<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI – ordinanza 30 agosto 2019 n. 21869</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nella costante giurisprudenza della Corte (fra le altre Cass. n. 18696 del 2015) è stato affermato il principio dell'unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, il quale comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione (principale), tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e pertanto ogni ricorso successivo al primo si converte in ricorso incidentale, indipendentemente dalla forma assunta.</em></p> <p style="text-align: justify;">In limine litis<em> va esaminato il rilievo dei controricorsi riguardante la asserita non impugnabilità della sentenza, per difetto di giurisdizione, in quanto provvedimento non dotato del requisito della definitività. La tesi è infondata, giacché pur tenendo conto del peculiare regime del giudizio di revocazione, la pronuncia impugnata definisce in ogni caso la fase rescindente del giudizio. Il giudizio per revocazione, infatti, si articola in due fasi: quella rescindente, volta a verificare se il ricorso è ammissibile e se sussiste una delle cause legali tipiche di revocazione (in caso di positivo riscontro, la sentenza viene "</em>rescissa<em>", ossia revocata); quella rescissoria, meramente eventuale, che consegue ad una pronuncia (necessariamente positiva) circa la sussistenza della causa di revocazione invocata; in questa seconda fase viene in rilievo l'obbligo per il giudice di rinnovare il giudizio, emendandolo del vizio o dei vizi che avevano afflitto quello precedente. Quanto alla nozione di "</em>errore di fatto<em>" denunciabile ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., com'è noto, è previsto come motivo di revocazione allorchè consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo, che dagli atti e documenti medesimi risulti positivamente accertato (giurisprudenza costante: cfr. per tutte Cass., Sez. Un. n. 26022 del 2008). Tale errore, oltre a riguardare un fatto sul quale la sentenza revocanda non si è pronunciata, deve essere essenziale e decisivo (nel senso che tra l'erronea percezione del giudice e la pronuncia da lui emessa deve sussistere un rapporto causale tale che senza l'errore la pronuncia medesima sarebbe stata diversa) e deve risultare sulla sola base della sentenza, nel senso che in essa sussista una rappresentazione della realtà in contrasto con gli atti e í documenti processuali regolarmente depositati (v. Cass. n. 75 del 1999). La falsa rappresentazione in cui si sostanzia l'errore revocatorio può avere ad oggetto tanto un fatto sostanziale quanto un fatto processuale, cioè tanto il dato storico quanto l'atto che lo immette all'interno del processo. Relativamente ad un documento, l'errore può riguardare, pertanto, il relativo contenuto dichiarativo (fatto sostanziale) ovvero la relativa avvenuta produzione in giudizio secondo le norme di rito (fatto processuale). Per assumere carattere revocatorio l'errore di fatto deve essere, altresì, decisivo. Tale requisito ricorre allorché vi sia un necessario nesso di causalità tra l'erronea supposizione e la decisione resa (cfr. Cass. n. 11657 del 2006), nesso che deve risultare sulla base della sola sentenza nel senso che in essa sussista una rappresentazione della realtà in contrasto con gli atti e i documenti processuali regolarmente depositati (v. Cass. n. 75 del 1999 cit.). Tale causalità va intesa in senso non già storico ma logico-giuridico, perchè non si tratta di stabilire se il giudice autore del provvedimento da revocare si sarebbe, in concreto, determinato in maniera diversa ove non avesse commesso l'errore di fatto, bensì di stabilire se la decisione della causa avrebbe dovuto essere diversa, in mancanza di quell'errore, per necessità, appunto, logico-giuridica (Cass. n. 3935 del 2009; anche Cass. n. 6367 del 1996 che indica il concetto di "</em>causalità necessaria<em>").</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Seguendo il ragionamento che fa perno sulla non impugnabilità della sentenza pronunciata nella fase rescindente, si finirebbe con il giungere alla conclusione per cui sarebbe revocatorio solo l'errore la cui dimostrazione coincida con un nuovo esame di merito favorevole alla parte impugnante. Per tale via verrebbe inammissibilmente soppressa la distinzione logico-giuridica fra giudizio rescindente e giudizio rescissorio. Per contro, la fase rescissoria del giudizio per revocazione può essere contestuale a quella rescindente (v. Cass. nn. 2105/87 e 3961/76), ma non per questo vi si identifica, né in senso logico-giuridico né in senso temporale. La Corte ha, infatti, affermato il principio secondo cui "</em>nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, una volta verificato l'errore di fatto (sostanziale o processuale) esposto ai sensi dell'art.395 c.p.c., n. 4, deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, vale a dire operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l'affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa; ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti in tal modo priva della sua base logico-giuridica, deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell'effettuato emendamento<em>" (cfr Cass. n. 6881 del 2014). Con la conseguenza che le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva relativa alla fase rescindente hanno carattere di definitività (e valore di giudicato), stante l'incidenza diretta sulle determinazioni della sentenza revocanda, avendo per oggetto l'accertamento del denunciato vizio della sentenza impugnata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo la definizione consolidata nella giurisprudenza delle Sezioni Unite (cfr </em>ex multis<em>, Cass., Sez. Un., n.2582 del 2018; Cass., Sez. Un., n.11986 del 2017; Cass., Sez. Un., n.11380 del 2016), l'eccesso di potere giurisdizionale, quale vizio delle sentenze del giudice amministrativo denunziabile con ricorso per cassazione a norma dell'art.111, comma 8, Cost., è configurabile quando il giudice stesso, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservata alla PA, compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e della convenienza dell'atto, esprimendo, pur nel rispetto della formula di annullamento, la volontà di sostituirsi a quella della amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto ad una giurisdizione di legittimità. Si tratta, dunque, di una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, e solo in quanto tale può essere eventualmente rilevata dalle Sezioni Unite a norma dell'art.111, comma 8, Cost. e dell'art.362, comma 1, c.p.c., non potendo esse estendere il proprio sindacato, senza violare la norma costituzionale, anche al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, cioè ad eventuali errori </em>in iudicando<em> o </em>in procedendo<em> che rientrano nei limiti interni della giurisdizione, la violazione dei quali resta estranea al sindacato della Corte (cfr tra molte: Cass. Sez. Un., n.24742 del 2016; Cass., Sez. Un., n.7114 del 2016; Cass., Sez. Un., n.8993 del 2014). Ciò posto, nella specie il Consiglio di Stato ha ritenuto la sentenza impugnata affetta da errore di fatto revocatorio per avere del tutto ignorato di pronunciare sulla questione relativa alla compatibilità europea della normativa interna in materia di appalto, incorrendo in un vizio percettivo nella lettura degli atti di causa, tanto da ritenere risolta la questione in senso positivo dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2015, che di converso atteneva al diverso tema della permanenza del requisito di qualificazione per categoria, richiesta nel bando, per tutta la durata della gara. L'affermazione corrisponde ad un'interpretazione del sistema normativo vigente, la quale in ogni caso costituisce legittima estrinsecazione della potestà giurisdizionale del giudice amministrativo, in ordine alla ricostruzione del sistema normativo invocato, in termini che non comportano né il diniego di tutela giurisdizionale, né la violazione dei limiti esterni della giurisdizione. Né rileva a tal fine la circostanza della sussistenza o meno dell'istanza di rimessione alla Corte di Giustizia, valutazione che spetta comunque al Consiglio di Stato. In ogni caso, i ricorrenti nel caso di specie non ravvisano la violazione di un limite esterno alla giurisdizione, bensì la violazione di norme procedurali che per quanto abnorme non può comportare il superamento del limite esterno della giurisdizione (cfr Cass., Sez. Un., n. 13976 del 2017 e Corte cost. n. 6 del 2018). </em></p>