Consiglio di Stato, Sezione VI – sentenza 21 giugno 2024, n. 5522
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è, in rapporto al principio fondamentale dell’art.9 Cost., un giudizio di ordine tecnico e come tale si sottrae al sindacato giurisdizionale, salvo sia basato su un percorso argomentativo travisante o incongruo rispetto alla tecnica stessa, o comunque risulti oggettivamente inattendibile” (v., Cons. Stato, Sez. VI, n. 999/2015). È, quindi, da ritenere legittima una dichiarazione di interesse pubblico impositiva di un vincolo su un’area anche molto vasta quando – alla luce della valutazione tecnica dell’organo competente – l’interesse paesaggistico protetto sia unitario sebbene i singoli beni, individualmente considerati, presentino caratteristiche diverse.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con l’appello in esame le associazioni […] hanno impugnato la sentenza del TAR Veneto n. 1280/2022 con la quale sono stati accolti i ricorsi riuniti di primo grado volti ad ottenere l’annullamento del Decreto Ministeriale n. […]recante “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area alpina compresa tra il […], nonché di ogni altro atto comunque connesso o presupposto (ai sensi dell’art 136 c. 1 lettere c, d, e del d.lgs 42/2004), […].
1.1. In particolare, con i ricorsi di primo grado la Regione […] ed i Comuni di […] hanno impugnato il decreto, sopra indicato, del Direttore generale della direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo del […]
Il TAR per il Veneto, Sezione Seconda, con la sentenza in esame, previa riunione dei ricorsi, li ha accolti.
- Avverso la sentenza è stato proposto un primo appello dalle associazioni […], basato su sette motivi di impugnazione.
- Con il primo motivo dell’appello principale […], le associazioni ambientaliste hanno riproposto l’eccezione spiegata in primo grado sostenendo che la Provincia di […] avrebbe spiegato solo intervento, senza impugnare autonomamente il decreto ministeriale; la memoria avrebbe contenuto, però, la censura di vizi propri, inammissibili e tardivi.
Con il secondo motivo dell’appello principale […]si sostiene che la sentenza sarebbe viziata perché baserebbe su di un evidente travisamento della motivazione recata dal Decreto, come sarebbe agevole comprendere da una ricostruzione dell’iter del procedimento istruttorio (atto di indirizzo della Direzione Generale Belle Arti Archeologia e Paesaggio, proposta della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area alpina considerata, motivazione definitiva del Decreto contenuta nella Relazione), conclusosi con l’apposizione del vincolo e che il TAR avrebbe omesso del tutto di esaminare. Da questi documenti emergerebbe che l’estensione quantitativa dei vincoli ex lege sarebbe invece stato ritenuto dal Ministero del tutto irrilevante ai fini dell’apposizione del vincolo paesaggistico e certamente non decisivo. Nelle controdeduzioni al parere negativo della Regione, il Ministero avrebbe messo in rilievo – quale circostanza oggettiva e non discutibile – che i predetti vincoli già esistenti ai sensi della terza parte del d.lgs. 42/2004 offrirebbero una tutela diversa rispetto a quella della dichiarazione di notevole interesse pubblico di un’area, e che per tale motivo dovevano ritenersi insufficienti- che si tratterebbe di una motivazione del Ministero non solo sufficiente, logica e ragionevole, ma anche coerente con la sentenza n. 164/2021 della Corte Costituzionale, secondo cui:“la circostanza che larga parte del territorio interessato dalla dichiarazione sia già tutelata ex lege ai sensi dell’art. 142 cod. beni culturali non toglie perciò che la dichiarazione di notevole interesse pubblico possa sopraggiungere proprio al fine di arricchire con maggior dettagli lo specifico grado di protezione di cui i beni inseriti nell’area debbono godere”
– che nella motivazione del decreto i suddetti vincoli ex lege non comprenderebbero “proprio quelle porzioni di fondovalle e di versante, al di fuori delle aree boscate sottostanti i 1600 metri di altitudine e non ricadenti entro le fasce di rispetto dei fiumi e dei laghi” e che “proprio in queste aree escluse dalla tutela ex lege sono ubicati elementi qualificanti ai fini della tutela e conservazione dei valori dell’insieme paesaggistico in parola ossia i nuclei storici di maggiore rilevanza e ampi brani della struttura agraria storica, rappresentata dall’insieme di manufatti rurali prati e pascoli”
– che il TAR avrebbe ignorato che l’apposizione del vincolo paesaggistico sarebbe stata in realtà proposta principalmente sulla base di una puntuale identificazione e ricognizione dei valori e degli elementi caratterizzanti l’area considerata, che va oltre la ricognizione del singolo bene paesaggistico ex art. 142 del Codice e considera il paesaggio quale “territorio espressivo di identità” i cui caratteri derivano non solo dalla natura, ma anche “dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni”
– che la motivazione del Ministero non comprenderebbe una specificazione sulla misura percentuale di tali siti, ma avrebbe posto l’accento sul dato qualitativo, ossia in quelle porzioni di territorio non soggette alla tutela ex lege erano e sono ubicati elementi qualificanti ai fini della conservazione dei valori dell’insieme paesaggistico (le porzioni di fondovalle e di versante).
Con il terzo motivo di appello […] si sostiene
– che il TAR, travisando il ragionamento di fondo recato dalla motivazione del Decreto, avrebbe espresso un giudizio che sconfina nel merito amministrativo, in quanto si risolverebbe nella sostituzione della valutazione espressa dal Ministero financo in ordine alla stessa opportunità di adozione del provvedimento impugnato, laddove sostiene che il vincolo paesaggistico impugnato non riguarda un singolo bene immobile, bensì un’area alpina di oltre 420 chilometri quadrati, già sottoposti a molteplici vincoli ex lege che hanno sinora consentito la straordinaria conservazione di detto territorio e delle sue bellezze, come riconosciuto dallo stesso Ministero” (pagina 13 della sentenza impugnata)
– che la rilevanza attribuita dal TAR al preteso difetto di istruttoria su un dato neanche ritenuto in realtà rilevante dal Ministero renderebbe evidente che il TAR non ha solo travisato il contenuto del Decreto, ma avrebbe anche finito per esprimere apodittici giudizi di valore
– che sarebbe anche illogica ed insufficiente la motivazione in parte qua, non avendo il TAR in alcun modo spiegato le ragioni per cui, diversamente da quanto ritenuto dal Ministero, si sarebbe dovuto attribuire rilevanza al dato quantitativo dell’estensione dei vincoli ex lege o all’asserita idoneità degli stessi a consentire “la straordinaria conservazione di detto territorio e delle sue bellezze
– che la motivazione resa dal TAR nella sentenza impugnata sarebbe anche perplessa in relazione al contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 164/2021, laddove la Corte Costituzionale, prendendo specifica posizione sulla presente concreta fattispecie, avrebbe statuito che non sarebbe rilevante la circostanza che “larga parte del territorio interessato dalla dichiarazione sia già tutelata ex lege ai sensi dell’art. 142 cod. beni culturali”
– che la motivazione in punto della sentenza impugnata sarebbe anche illogica ove, da una parte il Giudice di Prime Cure avrebbe omesso di verificare l’ampia e approfondita istruttoria e motivazione su cui il Decreto poggia, mentre dall’altra parte, avrebbe però ritenuto esistente e rilevante un difetto di istruttoria su un dato ritenuto non significativo dal Ministero.
Con il quarto motivo dell’appello principale […]si sostiene:
– che riguardo all’art 138 del Codice, nella sentenza n. 164/2021 della Corte Costituzionale viene affermato proprio l’esatto contrario di quanto sostenuto dal TAR, ossia che il potere ministeriale in parola non sarebbe né straordinario né eccezionale, ma rappresenta “il naturale sviluppo delle attribuzioni dello Stato in materia. Anzi è necessario che restino inequivocabilmente allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione e conservazione”
– che il TAR, laddove ravvisava una asserita carenza istruttoria, avrebbe travisato completamente la competenza ed il potere esercitato dal Ministero, ignorando il consolidato orientamento della Giurisprudenza, tra cui Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3652/2015, che qualifica l’esercizio della tutela paesaggistica come un potere che è espressione di discrezionalità tecnica e non amministrativa (e tanto meno di generale governo del territorio), perché “alla funzione di tutela del paesaggio è estranea ogni forma di attenuazione della tutela paesaggistica determinata dal bilanciamento o dalla comparazione con altri interessi, ancorché pubblici, che di volta in volta possono venire in considerazione: tale attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe illegittimamente e paradossalmente a dare minor tutela, malgrado l’intensità del valore paesaggistico del bene, quanto più intenso sia o possa essere l’interesse pubblico alla trasformazione del territorio”
– che sul tema della disciplina d’uso la sentenza sarebbe contraddittoria nella motivazione in quanto da una parte, riportando per esteso la sentenza della Corte Costituzionale n. 164/2021, affermerebbe che “è del tutto connaturato alla finalità di conservazione del paesaggio che la dichiarazione di notevole interesse pubblico non si limiti a rilevare il valore paesaggistico di un bene ma si accompagni a prescrizioni intese a regolamentarne l’uso fino alla possibilità di vietarlo del tutto”, mentre dall’altra parte critica aspramente l’operato del Ministero per essere la disciplina d’uso “estremamente penetrante e dettagliata”, senza spiegare in concreto quali previsioni sarebbero censurabili
– che la natura apodittica dei giudizi espressi dal TAR avrebbe tradito un mal celato sconfinamento dai limiti esterni della giurisdizione di legittimità, avendo il Giudicante sovrapposto una propria valutazione a quella del Ministero, senza neanche peraltro ricorrere ad una verificazione in corso di causa
– che laddove il TAR sostiene che “specifici vincoli che si estendono a ogni aspetto di utilizzo del territorio, involgenti le componenti idrogeomorfologiche, le componenti ecosistemiche e ambientali, le componenti culturali ed insediative, le componenti agrarie, le componenti infrastrutturali fino a disciplinare l’apposizione di insegne e cartelloni pubblicitari, di recinzioni e la rilevantissima regolamentazione dei comparti sciistici”, non avrebbe motivato nè spiegato quali dei “vincoli specifici”, e in quale parte della disciplina d’uso i suddetti vincoli sarebbero previsti, e senza spiegare perché si tratterebbe di “vincoli specifici“
– che con riferimento a “i comparti sciistici”, non sarebbero vietati tout court nuovi impianti, ma sarebbero previsti sempre e solo criteri per la loro localizzazione, con lo scopo di non compromettere aree di elevata integrità naturalistica, ambientale ed ecosistema, come emergerebbe anche da quanto dedotto dal Ministero in sede di Controdeduzioni […], laddove spiega che: “il dettato prescrittivo non vieta la realizzazione di nuove piste, ma specifica criteri e condizioni per la loro realizzazione nel rispetto del paesaggio di riferimento”
– che per le aree attrezzate di sosta sarebbero previsti solo criteri per la loro localizzazione, in funzione di salvaguardia delle “visuali da e verso componenti di valore paesaggistico”, ossia prevedendo, del tutto ragionevolmente, che debbano essere privilegiate soluzioni che permettano di preservare e valorizzare la percezione visiva degli elementi più significativi e connotanti il paesaggio.
Con il quinto motivo dell’appello principale […] si censura la sentenza sostenendo:
– che il Giudice di Prime Cure avrebbe errato, laddove afferma che il Ministero avrebbe usato dati non aggiornati e che tale asserito vizio di istruttoria non sarebbe stato contestato dal Ministero nel corso del giudizio di primo grado
– che sarebbero erronee le statuizioni del TAR secondo le quali il Ministero avrebbe errato nel calcolare l’estensione quantitativa dei vincoli ex lege gravanti sul territorio, poiché avrebbe svolto l’istruttoria “sulla base di dati non aggiornati (fatto pacifico)”), così quantificando la superficie non coperta da vincoli ex lege in misura pari al 20-25%, mentre sarebbe pari al 4% dell’intera estensione dell’ambito. In particolare, secondo il TAR, il Ministero non avrebbe considerato le aree gravate da usi civici nè quelle vincolate ai sensi dell’art. 142 lett. h) del Codice, rappresentate dal patrimonio agro-silvo-pastorale delle Regole, e avrebbe calcolato erroneamente l’estensione del vincolo paesaggistico gravante su boschi e foreste ex art. 142, c. 1 lett. g) e che l’errore di calcolo secondo il TAR sarebbe derivato dall’avere il Ministero utilizzato il sistema SITAP di rilevamento dei vincoli che recherebbe dati meno aggiornati rispetto alle mappe regionali WEBGIS, le quali secondo la valutazione del Giudice di primo grado, avrebbero il vantaggio di essere “arricchite” da rilevamenti più recenti contenuti nella Carta forestale regionale, redatta dalla Regione Veneto quale ente istituzionalmente competente in materia di gestione di boschi e foreste presenti nel territorio
– che, come contestato in primo grado, entrambi i sistemi avrebbero riconosciuto di avere un valore “meramente informativo e di supporto cognitivo”, essendo tutti e due in linea di massima indicativi dell’esistente, per cui sarebbe apparente ed apodittica, nonché affetta da omessa istruttoria, la motivazione della sentenza impugnata, laddove arbitrariamente attribuisce un supposto maggiore valore “scientifico” al sistema WEBGIS piuttosto che a quello ministeriale
– che pertanto sarebbe affetta da assoluto difetto di istruttoria l’affermazione del TAR per cui “la porzione di territorio coperta da vincoli ex lege è pari a oltre il 96% della sua complessiva estensione”, essendo basata esclusivamente sulle affermazioni dei Comuni ricorrenti che, nei grafici prodotti in giudizio, avrebbero offerto una comparazione cartografica tra l’area soggetta a vincolo boschivo rilevata dal SITAP ministeriale e quella rilevata dal WEBGIS errata e fuorviante
– che sia la cartografia prodotta dal Comune di […]o che quella prodotta dal Comune sarebbero parziali e insufficienti e non potrebbero avere alcuna incidenza, in quanto (i) la prima riguarderebbe il solo territorio del Comune di […] e non il complessivo ambito di riferimento, sia perché si riferisce al solo vincolo boschivo ex art. 142,comma 1, lett. g) del Codice e non anche agli altri vincoli ex lege; inoltre, essa sarebbe insufficiente perché, nell’evidenziare l’estensione dell’area non soggetta a vincolo paesaggistico boschivo sulla base del sistema ministeriale SITAP, trascurerebbe che buona parte di detta area è invece correttamente evidenziata dallo stesso SITAP come soggetta al vincolo delle aree montane sopra i 1600 metri di altitudine (art. 142, comma 1, lett. d) del Codice), e quindi comunque soggetta ad un vincolo ex lege; (ii) la seconda, nell’evidenziare la pretesa disparità tra il vincolo delle aree boscate rilevato dal SITAP e quello rilevato dalla Regione […], avrebbe omesso di considerare che la maggior parte delle aree evidenziate in rosso nella comparazione cartografica consiste in boschi di recente formazione che hanno occupato i pascoli ed in aree periferiche di montagna situate al di sopra dei 1600 metri di altitudine e dunque comunque, anche in questo caso, vincolata ex lege (art. 142, comma 1, lettera d) del Codice)
– che vi sarebbe un errore di fondo nella sentenza laddove rileva mancata considerazione delle aree gravate da usi civici e di quelle vincolate ai sensi dell’art. 142 lett. h) del Codice, in quanto la sentenza non avrebbe percepito il fatto che le aree gravate da usi civici sarebbero esattamente quelle vincolate ai sensi della lett. h) dell’art. 142 del Codice, ricomprendendo quest’ultima disposizione proprio “le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici”
– che sarebbe errata la sentenza laddove rileva che il Decreto non avrebbe considerato il vincolo operante ex lege sulle terre gravate da usi civici, cioè sulle “vaste porzioni del territorio individuato, che costituiscono il patrimonio agro-silvo-pastorale delle Regole”, in quanto il patrimonio agro-silvo-pastorale delle Regole è costituito quasi interamente da boschi, pascoli e rocce, e pertanto coinciderebbe con quelle parti di territorio soggette al vincolo boschivo o al vincolo delle aree montane sopra i 1600 metri (art. 142, lett. g) e d) del Codice -complessivamente circa 5995 ettari), mentre sarebbero del tutto trascurabili e sostanzialmente irrilevanti quei fazzoletti di terreni che le Regole posseggono al di fuori delle aree boscate, sotto i 1600 metri o fuori dalle fasce di rispetto dei fiumi e dei laghi; su questa parte del territorio le Regole avrebbero perso ogni giurisdizione sin da quando, nel 1806, sono stati istituiti i nuovi Comuni, e non vi possiedono altro, se non qualche piccolissimo appezzamento e qualche frammentata proprietà però libera da usi civici
– che si tratterebbe proprio di quelle “porzioni di fondovalle e di versante, al di fuori delle aree boscate, sotto i 1600 metri e non ricadenti entro le fasce di rispetto di fiumi e di laghi, ove di fatto sono ubicati elementi qualificanti ed indispensabili ai fini della conservazione dei valori dell’insieme paesaggistico” che invece il Decreto avrebbe ritenuto doversi sottoporre a tutela.
Con il sesto motivo dell’appello principale […], si sostiene
]…- che sarebbe errata la sentenza per un travisato e/o omesso e/o insufficiente esame della motivazione del Decreto, laddove, sconfinando nel merito amministrativo, sarebbe giunta a sostenere erroneamente e a ritenere esistente e rilevante un preteso difetto di istruttoria sull’estensione quantitativa dei vincoli ex art. 142 del Codice, e avrebbe sostenuto, in via conseguenziale, che un tale preteso difetto di istruttoria “lungi dall’essere irrilevante” non consentirebbe al Giudice di accertare correttezza e proporzionalità della decisione amministrativa, in particolare di verificare, secondo il principio di proporzionalità, se “l’introduzione di una disciplina d’uso vincolistica d’uso dettagliata, puntuale e pervasiva quale quella contenuta nel decreto ministeriale impugnato, ecceda oppure no le necessità di tutela che si intendono perseguire” né di accertare “la reale sussistenza delle ragioni giustificatrici poste a base dell’imposizione del vincolo di area vasta e della correlata e dettagliata disciplina d’uso”
– che sarebbe perplessa ed irragionevole la motivazione della sentenza impugnata, laddove dalla pretesa “inadeguatezza dell’istruttoria ministeriale” il TAR farebbe derivare “elementi di perplessità, oscurità e contraddittorietà nell’apparato motivazionale del decreto”, in quanto il decreto è frutto di una scrupolosa istruttoria, basata su di un approfondito apparato conoscitivo, su una motivazione in punto ampia, puntuale ed articolata.
Con il settimo motivo dell’appello principale […] si sostiene
– che il Giudice avrebbe errato nel percepire e riportare le ragioni fondamentali del Decreto, ove sostiene che nel provvedimento il Ministero avrebbe paventato il “rischio di sfruttamento intensivo del territorio determinato dalla crescita turistica” senza che ciò trovi tuttavia conferma nell’apparato motivazionale del provvedimento
– che anche l’affermazione per cui “solo la disciplina d’uso introducibile con la dichiarazione è in grado di fronteggiare le criticità che rendono urgente l’intervento” non sarebbe riferibile al Ministero od al contenuto del Decreto
– che nel Decreto non vi sarebbe alcun riferimento all’”urgenza di provvedere” per come riportata in modo travisato dalla sentenza impugnata, che parrebbe non tenere nemmeno conto delle parole espresse in punto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 164/2021, per cui “non è affatto necessario come invece sostiene la ricorrente che vi siano ragioni di urgenza”
– che risulterebbe illogica, contraddittoria e perplessa, oltre che viziata per eccesso di potere giurisdizionale e sconfinamento nel merito amministrativo, l’ulteriore motivazione della sentenza impugnata, laddove ritiene che non sarebbe dato comprendere “…in assenza di fattori sopravvenuti, quale sia la necessità, logicità, ragionevolezza e proporzionalità di un intervento ministeriale così stringente e penetrante, adottato per giunta in via d’urgenza” e “se è vero che i vincoli paesaggistici ex lege sinora esistenti, ancorché grandemente sottostimati nella loro effettiva estensione, hanno consentito la straordinaria conservazione del territorio e delle sue bellezze”. Gli appellanti principali denotano in questa parte di motivazione della sentenza impugnata uno sconfinamento nel merito amministrativo, avendo il Giudicante espresso un giudizio soggettivo di pretesa non necessità di salvaguardia dell’ambito considerato “in assenza di fattori sopravvenuti”, sovrapponendo così in modo diretto la propria valutazione a quella espressa dal Ministero nell’esercizio della discrezionalità tecnica a lui riferibile; la sentenza si sarebbe anche posta in contrasto con la decisione della Corte Costituzionale nella parte in cui si precisa che l’”art. 138, c. 3 cod. beni culturali riflette, come si è visto, l’esercizio di una competenza costituzionale propria dello Stato, che quest’ultimo, secondo la logica incrementale delle tutele, può esercitare senza alcun condizionamento, legato a fattori temporali o contingenti, ovvero alla sfera di competenza regionale”
– che nella motivazione della sentenza si ravviserebbe un ulteriore travisamento della motivazione del Decreto, ove il Giudice afferma che il Ministero avrebbe addirittura preteso di “conciliare una stringente disciplina vincolistica con il dichiarato obiettivo di evitare lo spopolamento della montagna, contribuire alla creazione di posti di lavoro e creare opportunità di sviluppo turistico a partire della tutela paesaggistica dell’area interessata”, in quanto nella motivazione del Decreto non si ricaverebbe in alcun punto che, con l’apposizione del presente vincolo paesaggistico, il Ministero si sarebbe posto il “dichiarato obiettivo” di evitare lo spopolamento della montagna e contribuire a creare posti di lavoro. Il riferimento ai “fenomeni di spopolamento” sarebbe indicato nella parte motivazionale del provvedimento ministeriale tra le “problematiche di tutela” già specificate nell’Atlante Ricognitivo degli Ambiti di Paesaggio per l’Ambito 01
– che l’osservazione contenuta nella sentenza per cui non sarebbero “sufficientemente specificati né comprovati i significativi fenomeni di alterazione in atto della componente rurale” sarebbe smentita da quanto contenuto nello stesso Atlante Ricognitivo, al quale il Ministero si richiama, laddove si rappresenta come il valore della “ricca eredità edilizia rurale” strettamente connesso alla cultura materiale dei luoghi è “oggi messa in pericolo dalle opposte spinte all’abbandono e alla trasformazione indiscriminata”
– che sarebbe debole ed infondata l’ulteriore prognosi espressa dal TAR sui pretesi futuri possibili effetti derivanti dal Decreto, per cui la disomogeneità tra il regime di tutela dell’ambito territoriale considerato e quello operante negli ambiti alpini circostanti risulterebbe addirittura accentuata dal Decreto “ove si consideri che i decreti di vincolo dei territori di […] essendo tutti risalenti agli anni ’50 del secolo scorso non recano alcuna disciplina d’uso”, in quanto, in tale riferimento, sarebbe coerente la motivazione del Decreto secondo cui “tale proposta va inquadrata in un’azione più ampia (omissis) in considerazione del fatto che l’ambito identificato è in continuità geomorfologica, ambientale e paesaggistica con quelli della fascia alpina di […], già tutelati per il loro notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136”. Ciò anche perché, ai sensi dell’art. 141bis del Codice, introdotto con d.lgs. n. 63/2008, tutte le dichiarazioni di notevole interesse pubblico, adottate dal Ministero e dalle Regioni, devono essere integrate ai sensi dell’art. 140, comma 2 del Codice con la specifica disciplina d’uso
– che sarebbe perplessa e irragionevole, per quanto esposto al motivo precedente sub 6) e contraddetta dai rilievi delle associazioni appellanti, la conclusione del TAR secondo cui dalla pretesa “inadeguatezza dell’istruttoria ministeriale” sarebbero derivati “elementi di perplessità, oscurità e contraddittorietà nell’apparato motivazionale del decreto.
3.2. Nell’appello incidentale del Ministero della cultura si rileva:
3.2.1. Sotto un primo profilo
– che la sentenza sarebbe frutto di una lettura sommaria degli atti di causa e il TAR, pur dando atto che il Ministero dispone di un potere discrezionale amplissimo nell’emanazione del decreto impugnato, si sarebbe contraddetto perché in realtà censura con un approccio analitico, capillare e quasi ‘contabile‘ le modalità di esercizio di tale potere; il TAR sconfinerebbe in tal modo, palesemente, nel merito della discrezionalità tecnica attribuita al Ministero ritenendo, erroneamente, di ricondurre la decisione nei limiti del sindacato di legittimità
– che il TAR, esaminando i singoli elementi del decreto presi in considerazione, sarebbe sconfinato nell’area riservata alla Pubblica Amministrazione, sostituendosi al Ministero nelle scelte di merito tecnico e nell’esercizio del suo potere di valutazione tecnico-discrezionale.
3.2.2. Sotto un secondo profilo,
– che per quanto concerne la censurata correttezza, da parte del TAR, del calcolo fatta dal ministero dell’estensione dei vincoli ex lege, sarebbe erronea l’interpretazione del decreto di vincolo operata dal TAR, ed in particolare, quanto al calcolo dell’estensione dei vincoli ex lege, il Ministero rileva che si tratterebbe di una circostanza del tutto ininfluente e non decisiva in quanto la motivazione del decreto non si fonderebbe sul dato quantitativo dell’estensione dei vincoli ex lege
– che il Ministero nel decreto avrebbe premesso che nell’area per cui è causa i vincoli ex lege non comprendono “quelle porzioni di fondovalle e di versante, al di fuori delle aree boscate sottostanti i 1600 metri di altitudine e non ricadenti entro le fasce di rispetto dei fiumi e dei laghi, ove di fatto sono ubicati elementi qualificanti ai fini della tutela e della conservazione dei valori dell’insieme paesaggistico in parola ossia i nuclei storici di maggiore rilevanza e ampi brani della struttura agraria storica, rappresentata da manufatti rurali prati e pascoli”. E avrebbe aggiunto che “Le condizioni di particolarità e originalità orografica e geografica che contraddistinguono tale ambito non dipendono esclusivamente dalla presenza di singoli episodi di pregio estetico percettivo, quanto da una serie di sistemi di espressione minuta – elementi morfologici, naturalistici, ambientali, antropici e culturali,- capillarmente diffusi e particolarmente ben conservati che tra loro sommati conferiscono all’ambito di riferimento un aspetto unitario e uno spiccato carattere di identità di notevole interesse pubblico”; il TAR, dando rilievo determinante alla presunta erroneità materiale della ricognizione dell’estensione dei vincoli ex lege, non avrebbe colto che in tali punti del decreto il Ministero avrebbe posto l’accento sul fatto che proprio nelle aree non tutelate per legge vi sarebbero elementi importanti per la tutela e la conservazione del paesaggio, che sarebbero organici rispetto a quelli coperti da vincolo ex lege, e per tali ragioni avrebbe apposto il vincolo ex art. 136 Codice con le relative prescrizioni d’uso sull’intero contesto, tutelato e non tutelato ex lege
che il dato significativo sarebbe nella organicità paesaggistica, morfologica, antropica, storica che lega le zone vincolate ex lege e quelle contermini che non lo sono, impone nella insindacabile, e comunque palesemente logica, valutazione ministeriale, l’assoggettamento di tutto il contesto, e quindi anche delle parti già soggette a vincolo ex lege, alle prescrizioni d’uso, per cui del tutto irrilevante la misura della situazione vincolistica pregressa, mero elemento di fatto di cui si fa menzione soltanto nelle controdeduzioni del Ministero (all. E, par. 1.2. allegato al decreto) in risposta agli Enti locali
– che il TAR, nell’attribuire rilevanza determinante al dato dell’estensione quantitativa del vincolo ex lege già esistente nell’area avrebbe travisato la motivazione di fondo del decreto, che si radica sul fatto che i vincoli ex lege, quale che ne sia l’estensione, non avrebbero recato alcuna disciplina d’uso
– che, come sarebbe stato ampiamente evidenziato nella motivazione del decreto, la tutela derivante dall’applicazione dell’art. 142 risulta insufficiente sia perché non ancora “vestita” con prescrizioni d’uso, sia perché non comprendente le porzioni di versante sottostanti i 1600 metri di altitudine, qualora ricadenti al di fuori delle aree boscate, e non ricadenti entro le fasce di rispetto dei fiumi e dei laghi. Proprio in queste aree, escluse dalla tutela ex lege, sarebbero ubicati, come analiticamente illustra il decreto impugnato sia nella sua motivazione diretta che negli allegati (in particolare, A ed E), elementi qualificanti ai fini della conservazione dei valori dell’insieme paesaggistico in parola, ovvero i nuclei storici di maggior rilevanza e ampi brani della struttura agraria storica, rappresentata dall’insieme di manufatti rurali, prati stabili e pascoli
– che il decreto, quindi, rappresenterebbe un approfondimento dovuto rispetto alle generiche previsioni di tutela ex lege, in coerenza con quanto espressamente previsto all’art. 143, c.1 del Codice in merito agli obiettivi, agli indirizzi, alle norme d’uso ed ai criteri di salvaguardia dei valori specifici e di regolamentazione delle dinamiche transformative
– che il TAR, nonostante avesse trascritto la chiara affermazione della sentenza della Corte Costituzionale n164/2021, secondo cui “è del tutto connaturato alla finalità di conservazione del paesaggio che la dichiarazione di notevole interesse pubblico non si limiti a rilevare il valore paesaggistico di un bene, ma si accompagni a prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, fino alla possibilità di vietarlo del tutto, come questa Corte ha recentemente sottolineato (sentenze n. 246 del 2018 e n. 172 del 2018)
– che apparirebbe palese la contraddittorietà della sentenza impugnata che fonda la critica all’istruttoria ministeriale sulla considerazione che questa avrebbe stimato l’estensione dei vincoli ex lege nel 75/80% del territorio considerato, laddove dai dati regionali sarebbe emersa una estensione pari al 96% di tale territorio, ritenenendo che il Ministero avrebbe, quindi, “sottostimato” i vincoli ex lege; proprio questa circostanza, a volerla per un momento ammettere, confermerebbe l’irrilevanza dell’“errore”. Un errore di stima dei vincoli ex lege avrebbe, in astratto, potuto avere una incidenza sulla coerenza del provvedimento con la situazione sul terreno solo se il Ministero avesse sovrastimato l’estensione dei vincoli ex lege e, quindi, la necessità di sottoporre tutto questo territorio a prescrizioni d’uso, anche in parti di cui, in realtà, non risultava il pregio perché non erano vincolate ex lege. Se, invece, il Ministero ha sottostimato l’estensione dei vincoli ex lege, è evidente che non vi è alcuna possibilità che tale incoerenza si sia verificata. E’, al contrario, certo che tutte le zone di pregio riconosciuto ex lege sono state assoggettate alle prescrizioni d’uso, e che a queste si sono aggiunte altre zone del pari di pregio, o perché anch’esse già vincolate ex lege (anche se, in tesi, il Ministero non se ne fosse “accorto”), o perché assoggettate ex novo a vincolo puntuale per la loro pregevolezza intrinseca, anche se non tale da farle ricadere nel vincolo ex lege
che in assenza ancora del piano paesaggistico regionale, la disciplina d’uso del decreto andrebbe a regolare e rendere maggiormente coerente l’attività autorizzatoria del Ministero, riducendone la discrezionalità tecnica nella valutazione dei singoli progetti.
3.2.3 Sotto un terzo profilo,
– che con riferimento alla ricognizione dei vincoli come operata dal Ministero e alla ricognizione dei medesimi operata dal Sistema regionale il punto non sarebbe stato l’esatta incidenza percentuale dei vincoli ex lege, bensì la loro inidoneità a coprire tutte le aree di pregio e a consentire l’introduzione di efficaci prescrizioni d’uso
– che il Ministero avrebbe svolto un’istruttoria particolarmente lunga, ampia e complessa, nel corso della quale ha messo a sistema le numerose fonti bibliografiche e le esperienze pregresse in materia di paesaggio, sia a livello regionale che nazionale. L’apparato conoscitivo, sulla base del quale furono redatte la Relazione e la Disciplina d’uso, contenuta nell’Allegato A della proposta, sarebbe il risultato anche di diversi e dettagliati sopralluoghi, svolti anche mediante sorvoli in elicottero, finalizzati ad una corretta percezione dell’insieme paesaggistico, durante i quali è stato possibile prendere direttamente atto dei valori e delle peculiarità, che contraddistinguono l’ambito paesaggistico in oggetto; detti sopralluoghi erano finalizzati alla verifica della qualità architettonica e urbanistica dell’edilizia esistente, sia nei centri abitati che nelle aree esterne, nonché all’analisi delle relazioni esistenti tra le varie componenti del paesaggio e dei relativi caratteri. Sono risultate decisive anche le visite ad alcuni dei siti museali presenti sul territorio (in particolare: Museo Algudnei, Dosoledo; Museo Angiul Sai, Costalta) che hanno permesso, unitamente alla cartografia storica, di delineare il processo di sviluppo e di trasformazione dell’area interessata
– che in merito alla metodologia impiegata per l’Allegato A si sarebbe fatto riferimento ad un documento fondamentale di provenienza regionale, cioè alla Scheda 01 “Dolomiti d’Ampezzo del Cadore e del Comelico”, contenuta nell’Atlante ricognitivo degli ambiti di paesaggio del P.T.R.C. del 2009, per quanto riguarda una prima identificazione generale dell’articolazione del paesaggio, per le dinamiche di trasformazione in atto e per gli obiettivi e gli indirizzi di qualità paesaggistica, che si pongono in coerenza con forme sostenibili di sviluppo turistico
– che il Ministero avrebbe preliminarmente e compiutamente analizzato i molteplici strumenti pianificatori di carattere non paesaggistico (urbanistico, sismico, idrogeologico), già gravanti sul territorio, al fine di introdurre una disciplina d’uso che fosse il più possibile coerente con le norme già operanti sull’ambito territoriale ora identificato anche ai fini paesaggistici
– che il Tar avrebbe basato la sua conclusione circa l’erroneità della ricognizione dei vincoli ex lege soltanto sull’esame delle planimetrie prodotte dal Comune di Auronzo come doc. 16 e dal Comune di Comelico Superiore come doc. 20, ma esaminado questi documenti si potrebbe rilevare subito che si tratta di semplici carte topografiche nelle quali sono evidenziate in colori diversi i vincoli ex lege secondo il SITAP e quelli secondo il WEBGIS, per cui da tali documenti non si ricaverebbe alcun elemento per individuare quale delle due rappresentazioni dell’estensione dei vincoli ex lege sarebbe la più rispondente alla realtà. Al più, si ricaverbbe che la differenza per difetto dell’estensione stimata dal SITAP rispetto al WEBGIS sarebbe minima nel caso dei Comuni del Comelico (doc. 20) e maggiore nel caso del Comune di Auronzo (doc. 16), il che sarebbe un ulteriore elemento per censurare la conclusione del primo giudice che dall’esistenza di tali differenze per difetto, molto articolate territorio per territorio, avrebbe invece indiscriminatamente tratto la conclusione che tutta l’istruttoria fosse insufficiente
– he per le stesse ragioni la sentenza sarebbe erronea nel capo in cui, sindacando nel merito la valutazione operata dal Ministero, fa riferimento alla presunta mancata inclusione nella stima dei vincoli ex lege dei territori gravati da usi civici, delle aree vincolate ai sensi dell’art. 142 lett h) del codice e al calcolo dell’estensione del vincolo paesaggistico su foreste e boschi.
3.2.4. Sotto un quarto profilo,
– che il principio di proporzionalità invocato dal TAR, avrebbe, quando è applicabile, valenza autonoma; nel senso che un provvedimento anche ben istruito può essere non proporzionato, e viceversa un provvedimento mal istruito può essere, però, proporzionato; pertanto, tra completezza dell’istruttoria e proporzionalità non correrebbe alcuna relazione logica o giuridica qualificata, sicché sarebbe errato il nesso che il Tar istituisce tra la presunta incompletezza dell’istruttoria e la proporzionalità del provvedimento (che il Tar, infatti, né afferma né nega, lasciando il punto in sospeso)
– che il principio di proporzionalità non sarebbe, comunque, applicabile alla presente fattispecie perché nei rapporti, come quello per cui è causa, che non presentino una immediata rilevanza per l’ordinamento europeo, e che siano limitati al diritto interno, il principio non è codificato e, dunque, alla stregua del superiore principio di legalità, non può considerarsi applicabile
– che il principio di proporzionalità, che implica sempre una ponderazione di interessi, perché tende a verificare se il provvedimento abbia determinato il minore sacrificio agli interessi contrastanti con l’interesse pubblico che lo giustifica, sarebbe pertinente ai provvedimenti di natura puramente discrezionale, e serveirebbe a dettare un criterio di verifica della ponderazione complessa di interessi pubblici, collettivi e privati in cui la discrezionalità consiste
– che il principio di proporzionalità non sarebbe pertinente, invece, ai provvedimenti vincolati, nei quali la ponderazione è già interamente operata dalla legge; né ai provvedimenti, come quello qui in esame, basati su semplice discrezionalità tecnic, in quanto in questi, il compito dell’amministrazione sta nell’accertare un dato di fatto (il pregio paesaggistico) attraverso regole tecniche; una volta accertato positivamente il dato, il provvedimento (il vincolo) è imposto dalla legge, il che toglie spazio a ponderazioni discrezionali di interessi contrastanti
– che proprio nel presente caso la preminenza costituzionale dell’interesse alla tutela del paesaggio rispetto a qualsiasi altro interesse privato o pubblico concernente l’uso del territorio sarebbe stata ribadita dalla Corte costituzionale nella sentenza 164/2021
– che andrebbero riformate le proposizioni alle quali giunge il TAR entrando nel merito del regime di tutela scelto con l’apposizione del decreto nell’area geografica interessata, concludendo che si determinerebbe una disciplina di tutela diversa ed incoerente in aree delle Dolomiti tra loro in continuità geomorfologica, ambientale e paesaggistica, per le quali sussiste solo il vincolo senza disciplina d’uso e che l’apposizione della disciplina vincolistica, accompagnata da una disciplina d’uso che non lascerebbe alcun margine autorizzativo, finirebbe di fatto per comprimere le possibilità di sviluppo economico e sociale delle aree interessate “con una sorta di eterogenesi dei fini un lento ma inesorabile declino economico-sociale delle aree alpine considerate”.
3.2.5. Sotto un quinto profilo,
– che il Giudice di prime cure, laddove osserva che “se è vero che i vincoli paesaggistici ex lege sinora esistenti, ancorchè grandemente sottostimati nella loro effettiva estensione, hanno consentito la “straordinaria conservazione” del territorio e delle sue bellezze, come riconosciuto dallo stesso Ministero, non è dato comprendere – in assenza di fattori sopravvenuti – quale sia la necessità, logicità, ragionevolezza e proporzionalità di un intervento ministeriale così stringente e penetrante, adottato per giunta in via di urgenza”, sarebbe inammissibilmente entrato nel merito, in quanto spetterebbe esclusivamente alla discrezionalità tecnica del Ministero stabilire (purchè con adeguate istruttoria e motivazione) se alla conservazione del pregio dell’area in questione sia sufficiente un mero vincolo ex lege, o invece un vincolo corredato da prescrizioni d’uso
– che le prescrizioni d’uso a corredo dei vincoli rendono l’azione amministrativa in sede di autorizzazioni paesaggistiche più prevedibile e coerente, prevenendo le inevitabili incertezze del procedere “caso per caso”
– che la sentenza avrebbe travisato la motivazione del provvedimento allorché si afferma che il vincolo paesaggistico perseguirebbe come finalità quella di far cessare lo spopolamento delle aree montane, e per questo sarebbe contraddittorio, perché i vincoli paesaggistici, secondo il Tar, favoriscono sempre lo spopolamento; secondo il Ministero, emergerebbe dagli atti istruttori del provvedimento che lo spopolamento andava visto, del tutto correttamente e in coerenza con la situazione di fatto attestata dalla stessa Regione, non come un fenomeno da prevenire attraverso il decreto di vincolo, che del resto – considerata la funzione a cui deve assolvere – non avrebbe alcuna possibilità né tecnica né giuridica di intervenire sui processi insediativi e demografici, bensì come uno dei principali fattori di rischio a cui il pregio paesaggistico del comprensorio è esposto, perché tale abbandono comporterebbe l’avanzata del bosco a scapito dei pascoli e la progressiva distruzione dell’edilizia rurale caratterizzante da secoli quelle zone. Tale fattore di rischio, nella logica del decreto impugnato, potrebbe essere in qualche modo contenuto apponendo un vincolo di conservazione corredato da prescrizioni d’uso delle aree interessate da tali rischi di deterioramento
– che tale motivazione del provvedimento sarebbe perfettamente logica e aderente alla realtà costatata (in primis, dalla Regione), per cui, se la sentenza ne avesse tenuto conto, avrebbe certamente evitato l’errata censura di contraddittorietà per il presunto contrasto tra l’apposizione dei vincoli conservativi e la (inesistente) finalità di prevenire l’abbandono delle zone montane
– che la sentenza sarebbe errata laddove sostiene che l’apposizione di vincoli paesaggistici deve sempre essere contemperata con un non meglio specificato “best interest” delle popolazioni insediate nell’area vincolata, in quanto – se i valori paesaggistici realmente sussistono (e ciò non sarebbe controverso in causa) – l’apposizione del vincolo sarebbe prescritta dalla legge, senza che debbano previamente operarsi ponderazioni con altri interessi ipoteticamente confliggenti
– che tale vincolo andrebbe necessariamente accompagnato dalle prescrizioni d’uso, come prevede l’art.140 co.2, il quale prescrive all’amministrazione di dettare in sede di vincolo “la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato“
– che l’esperienza dimostrerebbe, contrariamente alla convinzione del TAR, che molte aree di pregio, salvate dal degrado grazie ai vincoli, proprio per questo acquisterebbero una nuova e ulteriore attrattiva sia per l’insediamento stabile, sia per la frequentazione temporanea con finalità culturale o turistica; a questo fine sarebbero necessarie concrete prescrizioni d’uso, atte a governare la gestione del territorio tutelato, onde evitare di cadere nell’alternativa, parimenti pregiudizievole, tra distruzione per abbandono e distruzione per consumo turistico eccessivo e incontrollato, come sottolineata dalla Regione nella variante al PTRC adottato con DGR 372/2009, variante parziale adottata con DGR 427/2013 (pagg. 8-9 del doc. 15 prodotto dal Ministero in primo grado)
– che, per quanto concerne l’adeguatezza delle prescrizioni d’uso, sarebbe apodittica ed errata l’affermazione del TAR secondo cui tali prescrizioni “non lascia(no) in concreto alcun margine autorizzativo (o quasi) per la creazione di nuove strutture turistiche, sciistiche o, più in generale, ricettive (come i parcheggi o gli spazi attrezzati per il camping),”in quanto le prescrizioni contenute nell’allegato A del decreto ne dimostrerebbero il contrario, in quanto per gli insediamenti urbani consolidati sarebbe contenuta la semplice previsione che qualsiasi intervento edilizio, sia sull’esistente che nuovo (dunque, non vietato) rispetti la morfologia tipica del tessuto edilizio della zona, per i manufatti rurali sarebbero prescritte semplici regole di conformità morfologica degli interventi con una chiara apertura a nuove costruzioni a servizio dell’agriturismo
– che anche in ordine allo sci l’allegato A del Decreto a pag 24 – 25, laddove prevede che “Nei comparti sciistici esistenti saranno consentiti gli interventi di manutenzione, razionalizzazione, ammodernamento e messa in sicurezza delle piste già in essere per la pratica dello sci alpino e dei relativi impianti, a condizione che siano compatibili con la morfologia dei luoghi, la salvaguardia dei coni visuali e che comportino una mitigazione degli impatti paesaggistici pregressi. Saranno consentite modeste integrazioni impiantistiche, che adattino eventuali percorsi già esistenti, purché assicurino misure compensative e/o di mitigazione, quali la rinaturalizzazione con specie autoctone di ambiti precedentemente alterati. Potranno, inoltre, essere consentite limitate strutture accessorie agli impianti purché compatibili con la morfologia dei luoghi, la salvaguardia dei coni visuali e realizzate con materiali coerenti con il contesto di riferimento. La realizzazione di nuovi tracciati di piste da sci, impianti di risalita e stazioni di monte e di valle sarà consentita qualora non comprometta aree ad elevata integrità naturalistica, ambientale ed ecosistemica, ossia aree che presentino uno o più aspetti tra quelli sotto indicati:
– visibilità territoriale particolarmente ampia e la cui valenza connoti in forma peculiare l’insieme paesaggistico di cui fanno parte;
– panoramicità verso il contesto paesaggistico di riferimento;
– elementi particolarmente significativi inerenti la storia e la geomorfologia del comprensorio di riferimento.
Tutti gli interventi sopra menzionati dovranno comunque essere realizzati con minime movimentazioni di terra e con il minor numero di abbattimenti di elementi arborei. I bordi delle piste non dovranno avere scarpate visibili di tipo stradale ma essere assimilati all’andamento naturale del terreno. Eventuali reti di contenimento dovranno essere rimosse a fine stagione mentre gli impianti per la produzione della neve programmata dovranno essere costituiti da elementi provvisori, da rimuovere durante la stagione di non utilizzo; i pozzetti dovranno realizzati a filo terreno”
non recherebbe un divieto di fatto di nuovi impianti sciistici, come paventato dal Tar, ma avrebbe previsto, al contrario, una regola fondamentale tesa a favorire la riqualificazione paesaggistica degli impianti e dei tracciati esistenti, spesso risalenti a molto tempo fa e per questo realizzati secondo criteri meno sensibili ai valori della tutela
– che il decreto non costituirebbe opposizione pregiudiziale all’apertura di nuovi impianti e tracciati, purchè siano rispettate le caratteristiche morfologiche indicate dalle prescrizioni, e sia evitato qualsiasi impatto che “comprometta”, cioè alteri in modo grave (dunque, ammettendosi alterazioni di grado non grave), la consistenza e la percezione di aree ad elevata integrità. Insomma, si tende a favorire il recupero dell’esistente anziché il consumo del territorio restante ancora integro, ma anche questa possibilità è ammessa, fissandone le condizioni generali
– che, per quanto concerne i nuovi impianti sciistici, l“Atlante ricognitivo degli ambiti di paesaggio” del citato P.T.R.C. del 2009, per l’Ambito 01, nella sezione 4, Obiettivi ed indirizzi di qualità paesaggistica, avrebbe dichiarato esplicitamente in merito alla ‘Qualità ambientale e paesaggistica delle stazioni turistiche invernali’, la necessità di riordinare il sistema della stazioni turistiche invernali in una prospettiva di lungo periodo, tenendo conto dei cambiamenti climatici
che, quindi, dal decreto emergerebbe che non è un testo che mira a “fermare il tempo” nel Comelico e nell’Ansiei, bensì a governare l’uso di un territorio pregevole e ancora quasi intatto, tenendo conto di tutte le variabili che ogni processo di trasformazione può mettere in movimento.
3.2.6. Sotto il sesto ed ultimo profilo,
– che sarebbero palesi le violazioni di legge in cui la sentenza incorre quando afferma che il provvedimento, in quanto istituisce prescrizioni d’uso del territorio vincolato, crea una inammissibile disomogeneità rispetto ai territori confinanti, che sono oggetto di vincoli privi di prescrizioni d’uso, in quanto l’art. 140 c. 2 d.lgs. 42/2004, avrebbe innovativamente prescritto, senza eccezioni, che “2. La dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”
– che sarebbe violato l’art. 146 d. lgs. 42/2004, allorché la sentenza afferma che le aree confinanti con quelle qui in causa, non esistendo prescrizioni d’uso, sarebbero soggette “al solo obbligo di autorizzazione paesaggistica ex art. 146”
– che, contrariamente alla convinzione del TAR, la mancanza di prescrizioni d’uso non significherebbe che tali prescrizioni non debbano essere dettate, onde rendere l’intervento proposto conforme alle ragioni del vincolo, ma che le prescrizioni, come emerge chiaramente dal complesso procedimento delineato nei commi da 5 a 10 dell’art. 146, saranno dettate appunto in sede di rilascio dell’autorizzazione, e quindi la discrezionalità tecnica dell’amministrazione sarebbe più ampia, e meno prevedibile e controllabile dal privato, proprio perché non preventivamente “autolimitata” dalle prescrizioni d’uso
– che l’introduzione graduale di prescrizioni d’uso preventive accrescerebbe, quindi, la garanzia degli interessati insediati nei territori vincolati
– che ogni provvedimento di vincolo vale in relazione al territorio a cui si riferisce, senza che vi possano rientrare considerazioni relative a territori diversi, oggetto o meno a loro volta di provvedimenti di vincolo
– che tra i molteplici vizi infondatamente denunciati dai ricorrenti in primo grado non vi sarebbe quello di avere limitato la scelta dell’area tutelata con prescrizioni al Comelico e all’Ansiei, escludendone invece l’Ampezzo, Misurina, la Val Visdende e Sappada (quest’ultima, tra l’altro, ormai ricadente sotto la competenza della Regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia), per cui la considerazione del Tar è anche processualmente irrilevante
– che sarebbero infondate le considerazioni del Tar riguardo alla dimostrazione, che mancherebbe, di fenomeni di sfruttamento intensivo del territorio, o di alterazione della componente rurale, o dell’incidenza della “tempesta Vaia”, in quanto le trascrizioni dell’“Atlante ricognitivo” allegato alla variante al PTRC analizzate nel quinto motivo, mostrerebbero che i fenomeni di sfruttamento intensivo e di abbandono delle zone rurali sono comprovati e che con riferimento alla tempesta Vaia sarebbe evidente che un evento come quello, pressoché unico negli annali della meteorologia, non può che avere accresciuto i rischi di degrado dei versanti boschivi dei territori in questione, ulteriormente giustificando ogni intervento di tutela.
- In via preliminare, stante (per quanto si dirà) la fondatezza dell’appello principale e dell’appello incidentale e la conseguente infondatezza dei ricorsi di primo grado, il Collegio si ritiene esonerato dall’esame del primo motivo dell’appello principale concernente l’eccezione di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato in primo grado dalla Regione Veneto.
4.1. Passando all’esame congiunto dell’appello principale e dell’appello incidentale, i cui motivi si incentrano in via principale nel censurare la sentenza impugnata per aver sconfinato nel merito amministrativo e per travisamento della motivazione del provvedimento, il Collegio ritiene fondati l’appello principale e l’appello incidentale sulla base delle seguenti considerazioni.
Bisogna premettere che in relazione all’oggetto principale che domina la presente causa, ossia l’imposizione di una dichiarazione di interesse pubblico, “il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è, in rapporto al principio fondamentale dell’ art.9 Cost., un giudizio di ordine tecnico e come tale si sottrae al sindacato giurisdizionale, salvo sia basato su un percorso argomentativo travisante o incongruo rispetto alle tecnica stessa, o comunque risulti oggettivamente inattendibile” (v., Cons. Stato, Sez. VI, n. 999/2015).
È, quindi, da ritenere legittima una dichiarazione di interesse pubblico impositiva di un vincolo su un’area anche molto vasta quando – alla luce della valutazione tecnica dell’organo competente – l’interesse paesaggistico protetto sia unitario sebbene i singoli beni, individualmente considerati, presentino caratteristiche diverse.
La Corte costituzionale ha affermato nella sentenza n. 164/2021, pronunciandosi proprio sul decreto qui impugnato al tempo in sede di conflitto di attribuzione in quella sede sollevato dalla Regione Veneto, che “è del tutto connaturato alla finalità di conservazione del paesaggio che la dichiarazione di notevole interesse pubblico non si limiti a rilevare il valore paesaggistico di un bene, ma si accompagni a prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, fino alla possibilità di vietarlo del tutto, come questa Corte ha recentemente sottolineato (sentenze n. 246 del 2018 e n. 172 del 2018).Con ciò, in linea di principio, la dichiarazione non si sovrappone alla disciplina urbanistica ed edilizia di competenza regionale e locale, ma piuttosto specifica se e in quale misura quest’ultima possa esercitarsi, in forma compatibile con la vocazione alla conservazione del pregio paesaggistico propria dell’immobile o dell’area vincolata. La circostanza che larga parte del territorio interessato dalla dichiarazione sia già tutelata per legge ai sensi dell’art. 142 cod. beni culturali non toglie, perciò, che la dichiarazione di notevole interesse pubblico possa sopraggiungere, proprio al fine di arricchire con maggiori dettagli lo specifico grado di protezione di cui i beni inseriti nell’area debbono godere.”
4.2. Passando all’esame più nel dettaglio dei motivi di appello sia principale che incidentale, il Collegio condivide la tesi degli appellanti che la motivazione del decreto non si fonda sul dato quantitativo dell’estensione dei vincoli ex lege (secondo, terzo e quinto motive di appello, nonché secondo profilo di censura dell’appello incidentale).
Emerge infatti dagli atti di causa […] che contrariamente all’assunto del Giudice di prime cure, laddove ha censurato la correttezza del calcolo fatto dal Ministero sull’estensione dei vincoli ex lege, l’amministrazione non ha dato rilievo determinante all’estensione di tali vincoli, bensì all’introduzione di una disciplina d’uso su tutta l’area, per garantire la tutela paesaggistica non solo nella formale individuazione del bene da tutelare, ma anche nella gestione dei conseguenti interventi, al fine di assicurare, ai sensi dell’art. 131 c.1 del Codice, la conservazione, il recupero e la valorizzazione degli aspetti e caratteri del paesaggio.
Infatti, gli esistenti vincoli ex lege, che non avevano compreso le aree sottostanti i 1600 metri, se non boscate o non comprese nelle fasce di rispetto di fiumi e laghi, non recavano alcuna disciplina d’uso, per cui erano giudicati comunque insufficienti.
4.3. L’atto in contestazione, contrariamente alla valutazione del Giudice di primo grado, risulta accompagnato da una adeguata e congrua istruttoria da cui trarre la sussistenza dei presupposti della fondatezza e meritevolezza della dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area in questione.
Emerge dall’Allegato A e dall’Allegato E (controdeduzioni del Ministero) in merito alle fonti consultate e alla metodologia impiegata che […] per cui si ritiene che il provvedimento impugnato è il frutto di una adeguata valutazione di elementi di fatto relativi allo stato attuale del contesto, di qui la mancanza del profilo sintomatico di eccesso di potere indicato dal Giudice di prime cure.
Il Collegio ricorda in proposito la giurisprudenza di questo Consiglio che ha affermato in relazione alla natura e modalità di esercizio del potere relativo alla dichiarazione di notevole interesse che:“ (..) … il potere ministeriale di dichiarare un bene paesaggistico di notevole interesse pubblico è previsto dall’art. 138, comma 3, in riferimento agli “immobili e le aree di cui all’art. 136”; l’esercizio della potestà di determinazione del vincolo attribuita al Ministero dall ‘art. 138, comma 3, in quanto autonoma ai sensi del quadro normativo sopra delineato (e attribuita alla autorità statale in doverosa attuazione dell’art. 9 della Costituzione)”( Cons. Stato, sez., VI, 118/2013).
Ritiene la Sezione di non doversi discostare da tali conclusioni trattandosi, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, di potere direttamente attribuito all’organo ministeriale che non ha né natura complementare né tanto meno supplementare. Conclusivamente l’organo ministeriale ha esercitato, come condivisibilmente affermato dalle parti appellanti, un potere di sua competenza in maniera pertinente.
4.3.1. Accertata l’esistenza del potere si può ulteriormente proseguire quanto all’esame delle censure concernenti le modalità del suo esercizio.
Giova ricordare che la dichiarazione in discussione si inscrive nell’ambito di un giudizio su cui il sindacato giurisdizionale è limitato, nel senso che non può spingersi oltre la ragionevolezza e l’attendibilità per sindacarne anche l’opinabilità e con essa il merito degli apprezzamenti compiuti.
La sentenza del Tar sembra invece muovere da un inquadramento del potere esercitato e dell’atto adottato non del tutto corretto, laddove rimprovera al Ministero il cattivo esercizio di una discrezionalità amministrativa “pura”, di una ponderazione comparativa dei contrapposti interessi, in danno del privato, che qui non è data.
Si tratta in questo caso di un giudizio adeguatamente motivato, fondato sull’ampia “discrezionalità tecnica”, sull’ampio margine di apprezzamento, di cui gode l’amministrazione nel definire le aree ed il complesso dei beni soggetti a vincolo.
Il difetto di istruttoria, sul quale fa leva l’accoglimento del Tar, per quanto si è già evidenziato sopra, non è suffragato da elementi apprezzabili e convincenti, una volta (re)inquadrato correttamente il potere esercitato e dato conto della documentazione in atti. Come anche non pertinente è il richiamo al principio di proporzionalità.
Per le ragioni suesposte ritiene la Sezione che i motivi dei ricorsi di primo grado accolti dal TAR siano privi di fondamento e che l’appello sia principale che quello incidentale (in particolare i motivi secondo, terzo e quarto dell’appello principale, i motivi dedotti ai paragrafi 3, 4, 5 e 6 dell’appello incidentale), nel confutarli in uno con la sentenza appellata, siano fondati.
- L’accoglimento dei motivi di appello obbliga all’esame dei motivi di ricorso di primo grado non esaminati dal primo Giudice e riproposti in seconde cure.
5.1. Il Comune di […] ha riproposto il motivo di primo grado con il quale in relazione al decreto impugnato asseriva la violazione e falsa applicazione degli artt. 135, 138, 139, 140, 141, 143 e 144 d.lgs. 42/2004, la violazione dell’art. 117 Cost. nonché del principio di leale collaborazione nonché l’eccesso di potere per perplessità e sviamento (primo motivo del ricorso originario), […]
5.1.1 Il Collegio ritiene che la riproposizione in questa sede di appello, nelle forme dell’art. 101, comma 2, del primo motivo del ricorso originario del Comune di […] è inammissibile, in quanto il motivo è stato in realtà rigettato dal TAR laddove ha statuito che “vanno disattese tutte le censure con cui le parti ricorrenti lamentano, in varia guisa, la violazione o falsa applicazione degli artt. 135, 138, 139, 140, 141, 143 e 144 D.lgs., l’assenza del requisito dell’urgenza, la violazione delle competenze legislative ed amministrative attribuite alla Regione e agli Enti Locali nelle materie del paesaggio, dell’urbanistica e dell’ambiente e prospettano dubbi di legittimità costituzionale in ordine alla disciplina applicata dal Ministero alla fattispecie scrutinata”. ]Secondo questo Collegio il Comune di […] avrebbe dovuto impugnare in parte qua la sentenza e non limitarsi a riproporre il motivo, il quale è stato inammissibilmente riproposto sul travisato avviso che sarebbe stato assorbito.
5.1.2. Il Comune […] ha pure riproposto il terzo motivo del ricorso originario (rubricato: Violazione degli artt. 6, 10 e 11 ss., D.lgs. 152/2006)[…]
5.1.2.1. Il motivo è infondato in quanto muove sempre da un errato inquadramento del decreto impugnato, il quale non si riferisce specificamente e direttamente a progetti su un livello (ed aventi natura di atti) di pianificazione e programmazione, ma si pone su un piano anteriore e più generale ancora, per cui, come giustamente osservato dalle parti appellanti, la procedura di VAS, se fosse stata esperita, avrebbe riguardato dati ed elementi così generici da frustrare il suo scopo. Secondo un indirizzo che il Collegio reputa preferibile, deve essere esclusa l’assoggettabilità a VAS di quei “piani e programmi” che innalzano il livello della protezione ambientale e non sono idonei ad arrecare potenziali alterazioni dell’ambiente (come i piani paesaggistici).
Ne consegue il rigetto per infondatezza del presente motivo riproposto.
5.2. Il Collegio, per le identiche ragioni esposte al precedente punto 5.1.2.1., ritiene infondato pure il quarto motivo di primo grado, riproposto dai Comuni di […], con il quale avevano impugnato il Decreto ministeriale per cui è causa per violazione ed erronea applicazione di legge (principi generali in materia di valutazione ambientale strategica di cui agli articoli 4-5-6 D.Lgs. 152/2006), sostenendo che per l’indubbio contenuto pianificatorio della “disciplina d’uso” in concreto recata dal provvedimento impugnato, e la sua certa idoneità ad avere impatti significativi sull’ambiente, sussisterebbe una violazione della normativa del D.Lgs. 152/2006 che, in attuazione della disciplina comunitaria, assoggetterebbe a VAS gli atti e i provvedimenti di pianificazione e programmazione “comunque denominati”.
5.3. Per le identiche ragioni di cui al precedente punto 5.1.2.1. viene rigettato per infondatezza anche il secondo motivo del ricorso di primo grado, riproposto in questa sede dalla Regione Veneto (rubricato: Violazione degli artt. 4 e 6, comma 2, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e della direttiva 2001/42/ce “concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ ambiente naturale“) […].
5.4. Va infine respinto per manifesta infondatezza anche il terzo motivo del ricorso di primo grado della Regione Veneto, riproposto in questa sede e concernente l’asserita illegttttmita’ costituzionale dell’art. 140, comma 2, del d. lgs. n. 421200:4 per violazione degli artt.3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 cost.
Con questo motivo, la Regione Veneto riteneva la relativa disciplina legislativa non conforme alla Costituzione in ragione della ritenuta predominanza del provvedimento ministeriale rispetto al potere concertato di pianificazione paesaggistica, stabilita dall’art. 140, comma 2, del medesimo decreto legislativo, che avrebbe determinato la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione in uno con i successivi gli artt. 118 e 117, commi 3 e 4, in quanto le prescrizioni unilaterali contenute nel provvedimento ministeriale impugnato avrebbero assunto una connotazione lesiva e irragionevole in forza proprio della inderogabilità prevista dall’art. 140, comma 2, del D. Lgs. n. 42/2004.
L’art. 140, comma 2, del D.Lgs. n. 42/2004, elidendo in modo decisivo la competenza co-decisoria dello Stato e delle Regioni in materia di pianificazione paesaggistica, anche in riferimento ad ampie porzioni di territorio, si porrebbe in contraddizione con i principi di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. nonché con il principio di proporzionalità, traducendosi in uno strumento irragionevole, eccentrico rispetto alle finalità di tutela che lo connotano e, comunque, non necessario ed eccedente i fini di salvaguardia perseguiti.
La preminenza delle unilaterali decisioni ministeriali, come determinata dal combinato disposto degli artt. 138, comma 3 e 140, comma 2, del d. lgs. n. 42/2004, si tradurebbe, oltre che in un elemento di irragionevolezza, anche in uno strumento diretto di lesione delle competenze regionali, in particolare, in violazione dell’art. 118 Cost. nonché dell’art. 117, commi 3 e 4, Cost., in quanto risultano annullate, in modo definitivo ed irretrattabile, le competenze amministrative regionali in materia, come attribuite dalle stesse norme interposte statali, nonché la competenza legislativa regionale in materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali, di governo del territorio, turismo e agricoltura.
Secondo la Regione Veneto, in ragione della previsione dell’art. 140, comma 2, del D.Lgs. 42/2004, sarebbe determinata una lesione anche dell’art. 97 Cost. in quanto la predominanza dei vincoli posti unilateralmente dal Ministero si sarebbe tradotta in una violazione del principio di buon andamento del pubblico agire, il quale esige che ogni potere sia esercitato per il miglior perseguimento del pubblico interesse, senza, però, introdurre, come nel caso di specie, vincoli idonei a consolidarsi a pregiudizio del successivo possibile adeguamento contenutistico e teleologico, tanto più necessario in un settore quale quello della pianificazione territoriale.
L’art. 140, comma 2, del d. lgs. 42/2004, in ragione della rilevata irragionevolezza, renderebbe illegittima la prevista compressione delle competenze regionali, come peraltro attribuite nell’ambito di un disegno organico da parte dello stesso legislatore statale in attuazione della Costituzione della Repubblica italiana; tali attribuzioni risulterebbero irragionevolmente annullate per effetto del combinato disposto degli artt. 138, comma 3 e 140, comma 2, del D.Lgs. n. 42/2004, con grave detrimento del pubblico interesse, il che si tradurebbe in una violazione pur anche del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., che deve presiedere i rapporti tra lo Stato e le Regioni e che ha trovato un adeguato equilibrio nella previsione di un potere co-decisorio nell’adozione del piano paesaggistico.
5.4.1. La questione è manifestamente infondata.
Va premesso che, come rilevato dalla Corte Costituzionale nella richiamata sentenza n. 64/2021 al punto 9.1.” Sul piano delle competenze costituzionali attinenti ai beni paesaggistici, questa Corte ha già precisato che «[l]a tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni» (sentenza n. 367 del 2007; in seguito, nello stesso senso, sentenze n. 66 del 2018, n. 11 del 2016, n. 309 del 2011, n. 101 del 2010, n. 226 del 2009, n. 180 del 2008 e n. 378 del 2007).
Inoltre, la Corte Costituzionale, nella decisione n. 140 del 2015 ha ritenuto che «è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione e conservazione».
5.4.2. Un tanto premesso, il Collegio ritiene che la questione come sollevata nel motivo di primo grado è infondata per i motivi già indicati dal Giudice di prime cure nella sentenza impugnata. Inoltre, si ritiene l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 140, comma 2, cod. beni culturali, come esposta e motivata nel motivo di impugnazione anche inammisibile per difetto di rilevanza, e comunque non fondata, in quanto, oltretutto, avrebbe dovuto investire l’art. 141, nella parte in cui si dichiara applicabile l’art. 140, comma 2, appena menzionato, alle dichiarazioni di notevole interesse pubblico adottate sulla base dell’art. 138, comma 3, cod. beni culturali.
5.5. In conclusione, l’appello principale e l’appello incidentale in esame devono essere accolti, mentre i motivi riproposti dalle controparti ai sensi dell’art. 101, comma 2, sono, per quanto visto, in parte inammissibili e in parte infondati. Conseguenza finale è la reiezione dei ricorsi di primo grado ed il ripristino di efficiacia del decreto di vincolo del 5 dicembre 2019.
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Dario De Vincentiis, Funzionario “Sapienza Università di Roma”