Corte Costituzionale, sentenza 22 aprile 2025 n. 56
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’art. 69, comma quarto, cod. pen. deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen..
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Perugia, sezione penale, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.
La questione è stata sollevata nel corso di un giudizio relativo a un furto in abitazione commesso in concorso, ex artt. 110 e 624-bis cod. pen., in cui l’imputato, nell’immediatezza dei fatti, ha ammesso l’addebito e fornito elementi decisivi per l’identificazione del correo.
Tuttavia, essendo l’imputato gravato da due precedenti specifici, l’applicazione della recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. impedisce, per effetto della disposizione censurata, la prevalenza su tale aggravante della circostanza attenuante a effetto speciale ex art. 625-bis cod. pen., di cui pure il giudice a quo è convinto.
Ad avviso del rimettente, tale preclusione violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo sia della irragionevolezza intrinseca, che della disparità di trattamento.
Quanto al primo profilo, il giudice a quo sostiene, da un lato, che la ratio dell’art. 625-bis cod. pen. risulterebbe frustrata, giacché sarebbe vanificato l’incentivo al ravvedimento previsto dal legislatore; dall’altro, che il divieto di prevalenza attribuirebbe un rilievo insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo, contraddicendo il criterio per cui la valutazione della capacità a delinquere dipende anche dalla condotta contemporanea o susseguente al reato (art. 133, secondo comma, numero 3, cod. pen.).
Sotto il secondo profilo, il rimettente rileva la diversità di trattamento rispetto ad altre circostanze attenuanti a effetto speciale aventi la medesima ratio di incentivo alla collaborazione, quale quella prevista, per i reati di stampo mafioso, dall’art. 8 del d.l. n. 152 del 1991, come convertito, oggi confluita nell’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen., e quella di cui all’art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990, in materia di stupefacenti, il cui divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte con la sentenza n. 74 del 2016, richiamata dal rimettente.
Sussisterebbe, inoltre, il contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost., perché una pena che non tenesse conto della collaborazione prestata, non potrebbe essere percepita dall’imputato come giusta e non sarebbe quindi idonea alla sua rieducazione.
2.– La questione è fondata.
2.1.– L’art. 69, quarto comma, cod. pen. è stato oggetto di dodici pronunce di illegittimità costituzionale parziale, che hanno colpito il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
2.2.– Sin dalla prima pronuncia con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., questa Corte ha osservato che «il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di “valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono” (sentenza n. 38 del 1985)» (sentenza n. 251 del 2012, punto 4 del Considerato in diritto).
Si è, altresì, ritenuto che «deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato in via generale dall’art. 69 cod. pen., sono costituzionalmente ammissibili e rientrano nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, risultando sindacabili soltanto ove “trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio” (sentenza n. 68 del 2012; in senso conforme, sentenza n. 88 del 2019), non potendo però giungere in alcun caso “a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale” (sentenza n. 251 del 2012)» (sentenza n. 73 del 2020, punto 4.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 143 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto; sentenza n. 55 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto; per una sintesi delle linee argomentative sviluppate da questa Corte, che ne ha messo in luce i principi comuni, sentenza n. 94 del 2023, punto 10 del Considerato in diritto).
2.3.– Questa Corte ha rinvenuto un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti in relazione a circostanze espressive di un minor disvalore del fatto dal punto di vista della sua dimensione offensiva: così la «lieve entità» nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); i casi di «particolare tenuità» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014); i casi di «minore gravità» nel delitto di violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale di speciale tenuità» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (sentenza n. 205 del 2017); la «lieve entità del fatto» per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (sentenza n. 143 del 2021); la «lieve entità del fatto» in rapporto al reato di devastazione, saccheggio e strage (sentenza n. 94 del 2023); la «speciale tenuità», di cui all’art. 62, numero 4), cod. pen., nei delitti contro il patrimonio o determinati da motivi di lucro (sentenza n. 141 del 2023); il delitto di autoriciclaggio «di minore gravità» (sentenza n. 188 del 2023).
In queste fattispecie, la ratio della illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. è stata individuata nella centralità del fatto oggettivo, rispetto alla qualità soggettiva del colpevole, nella prospettiva di un “diritto penale del fatto”, in base alla quale deve escludersi che aspetti relativi alla maggiore colpevolezza o pericolosità dell’agente possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo (sentenza n. 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto).
2.4.– Le dichiarazioni di illegittimità costituzionale, inoltre, hanno fatto venire meno il divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., anche rispetto a circostanze inerenti alla persona del colpevole per la circostanza attenuante del vizio parziale di mente (sentenza n. 73 del 2020) e per quella di cui all’art. 116 cod. pen. (sentenza n. 55 del 2021).
2.5.– Una terza ratio, comune a diverse circostanze attenuanti a effetto speciale, che ha condotto a dichiarazioni di illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma quarto, cod. pen., attiene all’incentivo alla collaborazione del reo post delictum (sentenza n. 74 del 2016 e, da ultimo, sentenza n. 201 del 2023).
3.– Proprio le sentenze da ultimo richiamate assumono rilievo per la soluzione della odierna questione di legittimità costituzionale, in quanto relative ad attenuanti connesse al ravvedimento successivo alla commissione del reato, che presentano la medesima ratio dell’art. 625-bis cod. pen.
3.1.– In particolare, la sentenza n. 74 del 2016 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990; disposizione, questa, che, rispetto al delitto di traffico di sostanze stupefacenti compiuto al di fuori di un contesto associativo, prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti».
Questa Corte, in quella occasione, ha osservato che l’attenuante è espressione di una scelta di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post delictum del reo, rispondendo sia all’esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti. Il divieto assoluto di operare la diminuzione di pena consentita dall’attenuante, in presenza di recidiva reiterata, impedisce alla disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti e ne frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché fa venire meno quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore ha fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa.
Nella medesima pronuncia si è, inoltre, precisato che il divieto di prevalenza di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. finisce per disconoscere del tutto, in modo irragionevole, la condotta del reo contemporanea o susseguente al reato, quale indice della sua personalità e capacità a delinquere.
Infine, questa Corte ha ritenuto privo di giustificazione il rigido effetto preclusivo associato alla recidiva reiterata, in quanto la scelta di collaborare – pur non comportando necessariamente la resipiscenza e potendo essere il frutto di mero calcolo – implica comunque il distacco del reo dall’ambiente criminale nel quale l’attività delittuosa è inserita e trova alimento (sentenza n. 74 del 2016, punto 5 del Considerato in diritto).
3.2.– Analoghe considerazioni hanno condotto, nella sentenza n. 201 del 2023, alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., in relazione alla circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del medesimo testo unico in materia di stupefacenti, che parimenti prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti», ritenendo che assuma ancor maggior rilievo l’incentivo alla collaborazione nei contesti di criminalità organizzata.
4.– Il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata, previsto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen., è affetto dal medesimo vizio di irragionevolezza, in quanto sterilizza la ratio incentivante della disposizione, accorda una rilevanza insuperabile alla precedente condotta del reo ed esclude ogni incidenza della collaborazione sulla determinazione in concreto della pena, pur a fronte della dissociazione dal contesto criminale e del possibile pericolo di ritorsioni personali e familiari.
4.1.– L’attenuante a effetto speciale di cui all’art. 625-bis cod. pen. è stata introdotta dall’art. 2, comma 4, della legge n. 128 del 2001, che ha trasformato il furto in abitazione e il furto con strappo da reati circostanziati in reati autonomi.
Il legislatore del 2001, se, da un lato, ha ritenuto di inasprire il trattamento sanzionatorio per il furto, la cui offensività patrimoniale assume una peculiare connotazione personalistica, in ragione dell’aggancio con l’inviolabilità del domicilio assicurata dall’art. 14 Cost. (sentenza n. 117 del 2021, punto 9.4.1. del Considerato in diritto), dall’altro, ha introdotto una specifica attenuante volta a incentivare il ravvedimento, quale strumento anch’esso rivolto sia alla protezione dei beni giuridici coinvolti che alla prevenzione e repressione dei reati.
L’art. 625-bis cod. pen., infatti, comporta una consistente diminuzione di pena, da un terzo alla metà, «qualora il colpevole, prima del giudizio, abbia consentito l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare».
Quando, tuttavia, nei confronti dell’imputato viene riconosciuta la recidiva reiterata, l’art. 69, quarto comma, cod. pen. impedisce all’art. 625-bis cod. pen. di produrre pienamente i suoi effetti, facendo venir meno l’incentivo posto dal legislatore e, contestualmente, irrigidendo la presunzione di capacità a delinquere determinata dalla recidiva reiterata, a discapito degli indici che si ricavano dalla condotta collaborativa tenuta successivamente.
5.– In relazione al furto in abitazione, d’altra parte, la scelta di incentivare la collaborazione non è venuta meno neppure nei successivi interventi legislativi, che ne hanno ulteriormente aggravato il trattamento sanzionatorio, sia mediante l’innalzamento dei riferimenti edittali, sia attraverso l’irrigidimento del regime delle circostanze.
L’art. 1, comma 6, lettera c), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), infatti, ha aggiunto un quarto comma all’art. 624-bis, a tenore del quale: «Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti».
5.1.– Chiamata a pronunciarsi su tale divieto, questa Corte, con la sentenza n. 117 del 2021, ha ritenuto la questione non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., sia alla luce del bene giuridico protetto, l’intimità della persona raccolta nella sua abitazione, sia con riferimento al fatto che il divieto di bilanciamento di cui all’art. 624-bis cod. pen. opera sulla base di un modello differente rispetto a quello della recidiva reiterata, oggetto del presente giudizio.
Sotto il profilo della struttura, infatti, il regime delle aggravanti “privilegiate” previsto dall’art. 624-bis cod. pen., per un verso preclude lo stesso giudizio di equivalenza, ma, per altro verso, stabilisce che le diminuzioni di pena per le attenuanti siano comunque apportate, operando sulla quantità di pena risultante dall’aumento dipendente dalle aggravanti.
L’art. 69, quarto comma, cod. pen., invece, ha una diversa struttura, perché esclude la prevalenza della circostanza attenuante sulla recidiva reiterata, sicché, in caso di ritenuta equivalenza, secondo l’ordinario giudizio dell’art. 69, terzo comma, cod. pen., le richiamate circostanze si elidono, lasciando, come correttamente rileva il giudice rimettente, la pena base della fattispecie di reato intatta, con un esito che annulla l’incentivo alla collaborazione.
Sotto il profilo della ratio, inoltre, la forza “privilegiata” delle aggravanti di cui agli artt. 624-bis, quarto comma, e 625 cod. pen. cede di fronte all’attenuante della minore età ex art. 98 cod. pen. e, per ciò che qui rileva, anche di fronte all’attenuante della collaborazione del reo ex art. 625-bis cod. pen., «attenuante “ad effetto speciale”, quest’ultima, appositamente introdotta dalla legge n. 128 del 2001, la cui previsione contribuisce all’equilibrio complessivo di una disciplina sanzionatoria pur certamente severa» (sentenza n. 117 del 2021, punto 9.4.4. del Considerato in diritto).
5.2.– L’intervento legislativo del 2017, dunque, nel momento in cui ha ritenuto di comprimere il potere del giudice di parametrare nella loro pienezza le circostanze oggettive e soggettive del reato, ha fatto salva l’attenuante a effetto speciale della collaborazione del reo: indice, questo, del rilievo assegnato all’incentivo premiale, quale strumento per minare i correlati fenomeni criminosi.
La “neutralizzazione” di tale attenuante nell’ipotesi in cui l’autore del reato sia recidivo si rivela a questo punto distonica rispetto alla stessa intenzione del legislatore, finendo per disincentivare la scelta di collaborare. Tale scelta, pur potendo essere frutto di un mero calcolo, implica anche in questo caso il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminale, con il rischio di potenziali ritorsioni.
6.– La mancata considerazione del distacco dall’ambiente criminoso e dei rischi che la collaborazione comporta, d’altra parte, determina il contrasto del divieto di prevalenza dell’attenuante relativa al ravvedimento post delictum anche con l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto fa sì che la pena irrogata sia percepita come ingiusta e, quindi, inidonea ad assolvere alla finalità rieducativa, propria delle sanzioni penali (sentenza n. 68 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto).
7.– Alla luce delle esposte considerazioni, l’art. 69, comma quarto, cod. pen. deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 625-bis cod. pen. sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen..