<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 29 ottobre 2019 n. 225 </strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va dichiarato che non spettava allo Stato, e per esso al Ministro dello sviluppo economico, adottare il decreto ministeriale del 16 febbraio 2018, recante «</em>Riduzione del numero delle camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazione delle sedi e del personale<em>», limitatamente agli artt. 6, comma 1, e 7, commi 1, 3, 5, 6, 7 e 8, nella parte in cui si applicano alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, nonché agli Allegati A), C) e D), nelle parti espressamente riferite alla Camera Valdostana delle imprese e delle professioni; va annullato, per l’effetto, </em>in parte qua<em>, il decreto ministeriale ridetto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In via preliminare, la Corte non rinviene alcuna ragione di inammissibilità del ricorso, dovuta alla mancata impugnazione, ad opera della ricorrente, del decreto legislativo n. 219 del 2016, da cui trae fondamento il decreto ministeriale. L’atto censurato non è immediatamente riproduttivo dell’atto legislativo, oggetto del conflitto in esame. È, infatti, solo nel decreto ministeriale che trova esplicito riferimento la Camera Valdostana, con conseguente applicabilità delle disposizioni ivi previste alla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il conflitto, promosso in riferimento all’art. 48-bis della legge cost. n. 4 del 1948, agli artt. 11 e 22 del d.lgs. C.p.S., n. 532 del 1946, all’art. 1 del d.lgs. n. 320 del 1994 e all’art. 1 della legge reg. Valle d’Aosta n. 7 del 2002, è fondato.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nella sentenza n. 261 del 2017, pronunciata all’esito di alcuni ricorsi promossi dalle Regioni a statuto ordinario, la Corte ha sottolineato l’anfibia configurazione delle Camere di commercio, per un verso «</em>organi di rappresentanza delle categorie mercantili<em>», per un altro «</em>strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche<em>»: da tale vocazione pubblicistica discende, sin dagli inizi dello scorso secolo, la qualifica di «</em>enti di diritto pubblico, dotati di personalità giuridica<em>». I compiti ad esse assegnati dal d.lgs. n. 219 del 2016 non solo hanno ribadito questa duplice vocazione, ma hanno anche confermato la collocazione del sistema camerale al crocevia di distinti livelli di governo. Per un verso, infatti, le Camere di commercio esercitano funzioni evidentemente riconducibili alla competenza legislativa dello Stato (pubblicità legale e di settore mediante la tenuta del registro delle imprese; tutela del consumatore e della fede pubblica; vigilanza e controllo sulla sicurezza e conformità dei prodotti; rilevazione dei prezzi e delle tariffe; nonché le funzioni esercitate dagli uffici metrici statali e dagli Uffici provinciali per l’industria, il commercio e l’artigianato, ivi comprese quelle relative ai brevetti e alla tutela della proprietà industriale attribuite alle stesse dall’art. 20 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»); per altro verso, svolgono compiti che riflettono competenze regionali (in materia, ad esempio, di sviluppo e promozione del turismo, di supporto alle imprese, di orientamento al lavoro ed alle professioni), in alcune ipotesi inestricabilmente intrecciate con quelle dello Stato (soprattutto con riguardo ai profili strutturali e di funzionamento di detti enti), in altre suscettibili di essere precisamente identificate e distintamente considerate, in riferimento ai singoli compiti svolti (sentenza n. 261 del 2017). Secondo questa ultima decisione, le funzioni esercitate dal sistema camerale esigono, dunque, «</em>una disciplina omogenea in ambito nazionale<em>», posto che le Camere di commercio non sono «</em>un arcipelago di entità isolate, ma costituiscono i terminali di un sistema unico di dimensioni nazionali che giustifica l’intervento dello Stato<em>»; d’altro canto, proprio il coinvolgimento di competenze regionali implica che la disciplina statale sia posta nel «</em>rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie<em>», rendendosi necessario un coinvolgimento regionale che non può arrestarsi al mero parere espresso in Conferenza Stato-Regioni, ma deve essere identificato «</em>nell’intesa, contraddistinta da una procedura che consenta lo svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento<em> [regionale]» (sentenza n. 261 del 2017). A seguito di tale pronuncia, il Ministro dello sviluppo economico ha sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni un nuovo schema di decreto ministeriale, che nel suo contenuto ricalca il decreto ministeriale impugnato nel presente giudizio. Le considerazioni, spese dalla Corte con riferimento alle competenze delle Regioni ordinarie interessate dal procedimento di riforma del sistema camerale, devono essere specificate in relazione alle Regioni speciali e alla particolare posizione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La Corte ha più volte sottolineato la differente estensione delle attribuzioni degli enti ad autonomia differenziata in materia di Camere di commercio. In particolare, una competenza esplicita in tema è prevista solo dal d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «</em>Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige<em>»: l’art. 4, comma 1, n. 8, infatti, enumera «</em>l’ordinamento delle Camere di commercio<em>» tra le competenze di spettanza regionali (e non provinciali). Simile attribuzione è già stata oggetto di delimitazione dalla giurisprudenza della Corte: le Camere di commercio non possono infatti essere annoverate «</em>fra gli enti para-regionali del Trentino-Alto Adige, sia perché lo Statuto le mantiene ben distinte dagli enti medesimi, sia perché la disciplina delle funzioni camerali non spetta alla Regione, bensì alle Province di Trento e Bolzano od allo Stato stesso<em> […], </em>il che determina una situazione<em> […] </em>peculiare<em>» (sentenze n. 243 del 1985 e n. 273 del 2007). Recentemente, di fronte a un ricorso della Regione siciliana avverso la riduzione triennale dell’importo del diritto camerale, la Corte ha chiarito che le Camere di commercio non possono definirsi enti locali in senso proprio, ma sono «</em>enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali<em>». Su tali soggetti, «</em>la Regione siciliana (diversamente dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol) non vanta statutariamente una analoga competenza esclusiva<em>» (sentenza n. 29 del 2016). In senso simile, con riferimento alle attribuzioni della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la Corte ha sottolineato che lo statuto speciale di questa Regione (adottato con legge costituzionale 31 gennaio del 1963, n. 1) «</em>non inserisce le Camere stesse, né sotto il profilo funzionale né sotto il profilo strutturale, fra gli oggetti della competenza legislativa regionale piena o primaria (e nemmeno vi accenna nei successivi articoli); sicché, per il Friuli-Venezia Giulia, manca una puntuale attribuzione statutaria, del genere di quella risultante dall’art. 4, n. 8, del vigente Statuto per il Trentino-Alto Adige<em> […]. [L]</em>’espressa previsione dell’ordinamento delle camere di commercio rispondeva e risponde, nel caso del Trentino-Alto Adige, a ragioni del tutto peculiari, che non trovano riscontro nel caso del Friuli-Venezia Giulia<em>». Tuttavia, pur nel silenzio delle disposizioni statutarie della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, le Camere di Commercio, in quanto enti pubblici territorialmente situati, che svolgono funzioni «</em>nelle materie di competenza propria delle Regioni<em>», «</em>sono in vario senso assoggettati ai poteri regionali di supremazia, prestandosi dunque a venire riordinati e riorganizzati da parte delle Regioni medesime<em>» (sentenza n. 65 del 1982).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Rispetto a tale diversificato quadro normativo, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste gode di una posizione affatto peculiare: la ricorrente è, infatti, direttamente titolare delle funzioni attribuite alle Camere di commercio. L’art. 11 del d.lgs. C.p.S. n. 532 del 1946, al secondo comma, stabilisce che «[n]</em>ella circoscrizione della Valle d’Aosta i compiti demandati alla Camera di commercio, industria e agricoltura sono assunti dalla Valle d’Aosta, che vi provvede con apposito ufficio e proprio personale<em>». Il primo comma dell’art. 11 ha disposto la «</em>soppressione<em>» dell’allora Camera di commercio, industria e agricoltura di Aosta. Di conseguenza, l’art. 22 del detto decreto ha stabilito che «[i]</em>l personale della soppressa Camera di commercio, industria e agricoltura di Aosta sarà trasferito alla Valle d’Aosta ed alla Camera di commercio, industria e agricoltura di Torino secondo la ripartizione che sarà fatta tra i due Enti in relazione alle esigenze dei rispettivi servizi<em> […]». In tal senso, in tema di Camere di commercio, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste si distingue non solo dagli enti regionali ad autonomia ordinaria, ma anche dalle altre Regioni a statuto speciale: mentre queste sono titolari, al più, di alcune competenze in ordine alle Camere di commercio, la Regione ricorrente è direttamente titolare delle stesse attribuzioni degli enti camerali. Nel territorio valdostano, tutte le funzioni tradizionalmente svolte dalle Camere di commercio appartengono alla Regione, che può discrezionalmente scegliere le forme organizzative ritenute più opportune per il loro esercizio. In virtù dell’ampia discrezionalità in materia, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha poi trasferito dette funzioni a un ente di propria creazione. La legge reg. Valle d’Aosta n. 7 del 2002 ha infatti riorganizzato il sistema camerale, istituendo la «</em>Camera valdostana delle imprese e delle professioni – Chambre valdôtaine des entreprises et des activités libérales<em>». Ad essa ha trasferito «</em>le funzioni assunte dalla Regione<em> (…) </em>ai sensi dell’art.11 del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 23 dicembre 1946 n. 532<em>» (art. 1, comma 1), ma definendolo ente autonomo «</em>collegat<em>[o] </em>alle camere di commercio italiane ed europee e agli enti che ne rappresentano gli interessi<em>» (art. 1, comma 3), quasi a sottolineare la posizione di separatezza – oltre che, naturalmente, di connessione funzionale – rispetto al sistema camerale nazionale. Ha trovato così realizzazione un’ipotesi espressamente contemplata nel d.lgs. C.p.S. n. 532 del 1946, il quale già ammetteva, all’art. 15, la possibilità di istituire un ente autonomo destinatario del patrimonio dell’ente nel frattempo soppresso. Il procedimento di modifica della previsione che assegna le attribuzioni della Camera di commercio alla Regione (il citato art. 11 del d.lgs. C.p.S. n. 532 del 1946) è stato successivamente irrigidito dal decreto legislativo di attuazione statutaria n. 320 del 1994, che, all’art. 1, indica il d.lgs. C.p.S. n. 532 del 1946 tra gli atti che necessitano, per essere modificati, del procedimento di cui all’art. 48-bis dello statuto reg. Valle d’Aosta. Tale norma affida a una commissione paritetica, composta da rappresentanti del Governo e della Regione, previo parere del Consiglio regionale, il compito di elaborare gli schemi dei decreti legislativi di attuazione statutaria.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Emerge chiaramente, dunque, come lo Stato non abbia tenuto in adeguata considerazione la particolare competenza della Regione autonoma Valle d’Aosta/</em>Vallée d’Aoste<em>, intervenendo con un atto fonte secondario, inidoneo, per espressa disposizione statutaria, a disciplinare la Camera Valdostana e a soddisfare la complessa procedura richiesta dall’art. 48-bis dello statuto speciale (in senso simile, sentenza n. 38 del 2003). Di qui la fondatezza del conflitto, con conseguente assorbimento del secondo motivo di ricorso.</em></p>