniali: il legislatore, tuttavia, nel corso del tempo è intervenuto più volte introducendo diverse ed eterogenee ipotesi di confisca.
3.5. Ciò ha posto decisive questioni che involgono la natura, la struttura e i rapporti tra le “nuove” forme di confisca e quella “tradizionale” di cui all’art. 240 cod. pen. 4.
- In tale articolato quadro di riferimento, il processo involge, quasi in via pregiudiziale rispetto alla questione rimessa, una serie di temi che riguardano la esatta definizione delle categorie generali di diritto evocate dal Tribunale e dalle parti, nell’ambito delle quali si collocano i fatti per cui si procede.
4.1. Innanzitutto se, nel caso di specie, la confisca abbia davvero ad oggetto, come ritenuto dal Tribunale e dalle stesse parti, il profitto del reato. In secondo luogo, se e in che limiti la disposta confisca, avente ad oggetto denaro, debba essere qualificata come confisca diretta ovvero per equivalente.
4.2. Infine, posto che si tratti, anche solo in parte, di confisca per equivalente, quale sia la funzione e la natura di detta tipologia di confisca e quali siano i suoi rapporti con la tradizionale forma di confisca diretta.
4.3. Un tema, quello della confisca del denaro, che riguarda sia l’ipotesi in cui il denaro costituisca il prezzo del reato, sia quella in cui il denaro ne costituisca il profitto e che, come si dirà, crea obiettive fratture e discontinuità rispetto al modo ordinario di operare di principi consolidati.
- Si pongono in primo luogo questioni definitorie strumentali a chiarire se, nella specie, si verta in un caso di confisca del prezzo del reato ovvero, come invece hanno ritenuto il Tribunale e gli stessi ricorrenti, di confisca del profitto.
5.1. La giurisprudenza ha chiarito che per “prezzo del reato” si intende il compenso dato o promesso per indurre, determinare o istigare un soggetto a commettere il reato (Sez. U, n. 9149 del 3/07/1996, Chabni, Rv. 205707). In altri termini, il prezzo del reato costituisce il compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito.
5.2. Quanto al profitto, è noto come non si rinvenga una nozione generale di profitto non solo nel codice penale, ma anche nelle varie disposizioni contenute in leggi speciali che ne prevedono la confisca. Si tratta di norme che danno la nozione per presupposta, ovvero si limitano a contrapporla ad altri concetti parimenti non definiti, come quelli, appunto, di “prezzo”, “corpo” e “strumento” del reato, utilizzandola, peraltro, sia per determinare l’oggetto della confisca, sia ad altri fini, come, cioè, elemento costitutivo della fattispecie di reato o come circostanza aggravante. Sulla nozione di profitto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, ha individuato nel tempo una serie di principi stabili:
– il profitto, per rilevare ai fini della disciplina della confisca, deve essere sempre accompagnato dal requisito della “pertinenzialità”, inteso nel senso che deve derivare dal reato che lo presuppone (principio di “causalità” del reato rispetto al profitto) (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436; Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, in motivazione; Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti, Rv. 239924; Sez. U, n. 41936 del 25/10/ 2005, Muci, Rv. 232164; Sez. U, n. 29952 del 24/05/2004, Romagnoli, in motivazione; Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, in motivazione; Sez. U, n. 9194 del 3/07/1996, Chabni, Rv. 205707); in tutte le sentenze indicate, si è sempre fatto riferimento al dato essenziale per cui il parametro della pertinenzialità al reato del profitto rappresenta l’effettivo criterio primario selettivo di ciò che può essere confiscato. – il collegamento reato-profitto deve esistere anche rispetto ai c.d. surrogati, cioè rispetto al bene acquisito attraverso l’immediato impiego/trasformazione del profitto diretto del reato (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso; Sez. U, n. 20208 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta);
– in virtù del “principio di causalità” e dei requisiti di materialità e attualità, il profitto, per essere tipico, deve corrispondere a un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario, ingenerato dal reato attraverso la creazione, la trasformazione o l’acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica, sicché non rappresenta “profitto” un qualsivoglia vantaggio futuro, eventuale, immateriale, o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali (Sez. U, n. 30016 del 28/03/2024, Annunziata, Rv. 286656; Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti, cit.; sul tema, cfr., Sez. 6, n. 1754, del 14/09/2017, dep. 2018, Bentini, Rv. 271967; Sez. 5, n. 10265 del 28/12/2013, dep. 2014, Banca Italease s.p.a, Rv. 258577).
5.3. Si è in più occasioni evidenziato come tale nozione di profitto riveli però difficoltà in ragione dei molteplici e dei sempre diversi canali attraverso i quali può circolare la ricchezza acquisita illecitamente. Ciò spiega la tendenza ad interpretare in senso estensivo la nozione in esame; una nozione capace di accogliere al suo interno “non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa… la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito” (Sez. U, n. 2014 del 30/01/2014, Gubert, Rv 258846; nello stesso senso, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261116).
5.4. Questa tendenza ha portato il legislatore nel corso del tempo ad ampliare, in relazione a specifiche fattispecie di reato, l’oggetto della confisca diretta; ci si può riferire, a titolo esemplificativo, all’art. 416- bis settimo comma, cod. pen. ovvero a disposizioni di analogo tenore, che hanno incluso, tra l’oggetto della confisca, oltre al prodotto, al profitto e al prezzo del reato, anche le cose “che ne costituiscono l’impiego”, consentendo così l’ablazione non solo dei proventi direttamente derivati dalla commissione del reato, ma anche delle utilità economiche in cui tali proventi sono stati trasformati o reinvestiti.
5.5. Questo indirizzo si pone in linea di continuità con il diritto sovrannazionale e, in particolare, con la Convenzione di Vienna contro il narcotraffico del 1988, con la Convenzione contro il crimine organizzato di Palermo del 2000 e con la Convenzione contro la corruzione di New York del 2003 in cui, per definire l’oggetto della confisca, si fa riferimento ai proceeds – cioè ai proventi, non ai profitti. Secondo tali Convenzioni, costituiscono proceeds anche i beni ottenuti o derivati direttamente o indirettamente dalla commissione di un reato.
5.6. Non diversamente, la Direttiva U.E. 2014/42, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione Europea, riferiva l’oggetto della confisca al “provento”, inteso come ogni vantaggio economico derivato, direttamente o indirettamente, da reati; esso, si legge, può consistere in qualsiasi bene e include ogni successivo reinvestimento o trasformazione di proventi diretti e qualsiasi vantaggio economicamente valutabile (art. 2, ma anche considerando 11).
5.7. In senso conforme si pone anche l’articolo 12 della nuova Direttiva U.E. 2024/1260 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 24 aprile 2024 (in vigore dal 22 maggio 2024), che ha sostituito lo strumento del 2014 sopra citato (art. 36) e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 23 novembre 2026 (art. 33). Detta Direttiva impone agli Stati membri di consentire la confisca di beni strumentali e proventi di reato a seguito di una condanna definitiva e di permettere la confisca di beni di valore equivalente ai beni strumentali e ai proventi di reato.
- Dalle considerazioni esposte consegue un duplice corollario.
6.1. Il primo è che, nonostante la tendenza ad interpretare in senso estensivo la nozione di profitto, in nessun caso si dubita, come si dirà in prosieguo, della necessità che il profitto “derivi” dal reato e che, dunque, debba sussistere ed essere provato il nesso di pertinenza del bene rispetto al reato a cui la confisca accede.
6.2. Il secondo corollario è che, nel caso di specie, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale e dalle parti, non si verte in un caso di confisca del profitto, quanto, piuttosto, di confisca del prezzo del reato di corruzione. […] È giuridicamente irrilevante che il prezzo sia stato corrisposto – verosìmilmente – utilizzando una parte del vantaggio, cioè del profitto, derivante dal reato di corruzione, cioè il vantaggio che i corruttori abbiano conseguito per effetto del reato di corruzione e, in particolare, dell’aggiudicazione inquinata degli appalti. È la dazione attuativa del patto corruttivo che è stata confiscata.
- Strettamente connessa alla definizione di prezzo e di profitto del reato e alla necessità che, comunque, il profitto – anche se inteso in senso estensivo – “derivi” dal reato, è la distinzione tra confisca diretta e confisca per equivalente. Una distinzione valorizzata dalla sentenza impugnata sotto due distinti e rilevanti profili, che si intersecano con la questione rimessa alle Sezioni unite.
7.1. Il primo attiene all’affermazione del Tribunale secondo cui la confisca avente ad oggetto somme di denaro sarebbe sempre diretta, a prescindere dalla prova del nesso di derivazione.
7.2. Il secondo riguarda la natura e la funzione della confisca per equivalente; […]
- È utile chiarire in via preliminare che, per confiscare in via diretta, il prezzo o il profitto del reato devono esistere e devono essere stati conseguiti. Il tema non attiene alla quantificazione del prezzo o del profitto – e quindi, ad esempio, alla clausola sussidiaria di cui all’art. 322-ter, quarto comma, cod. pen. – quanto, piuttosto, alla loro esistenza e alla necessità che siano “entrati” nella sfera economico patrimoniale del reo (Sez. 6, n. 23203 del 05/03/2024, Petrini, non massimata sul punto).
8.1. Si tratta di conclusioni che non cambiano se ci si sposta dal modello-base, rappresentato dalla confisca diretta, al modello alternativo della confisca per equivalente.
I requisiti di materialità e pertinenzialità, di cui si è detto, continuano, infatti, ad avere decisivo rilievo, anche nella confisca per equivalente, al fine di indentificare – sia nell’an che nel quantum – il prezzo e, soprattutto, il profitto confiscabile; in questo secondo modello, la verifica da parte del giudice assume, diversamente da quanto accade per la confisca diretta, natura bifasica: a una prima fase di identificazione di quanto confiscabile, segue, infatti, una seconda fase in cui, sulla base dell’accertato presupposto della indisponibilità attuale del bene da confiscare in via diretta, si procede all’apprensione del tantundem in una sede economica diversa. Dunque, senza un effettivo conseguimento del prezzo o del profitto, non si può confiscare né in via diretta e nemmeno per equivalente.
- Chiarito ciò, il Collegio osserva che la confisca diretta costituisce una misura di sicurezza tradizionalmente basata sull’idea di pericolosità (della persona o della cosa); si tratta di misura concepita dal legislatore come priva di carattere punitivo: lo scopo della confisca-misura di sicurezza è tradizionalmente individuato in quello di prevenire la futura commissione di reati.
9.1. Il presupposto della confisca “tradizionale” è costituito dalla pericolosità della cosa in quanto derivante dal reato, da intendersi però non solo come attitudine della cosa a cagionare un danno, poiché, come si osserva in dottrina, “sotto questo aspetto non vi è forse oggetto che non possa essere o divenire pericoloso”, bensì come “possibilità che la cosa, qualora sia lasciata nella disponibilità del reo, venga a costituire per lui un incentivo per commettere ulteriori illeciti”. Una pericolosità che unisce e “tiene” la cosa e la persona; una pericolosità di relazione. La confisca diretta del prezzo o del profitto del reato presuppone “sempre” la prova della derivazione dal reato della res oggetto della ablazione.
9.2. Si tratta di principi consolidati che devono essere ulteriormente esplicitati. Si è già detto di come si registri una tendenza sempre più evidente, in giurisprudenza ma anche a livello legislativo, a recepire, in tema di confisca, una nozione di provento del reato strutturalmente più ampia di quella di profitto; una nozione che comprende i c.d. surrogati – cioè i beni che costituiscono il primo reimpiego di quelli che derivano in via immediata e diretta dal reato – le chance, le utilità economiche mediate, i “reimpieghi”. E tuttavia, l’estensione della nozione di profitto, e, quindi, la possibilità di disporre la confisca diretta del “provento” del reato, non consente di percorrere semplificazioni probatorie, perché non esime il giudice dalla prova del nesso di derivazione del vantaggio – ancorché indiretto – conseguito dal reato. Anche nei casi in cui cioè non si “colpisce” il bene direttamente derivato dal reato, la confisca, in tanto è qualificabile come diretta, in quanto si dimostri che i beni oggetto dell’ablazione siano stati effettivamente conseguiti attraverso l’impiegodel prezzo o del profitto del reato; nel caso di confisca diretta del bene che costituisce il reimpiego di quello derivante dal reato, è necessaria, come rilevato in dottrina, la prova degli “elementi che riconducano con certezza il bene alla attività criminosa posta in essere”, mediante l’individuazione di tutti i passaggi e le trasformazioni del profitto originario (cfr., sul tema, Sez. U, n. 20208 del 25/10/2007,dep. 2008, Miragliotta, cit.; Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, Rv. 228166 cit.). Ciò evita il rischio di un’estensione indiscriminata dell’ablazione diretta ad ogni bene nella disponibilità del reo: il concetto di “provenienza indiretta” concerne il bene da confiscare e non il vantaggio patrimoniale, che, invece, deve essere sempre causalmente ricollegabile al reato.
9.3. Dunque, una confisca, quella diretta, che, da una parte, conserva la sua tradizionale natura di misura di sicurezza, ma, dall’altra, tende, in misura sempre crescente, a scolorirne la valenza, perché sempre più spesso prescinde dalla pericolosità intrinseca del bene oggetto della misura ablativa; una confisca volta ad ampliare il proprio oggetto, ricomprendendovi anche beni che non sono immediatamente derivanti dal reato. Uno sviluppo dell’istituto, del suo oggetto e del suo ambito applicativo che implica una riflessione sulla sua stessa funzione. Quanto più, infatti, si intenda estendere la tradizionale nozione di profitto per farvi ricomprendere anche i beni che non sono immediatamente derivanti dal reato, tanto più ci si allontana dall’idea che il fondamento dell’ablazione sia costituito dalla pericolosità in sé della cosa, in quanto direttamente proveniente dal reato. Una ablazione – quella diretta – che rivela in misura sempre crescente un volto in parte diverso da quello “tradizionale”. Un volto caratterizzato dalla esigenza di riportare la sfera economica-patrimoniale del reo nella stessa situazione che avrebbe avuto se il reato non fosse stato commesso; dunque, una finalità di ripristino volta a “rendere l’illecito penale improduttivo” e ad eliminare ” in ogni caso” dalla sfera patrimoniale del reo il vantaggio che questi abbia conseguito dal reato e che l’ordinamento ritiene non possa essere trattenuto in ragione della sua causa illecita (Sez. U, n. 20208 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, cit.).
- In tale contesto si colloca il tema della confisca per equivalente e della sua natura giuridica che assume decisiva valenza rispetto alla questione rimessa alle Sezioni unite. Si è già detto, infatti, di come il Tribunale abbia fatto applicazione del c.d. principio solidaristico, proprio in ragione della natura “punitiva” della confisca per equivalente, che, si assume, giustificherebbe il riferimento all’istituto del concorso di persone nel reato e, quindi, alla categoria delle obbligazioni civili solidali.
10.1. Sul piano definitorio la confisca per equivalente è un “surrogato” della confisca diretta; confiscare per equivalente significa confiscare un bene di valore uguale a quello che costituisce il profitto o il prezzo del reato e che sarebbe stato confiscato se fosse stato rinvenuto. La confisca per equivalente è istituto che, privo di disciplina organica, trova riferimento in una pluralità di provvedimenti legislativi, riferibili a specifici reati, adottati spesso in esecuzione di impegni assunti in sede internazionale. Per confiscare per equivalente è necessaria una base legale, cioè una specifica norma che consenta di procedere con tale forma di ablazione.
10.2. Quanto alla natura giuridica, la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 97 del 2009, giudicando della questione di legittimità rimessa sul presupposto (ritenuto dalla Corte erroneo) che la confisca per equivalente, introdotta nel 2008 per determinati reati tributari, avesse applicazione retroattiva, ha affermato, richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione già sul punto conformemente espressasi, che la natura eminentemente sanzionatoria dello strumento osta all’applicabilità del disposto dell’art. 200 cod. pen., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione (nello stesso senso, Corte cost., sent. n. 68 del 2017; Corte cost., sent. n. 196 del 2010; Corte cost., ord. n. 301 del 2009; Corte cost., n. 196 del 2010). I tratti qualificanti l’istituto sono stati individuati nel tempo dalla stessa Corte costituzionale, da un lato, nella mancanza di pericolosità dei beni oggetto della confisca e, dall’altro, nell’assenza di un rapporto di pertinenzialità tra il reato e detti beni.
10.3. Una misura che, in quanto colpisce beni che non hanno un nesso con il reato e che non sono portatori, di per sé, di pericolosità, rivelerebbe una connotazione prevalentemente afflittiva (testualmente, “eminentemente sanzionatoria”), che la collocherebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 25, secondo comma, Cost. in punto di divieto di retroattività.
10.4. In tal senso, la Corte costituzionale ha richiamato la giurisprudenza della Corte EDU sul tema e, in particolare, la sentenza del 09/02/1995, Welch c. Regno Unito che si colloca, a sua volta, sulla scia dell’orientamento, già all’epoca consolidato ed espresso dal leading case Corte EDU, 08/06/1976, Engel c. Paesi Bassi, che aveva individuato i criteri che conducono a definire il concetto di “materia penale”, e, dunque, a giustificare l’applicazione delle garanzie convenzionali. Si tratta di principi che, tuttavia, sono stati posti in stretta connessione con la elaborazione successiva della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e, in particolare, con quanto affermato dalla stessa Corte EDU già con la sentenza Grande Camera, 21/02/1984, Ozturk c. Germania, con cui si è affermata chiaramente, al fine della individuazione del perimetro della “materia penale”, la centralità dell’analisi delle funzioni (purpose) della sanzione, cioè delle conseguenze derivanti dall’illecito;una scelta di campo confermata in molteplici occasioni successive (cfr., per tutte, Corte EDU, Grande Camera, 23/11/2006, Fussila c. Finlandia). Dunque, un crescente, generale, rilievo assunto dal criterio che ruota e valorizza lo scopo, punitivo o meno, della sanzione: è in ragione dell’esercizio – in qualsiasi forma attuata – da parte dello Stato della potestà punitiva che si pone la necessità di assicurare al destinatario lo statuto delle garanzie interne al perimetro della materia penale convenzionale.
10.5. In continuità si è posta la giurisprudenza della Corte di cassazione che in più occasioni ha ribadito testualmente la natura “eminentemente sanzionatoria” della confisca per equivalente (Sez. U, n. 41936 del 25/10/2005, Muci, Rv. 232164, in tema di confisca per i reati menzionati dall’art. 640-quater cod. pen.; in senso sostanzialmente conforme, Sez. U. n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, cit.; Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, cit.; Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037).
10.6. Si tratta di principi confermati anche di recente dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209, allorquando sono state chiamate a dirimere il contrasto interpretativo, quanto alla confisca per equivalente, in relazione all’ambito intertemporale dell’art. 578- bis cod. proc. pen. L’opzione interpretativa recepita nella occasione dalle Sezioni unite, che ha privilegiato la tesi dell’inapplicabilità della nuova disposizione in relazione ai fatti commessiprima della sua entrata in vigore, si fonda certamente, ancora una volta, sul carattere “afflittivo” di detta forma di confisca e tuttavia, nell’occasione, le Sezioni unite non hanno mancato di evidenziare in modo stringente – come peraltro avevano fatto anche le Sezioni unite con la sentenza “Lucci” – la indubbia coeva “funzione ripristinatoria o di riallineamento della situazione economica modificata a favore del beneficiario del vantaggio illecito derivante dalla commissione del reato”.
- Due dati essenziali emergono dalla ricostruzione compiuta.
11.1. Il primo è che se è vero che “l’entità” – il valore – del bene oggetto della confisca per equivalente deve corrispondere a quella del prezzo o del profitto dell’illecito, è altrettanto vero che detta entità costituisce allora la misura, il parametro per determinare quanto si può confiscare per equivalente.
11.2. Il secondo dato è che l’elemento fondante, da cui si fa discendere il carattere “eminentemente sanzionatorio” della confisca per equivalente, consiste sempre nella evaporazione del nesso di pertinenzialità fra reato e bene; l’assunta radicale estraneità al reato del bene oggetto di confisca, unitamente alla radicale impossibilità di configurare la “pericolosità” della cosa, sigilla, secondo la ricostruzione a cui si fa solitamente riferimento, la qualificazione della confisca di valore in chiave sanzionatorio-punitiva e il conseguente annichilimento del requisito del nesso di derivazione, essenziale, invece, ai fini della confisca diretta.
11.3. Una confisca, secondo le Sezioni unite, dal carattere poliedrico. Una confisca con una natura ancipite, che, al tempo stesso, “ripristina” ma, soprattutto, “affligge”, “sanziona” e, in un tutto semantico indistinto, “punisce” (in tal senso, tra le altre, Sez. 6, n. 32581 del 11/05/2022, Razzano, Rv. 283725; Sez. 3, n. 33429 del 04/03/2021, UBI Banca, Rv. 282477, che, proprio in ragione del carattere sanzionatorio della misura, ha escluso l’applicabilità agli eredi della ablazione).
- Si tratta di concetti che lasciano sullo sfondo questioni decisive.
12.1. Sotto un primo profilo, quella descritta è un’impostazione sostanzialmente fondata sull’assunto secondo cui la “natura” dell’ablazione e il conseguente regime giuridico deriverebbero dalla forma, dal modo con cui la confisca viene disposta e applicata (diretta o per equivalente). La confisca, se diretta, sarebbe sempre una misura di sicurezza, come tale sottratta alla garanzie della legalità penale, e, invece, se per equivalente, sarebbe sempre una sanzione, una pena, sottoposta, per tale ragione, alle fondamentali garanzie derivanti dal principio di legalità. Si tratta di affermazioni su cui è necessario riflettere. Innanzitutto, secondo l’impostazione consolidata, l’applicazione dello statuto della legalità penale e delle garanzie fondamentali da questa conseguenti (riconosciute in caso di confisca per equivalente e negate in caso di confisca diretta) dipenderebbe, sostanzialmente, in alcuni casi, da una circostanza del tutto accidentale, quale l’impossibilitàdi procedere a confisca diretta in ragione del mancato rinvenimento della cosa che costituisce il prezzo o il profitto del reato, ovvero, in altri casi, da una scelta sostanzialmente soggettiva, quella, cioè, di procedere ad una forma di confisca (diretta o per equivalente) piuttosto che all’altra, ovvero, in altri casi ancora, dalla stessa volontà del reo, che potrebbe optare per far rinvenire il prezzo o il profitto ovvero occultarlo e accettare la prospettiva di una confisca per equivalente in considerazione delle maggiori garanzie che questa assicura e, quindi, della disciplina più favorevole. Una operatività della confisca “asimmetrica”, non propriamente oggettiva, non facilmente spiegabile, che non può essere condivisa perché priva di giustificazione legale, sostanzialmente rimessa a fattori occasionali e soggettivi, e, in alcuni casi, addirittura alla volontà dello stesso soggetto che subisce l’ablazione e che potrebbe determinare in modo strumentale la disciplina a cui fare riferimento.
12.2. Sotto altro profilo, è consolidata in dottrina l’affermazione per cui ciò che caratterizza il tratto “punitivo” di ogni sanzione è costituito “(dall’) inflizione di una sofferenza voluta e necessaria”, la cui applicazione è avvertita dal destinatario “come un male“: “se è vero che il contenuto afflittivo (…) può contraddistinguere misure delle più diverse finalità, ciò che è coessenziale tanto nell’ottica della retribuzione, quanto nelle prospettive di scopo della deterrenza, dell’intimidazione e della prevenzione-integrazione è la necessaria comprensione da parte del reo (oltre che dei consociati) della pena come sofferenza conseguente alla violazione di un precetto”. L’afflittività può, dunque, costituire una connotazione che può accompagnare la “sanzione” ma, al tempo stesso, non coincidere con lo scopo principale di questa, risolvendosi in un effetto collaterale: una connotazione, quella dell’afflittività, in realtà compatibile anche con misure che non possono ascriversi alla punizione. Dunque, ritenere che la natura punitiva della confisca per equivalente derivi solo dal suo carattere “afflittivo” conduce a sovrapporre sul piano terminologico l’aggettivo “afflittivo” a quello “punitivo”, come se i due termini fossero equivalenti; si tratta invece di un rapporto che, come si è appena detto, si pone in termini di genere a specie, atteso che, se è vero che ogni “pena” è una misura afflittiva, è altrettanto vero che non ogni misura afflittiva è una “punizione”.
12.3. Con riguardo specifico alla confisca, la dottrina ha lucidamente evidenziato come, in realtà, ogni “ablazione patrimoniale è afflittiva perché incide negativamente sulla sfera giuridica di chi la subisce, limitando la sua proprietà personale, cioè su un suo diritto di rango costituzionale (art. 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. add. CEDI))”: ciò, tuttavia, non consente di ritenere che ogni misura afflittiva sia anche punitiva”.
12.4. In tal senso si è fatto riferimento alla tradizionale distinzione tra sanzioni amministrative “proprie” e “improprie”. Le prime sono quelle che hanno una primaria funzione punitiva e che sono pertanto soggette alla disciplina e alle garanzie dettate dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 e, laddove sostanzialmente penali, anche alle garanzie poste dalla Costituzione e dalla CEDU nella “materia penale” (Cfr. Corte cost., sent. n. 63 del 2019 con cui si è riconosciuta l’applicazione della garanzia “penalistica” della retroattività favorevole della lex mitior alle sanzioni amministrative pecuniarie). Le seconde sono invece quelle che – sebbene chiamate “sanzioni”, in quanto reagiscono a un fatto illecito – svolgono una principale funzione ripristinatoria e solo indirettamente, in via per così dire secondaria, producono riflessi punitivi per il destinatario (cfr., a titolo esemplificativo, Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra Srl, Rv. 275850 secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, disposto con la sentenza di condanna, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso ma non ha finalità punitive, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di “pena” nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU; sul tema anche Cons. Stato, Ad. Plen., n. 9 del 21/06/2017).
12.5. Ne consegue che, se l’afflizione conseguente alla confisca deriva solo dalla mera eliminazione dal patrimonio del reo di un bene che non sarebbe stato acquisito se non fosse stato commesso il reato, la misura mantiene un carattere afflittivo ma non assume anche contenuto punitivo. La ragione per cui in tali casi si vuole “bonificare” il patrimonio dell’agente, eliminando l’arricchimento illecito e, quindi, riportare la sua sfera giuridico-patrimoniale alla consistenza precedente al delitto, è costituita dalla necessità di ribadire, da una parte, che il reato “non paga” e, dall’altra, che l’accrescimento derivante da condotte penalmente rilevanti è sempre privo di legittima giustificazione (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti, cit., Corte cost., sent. n. 24 del 2019).
12.6. Tali considerazioni spiegano dunque il carattere afflittivo della confisca per equivalente, ma non anche quello strettamente punitivo.
- Un fondamentale contributo sul tema è stato apportato da Corte cost., sent. n. 112 del 2019. Nell’occasione, la Corte è stata chiamata a decidere della legittimità costituzionale della confisca amministrativa in materia di abusi di mercato, prevista dall’art. 187-sexies D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, secondo cui l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato importa sempre la confisca, anche nella forma per equivalente, non solo del profitto ricavato dalle operazioni finanziarie illecite, ma dell’intero prodotto di tali operazioni e (nella versione precedente la modifica normativa introdotta dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 10) anche dei beni utilizzati per commetterlo.
13.1. La Corte costituzionale ha confermato nell’occasione la sua giurisprudenza che tratteggia, per l’area delle sanzioni amministrative “para-penali”, un reticolo di garanzie più contenuto rispetto allo status costituzionale della pena in senso stretto, riconoscendo per queste la validità dei principi di irretroattività e proporzionalità delle pene, ma non anche quelli riconducibili all’art. 27 Cost. che, “a cominciare dalla necessaria funzione rieducativa della pena (…) appaiono infatti strettamente connessi alla logica della pena privativa, o quanto meno limitativa, della libertà personale, attorno alla quale è tutt’oggi costruito il sistema sanzionatorio penale”.
13.2. In tale quadro di riferimento, tuttavia, la Corte costituzionale ha soprattutto distinto la natura giuridica delle varie ipotesi di confisca sottoposta al suo vaglio in base all’oggetto del provvedimento ablativo (profitto, prodotto o beni impiegati per la commissione dell’illecito) e da ciò ha fatto discendere diversa incidenza del principio di proporzione: si è spiegato che “mentre l’ablazione del profitto” ha una mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente in capo l’autore, la confisca del “prodotto” – identificato nell’intero ammontare degli strumenti acquistati dall’autore, ovvero nell’intera somma ricavata dalla loro alienazione – così come quella dei “beni utilizzati” per commettere l’illecito – identificati nelle somme di denaro investite nella transazione, ovvero negli strumenti finanziari alienati dall’autore – hanno un effetto peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale del trasgressore”. Una distinzione che prescinde dalla forma della confisca (diretta o per equivalente) ma che attiene, sul piano astratto, già all’oggetto su cui viene esercitato il potere ablatorio: nel caso in cui la confisca riguardi il profitto o il prezzo del reato, la confisca – al di là della forma con cui viene eseguita – ha una funzione essenzialmente di riequilibrio, ripristinatoria; nel caso in cui invece la confisca attenga al prodotto o ai beni utilizzati, la confisca può assumere carattere punitivo.
13.3. Spiega soprattutto la Corte costituzionale, con ciò facendo assoluta chiarezza, che le confische assumono una connotazione “punitiva” solo quando infliggono “all’autore dell’illecito una limitazione al diritto di proprietà di portata superiore (e, di regola, assai superiore) a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell’ingiusto vantaggio economico ricavato dall’illecito”. Dunque, se la confisca – diretta o per equivalente – non sottrae più di quanto sia stato conseguito dall’illecito, essa ha carattere afflittivo, ripristinatorio ma non anche punitivo.
13.4. Muovendo da questa prospettiva, la Corte costituzionale ha evidenziato: “la Corte Suprema degli Stati Uniti ha recentemente affermato la natura “punitiva” -e non meramente ripristinatoria – della misura, funzionalmente analoga a quella ora in considerazione, del disgorgement applicato dalla Security Exchange Commission (SEC) in materia di abusi di mercato; e ciò proprio in quanto tale misura – estendendosi all’intero risultatodella transazione illecita – eccede, di regola, il valore del vantaggio economico che l’autore ha tratto dalla transazione stessa (Corte Suprema degli Stati Uniti, 05/06/2017, Kokesh c/ Security Exchange Commission)” (in un contesto di logico sviluppo, si pone, Sez. 5, n. 8612 del 14/12/2023, dep. 2024, con cui la stessa Corte ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 27, commi primo e terzo, 42 e 117, comma primo, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale Cedu, nonché in riferimento agli artt. 11 e 117, comma primo, Cost., in relazione agli artt. 17 e 49, paragrafo 3, della C.D.F.U.E. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2641, commi primo e secondo, cod. civ., censurandolo “nella parte in cui assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato”.
- La confisca del profitto, anche quella per equivalente, assolve, dunque, sempre ad una funzione recuperatoria: essa ha una funzione sanzionatoria nella misura in cui colpisce beni che non hanno derivazione dal reato e può assumere, solo in determinate occasioni, una funzione punitiva.
14.1. Ciò accade quando la confisca sottrae al destinatario della misura più di quanto questi abbia effettivamente guadagnato mediante il reato; in tali casi, come ha osservato la Corte costituzionale, la misura ha l’effetto di infliggere un “male” (la privazione del diritto di proprietà) superiore al “bene” (il vantaggio economico) che si è tratto dall’illecito: in queste ipotesi la misura ablatoria “punisce” la persona e assume natura di pena patrimoniale (cfr. anche Corte cost. n. 7 del 2025, intervenuta dopo la decisione assunta nel presente procedimento, con cui sono state confermate e ulteriormente sviluppate le argomentazioni contenute nella sentenza n. 112 del 2019 quanto alla natura ripristinatoria e non punitiva della confisca, anche per equivalente, del profitto). Ne consegue, così come si osserva lucidamente in dottrina, che “tra le due forme di confisca, ancorché distinte per avere ad oggetto – quanto alla confisca diretta – i beni derivanti da quel determinato reato, e – quanto a quella per equivalente – altri beni di eguale valore, non vi è una reale diversità di natura giuridica” in quanto neppure la confisca di valore può dirsi di per sé punitiva, poiché”, come appunto spiegato dalla Corte costituzionale, “l’ablazione del profitto non può espandersi oltre quanto il reato abbia apportato”.
14.2. Se, da un lato, è vero che la confisca per equivalente ha una funzione sanzionatoria perché con essa si “rompe” il nesso di pertinenzialità sul piano qualitativo tra bene e reato, per cui, invece di confiscare le esatte cose che sono entrate nella sfera giuridica dell’autore, se ne confiscano altre, dall’altro lato, è anche vero che le cose confiscate hanno lo stesso valore del provento, con la conseguenza che questa “rottura” non incide sull’essenza recuperatoria della confisca. È quindi condivisibile l’affermazione di parte della dottrina secondo cui la confisca per equivalente “salta” la derivazione tra bene e reato quanto alla identità specifica del bene e del suo rapporto con l’illecito, ma non incide sulla identità quantitativadel rapporto tra reato e reo; essa è, come detto, un surrogato della confisca diretta perché si limita a realizzare un meccanismo di chiusura e sussidiario del sistema – derivante dalla impossibilità di apprendere i beni direttamente derivanti dal reato – ma è simile nella sostanza alla prima.
14.3. Ciò consente di riordinare il sistema e di superare, ad esempio, l’assunto diffuso, obbiettivamente non facilmente spiegabile, secondo cui sarebbe possibile, a fronte di una confisca diretta non punitiva, riconoscere alla corrispondente confisca per equivalente il carattere di confisca punitiva. La natura della confisca per equivalente deriva e dipende dalla natura della confisca diretta a cui accede: se la confisca diretta ha natura “recuperatoria” (confisca del profitto), la confisca per equivalente sarà recuperatoria; se la confisca diretta ha carattere punitivo – perché, ad esempio, si quantifica per eccesso il profitto – la confisca per equivalente sarà punitiva. Le modalità, diretta o per equivalente, con cui si sottrae al reo l’arricchimento illecito costituiscono solo “l’abito indossato dalla misura nella singola occasione”.
14.4. Quanto all’argomento secondo cui la natura punitiva della confisca di valore sarebbe rivelata dall’assenza di un nesso di pertinenzialità tra il bene e il reato, è peraltro utile ribadire come detto nesso sia stato declinato nel tempo – con riguardo alla stessa confisca diretta – in maniera diversa e meno rigorosa dalla stessa giurisprudenza che attribuisce alla confisca del profitto natura diretta anche nei casi in cui il profitto sia stato “trasformato” in altri beni, ad esempio mediante l’acquisto di un immobile con le somme tratte dal reato (Sez. U, Miragliotta, cit.), ovvero quando l’ablazione colpisce utilità mediate e indirette rispetto al reato, ovvero beni che costituiscono il reimpiego del prezzo o del profitto. Un argomento, quello dell’assenza del nesso di derivazione, da una parte, valorizzato per attribuire alla confisca per equivalente natura punitiva, ma dall’altra, ridimensionato dalla stessa giurisprudenza allorquando si declina in senso fortemente estensivo la nozione di profitto al fine di giustificare la natura diretta della ablazione e il suo carattere di misura di sicurezza.
14.5. Si è fatto peraltro notare come l’indifferenza tra apprensione del profitto in forma diretta o per equivalente sembra rinvenirsi anche a livello legislativo. Si fa riferimento, ad esempio, alla causa di non punibilità di cui all’art. 323-ter cod. pen.: chi volontariamente denunci la commissione dì uno dei reati contro la pubblica amministrazione ivi indicati è esente da pena a condizione, tra l’altro, che provveda alla ” messa a disposizione dell’utilità dallo stesso percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente…”. La norma condiziona la non punibilità alla restituzione del profitto illecito, indistintamente in forma diretta o per equivalente: in entrambi i casi il legislatore fa conseguire il medesimo effetto. È dunque condivisibile l’affermazione dottrinaria secondo cui “se l’apprensione del profitto in forma equivalente costituisse una pena per il solo fatto di colpire beni privi di nesso di pertinenzialità con il reato, dovrebbe paradossalmente concludersi che la norma permetta al reo di autoinfliggersi una pena per andare esente da responsabilità penale”. Non si ignora che il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha inserito il nuovo comma 1-bis all’art. 86 disp. att. cod. proc. pen. secondo cui “qualora sia stata disposta una confisca per equivalente di beni non sottoposti a sequestro o, comunque, non specificamente individuati nel provvedimento che dispone la confisca, l’esecuzione si svolge con le modalità previste per l’esecuzione delle pene pecuniarie”. Si è al riguardo immediatamente evidenziato in dottrina come detta norma potrebbe rappresentare una presa di posizione del legislatore a favore della natura punitiva di tale forma di confisca, atteso che il mancato pagamento colpevole della pena pecuniaria comporta la sua conversione nel lavoro di pubblica utilità sostitutivo ovvero, se il condannato si oppone, nella detenzione domiciliare sostitutiva. Si tratta di un tema di indubbio rilievo, rispetto al quale, tuttavia, si intravedono sullo sfondo questioni che attengono, per le ragioni già indicate, alla stessa legittimità della scelta del legislatore, tenuto conto che si tratta di una modifica, da una parte, successiva alla pronuncia della Corte costituzionale n. 112 del 2019, di cui si è ampiamente detto quanto alla natura non punitiva della confisca per equivalente, e, dall’altra, a cui la stessa Corte costituzionale sembra non aver attribuito decisiva valenza con la sentenza n. 7 del 2025 (intervenuta, al pari della sentenza della Corte Edu del 19.12.2024, Episcopo e Bassani c/Italia, dopo la decisione del presente procedimento) con cui, nonostante la vigenza del nuovo comma 1-bis dell’art. 86 disp. att. cod. proc. pen., si è chiaramente ribadita la natura ripristinatoria e non punitiva, della confisca – anche per equivalente – del profitto del reato.
- Quella delineata dal legislatore è una dinamica mobile, che può indirizzare la misura ablativa su un versante piuttosto che su un altro e che può riguardare o meno la modulazione in senso punitivo della stessa sanzione, alla cui diversa graduazione discende una corrispondente differenziazione dei livelli delle tutele.
15.1. L’impianto normativo rifugge da ogni rigidità precostituita volta a determinare il prisma delle garanzie concretamente applicabili al caso concreto, con particolare riferimento a quelle misure dai caratteri sfuggenti ed eterogenei, fra le quali si inserisce una confisca “poliedrica e multiforme” come quella di valore.
15.2. La sentenza impugnata ha omesso di confrontarsi con gli aspetti finora indicati, essendosi limitata a richiamare la natura “eminentemente sanzionatoria” della confisca per equivalente per farne conseguire automaticamente la natura punitiva e, quindi, il richiamo all’istitutodel concorso di persone nel reato e, in maniera altrettanto automatica, il principio civilistico della responsabilità solidale passiva, di cui si è contestato solo l’ambito operativo. Spetterà, quindi, al Giudice del rinvio rivalutare i fatti alla luce del principio di diritto espresso al par. 34. 12. In tale articolato quadro di riferimento si pone la questione della natura della confisca avente ad oggetto somme di denaro, rilevante nel presente processo per le ragioni già indicate.
15.3. Essa tradizionalmente risente della difficoltà di declinare i principi consolidati in precedenza descritti in ragione delle caratteristiche oggettive del denaro, bene strutturalmente fungibile; una declinazione, come si vedrà, che porta a ridisegnare i tratti caratterizzanti la confisca diretta, a sostanzialmente annullare la distinzione tra confisca diretta e confisca per equivalente, e, soprattutto, ad espungere il presupposto fondante la confisca diretta, costituito dalla rigorosa prova della derivazione dal reato del bene oggetto della ablazione. La questione è solitamente affrontata con riguardo al profitto del reato, ma si pone anche nei casi di confisca del prezzo.
- Sul tema si registrano molteplici interventi delle Sezioni unite, che è utile ripercorrere in maniera sintetica.
16.1. Occorre necessariamente prendere spunto da quanto affermato da Sez. U(n. 29951 del 24/05/2004, Focarelli, Rv. 228166, secondo cui “è ammissibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro che costituiscono profitto di reato sia nel caso in cui la somma si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa, sia quando sussistono indizi per i quali il denaro di provenienza illecita risulti depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di occultare”.
16.2. Valorizzando la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento, la sentenza esclude che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, dovendosi in realtà apprendere la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque rinvenuta, purché attribuibile all’indagato, e legata dal rapporto pertinenziale con il reato, del quale costituisce il profitto illecito (utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa).
16.3. Pur cogliendo la specificità del denaro, quale res fungibile per antonomasia, la citata sentenza ha ritenuto che la natura del bene non sia di per sé ostativa al necessario accertamento della provenienza del denaro dal reato: la fungibilità, cioè, avrebbe rilievo solo nel momento dell’apprensione del bene, ma non anche in relazione alla necessità di stabilire l’esistenza di un collegamento tra prezzo o profitto del reato e la disponibilità di somme in ragione del reato.
16.4. Non diversamente, le Sezioni unite si sono espresse con la sentenza n. 20208 dee 25/10/2007, Miragliotta, di cui si è pure ampiamente detto. La confisca del c.d. surrogato può essere qualificata in termini di confisca diretta solo a condizione che, al di là della fungibilità del bene, vi sia comunque la prova che proprio “quel” denaro – profitto del reato – sia stato utilizzato per acquistare il bene oggetto della ablazione.
16.5. In senso di obbiettiva e chiara discontinuità si pongono invece i principi enunciati da Sez. U, n. 10561 del 30 gennaio 2014, Gubert, Rv. 258647, di cui pure si è già detto, che fanno riferimento, da una parte, ad un concetto di profitto confiscabile più ampio e, dall’altra, ad un nesso di derivazione tra il bene confiscabile e il reato declinato in senso estensivo, perché riferibile anche ad ogni utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa.
Con tale decisione le Sezioni unite qualificano espressamente, da una parte, come risparmio di spesa il profitto derivante dal reato tributario corrispondente all’imposta evasa e, al contempo, qualificano come diretta la confisca del denaro – corrispondente al risparmio di spesa – rimasto nel patrimonio della persona giuridica nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il reato tributario, non potendo l’ente considerarsi, salvo il caso in cui costituisca un mero schermo della persona fisica, terzo estraneo rispetto al reato. È utile segnalare come l’intero percorso argomentativo sviluppato nella sentenza Gubert risenta dichiaratamente del fatto che, all’epoca della pronuncia, non era prevista la responsabilità da reato ex D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 con riguardo ai reati tributari: ciò comportava l’impossibilità di aggredire per equivalente il patrimonio della società nel cui interesse era stato commesso il reato. Dunque, per superare tale evidente discrasia, originata dal fatto che il profitto del reato tributario commesso dall’imputato persona fisica si determinava e “rimaneva” proprio nel patrimonio della società, è stata valorizzata la peculiarità della confisca avente ad oggetto il denaro qualificata sempre come confisca diretta e non per equivalente, con la conseguente applicabilità della stessa, attesa la previsione generale di cui all’art. 240 cod. pen., anche nei confronti della società, soggetto terzo rispetto all’autore del reato, ma non estraneo rispetto a quest’ultimo. Una complessa ricostruzione in gran parte venuta meno per effetto dell’inclusione dei principali reati tributari tra quelli presupposto della responsabilità da reato degli enti.
16.7. Il principio affermato nella sentenza Gubert è stato ripreso e sviluppato da Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437, secondo cui “qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato”. La delimitazione dei confini tra confisca diretta e confisca per equivalente viene effettuata non già nell’ottica di stabilire se ed a quali condizioni sia aggredibile il patrimonio del soggetto – diverso dall’autore del reato ma beneficiario del vantaggio che ne è derivato – quanto, piuttosto, per stabilire se sia possibile disporre la confisca anche nel caso di intervenuta prescrizione del reato. La sentenza chiarisce che è possibile disporre la sola confisca diretta nel caso di sopravvenuta estinzione del reato, mentre analoga possibilità non può consentirsi nel caso di confisca di valore, attesa la natura sanzionatoria di quest’ultima.
16.8. “Ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica”. Si aggiunge che non avrebbe senso “la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo”. Secondo la predetta sentenza non è condivisibile l’assunto secondo cui la confisca del denaro costituente prezzo o profitto del reato, in assenza di elementi dimostrativi che proprio quella somma sia stata versata su quel conto corrente, determini una sostanziale coincidenza della confisca diretta con quella di valore, dal momento che ciò che rileva è solo la prova della percezione illegittima della somma e non la sua materiale destinazione: “con la conseguenza che, agli effetti della confisca, è l’esistenza del numerario comunque accresciuto di consistenza a rappresentare l’oggetto da confiscare, senza che assumano rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito quel determinato conto bancario”.
- Successivamente, sono state pronunciate rilevanti sentenze che, per la peculiarità della fattispecie concreta, evidenziano la difficoltà di declinare in modo generalizzato il principio affermato dalla sentenza Lucci. Sono individuabili almeno quattro categorie di fatti in cui le indicate tensioni assumono carattere di evidenza.
17.1. La prima riguarda la configurabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro che non sia ancora presente nel patrimonio del reo, in quanto destinato a confluirvi in epoca successiva anche rispetto alla data di adozione della misura cautelare (Sez. 2, n. 29923 del 12/04/2018, Salvini, non massimata, secondo cui è legittimo il sequestro finalizzato alla confisca diretta dell’importo pari al profitto del reato “ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico”).
17.2. La seconda riguarda tutte quelle fattispecie in cui oggetto della confisca diretta sia denaro di provata provenienza lecita (tanto antecedente che successiva rispetto alla commissione del reato), ipotesi in cui la qualificazione della confisca in termini di confisca diretta “passa”, inevitabilmente, attraverso il completo superamento del requisito della pertinenzialità del bene rispetto al reato: una confisca diretta fondata solo sul carattere fungibile del bene (cfr., Sez. 6, n. 6816 del 29/01/2019, Sena, Rv. 275048 con cui si è affermata la necessità di apportare un correttivo alle conseguenze della fungibilità del denaro e della incidenza di tale aspetto sulla confisca del profitto del reato nel senso di ritenere diretto il sequestro preventivo, purché si tratti di denaro già confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento; nello stesso senso Sez. 6, n. 15923 del 26/03/2015, Antonelli, Rv. 263124). Il tema attiene non solo ai casi in cui vi sia la prova della derivazione lecita del denaro, ma anche a quelli in cui, al contrario, vi sia la prova che il prezzo del reato o il profitto sia stato, in un dato momento precedente al sequestro o all’ablazione, consumato, occultato, disperso.
17.3. La terza classe di fattispecie riguarda i casi di denaro depositato su conto corrente cointestato con soggetti diversi dall’autore del reato, che siano in grado di dimostrare la provenienza lecita del bene; una confisca diretta, in questi casi, non solo avulsa da ogni prova del nesso di derivazione del bene dal reato, ma che produce indistinti effetti sul patrimonio del terzo, estraneo al reato (Sez. 6, n. 19766 del 11/12/2019, dep. 2020, Salina, Rv. 279277; Sez. 6, n. 25427 del 4/03/2020, Stiriti, non mass., in cui si è evidenziato come l’analisi debba essere “spostata” al momento precedente la costituzione della comunione sul denaro, atteso che, diversamente, si ammetterebbe, in via generalizzata, il sequestro funzionale alla confisca diretta del prezzo o del profitto del reato di beni che possono appartenere a soggetti diversi dall’indagato.
17.4. La quarta classe di fatti riguarda le ipotesi in cui il denaro sia già nella disponibilità del reo prima ancora della commissione del reato; si tratta di casi in cui il profitto non è costituito tanto da un effettivo accrescimento patrimoniale, quanto, piuttosto, da un mancato decremento, da un mancato esborso (Sez. 3, n. 23040 del 01/07/2020, Multi Service Srl, Rv. 279827; Sez. 3, n. 22061 del 23/01/2019, Moroso, Rv. 275754; Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018, dep. 2019, Torelli, Rv. 274859; Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, dep. 2017, Barletta, Rv. 272353).
- In questo quadro di riferimento, obiettivamente articolato, che ha prodotto disallineamenti e che lascia sullo sfondo irrisolte rilevanti questioni, con ordinanza n. 7021 del 23/02/2021 la Sesta sezione ha rimesso nuovamente la questione alle Sezioni unite sollecitando un intervento chiarificatore sul se, ai fini del sequestro e della confisca diretta, la fungibilità del bene possa esentare “sempre” dalla prova del nesso di derivazione del denaro – costituente prezzo o profitto – dal reato, ovvero configuri solo una presunzione superabile. È stato sollecitato alle Sezioni unite un intervento chiarificatore dei principi affermati con la sentenza Lucci, che, peraltro, sulle peculiari questioni indicate non aveva assunto una posizione specifica.
18.1. Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C, Rv. 282037 hanno ribadito il principio già affermato con la sentenza Lucci, estendendolo nella sua portata. Hanno infatti ritenuto ” in ogni caso” del tutto indifferente l’identità fisica dei beni numerari oggetto di ablazione, cioè la loro corrispondenza materiale a quelli illecitamente conseguiti, tenuto conto delle peculiarità ontologiche e normative del bene-denaro, diverso rispetto a qualsiasi altro tipo di “utilità”; la natura e la funzione del denaro renderebbero recessiva la sua consistenza fisica, determinando la sua automatica confusione nel patrimonio del reo, che ne risulta correlativamente accresciuto.
18.2. Da ciò deriverebbe la sostanziale irrilevanza, da una parte, della eventuale esistenza di altri attivi monetari eventualmente confluiti nel patrimonio del reo – anche a seguito di versamenti di denaro aventi origine lecita nel conto corrente bancario – e, dall’altra, delle vicende riguardanti le somme percepite successivamente rispetto alla misura di confisca o di sequestro. In questa prospettiva, la confisca diretta del denaro non determinerebbe alcuna deroga rispetto agli ordinari standard probatori, essendo sempre necessario provare l’effettivo conseguimento da parte del reo del profitto o del prezzo del reato; l’esistenza di tale legame pertinenziale, giustificativo della confisca diretta di una somma corrispondente, si collocherebbe “a monte”, ovvero nell’effetto di illecito incremento patrimoniale conseguente alla perpetrazione del reato.
- Si tratta di una sentenza i cui principi sono stati sostanzialmente applicati nella giurisprudenza successiva della Corte nella quale, tuttavia, si sono continuati a registrare significativi disallineamenti in tema di mancati esborsi (Sez. 3, n. 6577 del 24/10/2023 – dep. 2024 – Curatela Fallimento Heintzmann Italia Spa, Rv.285951; Sez. 3, n. 11086 del 28/03/2022, Pulvirenti, Rv. 283281), e, soprattutto, con riguardo alla assolutezza del principio nei casi in cui vi sia la prova della derivazione lecita del denaro sopraggiunto sul conto dopo la commissione del reato, ovvero la prova della impossibilità di confusione tra il prezzo o il profitto conseguito e le somme sopravvenute (Sez. 5, n. 36223 del 28/06/2024, Maggioni, Rv. 286945; Sez. 5, n. 31186 del 27/06/2023, Orsini, Rv. 285072). Il ragionamento delle Sezioni unite è costruito su due argomentazioni costitutive: da una parte, il carattere intrinseco di “fungibilità” del denaro e, dall’altra, l’effetto normativo di automatica “confusione” nel patrimonio del reo del profitto o del prezzo monetario conseguito attraverso il reato. Sarebbe infatti il carattere fungibile del bene a svuotare, nullificandolo, il canone della pertinenzialità; da ciò deriverebbe l’irrilevanza della possibilità di risalirealla identità fisica del denaro di provenienza illecita.
- Quelle indicate sono argomentazioni che, anche alla luce della successiva giurisprudenza, non offrono risposte alle numerose questioni che ancora sono sul campo.
20.1. In generale, quanto al tema della fungibilità, è sufficiente ribadire come esso inerisca alla cosa in sé, al suo carattere oggettivo, alla natura del bene, ma è esterno rispetto alla prova del nesso di pertinenzialità tra il bene e il reato che, invece, si risolve in un giudizio di relazione diverso rispetto alla natura giuridica del bene; un giudizio, quello sulla pertinenzialità, che non riguarda le caratteristiche del bene ma il legame (eziologico) di provenienza della res.
20.2. È indubbio che il denaro costituisce un mezzo generale di acquisto dei beni e assolve ad una generale funzione di pagamento; è senz’altro vero che al denaro si riconosce anche la funzione di misura generale dei valori, atteso che le entità patrimoniali devono tradursi in quantità monetarie quando sia necessaria una loro valutazione, e, tuttavia, il carattere della fungibilità del denaro è irrilevante rispetto alla prova – decisiva rispetto alla qualificazione della confisca come diretta – che la cosa “derivi” da una determinata fonte, cioè dal reato commesso. La circostanza che il bene sia fungibile (cioè, privo di individualità specifica e, pertanto, passibile di sostituzione senza trasformazione in ragione della confusione) ovvero infungibile (cioè, non suscettibile di sostituzione se non attraverso una conversione per equivalente di valore), costituisce un dato muto rispetto al diverso requisito riguardante il suo legame con il reato. Il presupposto indefettibile per la confisca diretta – il nesso di derivazione – viene annichilito in ragione della fungibilità del bene attraverso l’attribuzione al termine “fungibile” di un valore semantico che non gli è proprio: non vi è nessuna norma che autorizzi una confisca diretta prescindendo, in ragione della natura fungibile del bene, dalla necessità di accertare il legame tra l’oggetto della ablazione e il reato. La monetizzazione del profitto rende certamente più complesso il tracciamento del legame con il reato, ma non impossibile: la circostanza che il denaro non abbia, di regola, un suo elemento identificativo, riconoscibile ex post, non è decisiva. Ciò vale per il prezzo e per il profitto del reato. Il prezzo e il profitto, come acutamente osservato dalla dottrina, costituiscono “evento” in senso tecnico e devono avere proprie e contingenti coordinate spaziotemporali.
20.3. Operando diversamente, la mutilazione della fattispecie ablatoria diretta si consumerebbe attraverso una generalizzazione – la confusione indistinta del denaro nel patrimonio – che opererebbe sul piano astratto e senza specificità. Il denaro che costituisce il profitto o il prezzo derivante dal reato si tramuterebbe, secondo l’opzione interpretativa in esame, in un tutto indistinto, confiscabile sempre, senza nessun riferimento alla “storia” del bene che si sottrae, alla sua causale specifica, al rapporto con il reato.
- Due considerazioni ulteriori si impongono.
21.1. La prima è che, volendo ragionare con i principi enunciati da Sez. U, Lucci, non sono chiari né i casi in cui la confisca avente ad oggetto somme di denaro potrebbe essere di valore, né la ragione per cui la confisca di valore dovrebbe essere relegata ad un mero simulacro; né, come detto, all’interno delle norme che consentono la confisca per equivalente dei beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto (si vedano, esemplificativamente, gli artt. 322-ter cod. pen. e 12- bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), si opera una distinzione con riguardo al denaro. La generalizzazione totalizzante, muovendo dal tema della fungibilità, di cui si è detto, giunge di fatto a espungere dall’ordinamento la confisca di valore in favore della confisca diretta in tutti i casi in cui il profitto o il prezzo siano costituiti da denaro.
21.2. La seconda considerazione è che, se davvero la confisca di denaro deve sempre essere considerata come confisca diretta, la conseguenza che ne deriva è l’esistenza nell’ordinamento di un terza e non prevista figura di confisca. Si avrebbe nell’ordinamento un triplice modello di confisca: – la confisca di proprietà, che impone l’accertamento del nesso di derivazione della cosa dal reato; – la confisca di valore, che invece prescinde dall’accertamento del nesso in questione; – la confisca di denaro, che sarebbe “sempre” diretta, prescindendo, di fatto, da una parte, dall’accertamento del nesso di derivazione del denaro dal reato in ragione della natura del bene, cioè dalla sua fungibilità, e, dall’altra, anche dalla eventuale prova positiva della liceità ed estraneità del denaro che si sequestra rispetto al reato.
21.3. A non diverse conclusioni deve pervenirsi anche con riguardo al tema della confusione. Volendo ragionare con la tesi della fungibilità e della indistinta confusione, la conclusione a cui si dovrebbe pervenire dovrebbe in realtà essere opposta a quella indicata: quando si tratta di denaro, la confisca dovrebbe ritenersi sempre per equivalente, cioè il tantundem ritrovato, a prescindere dalla sua identificazione/identificabilità, salvo che non vi sia la prova del nesso di derivazione del denaro dal reato. In altri termini, la confisca del denaro è per equivalente tutte le volte in cui si smarrisce la rintracciabilità fisica del bene: la circostanza che un bene non possa essere rintracciato perché di per sé non marcabile, porta alla conclusione per cui, per effetto della contaminazione del denaro nel patrimonio del reo, il bene perde la sua individualità e l’ablazione ha ad oggetto il suo valore corrispondente: una confisca che attiene al tantundem.
21.4. A diverse conclusioni non pare potersi giungere nemmeno nel caso in cui si intenda fare riferimento ad un effetto di confusione che si realizza non in relazione all’intero patrimonio, come in passato sostenuto, ma al conto corrente o, comunque, al “luogo” su cui il prezzo o il profitto sono versati, perché anche in tali casi la consegna comporta l’acquisto in capo al depositario della proprietà della somma ed il sorgere dell’obbligo di restituzione del tantundem, cioè della somma corrispondente al valore nominale di quella di cui si è acquisita la proprietà (cfr. Sez. 1 civ., n. 788 del 20/01/2012, Rv. 621208 – 01).
- Sulla base della ricostruzione compiuta, è possibile – senza pretesa di esaustività – indicare in positivo quando la confisca di somme di denaro debba essere qualificata come diretta e quando, invece, debba essere ritenuta per equivalente.
22.1. In particolare, la confisca del denaro è diretta nei casi in cui:
– risulti che la somma confiscata sia proprio “quella” derivata dal reato;
– si è in presenza di “metamorfosi” del profitto o del prezzo del reato, cioè si sia in presenza di una utilità economica mediata ed indiretta acquisita successivamente al reato (surrogato, reimpiego), ma, in ogni caso, collegata eziologicamente all’illecito e, soprattutto, all’uso del profitto o del prezzo derivante dal reato: occorre la prova che la somma di denaro o il bene utilizzato per il reimpiego siano derivanti dal reato (Sez. U, Focarelli, cit.; Sez. U, Miragliotta, cit.);
– sussista la prova, sulla base delle concrete circostanze di tempo e di luogo, che proprio il denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato – versato sul conto – sia poi stato prelevato e utilizzato per l’impiego e per l’acquisto di unulteriore bene (es. transito immediato della somma, che è versata e prelevata in circostanze di tempo e di fatto dimostrative del fatto che si tratti della stessa somma).
22.2. La confisca del denaro non è invece diretta se ha ad oggetto somme sopravvenute o preesistenti rispetto al reato ovvero, comunque, a questo certamente non riconducibili; in particolare, la confisca di somme giacenti sul conto corrente non è diretta in tutti i casi in cui, attraverso il “tracciamento” degli incrementi patrimoniali in denaro, non sia provato che si tratti di denaro derivante da reato. A mero titolo esemplificativo, non è diretta la confisca di: a) somme relative ad emolumenti stipendiali o assimilabili; b) somme relative a pagamenti da parte di soggetti terzi in adempimento di prestazioni non collegabili al reato; c) somme provento di vendita di beni, acquistati in epoca antecedente alla commissione dell’illecito; d)somme confluite su un conto corrente cointestato, ma relative a proventi di uno dei correntisti estraneo al reato.
- Possono, dunque, essere declinati una serie di principi che – come si è già detto – assumono rilievo rispetto alla questione devoluta e alla valutazione dei motivi dei ricorsi. Costituisce prezzo del reato il compenso dato o promesso per indurre, determinare o istigare un soggetto a commettere il reato. Costituisce profitto il vantaggio che il reo consegue dal reato. La confisca del denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato è diretta se vi è la prova del nesso di derivazione del denaro dal reato. L’estensione della nozione di profitto, e, quindi, la possibilità di disporre la confisca diretta del “provento” del reato (surrogati, utilità mediate, reimpieghi) non esime, come anche nel caso di ablazione del prezzo del reato, dalla prova del nesso di derivazione della res dal reato. La confisca, anche diretta, del profitto o del prezzo ha carattere punitivo solo quando eccede il valore del vantaggio economico che l’autore ha tratto dal reato. La confisca per equivalente del prezzo e del profitto costituisce una modalità di apprensione dei beni alternativa a quella diretta, assolve ad una funzione ripristinatoria, ha una componente sanzionatoria e può solo eventualmente assumere carattere punitivo, nel senso in precedenza indicato (Corte cost., sent. n. 112 de 2019). […]
- Dunque, oltre ai profili in precedenza indicati, relativi alla qualificazione dell’oggetto della confisca come profitto del reato e all’affermata indistinta natura punitiva della confisca per equivalente del prezzo e del profitto, la sentenza è viziata anche per avere il Tribunale ritenuto sempre diretta la confisca avente ad oggetto somme di denaro. A conclusioni diverse rispetto a quelle del Tribunale deve giungersi anche per quel che concerne la specifica questione rimessa alle Sezioni unite, oggetto di orientamenti divergenti. […]
24.1. Secondo un primo orientamento, che può ritenersi maggioritario, nel caso di reato concorsuale, la confisca per equivalente può essere disposta nei confronti di ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto riveniente dal reato, anche nei casi in cui le somme siano state incamerate in tutto o in parte da altri correi, pur sempre senza eccedere nel quantum l’ammontare complessivo del profitto stesso e salvo l’eventuale riparto tra i concorrenti, costituente quest’ultimo, però, fatto interno a costoro privo di rilievo penale (tra le altre, Sez. 2, n. 13008 del 31/01/2024, Vartolo, non mass.; Sez. 6, n. 8124 del 23/01/2024, Toteda, non mass.; Sez. 2, n. 51720 del 30/11/2023, Argentato, non mass.; Sez. 6, n. 24914 del 18/05/2023, Nizzoli, non mass.; Sez. 2, n. 22073 del 17/03/2023, Fiordigigli, Rv. 284740; con specifico riferimento alla confisca per equivalente: Sez. 4, n. 31139 del 16/04/2024, Bassu, non mass.; Sez. 3, n. 43273 del 07/07/2023, Giannicola, non mass, sul punto; Sez. 3, n. 25317 del 31/05/2023, Diana, non mass.; Sez. 2, n. 33755 del 15/07/2016, Nardecchia, Rv. 267576).
24.2. La genesi dell’orientamento muove da alcune pronunce risalenti, precedenti a Sezioni Unite Fisia Italimpianti, che hanno affermato principi poi ribaditi nel tempo in modo pressoché invariato. All’indomani dell’introduzione della confisca per equivalente all’interno dell’ art. 322-ter cod. pen. ad opera dell’art. 3, primo comma, legge 29 settembre 2000, n. 300, della questione si è occupata Sez. 5, n. 15445 del 16/01/2004, Napolitano, Rv. 228750, pronuncia identificabile come capostipite dell’indirizzo in parola. Nella occasione, la Corte, facendo riferimento alla “teoria monistica” che ispira la disciplina del concorso di persone nel reato e che comporta che ciascun concorrente risponda del fatto delittuoso nella sua globalità, quale che sia l’entità del contributo prestato, ha ritenuto che proprio il principio solidaristico in ordine al fatto illecito comporta anche solidarietà nella pena, nel senso che, a norma dell’art. 110 cod. pen., ciascuno deve rispondere della pena stabilita per il reato, salve le disposizioni di legge volte a graduare la sanzione penale a seconda della valenza che ciascuna partecipazione assume nel contesto generale del concorso, sulla base dei parametri normativi di cui agli artt. 112 e 114 cod. pen. Spostando l’angolo prospettico, la sentenza ha quindi evidenziato la natura “sostanzialmente sanzionatoria” della confisca per equivalente che, appunto, giustifica il richiamo alla compartecipazione criminosa. La combinazione di tali enunciati ha dunque portato alla formulazione del principio indicato (nello stesso senso, sostanzialmente, Sez. 2, n. 30729 del 06/07/2006, Carere, Rv. 234849; Sez. 2, n. 10838 del 20/12/2006, dep. 2007, Napolitano, Rv. 235832, che si occupa di un caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di valore ex art. 640-quater cod. pen.).
24.3. Alcune sentenze, successive a Sezioni unite Fisia Italimpianti, aderenti all’indirizzo in parola ne hanno misurato la tenuta anche rispetto ai principi di personalità della responsabilità penale e di proporzionalità e ne hanno escluso ogni possibile frattura. In particolare, Sez. 5, n. 19091 del 26/02/2020, Buonpensiere, Rv. 279494 ha affermato che la confisca di valore è “conseguente e proporzionata alla produzione del profitto illecito e non alla sua effettiva disponibilità” da parte del correo “essendo ragionevole che tutti coloro che abbiano concorso a produrlo rispondano con i propri beni dell’impossibilitàdi recuperarlo” (conf. Sez. 5, n. 25560 del 20/05/2015, Gilardi, Rv. 265292; Sez. 6, n. 26621 del 10/04/2018, Ahmed, Rv.27325; Sez. 5, n. 36069 del 20/10/2020, Carbone, Rv. 280322). Il giudizio di proporzione, si è argomentato, andrebbe compiuto tra l’ablazione e l’entità dell’illecito vantaggio prodotto dal reato e non del vantaggio che il singolo compartecipe abbia tratto dalla sua partecipazione al reato. L’unico limite invalicabile all’indiscriminata escussione di tutti i concorrenti sarebbe costituito dal divieto di confiscare in assoluto più di quanto nel complesso conseguito (in termini adesivi, da ultimo, Sez. 3, n. 43564 del 12/09/2023, Tanzarella, non mass., cit; Sez. 2, n. 33636 del 23/06/2023, Russo, non mass.; Sez. 2, n. 18716 del 18/01/2023, Di Bari, non mass.; Sez. 3, n. 33444 del 01/07/2021, Pannaccione, non mass.).
24.4. Questo è il quadro in cui si colloca Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti, non mass, sul punto, nel passaggio motivazionale in cui, non recependo nella sua assolutezza il principio di solidarietà passiva, ha spiegato che la confisca per l’intero profitto nei confronti di ciascun concorrente nel reato è sempre subordinata alla impossibilità di individuare la quota dal singolo compartecipe conseguita a seguito dell’illecito.
- Non casualmente, quindi, le Sezioni Unite Fisia Italimpianti sono state, nel corso del tempo, richiamate proprio a conforto anche dell’indirizzo minoritario. In epoca di poco successiva alla formulazione della prima opzione interpretativa indicata, si colloca Sez. 6, n. 25877 del 23/06/2006, Maniglia, Rv. 234850, con cui è stata ritenuta immune da vizi la decisione che aveva ridotto l’entità della somma vincolata con il sequestro preventivo funzionale alla confisca in ragione della quota di profitto conseguita dall’indagato (in senso conforme, successivamente alla sentenza Fisia Italimpianti, Sez. 1, n. 4902 del 16/11/2016, dep. 2017, Giallongo, Rv. 269387; Sez. 1, n. 33282 del 19/7/2012, Giallongo, non mass.; Sez. 6, n. 10690 del 20/02/2009, Giallongo, Rv. 243189; Sez. 6, n. 30966 del 14/06/2007, Puliga, Rv. 236982, tutte aventi ad oggetto la medesima statuizione di confisca, reiteratamente annullata dalla Corte, che ha continuato a ribadire, nelle occasioni, la necessità di ripartire fra i concorrenti le quote dell’ablazione).
25.1. Si tratta di sentenze che rilevano per avere affrontato anche l’ulteriore questione a cui subito si è fatto riferimento da parte dell’indirizzo che, non aderendo al principio solidaristico, propendeva invece per l’opzione della frammentazione della confisca fra i correi; ci si riferisce al caso, non infrequente soprattutto in fase cautelare, in cui gli atti non consentano di individuare la quota-parte del profitto conseguito dal singolo concorrente.
25.2. Si tratta di un indirizzo ripreso e ulteriormente sviluppato recentemente da altre sentenze (Sez. 2, n. 14654 del 07/03/2024, Bertelli, non mass, sul punto; Sez. 3, n. 11617 del 06/03/2024, Ventrone, Rv. 286073; Sez. 3, n. 5483 del 25/10/2023, dep. 2024, Navaro, non mass; Sez. 6 n. 33757 del 10/06/2022, Primitivo, Rv. 283828; Sez. 6, n. 29205 del 30/06/2021, Pizzolante, non mass; Sez. 6, n. 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046). Come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, l’indirizzo che si sta esaminando siè articolato secondo alcune varianti. Secondo una prima prospettazione, la natura afflittiva della confisca di valore renderebbe doveroso graduarne l’entità con riferimento, ove ricostruibile, al “grado di partecipazione del singolo concorrente alla formazione e acquisizione del profitto o del prezzo” (Sez. 6, n. 10612 del 05/12/2023 Bianco, dep. 2024, Rv. 286168, in tema di peculato; nello stesso senso Sez. 6, n. 23203 del 05/03/2024, Petrini, cit., in tema di corruzione). Una diversa opzione interpretativa, sempre favorevole alla tesi della ripartizione fra i correi della ablazione, ha ritenuto invece di fare riferimento alla divisione paritaria del vantaggio tra i correi (cfr., Sez. 6, n. 4727 del 20/01/2021, Russo, Rv. 280596; Sez. 5, n. 20101 del 12/12/2014- dep. 2015, Giallongo, Rv.263835).
- In tale contesto, alcune pronunce hanno anche posto in rilievo la differenza di struttura e di funzione fra sequestro preventivo e confisca, così da proporre una diversa conformazione del vincolo reale nel reato concorsuale in relazione ai due istituti.
26.1. Secondo Sez. 6, n. 4727 del 20/01/2021, Russo, sopra citata (conf. Sez. 5, n. 20101 del 12/12/2014, dep. 2015, Giallongo, cit.), la regola che imporrebbe la suddivisione dell’ammontare del profitto fra i correi in proporzione dei loro effettivi profitti sarebbe applicabile solo in relazione alla confisca e non al sequestro preventivo anticipatorio della stessa. Si imporrebbe solo in relazione alla prima misura il rispetto del principio di proporzionalità della risposta afflittiva e non anche in relazione alla misura cautelare, la quale, al di fuori di qualsiasi logica afflittiva, fungerebbe da mero strumento funzionale alla realizzazione dell’interesse perseguito con la confisca stessa. Dunque, secondo detta impostazione, ben potrebbe il sequestro preventivo coinvolgere il patrimonio del reo concorrente nella sua interezza per l’intero profitto cagionato dal reato e non limitatamente alla porzione di sua pertinenza. Si tratta di una impostazione non condivisa dalla parte maggioritaria del medesimo orientamento che fa invece riferimento al riparto in parti uguali dell’equivalente del profitto fra i correi occupandosi, in molte occasioni, proprio del provvedimento cautelare (così, fra le più recenti, le già citate Sez. 6 n. 33757 del 10/06/2022, Primitivo, Rv. 283828; Sez. 6, n. 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046).
- Ciò posto, sul piano del metodo è utile affrontare la questione facendo riferimento al provvedimento di confisca; si procederà in seguito a verificare se e in che limiti le conclusioni cui si giungerà siano estensibili anche alla fase cautelare, e, in particolare, al provvedimento di sequestro preventivo prodromico alla ablazione. È utile evidenziare come l’orientamento maggioritario, quello cioè che fa riferimento, in modo indistinto, alla solidarietà passiva, sia fondato su tre argomenti costitutivi.
27.1. Il primo è costituito dal riferimento alla natura e alla funzione “sanzionatola” della confisca di valore.
27.2. Il secondo attiene alla responsabilità del correo nel reato plurisoggettivo, atteso che proprio la fissità della responsabilità concorsuale giustificherebbe l’ablazione per ciascun concorrente dell’intero prezzo o profitto, prescindendo dall’arricchimento in concreto conseguito dal singolo.
27.3. Il terzo argomento, conseguente ai primi due, è costituito dal riferimento civilistico alla solidarietà passiva dell’obbligazione.
- Nessuno dei tre argomenti può essere condiviso.
28.1. Il primo argomento, quello per cui il principio solidaristico conseguirebbe dalla natura sanzionatoria della confisca per equivalente, prova troppo. Si è già sottolineato come la confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato non è una pena patrimoniale, quanto, piuttosto, un surrogato della confisca diretta. Si è già evidenziato che la confisca per equivalente, pur avendo una componente sanzionatoria, assolve fisiologicamente ad una funzione di riequilibrio, nel senso che tende a rimettere la sfera giuridica patrimoniale del reo nella stessa situazione che avrebbe avuto se il reato non fosse stato commesso, e non ha carattere strettamente punitivo, perché, come spiegato dalla Corte costituzionale, essa tendenzialmente non tende a sottrarre al reo più di quanto abbia conseguito indebitamente dal reato. La confisca per equivalente non è una pena patrimoniale, sicché il riferimento al carattere “sanzionatorio” della confisca per equivalente, pur condivisibile per le ragioni già indicate in precedenza, non giustifica il richiamo, ai fini della indistinta responsabilità solidale, alla pena, al reato, alla disciplina della compartecipazione criminosa. L’assunto secondo cui la confisca del prezzo o del profitto può essere disposta per l’intero prezzo o profitto nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti anche quando questi non abbia accresciuto in nulla – o solo in parte – il proprio patrimonio, potrebbe al più giustificarsi solo riconoscendo alla confisca in esame una fisiologica e intrinseca funzione punitiva, in realtà, come detto, tendenzialmente assente rispetto allo schema del mero riallineamento economico. La funzione sanzionatoria della confisca di valore è invocabile, semmai, solo in quanto funzionale ad ampliarne le garanzie, in ossequio ai dettami della Corte costituzionale e della giurisprudenza Europea al fine di superare i formalismi in cui si annidano i rischi delle c.d. “frodi classificatorie”.
28.2. Chiarito ciò, non appare decisivo nemmeno il riferimento al concorso di persone nel reato e al modello unitario del reato concorsuale. Prescindendo dalla questione relativa alla natura unitaria o meno della compartecipazione criminosa (sul tema, di recente, Sez. U., n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, Gambacurta, Rv.286581) e pur volendo ragionare facendo riferimento alla concezione monistica, questa non giustifica l’applicazione in concreto a tutti i concorrenti della stessa sanzione in modo fisso e predeterminato. La tradizionale concezione giuridica del fenomeno concorsuale, infatti, individua nell’art. 110 cod. pen. una disposizione che accede alle singole fattispecie incriminatrici di parte speciale – costruite secondo il paradigma del reato monosoggettivo – consentendo in tal modo di configurare altrettante fattispecie eventualmente plurisoggettive nella cui struttura si inseriscono – e diventano per il medesimo titolo di reato punibili – tutte le condotte che abbiano materialmente o moralmente contribuito alla realizzazione del reato anche quando di per sé non realizzano l’intera fattispecie. Un istituto – quello del concorso nel reato – che permette di attrarre nella stessa cornice edittale “astratta” i singoli contributi concorsuali, ma che, tuttavia, non giustifica la fissità della risposta punitiva e, soprattutto, non consente a taluno dei correi di farsi carico della pena da infliggere all’altro compartecipe. L’ordinamento conosce istituti in grado di conformare, di graduare la risposta sanzionatoria applicabile in “concreto” a ciascun correo. Dunque, la regola che imputa la confisca di valore per l’intero a carico di ciascun concorrente a prescindere dalla quota di conseguimento di quest’ultimo del profitto o del prezzo generato dal reato non costituisce un corollario necessitato della teoria monistica del concorso eventuale di persone nel reato, ponendosi la stessa, di contro, in senso asimmetrico con la sua disciplina, nonché, più in generale, con i principi di colpevolezza, e, in ultima analisi, con il principio di uguaglianza (Corte cost., sent. n. 322 del 2007; 1085 del 1988; n. 42 del 1965).
28.3. Né è obiettivamente chiaro il senso del riferimento all’istituto di matrice civilistica della “solidarietà” passiva della obbligazione, utilizzato dalla citata giurisprudenza per giustificare il criterio totalizzante di imputazione della confisca al singolo nel reato concorsuale; non è chiara, in particolare, la ragione che “lega” il tema della obbligazione solidale civile con quello del concorso del reato e con la confisca per equivalente. È stato correttamente fatto notare in dottrina come l’istituto della solidarietà evochi in ambito penale al più l’art. 187 cod. pen., che sancisce il principio della solidarietà per le obbligazioni ex delieto, ma si tratta, tuttavia, di un riferimento che mal si presta ad essere conciliato con la logica della confisca per equivalente.
- Sotto ulteriore profilo, la tesi della solidarietà passiva è difficilmente conciliabile con il principio di proporzionalità che, come noto, è trasversale al sistema ed ha trovato genesi ed espressione nei vari contesti, distinti ma sovrapposti, del diritto dell’Unione Europea (ove trova riferimento negli artt. 5 par. 3 e 4 T.U.E., art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 della Carta di Nizza, elevata in forza dell’art. 6 T.U.E., a fonte primaria dell’Unione, al pari dei Trattati), della giurisprudenza di Strasburgo, e dell’ordinamento interno. Il giudizio di proporzionalità si snoda in quattro verifiche successive, relative: a) alla sussistenza di una finalità legittima della misura; b) all’idoneità della misura stessa a conseguire quella finalità; c) alla necessità della misura, intesa come inesistenza di misure egualmente idonee ma meno incidenti sui diritti fondamentali dell’interessato; d) alla sua proporzionalità in senso stretto, ossia al carattere non eccessivo della compressione del diritto fondamentale rispetto all’importanza dello scopo perseguito. Si tratta di un princìpio che trova applicazione in diversi ambiti e rappresenta un generale criterio applicativo per il giudice comune.
29.1. Quanto in particolare alla confisca, è utile evidenziare che il Regolamento 2018/1805/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 sul mutuo riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e confisca prevede espressamente, all’art. 1 par.3, che “nell’emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità”.
29.2. Anche la Direttiva 2014/42/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, di cui sì è già detto, contempla uno specifico riferimento alla proporzionalità della confisca di valore al Considerando n. 17 (“Nell’attuazione della presente direttiva con riguardo alla confisca di beni di valore corrispondente ai beni strumentali al reato, le pertinenti disposizioni potrebbero essere applicate se, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, tale misura è proporzionata, considerato, in particolare, il valore dei beni strumentali interessati”). Al Considerando n. 18 è previsto inoltre che “nell’attuazione della presente direttiva, gli Stati membri possono prevedere che, in circostanze eccezionali, la confisca non sia ordinata qualora, conformemente al diritto nazionale, essa rappresenti una privazione eccessiva per l’interessato, sulla base delle circostanze del singolo caso, che dovrebbero essere determinanti”, pur precisando che “è opportuno che gli Stati membri facciano un ricorso molto limitato a questa possibilità e abbiano la possibilità di non ordinare la confisca solo quando essa determinerebbe per l’interessato una situazione critica di sussistenza.
29.3. La nuova Direttiva 2024/1260 UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 24 aprile 2024 (in vigore dal 22 maggio 2024) e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 23 novembre 2026 (art. 33), analogamente richiama il principio di proporzione con specifico riferimento alla confisca per equivalente dei beni strumentali (Considerando n. 27) nonché la possibilità che gli Stati prevedano, in circostanze eccezionali, che la confisca non sia ordinata qualora rappresenti una privazione eccessiva per l’interessato in base alle circostanze del caso (Considerando n. 49).
29.4. Il principio di proporzionalità, è stato autorevolmente spiegato, può assumere una valenza c.d. prospettica, che involge, cioè, il rapporto tra la misura limitativa dei diritti e la finalità legittima perseguita dalla norma; una proporzione che attiene al rapporto tra mezzi impiegati o scopo perseguito (Corte EDU, Grande Camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. Srl c. Italia). La proporzionalità, si è osservato, può anche assumere una valenza c.d. retrospettiva, che attiene invece alla valutazione del se una norma sanzionatoria – e, in particolare, “punitiva” – produca una compressione eccessiva dei diritti fondamentali del suo destinatario. In questo caso, assume rilievo la valutazione della congruità della risposta sanzionatoria rispetto al fatto che ha dato causa alla sanzione; si tratta di una valutazione di proporzionalità a cui ha fatto riferimento la Corte costituzionale proprio in tema di confisca (Corte cost., sent. n. 112 del 2019, di cui si detto sopra) e che verte non sul rapporto tra la misura sanzionatoria e la finalità legittima perseguita, quanto, piuttosto, sul rapporto tra la severità della sanzione punitiva e la gravità dell’illecito sanzionato.
29.5. La norma, ha spiegato la Corte costituzionale, è costituzionalmente illegittima quando la reazione sanzionatoria appaia manifestamente eccessiva rispetto al disvalore, oggettivo e soggettivo, del fatto. Il giudizio di proporzionalità – si è ancora chiarito in dottrina in modo condivisibile – è retrospettivo rispetto alle misure di natura punitiva; è invece prospettico rispetto ad ogni altra misura restrittiva di diritti fondamentali, a natura preventiva o ripristinatoria, in cui ciò che rileva è che il legislatore non incida sui diritti fondamentali della persona in maniera inidonea, non necessaria o non proporzionata (in senso stretto) rispetto alle legittime finalità di tutela liberamente perseguite dalla norma. Un sindacato sulla proporzionalità che, rispetto alle pene, trova il proprio fondamento nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nell’art. 27, terzo comma, Cost., con riguardo al necessario orientamento alla rieducazione della pena, e al principio della personalità della responsabilità penale, che è alla base della necessaria individualizzazione della pena. Un sindacato di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito – ha spiegato la Corte costituzionale – “applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative”, quindi non solo a quelle c.d. punitive in senso stretto, trovando in tal caso il principio in esame la propria base normativa nell’art. 3 Cost. ” in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti divolta in volta incisi dalla sanzione” (Corte cost., sent. n. 112 del 2019).
- È possibile, dunque, formulare alcune considerazioni:
– la confisca è misura sottoposta anch’essa al controllo di proporzione, a prescindere dalla sua formale “etichetta”;
– anche rispetto alla confisca si deve valutare se la compromissione del diritto di proprietà sia idonea, necessaria e proporzionata rispetto al fine prefissato;
– se l’ablazione non è diretta ad un mero ripristino ma assume connotati punitivi, nel senso in precedenza esplicitato (Corte cost., sent. n. 112 del 2019), il controllo di proporzionalità assume una valenza retrospettiva, con particolare riguardo alla proporzione della sanzione complessivamente irrogata rispetto alla gravità del singolo fatto;
– se l’ablazione è invece diretta al ripristino della situazione anteriore all’illecito, il controllo di proporzionalità ha una valenza prospettica ed è volto a verificare la congruità del mezzo – cioè della misura- rispetto al fine.
– gli automatismi e le rigidità sanzionatone possono essere elementi indicativi di sproporzione.
- In questa prospettiva, si è già detto di come l’orientamento interpretativo fondato sulla c.d. solidarietà passiva dei concorrenti non abbia tradizionalmente ravvisato nessuna tensione con il principio di proporzionalità; si è infatti affermato che anche nei casi in cui l’esproprio abbia ad oggetto l’intero prezzo o profitto e colpisca il singolo compartecipe in modo indifferente e avulso dal concreto arricchimento da questi conseguito, lo strumento sarebbe comunque proporzionato in relazione al vantaggio complessivamente derivato dall’illecito collettivo. L’assunto, cioè, è che la valutazione di proporzionalità debba essere compiuta non con riferimento alla singola posizione personale e, dunque, rispetto alla quota di prezzo o di profitto conseguita dal correo, quanto, piuttosto, rispetto al profitto complessivo derivato dal reato; una impostazione rispetto alla quale si coglie la valorizzazione della natura “sanzionatoria-afflittiva” della confisca per equivalente in grado di giustificare, in quanto pena ed anche attraverso la evocazione della solidarietà passiva, l’inflizione di una ablazione eccedente il mero recupero del vantaggio che il reo, attraverso il delitto, si è illecitamente procurato.
- Si tratta di una impostazione che deve essere rivisitata. Il tema è quello della legittimità di una confisca senza arricchimento e della sua compatibilità con il principio di proporzionalità. Si è già spiegato come la confisca per equivalente, pur avendo una componente sanzionatoria, non assolva, tendenzialmente, ad una funzione punitiva, essendo invece fisiologicamente finalizzata ad assicurare il ripristino della situazione pregressa al reato. Dunque, il richiamo alla funzione “punitiva”, alla pena, al concorso di persone non può essere condiviso per giustificare l’ablazione indistinta.
32.1. E tuttavia, pur volendo ragionare nel senso dell’indirizzo interpretativo che attribuisce alla confisca in esame una funzione “eminentemente” punitiva, nondimeno la possibilità di disporre una indistinta confisca senza arricchimento rivela comunque una forte tensione con il giudizio di proporzionalità e, più in generale, con il principio di colpevolezza. La pena è misura della colpevolezza. Infliggere una “punizione” (l’ablazione) in misura maggiore, fissa, automatica e in modo del tutto scollegato dalla situazione concreta – cioè da quanto sia stato davvero conseguito dal singolo correo – ovvero, addirittura, confiscare al singolo correo l’intero prezzo o profitto anche nei casi in cui alcun arricchimento sia a questi derivato, non è compatibile con il principio di proporzionalità in senso retrospettivo, non solo quanto ai profili di idoneità e “necessità” – ben potendo la misura essere rivolta a chi si sia effettivamente arricchito -, ma, soprattutto con riguardo al giudizio di proporzionalità in senso stretto. Il soggetto che ha concorso a commettere il delitto subirà la pena prevista dalla legge per detto delitto in ragione del quantum di colpevolezza personale sicché anche la confisca “punitiva” non può essere sganciata dal peso e dal quantum di vantaggio in concreto conseguito. Il principio di proporzionalità della pena deve consentire “l’adeguamento della pena alle effettive responsabilità personali, svolgendo una funzione di giustizia, e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potestà punitiva statale” (Corte Cost., sent. n. 236 del 2016). Dunque, non è obiettivamente chiaro perché sarebbe proporzionata una confisca punitiva in cui il singolo che non abbia conseguito dal reato alcunché dovrebbe subire una confisca totalizzante – magari di entità consistente – rispetto al correo che abbia accresciuto la propria sfera giuridico patrimoniale.
32.2. Ove invece si voglia fare riferimento alla funzione di ripristino della confisca, di cui si è detto in precedenza, l’ablazione indistinta, fissa e totalizzante nei riguardi del correo che non abbia conseguito nessun arricchimento, nessuna porzione dì profitto, ovvero abbia conseguito una quota parte di profitto inferiore rispetto all’oggetto della ablazione, non risulta proporzionata sotto il profilo della adeguatezza del mezzo scelto per raggiungere gli obiettivi prefissati: si realizza, cioè, una frattura dell’intervento ablatorio – fisso e automatico – rispetto al rapporto tra gli obiettivi da raggiungere – il rispristino – e i diritti “da sacrificare”, che vengono senza ragione compressi in modo immediato ed eccessivo. Dunque, in caso di pluralità di concorrenti, ai fini della confisca diretta o per equivalente avente ad oggetto denaro costituente prezzo o profitto del reato è illegittima ogni forma di solidarietà passiva fra i correi.
- Escluso ogni riferimento alla solidarietà passiva, agli automatismi e alle semplificazioni probatorie da essa derivanti, il tema della confisca senza arricchimento e della quantificazione del prezzo o del profitto conseguito da ciascun compartecipe nel reato, diventa allora un tema del processo, e, in particolare, un tema oggetto di prova. Si tratta di un accertamento che deve essere compiuto caso per caso, in concreto; un accertamento rispetto al quale è possibile individuare un presupposto, una massima di esperienza, una generalizzazione empirica, tratta dall’esperienza comune – da ciò che normalmente accade – e cioè che chi partecipa alla commissione di un reato generatore di lucro lo fa per conseguire personalmente un vantaggio che, nella maggiore parte dei casi, ha una sua consistenza economica. Una massima di esperienza che, tuttavia, ha come statuto epistemico quello tipico delle massima d’esperienza: uno statuto per definizione incerto, debole, collocato nell’area del verosimile, sicché tale debolezza di base deve essere compensata da una ancora più rigorosa opera giudiziale di investigazione e verifica della sua affidabilità nel caso concreto. Una verifica giudiziale che “passa” dalla funzione accertativa del processo, dal diritto alla prova, dal contraddittorio delle parti. Una massima di esperienza che potrà essere superata attraverso la allegazione di fatti dimostrativi della partecipazione del singolo concorrente al reato per ragioni diverse rispetto a quella di trarre una indebita locupletazione e che potrà condurre ad un accertamento anche della inesistenza di un effettivo arricchimento da parte del compartecipe (es. partecipazione al reato per costrizione, per fatto illecito altrui, per conseguire vantaggi non derivanti dal reato, per acquistare “fama criminale”).
33.1. Una verifica, sotto altro profilo, che impone, secondo le regole ordinarie del processo, al pubblico ministero di provare il quantum di profitto conseguito dai singoli correi in relazione a ciascun reato; una verifica dinamica in cui, da una parte, il pubblico ministero, come detto, è tenuto a provare il quantum confiscabile nei riguardi di ciascun compartecipe per ciascun reato e, dall’altra, ciascun concorrente potrà, a sua volta, dimostrare a discarico di non avere conseguito nessun vantaggio ovvero di averne conseguito una parte inferiore rispetto a quella indicata dalla pubblica accusa.
33.2. Potranno assumere rilievo, al riguardo, la situazione concreta, i rapporti tra i correi, le aspettative specifiche del singolo – cioè il movente della condotta del singolo concorrente – il senso, il tempo, le condizioni e il contenuto dell’accordo di compartecipazione, il ruolo, le aspettative e la condotta in concreto compiuta del singolo rispetto al piano organizzativo del reato. Deve essere accertato il “senso” del “patto”, delle intese tra i concorrenti, il suo oggetto specifico, la “qualità” dell’adesione alla compartecipazione, il tipo di percorso che l’ha preceduta, la “serietà” del contesto ambientale in cui la decisione di partecipare al reato è maturata: occorre, in altri termini, fare riferimento ad indici di verifica da calibrare caso per caso.
32.3. Una quantificazione del prezzo o del profitto che viene provata non in via presuntiva, ma sulla base di un accertamento probatorio concreto, in ragione degli atti del processo. Una verifica che giustifica una regola di chiusura, che opera in modo oggettivo nel solo caso in cui sia stato “provato” il conseguimento da parte del singolo partecipe di una quota di profitto o di prezzo del reato, ma, al tempo stesso, nessuna delle parti sia stata in grado di quantificare in concreto il vantaggio, di “dividere” il complessivo arricchimento indebito. Una regola di chiusura che, sul presupposto provato che una parte del profitto o del prezzo del reato sia stato conseguito dal compartecipe, consente di ripartire il vantaggio derivante dal singolo reato in parti uguali tra i correi. Ciò costituisce il limite quantitativo della confisca.
- Si tratta di principi che assumono valenza anche in sede cautelare con riguardo al sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
34.1. Le Sezioni unite hanno già spiegato come, in ragione della loro natura strumentale e anticipatoria rispetto al successivo provvedimento di merito (la confisca), ogni misura cautelare (il sequestro) non può di per sé incidere sui diritti in misura maggiore rispetto a quanto sia destinato a fare il provvedimento definitivo al quale la cautela è servente. Si tratta di principi che trovano avallo nella necessità, anche in sede cautelare, di rispettare i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura e della esigenza di evitare un’indistinta compromissione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata dei singoli (cfr., Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Eliade, Rv. 281848; Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548; Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito, Rv. 261118; Sez. U, n. 5876 del 28/10/2004, Bevilacqua, Rv. 226713).
34.2. Dunque, non vi sono ragioni per consentire in sede cautelare di sequestrare indistintamente l’intero profitto o prezzo a ciascun concorrente oppure di rispristinare la solidarietà passiva tra correi – destinata, invece, a non operare, come detto, all’esito del giudizio – ovvero, ancora, di sequestrare nei confronti di ciascuno più di quanto da questi sia stato conseguito.
34.3. La motivazione, anche in sede cautelare, deve chiarire le ragioni della sussistenza dei presupposti che legittimano il ricorso al sequestro e deve necessariamente spiegare i motivi per cui si ritiene che il singolo partecipe al reato abbia conseguito una determinata quantità di prezzo o di profitto derivante dal reato. Deve cioè essere garantita la possibilità di verificare, alla luce del complessivo contenuto informativo e argomentativo del provvedimento, l’adeguatezza del mezzo rispetto alla funzione anticipatoria ad esso assegnata. La motivazione assolve ad una ineliminabile funzione di garanzia perché, attraverso essa, si consente di verificare la conformità della misura cautelare rispetto a quegli stessi principi che giustificano la confisca. È stato peraltro già spiegato dalle Sezioni Unite come la fase cautelare comporti una diversa modulazione del contenuto motivazionale del provvedimento, che tenga conto delle caratteristiche proprie della fase procedimentale, del suo sviluppo, degli elementi acquisiti, e, in particolare, “dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione” (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Eliade, cit.).
- Vanno, dunque, affermati i seguenti principio dì diritto: “La confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova delle derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale. In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. li relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca, per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agii elementi acquisiti”.