Corte costituzionale, sentenza 29 novembre 2022, n. 239
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Toscana 28 dicembre 2021, n. 52 (Disposizioni in materia di tagli colturali. Modifiche alla l.r. 39/2000); va invece dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Toscana n. 52 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dal Presidente del Consiglio dei ministri; infine, va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Toscana n. 52 del 2021, promossa, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Il motivo di ricorso consistente nella violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riferimento agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali (indicato sub d), è inammissibile per carenza di motivazione.
Il ricorrente, infatti, si limita ad affermare in modo apodittico che esisterebbe un «contrasto […] con la disciplina della pianificazione paesaggistica», ma non spiega perché la norma impugnata contrasterebbe con i citati artt. 135, 143 e 145. La giurisprudenza di questa Corte «è costante nell’affermare “che, nella impugnazione in via principale, il ricorrente non solo deve, a pena di inammissibilità, individuare l’oggetto della questione proposta (con riferimento alla normativa che censura ed ai parametri che denuncia violati), ma ha anche l’onere (da considerare addirittura più pregnante rispetto a quello sussistente nei giudizi incidentali: ex plurimis, sentenza n. 115 del 2021) di esplicitare una motivazione chiara ed adeguata in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione dei parametri che assume incisi” (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 71 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 5 del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021)» (sentenza n. 135 del 2022).
3.– Nel merito, è innanzitutto non fondato il motivo di ricorso (indicato sopra sub f) con il quale si lamenta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., con riferimento all’art. 6 CEDU.
Secondo il ricorrente, l’art. 6 CEDU sarebbe violato perché la Regione avrebbe adottato la norma impugnata per «paralizzare l’esecuzione del giudicato» formatosi sul ricorso straordinario proposto dall’associazione Italia Nostra e altri contro la delibera della Giunta della Regione Toscana n. 355 del 2019 (approvazione del piano antincendio relativo alle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia), ricorso accolto con il d.P.R. 1° ottobre 2020, sulla base del parere del Consiglio di Stato n. 1233 del 2020.
Il ricorrente afferma che «la Regione non solo non si è conformata a tale parere, venendo meno alla prescritta acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica», ma avrebbe adottato la norma impugnata «allo scopo concreto di paralizzare l’esecuzione del giudicato».
Invece, come risulta dagli atti depositati dalla difesa della resistente, la Regione Toscana si è adeguata al d.P.R. 1° ottobre 2020 già diversi mesi prima dell’adozione della norma impugnata (promulgata il 28 dicembre 2021), allorché, a seguito del citato d.P.R., ha riapprovato il piano antincendio con la delibera della Giunta regionale 29 marzo 2021, n. 297, sulla base delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune di Castiglione della Pescaia e dal Comune di Grosseto, previo parere della Soprintendenza.
Nella propria memoria integrativa il ricorrente ha osservato che l’adeguamento al giudicato «nel singolo caso specifico» non potrebbe sanare il vizio della legge regionale impugnata. Poiché, tuttavia, ciò che il ricorso denuncia è la violazione dell’art. 6 CEDU proprio per la presunta volontà del legislatore regionale di paralizzare l’esecuzione del più volte citato parere n. 1233 del 2020, l’avvenuta ottemperanza al giudicato formatosi sul ricorso straordinario rende evidente la non fondatezza della censura.
4.– Il primo motivo di ricorso è, invece, fondato.
Considerato il contenuto della censura, il thema decidendum va circoscritto, quanto alle norme interposte, agli artt. 146 e 149 cod. beni culturali, dato che gli artt. 136 e 142 dello stesso codice, pure invocati dal ricorrente, non attengono all’autorizzazione paesaggistica.
4.1.– È opportuna in via preliminare una breve sintesi del contesto normativo in cui si inserisce la disposizione impugnata.
L’art. 3, comma 2, lettera c), t.u. foreste fa rientrare nelle «pratiche selvicolturali» «i tagli, le cure e gli interventi volti all’impianto, alla coltivazione, alla prevenzione di incendi, al trattamento e all’utilizzazione dei boschi e alla produzione di quanto previsto alla lettera d» (che definisce i «prodotti forestali spontanei non legnosi»). Il taglio colturale rappresenta, dunque, un’«ordinaria attività di gestione e manutenzione del bosco», distinta dalla «trasformazione del bosco» (sentenza n. 201 del 2018). Le attività di gestione forestale e la trasformazione del bosco sono disciplinate, rispettivamente, dagli artt. 7 e 8 t.u. foreste. In base all’art. 7, comma 13, «[l]e pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all’articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
L’art. 149 cod. beni culturali stabilisce che, «[f]atta salva l’applicazione dell’articolo 143, comma 4, lettera a), non è comunque richiesta l’autorizzazione prescritta dall’articolo 146, dall’articolo 147 e dall’articolo 159: a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio; c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall’articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia». Il richiamato art. 142, comma 1, lettera g), individua le «aree tutelate per legge» e dispone che «[s]ono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: […] g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento […]».
Il citato art. 149 cod. beni culturali è integrato dai punti A.19 e A.20 dell’Allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), che elencano interventi rientranti nella definizione operata, rispettivamente, alle riportate lettere b) e c) del comma 1 dello stesso art. 149.
4.2.– Come visto, la disposizione regionale impugnata stabilisce che l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica (previsto dal citato art. 47-bis, comma 4, della legge reg. Toscana n. 39 del 2000) si applica «anche agli interventi da eseguirsi nelle aree vincolate per il loro particolare valore paesaggistico ai sensi dell’articolo 136 del D.Lgs. 42/2004, con la sola eccezione di quelle in cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi». Il richiamato art. 136 cod. beni culturali è dedicato ai beni individuati come di interesse paesaggistico con vincolo provvedimentale, ossia sulla base di un atto amministrativo che li dichiara appunto di «notevole interesse pubblico».
La legge regionale recante la disposizione impugnata è dotata di un preambolo in cui, oltre a definire il taglio colturale, si osserva che, «[a]nche in seguito ad alcune criticità emerse recentemente sul territorio regionale, si rende opportuno un intervento normativo finalizzato a chiarire il regime applicativo delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle predette attività, con particolare riferimento agli interventi da eseguirsi nei boschi ricompresi nelle aree dichiarate di notevole interesse pubblico di cui all’articolo 136 del D.Lgs. 42/2004». Anche dalla memoria di costituzione della Regione Toscana risulta che la norma impugnata vorrebbe «rappresentare una semplice e corretta riproposizione» della disciplina statale, in quanto il citato art. 149 cod. beni culturali andrebbe inteso nel senso che, per il taglio colturale, l’autorizzazione paesaggistica è necessaria se sussiste un vincolo provvedimentale che riguarda specificamente ed esclusivamente il bosco, non quando la dichiarazione di notevole interesse pubblico (adottata ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali) ha ad oggetto un’area più ampia comprendente il bosco.
In sintesi, secondo la Regione la disposizione impugnata sarebbe legittima perché, pur essendo indiscusso che la disciplina dell’autorizzazione paesaggistica e delle sue eventuali esenzioni rientra nella competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., essa si sarebbe limitata a chiarire il contenuto dell’art. 149 cod. beni culturali.
Tale impostazione non può essere condivisa. Proprio con riferimento all’autorizzazione paesaggistica di cui si discute, questa Corte ha già statuito che «la Regione non sarebbe competente, in una materia di esclusiva spettanza dello Stato, ad irrigidire nelle forme della legge casi di deroga al regime autorizzatorio, neppure quando essi fossero già desumibili dall’applicazione in concreto della disciplina statale» (sentenza n. 139 del 2013, confermata dalla sentenza n. 144 del 2021). In altra materia, ma sempre con riferimento a una previsione regionale che interveniva su un oggetto già disciplinato dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva, questa Corte ha affermato che «[l]’argomento della difesa della Regione, secondo cui la norma regionale impugnata si limiterebbe ad esplicitare la disciplina previdenziale corrente, senza produrre effetti innovativi sull’ordinamento, quand’anche fondato, […] non varrebbe comunque a consentire l’esercizio da parte della Regione della funzione legislativa in materia, assegnata a titolo esclusivo al legislatore statale» (sentenza n. 82 del 2018; si vedano anche le sentenze n. 38 del 2018 e n. 233 del 2015).
Questi precedenti vanno qui confermati. Non vi è dubbio che la disciplina del provvedimento autorizzatorio, così come l’individuazione delle ipotesi di deroga, attiene al cuore della materia della tutela del paesaggio, di esclusiva competenza statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex multis, sentenze n. 108, n. 106 e n. 21 del 2022, n. 141 e n. 138 del 2021). Per questa ragione, l’interpretazione di una disposizione come l’art. 149 cod. beni culturali, che indica puntualmente, offrendone una definizione, le opere non soggette ad autorizzazione paesaggistica, resta sottratta a qualsiasi possibilità di intervento ad opera della legge regionale: l’interpretazione non può che spettare agli organi chiamati ad applicare lo stesso art. 149 (pubblica amministrazione e giudici comuni) e, se del caso, al legislatore statale che intenda provvedervi in sede di interpretazione autentica.
Il necessario rispetto della competenza esclusiva dello Stato nella materia de qua corrisponde, del resto, all’esigenza sostanziale di non mettere a rischio quell’uniformità che l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. mira a garantire: uniformità che sarebbe pregiudicata qualora le regioni potessero vincolare con legge, nei loro territori, l’interpretazione dell’art. 149 cod. beni culturali. È in questa logica che la giurisprudenza costituzionale esclude la stessa possibilità della mera riproduzione di una disposizione legislativa statale, in materia di competenza esclusiva dello Stato, in quanto anche «la semplice novazione della fonte normativa costituisce comunque causa di illegittimità della disposizione regionale» (sentenza n. 178 del 2018, riguardante proprio la materia dell’autorizzazione paesaggistica).
4.3.– Precisato che, per le ragioni appena esposte, la norma impugnata si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), anche a prescindere dalla sua conformità o meno all’art. 149 cod. beni culturali, questa Corte deve osservare che la tesi della Regione Toscana (secondo la quale la norma impugnata rappresenterebbe «una semplice e corretta riproposizione» della disciplina statale) non risulta condivisibile.
L’intervento di taglio colturale è regolato, come visto, dall’art. 149, comma 1, lettera c), cod. beni culturali, che limita l’esonero dall’autorizzazione paesaggistica al caso in cui il taglio sia autorizzato «in base alla normativa in materia» e sia eseguito in un bosco vincolato ex lege. La giurisprudenza amministrativa conferma che l’assoggettamento del taglio colturale alla specifica disciplina di cui al citato art. 149, comma 1, lettera c), esclude che tale particolare tipo di intervento possa ricadere anche fra quelli genericamente inerenti all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, esonerati dall’autorizzazione paesaggistica ai sensi della lettera b) dello stesso art. 149, comma 1 (Consiglio di Stato, sezione prima, parere n. 1233 del 2020; sezione terza, sentenza 13 febbraio 2020, n. 1124; sezione sesta, sentenza 20 luglio 2018, n. 4416; sezione sesta, sentenza 10 febbraio 2015, n. 717; Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, sezione prima, sentenza 22 aprile 2014, n. 160). Soluzione, questa, che risulta coerente con il citato d.P.R. n. 31 del 2017, dal momento che il punto A.19 dell’Allegato A riconduce all’art. 149, comma 1, lettera b), solo attività minori relative ai boschi, mentre le «pratiche selvicolturali» in generale (comprendenti anche il taglio colturale) sono ricondotte dal punto A.20 all’art. 149, comma 1, lettera c). Similmente, come già visto, l’art. 7, comma 13, t.u. foreste dispone che «[l]e pratiche selvicolturali, i trattamenti e i tagli selvicolturali di cui all’articolo 3, comma 2, lettera c), eseguiti in conformità alle disposizioni del presente decreto ed alle norme regionali, sono equiparati ai tagli colturali di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
Su questa base, il Consiglio di Stato, nel citato parere n. 1233 del 2020, ha affermato che l’esonero di cui all’art. 149, comma 1, lettera c), si applica solo se il taglio colturale dev’essere eseguito in un bosco vincolato ex lege (nel medesimo senso, TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, ordinanza 24 marzo 2017, n. 163; Ufficio legislativo del MIBACT, parere 8 settembre 2016, n. 25553). Anche le più recenti norme statali invocate nel ricorso come parametro interposto (e citate nel Ritenuto in fatto), cioè l’art. 7, comma 12, t.u. foreste e l’art. 36, comma 3, del d.l. n. 77 del 2021, come convertito, smentiscono la tesi secondo la quale l’esonero del taglio colturale dall’autorizzazione paesaggistica potrebbe operare anche nelle aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali.
Ne consegue che il comma 4-bis dell’art. 47-bis della legge reg. Toscana n. 39 del 2000 (aggiunto dalla disposizione impugnata), secondo il quale l’esonero del taglio colturale dall’autorizzazione paesaggistica si applica anche nelle aree vincolate ai sensi dell’art. 136 cod. beni culturali (eccetto «quelle in cui la dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardi in modo esclusivo i boschi»), non presenta un valore meramente esplicativo del significato dell’art. 149 cod. beni culturali.
In conclusione, anche sotto questo ulteriore profilo, la disposizione impugnata viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 146 e 149 cod. beni culturali.
5.– Le altre questioni promosse nel ricorso (per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s, Cost. e del principio di leale collaborazione, in relazione all’art. 7, comma 12, t.u. foreste e all’art. 36, comma 3, del d.l. n. 77 del 2021, come convertito) restano assorbite.