Cassazione penale, Sez. II, sentenza 21 novembre 2023, n. 46703
PRINCIPIO DI DIRITTO
Integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.Principia la Corte che – con la sentenza impugnata – la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 13 dicembre 2019, che aveva condannato A.A., per i reati di truffa aggravata e di esercizio arbitrario della professione di esperto contabile.
Si addebita all’imputata di avere esercitato la professione di esperto contabile senza avere conseguito la prescritta abilitazione e di avere indotto in errore il cliente B.B., trattenendo indebitamente somme che questi le versava per il pagamento di debiti tributari e previdenziali, così procurandosi un ingiusto profitto per la complessiva somma di oltre 80.000 Euro con pari danno.
- Precisa la Cassazione come l’imputata, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, deduca:
2.1 Violazione dell’art. 640 c.p. in relazione all’elemento oggettivo del reato e vizio di motivazione poiché non è stato individuato l’ingiusto profitto ricavato dalla stessa. I giudici di merito si sono infatti fondati esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, la cui testimonianza avrebbe dovuto essere sottoposta a rigoroso vaglio critico: dalla stessa emerge che le somme corrisposte all’imputata non erano finalizzate al pagamento delle imposte, ma agli onorari per l’attività professionale svolta, il che esclude la contestata ingiustizia del profitto. Non emerge di contro alcuna prova che l’imputata abbia trattenuto ulteriori somme di denaro corrisposte dalla parte civile per il pagamento delle imposte.
2.2 Violazione dell’art. 348 c.p. e vizio della motivazione poiché il giudice di appello ha ritenuto dimostrata la condotta di esercizio abusivo di una professione in quanto l’imputata veniva delegata all’espletamento di alcuni adempimenti di natura contabile, ma una recente sentenza delle Sezioni unite ha stabilito che le condotte di tenuta della contabilità, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti non integrano il reato di esercizio abusivo della professione di commercialista e di ragioniere perito commerciale, anche se svolte da chi non è iscritto in relativi albi professionali in modo continuativo e organizzato e retribuito tale da creare in assenza di indicazioni diverse le apparenze di una tale iscrizione.
2.3 Difetto di motivazione sulla conferma delle statuizioni civili poiché la Corte di appello si è limitata a confermare quanto stabilito dal tribunale non pronunciandosi sulle numerose e specifiche doglianze avanzate dalla ricorrente in ordine all’an del danno.
2.4 violazione dell’art. 133 c.p., e difetto di motivazione sull’entità della pena applicata.
- Il ricorso, sancisce la Corte, è inammissibile.
3.1 La prima censura, infatti, premette il Collegio, è generica in quanto risulta reiterativa del motivo di appello cui la Corte ha fornito adeguata e congrua motivazione in ordine alla piena attendibilità della persona offesa, che ha fornito dettagliata indicazione degli importi consegnati all’imputata e da costei non versati, che costituiscono l’ingiusto profitto del reato. La Corte ha, peraltro, osservato che le accuse hanno trovato significativo riscontro nella documentazione acquisita, ad ulteriore riprova della fondatezza della prospettazione accusatoria.
3.2 La seconda censura – chiarisce altresì la Cassazione – è manifestamente infondata. Le Sezioni Unite di questa Corte con la pronunzia richiamata dal difensore hanno affermato che integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. (Fattispecie relativa all’abusivo esercizio della professione di commercialista). (Sez. U, Sentenza n. 11545 del 15/12/2011 Ud. (dep. 23/03/2012) Rv. 251819 – 01).
Ed infatti il D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, sostituendo i D.P.R. n. 1067 1068 del 1953, ha istituito l’Albo unificato dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, e, oltre a una elencazione di attività comune alle due categorie (riproducente quella già relativa ai commercialisti secondo il D.P.R. n. 1067 del 1953), ha previsto un lungo elenco di altre attività di riconosciuta competenza tecnica dei soli iscritti alla Sezione A (Commercialisti) e un elenco di attività di riconosciuta competenza tecnica degli iscritti alla Sezione B (Esperti contabili) dell’Albo, fra le quali sono state incluse le seguenti: “a) tenuta e redazione dei libri contabili, fiscali e del lavoro, controllo della documentazione contabile, revisione e certificazione contabile di associazioni, persone fisiche o giuridiche diverse dalle società di capitali; b) elaborazione e predisposizione delle dichiarazioni tributarie e cura degli ulteriori adempimenti tributari”.
La specifica inclusione delle attività di tenuta e redazione dei libri contabili, fiscali e del lavoro, e di elaborazione e predisposizione delle dichiarazioni tributarie e cura degli ulteriori adempimenti tributari, nell’elenco di quelle riconosciute di competenza tecnica degli iscritti alla sezione B consente senz’altro di ritenere che lo svolgimento di esse, se effettuato da soggetto non abilitato con modalità tali da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse dallo stesso provenienti, le apparenze dell’attività professionale svolta da esperto contabile regolarmente abilitato, è punibile a norma dell’art. 348 c.p.
E’ di tutta evidenza che la Corte ha fatto corretta applicazione di queste norme e della suindicata pronunzia, evidenziando nel caso in esame gli indici sintomatici di una falsa apparenza che integra la condotta penalmente rilevante: il carattere oneroso della prestazione; la durata e risalenza del rapporto con lo studio di contabilità Abruzzese, iniziato dapprima con il padre e poi continuato con l’imputata, radiata dall’albo nell’anno 2012; lo svolgimento dell’attività in modo organizzato con struttura preordinata e dotato di personale impiegato per l’espletamento delle relative incombenze.