Tribunale Firenze, sez. III penale, sentenza 24 settembre 2024
PRINCIPIO DI DIRITTO
Sono piuttosto gravi gli effetti sistemici connessi all’abrogazione dell’art. 323 c.p.,
potendosi qui osservare sinteticamente che:
- a) la disciplina di cui all’art. 323 c.p. non trovava applicazione solo ai funzionari pubblici addetti all’amministrazione, ma a tutti i pubblici ufficiali, compresi quelli (si pensi appunto al caso che ci occupa, ovvero agli ufficiali di polizia giudiziaria e ai magistrati) ai quali la legge attribuisce poteri rilevantissimi in grado di incidere pesantemente su diritti inviolabili, costituzionalmente garantiti, in primis la libertà personale ( 13 Cost.) ed il patrimonio (art. 41 Cost.);
- b) è innegabile la profonda differenza della tutela e dell’effetto deterrente offerte dal presidio penale sinora previsto dalla legge, non solo per le sanzioni ben più dissuasive di quelle che oggi l’ordinamento contempla, ma soprattutto per ciò che esso indirettamente comportava, ovvero: l’accertamento affidato alla magistratura, ovvero ad un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere, che dispone direttamente della polizia giudiziaria e che deve necessariamente perseguire gli illeciti ( 104, 107 e 112 Cost.); la procedibilità d’ufficio ex art. 50 c.p.p.; la disponibilità di penetranti strumenti di indagine (in primis perquisizioni e sequestri); il potere-dovere, in caso di persistenza nell’attività criminosa e/o di sussistenza delle esigenze cautelari, di intervento da parte della polizia giudiziaria (mediante impedimento dell’aggravamento delle conseguenze del reato ex art. 55 c.p.p. con possibilità di arresto facoltativo in flagranza ex art. 381, comma 1, c.p.p.) e dell’Autorità giudiziaria (mediante ad es. adozione delle misure cautelari ex artt. 273 e ss. c.p.p. dalla sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio ex art. 289 c.p.p. fino alla più grave applicabile, in ragione dell’aumento di pena massima edittale fino a 4 anni di reclusione, giusta l. 190/12, degli arresti domiciliari ex artt. 280, comma 1, e 284 c.p.p., con eccezionale possibilità di ricorrere alla custodia in carcere in deroga alle condizioni ordinarie ex artt. 276, 280, comma 3, 275, comma 2 bis c.p.p nella patologica ipotesi di violazione delle prescrizioni cautelari);
- c) in ogni caso il rimedio giurisdizionale (civile o amministrativo) concesso al privato giammai, in termini di tutela del bene giuridico di cui all’ 97 Cost., potrebbe supplire all’assenza della tutela penale fino ad oggi garantita dall’art. 323 c.p., anche in considerazione dell’assenza di quegli incisivi poteri investigativi, già sopra richiamati, di regola assolutamente necessari per l’accertamento delle dinamiche illecite sottese all’esercizio illegittimo del potere amministrativo; tali rimedi e forme alternative di tutela, infatti, di regola prendono spunto e avvio proprio dalle indagini penali (come del resto accaduto nel caso di specie, in cui, a seguito di accertamenti in ordine alla responsabilità penale, sono venuti in rilievo anche profili di possibile responsabilità civile, disciplinare ed erariale del magistrato);
- d) anche tenendo in considerazione la esistenza di rimedi e forme alternative di tutela, il legislatore ha di fatto lasciato alla sola iniziativa privata (del terzo danneggiato, tra l’altro solo eventuale) la tutela di un bene giuridico pubblico e collettivo sottratto alla disponibilità del privato medesimo, ponendo a carico dei cittadini i costi, anche sul piano economico, connessi all’adozione di iniziative volte al ripristino della legalità, in ipotesi violata da condotte poste in essere da pubblici dipendenti, funzionari e pubblici ufficiali, che dovrebbero esercitare i compiti assegnati nel rispetto della legge e con onore e disciplina ( 54 Cost.) e che invece avrebbero agito in dispregio del buon andamento e della imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.);
- e) infine, per questa via, l’ordinamento di fatto rinuncia a perseguire in concreto tutte quelle gravissime violazioni di legge o del dovere di astensione che comportino un vantaggio per il terzo privato, in assenza o all’insaputa di eventuali soggetti contro-interessati che possano intraprendere un’azione volta a far accertare l’illegittimità di quella condotta.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
8) sono piuttosto gravi gli effetti sistemici connessi all’abrogazione dell’art. 323 c.p.,
potendosi qui osservare sinteticamente che:
- a) la disciplina di cui all’art. 323 c.p. non trovava applicazione solo ai funzionari pubblici addetti all’amministrazione, ma a tutti i pubblici ufficiali, compresi quelli (si pensi appunto al caso che ci occupa, ovvero agli ufficiali di polizia giudiziaria e ai magistrati) ai quali la legge attribuisce poteri rilevantissimi in grado di incidere pesantemente su diritti inviolabili, costituzionalmente garantiti, in primis la libertà personale ( 13 Cost.) ed il patrimonio (art. 41 Cost.);
- b) è innegabile la profonda differenza della tutela e dell’effetto deterrente offerte dal presidio penale sinora previsto dalla legge, non solo per le sanzioni ben più dissuasive di quelle che oggi l’ordinamento contempla, ma soprattutto per ciò che esso indirettamente comportava, ovvero: l’accertamento affidato alla magistratura, ovvero ad un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere, che dispone direttamente della polizia giudiziaria e che deve necessariamente perseguire gli illeciti (artt. 104, 107 e 112 Cost.); la procedibilità d’ufficio ex art. 50 c.p.p.; la disponibilità di penetranti strumenti di indagine (in primis perquisizioni e sequestri); il potere-dovere, in caso di persistenza nell’attività criminosa e/o di sussistenza delle esigenze cautelari, di intervento da parte della polizia giudiziaria (mediante impedimento dell’aggravamento delle conseguenze del reato ex art. 55 c.p.p. con possibilità di arresto facoltativo in flagranza ex art. 381, comma 1, c.p.p.) e dell’Autorità giudiziaria (mediante ad es. adozione delle misure cautelari ex 273 e ss. c.p.p. dalla sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio ex art. 289 c.p.p. fino alla più grave applicabile, in ragione dell’aumento di pena massima edittale fino a 4 anni di reclusione, giusta l. 190/12, degli arresti domiciliari ex artt. 280, comma 1, e 284 c.p.p., con eccezionale possibilità di ricorrere alla custodia in carcere in deroga alle condizioni ordinarie ex artt. 276, 280comma 3, 275, comma 2bis c.p.p. nella patologica ipotesi di violazione delle prescrizioni cautelari);
- c) in ogni caso il rimedio giurisdizionale (civile o amministrativo) concesso al privato giammai, in termini di tutela del bene giuridico di cui all’ 97 Cost., potrebbe supplire all’assenza della tutela penale fino ad oggi garantita dall’art. 323 c.p., anche in considerazione dell’assenza di quegli incisivi poteri investigativi, già sopra richiamati, di regola assolutamente necessari per l’accertamento delle dinamiche illecite sottese all’esercizio illegittimo del potere amministrativo; tali rimedi e forme alternative di tutela, infatti, di regola prendono spunto e avvio proprio dalle indagini penali (come del resto accaduto nel caso di specie, in cui, a seguito di accertamenti in ordine alla responsabilità penale, sono venuti in rilievo anche profili di possibile responsabilità civile, disciplinare ed erariale del magistrato);
- d) anche tenendo in considerazione la esistenza di rimedi e forme alternative di tutela, il legislatore ha di fatto lasciato alla sola iniziativa privata (del terzo danneggiato, tra l’altro solo eventuale) la tutela di un bene giuridico pubblico e collettivo sottratto alla disponibilità del privato medesimo, ponendo a carico dei cittadini i costi, anche sul piano economico, connessi all’adozione di iniziative volte al ripristino della legalità, in ipotesi violata da condotte poste in essere da pubblici dipendenti, funzionari e pubblici ufficiali, che dovrebbero esercitare i compiti assegnati nel rispetto della legge e con onore e disciplina ( 54 Cost.) e che invece avrebbero agito in dispregio del buon andamento e della imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.);
- e) infine, per questa via, l’ordinamento di fatto rinuncia a perseguire in concreto tutte quelle gravissime violazioni di legge o del dovere di astensione che comportino un vantaggio per il terzo privato, in assenza o all’insaputa di eventuali soggetti contro-interessati che possano intraprendere un’azione volta a far accertare l’illegittimità di quella condotta.
Valutato attentamente il quadro normativo oggi vigente, col quale il Tribunale deve
necessariamente confrontarsi -come visto, profondamente mutato rispetto a quello che aveva a riferimento la Corte costituzionale nella citata sentenza n. 8/2022– ritiene il collegio che l’affermazione per cui in astratto le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono nella tutela penale, ben potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni, non basti a suturare lo strappo oggi consumato rispetto ai valori costituzionali ed in particolare all’art. 97 Cost.: tale assunto, certamente corretto e condivisibile in astratto, non può in concreto “colmare” il vuoto di tutela lasciato dall’abrogazione tout court dell’’art. 323 c.p. e dalla sostanziale inapplicabilità del novellato art. 346 bis c.p.
In definitiva, la scelta legislativa di abrogazione del delitto di cui all’art. 323 c.p. non
pare riconducibile ad un legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore, ma si prospetta come arbitraria, atteso che: da un lato, non si è tenuto di conto che le ragioni poste a sostegno della spinta riformatrice (la c.d. “paura della firma” o “burocrazia difensiva”) erano di fatto venute meno (sopravvivendo, forse, solo sul piano, del tutto irrilevante, soggettivo e psicologico di singoli funzionari) in ragione delle recenti riforme e del successivo (ed ormai consolidato) orientamento giurisprudenziale di legittimità e dei principi enunciati dalla Corte costituzionale;
dall’altro lato, non appare adeguatamente ponderato (e men che meno contenuto o
neutralizzato) l’effetto dirompente che può avere la riforma, per il venir meno dell’effetto general-preventivo spiegato dalla presenza nell’ordinamento di una norma di chiusura che -seppur ormai relegata ad operare in casi eccezionali di particolare ed obiettiva gravità- evitava il dilagare di condotte dolosamente arbitrarie e lasciava ai cittadini uno strumento attraverso cui ricorrere alla magistratura (…).