Tar Roma, sez. I bis, 1 febbraio 2023, n. 1779
PRINCIPI DI DIRITTO
Il d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, ha avuto l’importante merito di fare accedere all’interno dell’ordinamento giuridico italiano la nozione di accesso civico generalizzato (affiancandola a quella già presente di accesso documentale prevista ai sensi degli artt. 22 e ss della legge 241/1990) permettendo a “chiunque”, senza alcun onere motivazionale, il diritto di accedere ai dati ed ai documenti detenuti dalla P.A., che siano, tuttavia, ulteriori rispetto a quelli oggetto di obbligo di pubblicazione ai sensi del d.lgs. 33/2013.Trattasi, dunque, di dati e documenti in relazione ai quali pur non sussistendo alcun obbligo di pubblicazione in capo alla P.A., quest’ultima è comunque tenuta a fornirli al richiedente, ove ne venga fatta apposita istanza, sempre che ciò avvenga nel rispetto dei limiti espressamente sanciti dal co. 5 bis del decreto de quo. Il legislatore, dunque, ha voluto tutelare interessi pubblici e interessi privati che potessero esser messi in pericolo dall’accesso indiscriminato, mitigando la possibilità di conoscenza integrale e indistinta dei documenti detenuti dall’ente introducendo dei limiti ovvero richiamando la propria disciplina speciale dettata dalla legge 241/1990 (anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso” cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651). Parimenti non vi sono peraltro ragioni per interpretare “chirurgicamente” il richiamo, da parte dell’art. 5-bis d.lgs. n. 33/2013 all’art. 24 della legge n. 241/1990, come richiamo soltanto parziale e limitato alla normativa primaria contenuta in quest’ultima e non anche alle fonti secondarie anch’esse richiamate dallo stesso art. 24. In definitiva, “l’accesso generalizzato deve essere riguardato come estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di cittadinanza attiva, i cui relativi limiti debbono essere considerati di stretta interpretazione e possono essere individuati solo nei ristretti limiti previsti dal legislatore.” (TAR Lazio, I-ter, 7 aprile 2021, n. 4103).
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- 5. Alla camera di consiglio del 2 dicembre 2022, presenti gli avvocati delle parti, il ricorso è stato assunto in decisione dal Collegio.
- […]
- Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis.”. Rilevano nella specie, di quest’ultimo articolo, i seguenti commi (1,2, 3 e 4): “1. L’accesso civico di cui all’articolo 5, comma 2, è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attività ispettive. 2. L’accesso di cui all’articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. 2-bis. … omissis….. 3. Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990. 4. Restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. Se i limiti di cui ai commi 1 e 2 riguardano soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l’accesso agli altri dati o alle altre parti.”. Deve anche richiamarsi il comma 6 dell’art. 5-bis cit. il quale prevede che spetta all’ANAC (d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281) l’adozione di linee guida recanti indicazioni operative sui limiti dell’accesso civico. 7. Deve poi essere chiarito (v. memoria res. del 26.11.2022) che l’Agenzia Industrie Difesa (AID) è una Agenzia di diritto pubblico “in house” del Ministero della Difesa, istituita ai sensi del D.lgs. n. 300/99 (artt. 8, 9 e 22), come strumento di razionalizzazione e ammodernamento delle unità industriali della Difesa, affidatele in gestione. Essa opera secondo criteri industriali sotto la vigilanza del Ministro della Difesa, con la missione di portare all’equilibrio economico gli stabilimenti industriali assegnati in una logica di creazione di valore sociale ed economico per lo Stato e la collettività. Ciò al fine di una corretta qualificazione giuridica dell’Ente che non è un’amministrazione statale, come asserito in ricorso, ma è una pubblica Amministrazione, come tale individuata nell’art 1, comma 2 del D.lgs. 165/2001. L’Accordo non esibito rientra, quindi, nell’ambito delle attività istituzionali proprie dell’Ente in questione.
- 8. La motivazione del diniego di esibizione, come meglio risulta da quanto già ampiamente esposto, si fonda su due distinte ed autosufficienti ragioni: i. la prima richiama – postulando la riconducibilità ad esse dell’Accordo AID/Min.Int. – le categorie di documenti di cui alle lettere a) (sicurezza pubblica e ordine pubblico), c) (la difesa e le questioni militari) e d) (le relazioni internazionali) dell’art. 5-bis, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013; ii. la seconda, invece, richiama il recente Decreto del Ministero dell’Interno (Ministero che è parte dell’Accordo de quo) datato 16.3.2022 che, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera all’art. 2 comma 1 lett. d) “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e le intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Questo secondo (e autosufficiente) profilo della motivazione del diniego trova il proprio referente normativo a livello primario nell’art. 24 comma 1 della legge n. 241 del 1990, mediante il nesso di collegamento che con tale disposizione è instaurato del comma 3 dello stesso art. 5-bis cit. a mente del quale “3. Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.” Quest’ultima disposizione (art. 24, comma 1, cit.) assume rilievo nella specie in quanto il comma 1 alla lettera a) prevede testualmente che “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”. Il citato comma 2, quindi, prevede che “2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1.”. Il D.M. richiamato nella motivazione del diniego è dunque espressione del potere normativo che la legge (art. 24, comma 2, Legge 241/1990) assegna alle pubbliche amministrazioni ai fini della perimetrazione delle categorie di documenti, da esse formati e, comunque, posseduti, che sono sottratti all’accesso per le ragioni di interesse pubblico nominate dal comma 1 dell’art. 24 cit. Si è più volte osservato in giurisprudenza che i limiti che l’ordinamento prevede all’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato sono di due categorie: i) eccezioni relative (art. 5-bis, comma 1 e comma 2, D.Lgs. n. 33 del 2013 cit.); ii) eccezioni assolute (art. 5-bis, comma 3, D.Lgs. n. 33 del 2013 cit.). Nell’ipotesi delle eccezioni relative (in cui rientra la necessità di evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela dell’interesse pubblico riguardante sicurezza, difesa e relazione internazionali) il legislatore non ha previsto, a monte, una scala valoriale in cui è collocato con priorità ontologica o con una prevalenza assiologica un interesse rispetto ad un altro. In presenza di una ipotesi di eccezione relativa è quindi rimesso all’Amministrazione effettuare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, bilanciamento da svolgersi in concreto tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite, pubblico o privato, alla segretezza e/o alla riservatezza, secondo i criteri del cd. harm test (o test del danno: dove si preserva l’interesse antagonista senza sacrificare del tutto l’esigenza di conoscibilità, anche parziale, nell’interesse pubblico) o del c.d. “public interest test” o “public interest override”, dove occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto (vedi gli spunti contenuti in TAR Campania, Salerno, Sez. III, 14 giugno 2022, n. 168). Viceversa nelle ipotesi delle eccezioni assolute (in cui rientrano ad esempio i “casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge” e i casi di cui all’art. 24, comma 1, L. n. 241 del 1990) “il legislatore ha operato, a monte, una valutazione assiologica di determinati interessi ritenuti degni di protezione massima e pertanto li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa dei dati, delle informazioni e dei documenti amministrativi. In presenza di un’ipotesi di eccezione assoluta, l’amministrazione è pertanto tenuta ad esercitare un “potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione assoluta e alla sussunzione del caso nell’ambito dell’eccezione assoluta, che è di stretta interpretazione”, fermo restando che “le eccezioni assolute … non sono preclusioni assolute” dal momento che l’interprete dovrà comunque valutare la volontà del legislatore di fissare in determinati casi limiti più stringenti all’accesso civico generalizzato”. (TAR Campania, Salerno cit.) Ciò comporta che il rapporto tra eccezioni relative e eccezioni assolute va calibrato nel senso che, laddove le ragioni delle eccezioni assolute (previste, peraltro, per l’accesso documentale ai sensi degli articoli 22 e ss. della L. n. 241 del 1990 e 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016) siano venute meno, rimangono comunque ferme le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013, sicché l’accesso civico generalizzato dovrà essere valutato alla luce di queste ultime disposizioni.
- 9. Alla luce di quanto precede il Collegio ritiene dunque di affrontare, in primo luogo, la questione, sottesa al secondo motivo di gravame, relativa alla sussistenza e alla configurabilità nella specie di un legittimo impedimento assoluto all’esibizione del documento, per effetto della esclusione “categoriale” contenuta nel più volte citato Decreto del Ministero dell’Interno del 16 marzo 2022 la cui applicazione presuppone una risposta affermativa (possibilità contestata invece dal ricorrente) alla domanda relativa all’applicabilità all’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33 del 2013, dei limiti e delle eccezioni rinvenibili nell’art. 24, comma 1, lett. a) Legge n. 241 del 1990.
9.1. La tesi del ricorrente (secondo motivo) è che il diniego di accesso non potrebbe essere giustificato con il riferimento ad una fonte di natura regolamentare quale è il citato D.M., che non potrebbe essere richiamato sulla base della disciplina propria dell’accesso civico di cui al d.lgs. 33/2013. La tesi non merita di essere condivisa. Come già osservato da questo TAR in analogo precedente (cfr. TAR Lazio, sez. Iter, 7 aprile 2021, n. 4103), è lo stesso art. 5 bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal D.Lgs. 97/2016, a richiamare i limiti al diritto di accesso “inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990” (secondo l’art. 5-bis comma 3, infatti, “Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”). Quest’ultima norma, a sua volta, demanda alle Pubbliche Amministrazioni l’individuazione, mediante regolamento, delle categorie di documenti sottratti all’accesso. Ne consegue che mediante tale richiamo il Decreto Ministeriale è direttamente riconducibile ad una fonte normativa di rango primario. In altri termini, poiché è l’art. 24 comma 1, lett. a) ad ammettere (oltre al segreto di Stato in senso stretto) un divieto di divulgazione che può essere espressamente previsto (oltre che dalla legge e dal regolamento governativo di cui al comma 6) dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è nella legge (quindi nella fonte primaria), e non già nell’atto regolamentare, che si fonda la forza derogatoria legata a speciali fattispecie, alla regola della ostensione generalizzata di cui all’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 33 del 2013. Non vi sono peraltro ragioni per interpretare “chirurgicamente” il richiamo, da parte dell’art. 5-bis D.Lgs. n. 33/2013, all’art. 24 della legge n. 241/1990, come richiamo soltanto parziale e limitato alla normativa primaria contenuta in quest’ultima e non anche alle fonti secondarie anch’esse richiamate dallo stesso art. 24. Infatti il comma 3 dell’art. 5-bis cit. usa il lemma “ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990” e quest’ultima disposizione, come visto, prevede espressamene che il diritto di accesso è escluso “nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
9.2. Per tale ragione l’Amministrazione non ha effettuato alcuna applicazione analogica all’accesso civico in esame dei limiti previsti dall’art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 in materia di accesso documentale. In altri termini l’applicazione dei predetti limiti è disposta dallo stesso art. 5 bis, comma 3, del D.lgs. n. 33 del 2013, mediante il rinvio integrale all’art. 24 della legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo.
9.3. Peraltro anche nella produzione giurisprudenziale del Consiglio di Stato si legge che “appare evidente che il legislatore, pur introducendo nel 2016 (l. 25 maggio 2016, n. 97) il nuovo istituto dell’accesso civico “generalizzato”, espressamente volto a consentire l’accesso di chiunque a documenti e dati detenuti dai soggetti indicati … e quindi permettendo per la prima volta l’accesso (ai fini di un controllo) diffuso alla documentazione in possesso delle amministrazioni (e degli altri soggetti indicati nella norma appena citata) e privo di un manifesto interesse da parte dell’accedente, ha però voluto tutelare interessi pubblici ed interessi privati che potessero esser messi in pericolo dall’accesso indiscriminato. Il legislatore ha quindi operato per un verso mitigando la possibilità di conoscenza integrale ed indistinta dei documenti detenuti dall’ente introducendo dei limiti all’ampio accesso (art. 5 bis, commi 1 e 2, del d.lgs. 33/2013) e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi e la propria disciplina speciale dettata dalla legge 241/1990 (evitando accuratamente di novellare la benché minima previsione contenuta nelle disposizioni da essa recate), anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 651). Alla luce di tali considerazioni, quindi, anche dopo l’entrata in vigore delle norme che “disciplinano l’accesso civico generalizzato”, permane un settore “a limitata accessibilità”, nel quale continuano ad applicarsi le più rigorose norme della legge 241/1990, di modo che se è vero che è consentito a chiunque di conoscere ogni tipo di documento o di dato detenuto da una pubblica amministrazione (oltre a quelli acquisibili dal sito web dell’ente, in quanto obbligatoriamente pubblicabili), nello stesso tempo, qualora la tipologia di dato o di documento non può essere resa nota per il pericolo che ne provocherebbe la conoscenza indiscriminata, mettendo a repentaglio interessi pubblici ovvero privati, l’ostensione di quel dato e documento può essere consentita solo in favore di una ristretta cerchia di interessati in quanto titolati, secondo le tradizionali e più restrittive regole recate dalla legge 241/1990. In definitiva, “l’accesso generalizzato deve essere riguardato come estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di cittadinanza attiva, i cui relativi limiti debbono essere considerati di stretta interpretazione e possono essere individuati solo nei ristretti limiti previsti dal legislatore.” (TAR Lazio, I-ter, 7 aprile 2021, n. 4103). L’art. 5, comma 2, del decreto 33/2013 consente, quindi, ai cittadini di accedere a dati e documenti (detenuti dalle Amministrazioni) “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, ma pur sempre nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati individuati all’art. 5-bis del decreto, limiti che nella specie sono stati individuati, in modo chiaro, nel provvedimento impugnato, mediante il testuale riferimento al Decreto del Ministero dell’Interno datato 16/03/2022 il quale, nell’elencare le categorie di documenti sottratti all’accesso per i motivi di sicurezza, difesa e relazioni internazionali, annovera all’art. 2, comma 1, lett. d) “i documenti relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnicooperative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Superata, pertanto, la doglianza relativa alla portata di norma di rango primario da conferire ai regolamenti di entrambe le amministrazioni contraenti – Ministero dell’Interno (DM 415/1994 e DM 16/3/2022) e Ministero della Difesa (DM 14/6/1996 n. 519) – per effetto del rinvio “pieno” operato dal comma 3 del citato 5 bis all’art 24 della L. 241/1990, le stesse linee guida dell’ANAC, invocate dal ricorrente, non si oppongono in realtà al provvedimento negativo adottato ma al contrario, consentono di ritenerlo legittimo alla luce della “seconda ragione” su cui esso si fonda (richiamo all’art. 2, comma 1, lett. d) D.M. 16.3.2022), in quanto esse evidenziano la natura di eccezioni assolute da riferire alle situazioni di cui al citato co. 3 dell’art. 5 bis, le quali non richiedono l’esplicitazione di ulteriori motivazioni nel caso di negato accesso, atteso che “possono verificarsi circostanze in cui potrebbe essere pregiudizievole dell’interesse coinvolto imporre all’amministrazione anche solo di confermare o negare di essere in possesso di alcuni dati o informazioni (si consideri ad esempio il caso di informazioni su indagini in corso). In tali ipotesi, di stretta interpretazione, se si dovesse pretendere una puntale specificazione delle ragioni del diniego, l’amministrazione potrebbe disvelare, in tutto o in parte, proprio informazioni e dati che la normativa ha escluso o limitato dall’accesso, per tutelarne la riservatezza (pubblica o privata).” (Linee Guida ANAC).
- 10. […]
- 11. Ne consegue che non può essere accolta la richiesta di accesso nemmeno nella forma parziale sulla quale l’interessato insiste nel terzo motivo.
- 12. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio possono essere compensate in ragione della parziale novità delle questioni affrontate.