<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte di Giustizia UE, Sez.VI, sentenza 16 luglio 2020 (causa C-411/19)</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>PRINCIPI DI DIRITTO</em><em> </em></p> <ol style="text-align: justify;"> <li style="font-weight: 400;"><em> L’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che consente la prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di un progetto la cui incidenza su una zona speciale di conservazione non possa essere mitigata e sul quale l’autorità pubblica competente abbia già espresso parere negativo, a meno che non esista una soluzione alternativa che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> Qualora un piano o un progetto abbia formato oggetto, in applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, di una valutazione negativa quanto alla sua incidenza su una zona speciale di conservazione e lo Stato membro interessato abbia comunque deciso, ai sensi del paragrafo 4 di detto articolo, di realizzarlo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, l’articolo 6 di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale consente che detto piano o progetto, dopo la sua valutazione negativa ai sensi del paragrafo 3 di detto articolo e prima della sua adozione definitiva in applicazione del paragrafo 4 del medesimo, sia completato con misure di mitigazione della sua incidenza su tale zona e che la valutazione di detta incidenza venga proseguita. L’articolo 6 della direttiva 92/43 non osta invece, nella stessa ipotesi, a una normativa che consente di definire le misure di compensazione nell’ambito della medesima decisione, purché siano soddisfatte anche le altre condizioni di attuazione dell’articolo 6, paragrafo 4, di tale direttiva.</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che prevede che il soggetto proponente realizzi uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui trattasi sulla zona speciale di conservazione interessata, sulla base del quale l’autorità competente procede alla valutazione di tale incidenza. Tale direttiva osta invece a una normativa nazionale che consente di demandare al soggetto proponente di recepire, nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità competente, senza che il piano o il progetto così modificato debba costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità.</em></li> <li style="font-weight: 400;"><em> La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa, pur lasciando agli Stati membri il compito di designare l’autorità competente a valutare l’incidenza di un piano o di un progetto su una zona speciale di conservazione nel rispetto dei criteri enunciati dalla giurisprudenza della Corte, osta invece a che una qualsivoglia autorità prosegua o completi tale valutazione, una volta che quest’ultima sia stata realizzata.</em></li> </ol> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Processo Giurisdizione del GO sulle controversie in tema di pagamento del corrispettivo delle prestazioni sanitarie eccedenti il limite di spesa e del GA sulla determinazione del canone, l'indennità ed altri corrispettivi</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 30 luglio 2020 n. 16460</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il regolamento è ammissibile, non risultando la causa pendente innanzi al tribunale di Catania decisa nel merito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In via preliminare, essendo incontroverso che il regime intercorrente fra le parti ha natura di concessione di pubblico servizio, occorre ricordare che la giurisdizione rispetto alla controversia pendente è regolata dall’assetto normativo scaturito per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 33 del <a href="http://d.gs/" data-saferedirecturl="https://www.google.com/url?q=http://d.gs&source=gmail&ust=1597140382958000&usg=AFQjCNGdGWXdipoRsigFtJSU_Yzsk3Hq0w">d.gs</a>. n. 80 del 1998 come sostituito dall’art. 7 della l. n. 205 del 2000.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In esito a tale pronunzia l’art. 33, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7, lettera a), della legge n. 205 del 2000 è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva che fossero devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi anziché «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Orbene, secondo i principi ormai consolidati di queste Sezioni Unite la decisione della Corte costituzionale appena ricordata ha determinato il sostanziale ritorno al criterio di riparto a suo tempo operante nel regime dell’art. 5 della legge n.1034 del 1971, poi recepito, senza sostanziali modifiche, dal Codice del processo amministrativo, emanato con il d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (art. 133, comma 1, lett. c) -cfr. Cass. S.U. n. 28053/2018.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò posto, queste Sezioni Unite sono ferme nel ritenere che in tema di attività sanitaria esercitata in regime di c.d. accreditamento, la domanda di condanna della Asl al pagamento del corrispettivo per le prestazioni eccedenti il limite di spesa, proposta dalla società accreditata sul presupposto dell’annullamento in via giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi che avevano stabilito i ccdd. “tetti di spesa” e della conseguente invalidità, inefficacia o inoperatività parziale dell’accordo stipulato tra le parti limitatamente alle clausole che prevedevano la non remunerabilità delle predette prestazioni, rientra, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 104 del 2010, nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia il cui “</em>petitum<em>” sostanziale investe unicamente la verifica dell’esatto adempimento di una obbligazione correlata ad una pretesa del privato riconducibile nell’alveo dei diritti soggettivi, senza coinvolgere il controllo di legittimità dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio -cfr. Cass. S.U. n.26200/2019.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per converso, restano nella giurisdizione amministrativa le controversie inerenti pubblici servizi che coinvolgono l’esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione del canone, dell’indennità o di altri corrispettivi, rimanendo la competenza giurisdizionale del G.A. anche in assenza di impugnativa di un atto o provvedimento dell’autorità pubblica, purché la controversia coinvolga il contenuto dell’atto concessorio e la violazione degli obblighi nascenti dal rapporto concessorio, quali quelli inerenti la durata del rapporto concessorio, l’esistenza del rapporto o la rinnovazione della concessione -cfr. Cass. S.U. n.20682/2018.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ora, nel caso di specie la domanda proposta dall’istituto ha ad oggetto la richiesta di condanna della resistente al pagamento di corrispettivi dovuti in relazione all’intercorso rapporto concessorio ed in forza delle prestazioni di servizio eseguite dalla ricorrente secondo il c.d. regime di accreditamento sul presupposto dell’illegittimità della decurtazione operata dalla struttura sanitaria, sicché non può dubitarsi che nella prospettazione introduttiva la domanda fosse riconducibile alla giurisdizione del giudice ordinario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La controversia non pertiene l’accertamento dell’esistenza o del contenuto del rapporto di accreditamento, qualificabile come concessione di pubblico servizio, piuttosto riguardando la spettanza dei compensi richiesti in misura maggiore rispetto a quella erogata dall’azienda sanitaria.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ne consegue che la stessa, non coinvolgendo la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto sottostante o l’esercizio dei poteri discrezionali in ordine alla determinazione di indennità, canoni o altri corrispettivi, esula dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi e non può che essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario -cfr. Cass. S.U. n. 16385/2011, Cass. S.U. n. 29536/2008-.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il regime delle spese processuale relative al regolamento preventivo va rinviato al giudice ordinario.</em></p>