<p style="text-align: justify;">Con la sentenza del 14.06.2019, n. 26366, la Suprema Corte ha chiarito due importanti aspetti, intimamente connessi, relativi al delitto di lesioni personali. Il primo trattato –che assume priorità logica- concerne la distinzione tra il movente (e dunque il motivo personale che determina l’autore del reato a porre in essere la condotta) e l’elemento soggettivo della condotta stessa, ossia il dolo. Premette la Corte che nel reato di lesioni il dolo si sostanzia nella consapevolezza che la propria azione provochi o possa provocare danni fisici alla vittima –e, dunque, generalmente si connota come generico, potendo tuttavia rilevare anche nei termini del dolo eventuale, in tale evenienza concretizzandosi come mera accettazione del rischio di cagionare a taluno effetti lesivi-. La Corte, dunque, assume che il movente ed il dolo, ancorché entrambi afferenti alla sfera psicologica del soggetto agente, sono ontologicamente distinti, e come tali occorre considerarli: solo il dolo, invero, costituendo l’elemento soggettivo di imputazione del fatto all’agente che lo ha posto in essere, può penalmente rilevare ai fini dell’accertamento del delitto, dovendosi invece considerare del tutto irrilevante il movente personale che abbia motivato l’agente a compere l’azione criminosa, come, nel caso di specie, la finalità rieducativa delle percosse poste in essere dal padre nei confronti della figlia minore. Ciò premesso, la Corte ha chiarito che il fatto avente ad oggetto tali atti di violenza integra senza dubbio il reato di lesioni personali, non potendo essere riqualificato –come il ricorrente avrebbe auspicato- nel meno grave reato di abuso dei mezzi di correzione e disciplina. Sul punto, invero, deve escludersi che l’intenzione dell’agente di agire esclusivamente per finalità educative sia elemento dirimente per fare rientrare gli atti di violenza –peraltro abituali- posti in essere in danno dei figli minori nella previsione di cui all’art. 571 c.p., dovendosi gli atti di violenza ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie dell’abuso dei mezzi di correzione, e dovendosi invece valutare tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscano l’importante e delicata funzione educativa (Sez. 6, n. 39927 del 22/9/2005, Agugliaro, Rv. 233478). È innegabile -chiosa ancora la Corte- che la concezione che anima il motivo di ricorso dell’imputato sia legata a retaggi culturali risalenti, certamente non più attuali, e non condivisibili nella moderna prospettiva dei rapporti familiari e della specifica finalità educativa riconosciuta ai genitori nei riguardi dei figli dall’ordinamento, nell’ambito della complessità di diritti e doveri reciproci regolata dalle norme del codice civile. Viene pertanto precisato che nella attuale composizione delle prerogative socialmente condivise dello <em>ius corrigendi</em> genitoriale, e dei mezzi pedagogici consentiti per attuarle, non sono ricompresi in ogni caso gli atti di violenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><em>Domiziana Pinelli</em></p>