Corte costituzionale, sentenza 7 giugno 2024, n. 103
PRINCIPIO DI DIRITTO
La Corte costituzionale:
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, lettera b), della L.R. Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9 (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie), promossa, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nonché all’art. 3, comma primo, lettere f) e n), della L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, lettera b), della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, Cost., e 4, comma primo, lettera e), statuto reg. Sardegna, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione di cui all’art. 5 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, commi 1 e 2, della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché agli artt. 3, comma primo, lettera d), e 4, comma primo, lettera c), statuto reg. Sardegna, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
[…] Motivi della decisione
1.- Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato varie disposizioni della L.R. Sardegna n. 9 del 2023.
Riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il medesimo ricorso, vengono ora esaminate quelle relative all’art. 13, commi 1, lettera b), 2 e 3, nonché all’art. 91, commi 1 e 2.
[…] 2.1.- L’art. 13, comma 1, lettera b), della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, come già detto, ha introdotto nella L.R. Sardegna n. 12 del 1994 il nuovo art. 17-bis (recante la rubrica “Mutamento di destinazione in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili”), secondo cui “[p]er l’installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili è obbligatorio richiedere il parere del comune in cui insistono le aree individuate, il quale si esprime, con delibera del Consiglio comunale a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, entro venti giorni, decorsi i quali se ne prescinde”.
Ad avviso del ricorrente, esso violerebbe, in primo luogo, gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto avrebbe ecceduto dalle competenze legislative regionali in materia di “edilizia e urbanistica” e di “usi civici” (art. 3, comma primo, lettere f e n, statuto reg. Sardegna), introducendo una procedura semplificata per il mutamento di destinazione dei terreni gravati da uso civico nel caso di installazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili, “senza tener conto” del vincolo paesaggistico cui tali terreni sono assoggettati ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera h), cod. beni culturali, costituente norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.
2.1.1.- La Regione ha eccepito l’inammissibilità della questione “per genericità”, in quanto il ricorrente non avrebbe esposto, se non in modo assertivo, le ragioni poste a fondamento delle censure, omettendo di chiarire come si determini in concreto l’invasione della competenza legislativa esclusiva statale.
L’eccezione è fondata.
Il ricorrente si limita ad affermare che la disposizione impugnata prevede una “procedura semplificata” di mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici per consentire l’installazione su di esse di impianti di produzione di energie rinnovabili, “senza tener conto”, come appena ricordato, del vincolo paesaggistico previsto dal citato art. 142, comma 1, lettera h), cod. beni culturali.
Sostanzialmente dello stesso tenore è il contenuto della memoria illustrativa, dove si legge che il mutamento di destinazione delle aree gravate da usi civici sarebbe consentito “sulla base di un procedimento amministrativo che trascura i numerosi vincoli posti in materia dal [c]odice dei beni culturali e del paesaggio”.
La citata disposizione statale è evocata come norma interposta, costituente un limite alle competenze legislative della Regione di cui all’art. 3 dello statuto speciale, quale norma fondamentale di riforma economico-sociale.
Il ricorso, tuttavia, non chiarisce perché la disposizione regionale impugnata supererebbe tale limite, non rispettando la norma interposta.
Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, “l’impugnazione avverso una disposizione regionale che arrechi pregiudizio alle attribuzioni statali, incidendo su materie rientranti nelle competenze legislative dello Stato, deve “essere adeguatamente motivat[a] e, a supporto delle censure prospettate, deve chiarire il meccanismo attraverso cui si realizza il preteso vulnus lamentato”; in particolare, “quando il vizio sia prospettato in relazione a norme interposte specificamente richiamate è necessario evidenziare la pertinenza e la coerenza di tale richiamo rispetto al parametro evocato” (sentenza n. 232 del 2019; da ultimo, sentenza n. 71 del 2022)” (sentenza n. 58 del 2023).
Alla luce di questi principi, non è sufficiente affermare che il legislatore regionale non avrebbe tenuto conto del vincolo paesaggistico esistente sulle zone gravate da usi civici.
Il ricorrente, infatti, non spiega perché tale forma di tutela sarebbe pregiudicata dalla previsione di una “procedura semplificata” di mutamento di destinazione: istituto, quest’ultimo, che non determina di per sé il venir meno o anche solo l’affievolimento del vincolo paesaggistico.
Né il ricorrente chiarisce se, e in quali termini, il vulnus lamentato derivi, o sia anche solo aggravato, dall’asserito carattere semplificato della procedura, di cui non è fornita alcuna illustrazione.
In tal modo, non risulta adempiuto l’onere di esatta definizione della questione e di puntuale motivazione che questa Corte ha più volte ribadito essere particolarmente rilevante nel ricorso in via principale, e la cui carenza conduce alla inammissibilità (tra le molte, sentenze n. 58 del 2023, n. 5 del 2022 e n. 83 del 2018).
La questione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
2.1.2.- Il ricorrente lamenta, in secondo luogo, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto l’art. 13, comma 1, lettera b), della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, eccedendo dalla competenza legislativa regionale in materia di “produzione e distribuzione dell’energia elettrica” (art. 4, comma primo, lettera e, statuto reg. Sardegna), consentirebbe l’installazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili nelle zone gravate da usi civici, in contrasto con la norma di principio di cui all’art. 20, comma 8, lettera c-quater), del D.Lgs. n. 199 del 2021, da cui si desumerebbe, secondo il ricorrente, che le predette zone, nelle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti interministeriali di cui al comma 1 dello stesso art. 20, non sono idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili. Ne conseguirebbe l’invasione della competenza legislativa concorrente dello Stato in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”.
In altri termini, la disposizione impugnata avrebbe travalicato i limiti posti alle competenze legislative regionali dal citato art. 20, comma 8, lettera c-quater), del D.Lgs. n. 199 del 2021, costituente un principio fondamentale della predetta materia e, di conseguenza, uno dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, nel rispetto dei quali deve essere esercitata la potestà legislativa attribuita alla Regione dall’art. 4, comma primo, lettera e), dello statuto speciale.
2.1.3.- L’eccezione di inammissibilità “per genericità”, sollevata dalla Regione anche con riferimento a tale questione, non è fondata, poiché il ricorrente ha adeguatamente motivato in ordine all’asserito contrasto della disposizione impugnata con la norma interposta di cui all’art. 20, comma 8, lettera c-quater), del D.Lgs. n. 199 del 2021.
2.1.4.- Nel merito, la questione non è fondata.
Il ricorrente presuppone che l’indicata norma statale interposta qualifichi le zone gravate da usi civici come non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile.
Tale presupposto interpretativo non è condivisibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di osservare (sentenze n. 58 e n. 27 del 2023), l’art. 20, comma 8, del D.Lgs. n. 199 del 2021 si colloca nel nuovo sistema – introdotto dallo stesso D.Lgs. n. 199 del 2021 – di individuazione delle aree in cui è consentita l’installazione degli impianti a fonti rinnovabili. Con esso, il legislatore statale ha inteso superare il sistema dettato dall’art. 12, comma 10, del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e dal conseguente decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione delle aree non idonee.
Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a individuare le aree “idonee” all’installazione degli impianti, sulla scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20, tuttora non adottati. Inoltre, l’individuazione delle aree idonee dovrà avvenire non più in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in relazione a quelle non idonee, bensì “con legge” regionale, secondo quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20.
Nel descritto contesto normativo, il comma 8 dell’art. 20 funge da disposizione transitoria, prevedendo che “[n]elle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti di cui al comma 1”, sono considerate idonee le aree elencate dalle lettere a) e seguenti dello stesso comma 8, tra le quali figurano, alla lettera c)-quater, “le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all’articolo 142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto”.
Il ricorrente desume da tale disposizione che i terreni d’uso civico non sarebbero idonei all’installazione perché non inclusi tra quelli idonei.
Una simile interpretazione, tuttavia, è contraddetta dal disposto del comma 7 dello stesso art. 20, secondo cui “[l]e aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee”.
Di per sé, dunque, la mancata inclusione delle aree gravate da usi civici tra quelle idonee non comporta la loro assoluta inidoneità all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, che rimane assoggettata al procedimento autorizzatorio ordinario di cui all’art. 12, comma 3, del D.Lgs. n. 387 del 2003, né tantomeno comporta il divieto di mutarne la destinazione in conformità al regime degli usi civici.
Pertanto, il lamentato contrasto della disposizione regionale impugnata con la norma statale di principio non sussiste.
2.2.- L’art. 13, comma 2, della L.R. Sardegna n. 9 del 2023 prevede l’istituzione di un “tavolo tecnico interassessoriale, a supporto degli [u]ffici regionali, per la riforma organica dell’intera materia degli usi civici in Sardegna con particolare riguardo alla L.R. n. 12 del 1994”.
Ad avviso del ricorrente, esso violerebbe, in primo luogo, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, attribuendo agli organi regionali il compito di attendere a una riforma organica dell’intera materia degli usi civici, contrasterebbe con le norme contenute negli “articoli 5 e seguenti” della L. n. 1766 del 1927, nel R.D. n. 332 del 1928 e nella L. n. 168 del 2017, in tema di liquidazione degli usi civici e di scioglimento delle promiscuità, nonché in tema di alienazione, sclassificazione e mutamento di destinazione dei beni gravati da usi civici.
Sarebbe altresì violata la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per contrasto anche con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano “le autorizzazioni paesaggistiche”.
2.2.1.- La Regione ha eccepito l’inammissibilità della questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La disposizione istitutiva del tavolo tecnico, infatti, avrebbe “una portata assolutamente generica”, limitandosi a dare impulso a un apposito organo tecnico per il riordino della materia degli usi civici in Sardegna, nel “solco” della L.R. Sardegna n. 12 del 1994 e quindi nel rispetto delle competenze legislative e amministrative regionali riconosciute in tale materia dall’art. 3, comma primo, lettera n), dello statuto speciale.
L’eccezione non è fondata, perché le ragioni esposte dalla resistente attengono al merito della questione e non alla sua ammissibilità.
È invece inammissibile, per carenze motivazionali, la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Manca, infatti, una motivazione adeguata, e non meramente assertiva, in ordine alle ragioni per le quali l’istituzione di un tavolo tecnico con il compito, a supporto degli uffici regionali, di elaborare una riforma della materia degli usi civici in Sardegna si porrebbe in contrasto con la disciplina statale dell’autorizzazione paesaggistica e, di conseguenza, con l’evocato parametro costituzionale.
Tale questione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
2.2.2.- La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. non è fondata.
L’art. 13, comma 2, della L.R. Sardegna n. 9 del 2023 ha natura meramente organizzativa e si deve interpretare nel senso che l’attività del tavolo tecnico è limitata all’elaborazione di una proposta di riforma che disciplini le funzioni regionali in materia di usi civici, nell’esercizio della potestà legislativa di cui all’art. 3, comma primo, lettera n), statuto reg. Sardegna, senza alcuna estensione al regime civilistico dei beni civici, di cui si occupa la normativa interposta indicata dal ricorrente.
Tale conclusione è confermata dal richiamo, contenuto nella disposizione impugnata, alla L.R. Sardegna n. 12 del 1994, che disciplina le predette funzioni regionali.
Non depone in senso contrario la circostanza che si parli di “riforma organica dell’intera materia degli usi civici in Sardegna”, poiché la disposizione intende così riferirsi all’intera disciplina rientrante nella competenza legislativa regionale.
2.3.- L’art. 13, comma 3, della L.R. Sardegna n. 9 del 2023, che disciplina la composizione del “tavolo tecnico interassessoriale” di cui al comma 2, non prevede forme di partecipazione del Ministro della cultura.
Ciò, secondo il ricorrente, violerebbe il principio di leale collaborazione desumibile dall’art. 5 Cost., considerata l’incidenza dei lavori del tavolo tecnico su profili di competenza del predetto Ministro, riguardanti i vincoli paesaggistici cui sono assoggettati i beni gravati da usi civici.
Neppure tale questione è fondata.
Come si è visto, il tavolo tecnico ha esclusivamente il compito di elaborare una proposta di riforma della disciplina relativa alle funzioni regionali in materia di usi civici, che non possono incidere sui predetti vincoli paesaggistici.
Di conseguenza, viene meno il presupposto da cui muove il ricorrente per lamentare la violazione del principio di leale collaborazione.
3.- L’art. 91 della L.R. Sardegna n. 9 del 2023 detta, ai commi 1 e 2, norme in materia di sbarramenti di ritenuta e relativi bacini di accumulo di competenza della Regione Sardegna, che modificano l’art. 5 della L.R. Sardegna n. 12 del 2007 e l’Allegato A alla stessa legge regionale.
In particolare, l’art. 91, comma 1, lettera a), modifica il comma 1 del citato art. 5, prevedendo che le parole “entro il termine perentorio del 30 giugno 2018” siano sostituite dalle parole “entro il termine perentorio del 30 settembre 2024”. In tal modo è prorogato dal 30 giugno 2018 al 30 settembre 2024 il termine per presentare l’istanza diretta a ottenere l’autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti “all’entrata in vigore” della L.R. Sardegna n. 12 del 2007.
L’art. 91, comma 1, lettera b), sostituisce il comma 2 dello stesso art. 5, prevedendo che siano congiuntamente applicati la sanzione pecuniaria di Euro cinquemila e l’ordine di demolizione degli sbarramenti, a proprie spese, nei confronti dei proprietari o dei gestori che, a seguito di controllo da parte del Corpo forestale e di vigilanza ambientale regionale, risultino sprovvisti di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio e non abbiano presentato istanza per ottenerla.
La disposizione prevede altresì che la sanzione pecuniaria sia ridotta al dieci per cento e che l’ordine di demolizione possa essere sospeso “qualora il gestore o il proprietario inoltri istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio, secondo quanto previsto dall’allegato A, entro e non oltre sessanta giorni dalla notifica del verbale di accertamento della violazione o dall’entrata in vigore della presente disposizione, qualora la sanzione sia già stata applicata”.
L’art. 91, comma 2, infine, modifica gli artt. 25 e 26 dell’Allegato A alla L.R. Sardegna n. 12 del 2007.
Queste ultime disposizioni disciplinano le procedure di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti.
L’art. 25 si occupa degli sbarramenti le cui “opere siano state regolarmente autorizzate”. Esso prevedeva, in origine, che gli interessati presentassero “entro nove mesi dalla data di entrata in vigore” della L.R. Sardegna n. 12 del 2007 tutta la documentazione a corredo della domanda di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio, unitamente alla stessa. L’art. 91, comma 2, lettera a), ha sostituito questo termine con quello del 30 settembre 2024, adeguando la normativa tecnica, sotto tale profilo, al testo dell’art. 5, comma 1, della medesima L.R. Sardegna n. 9 del 2023, come novellato, secondo quanto già visto, dall’art. 91, comma 1, lettera a).
L’art. 26 dell’Allegato A si occupa invece degli sbarramenti “realizzati in assenza delle approvazioni previste dalla normativa vigente al momento della costruzione ovvero in difformità ai progetti approvati”. Esso prevedeva, in origine, che gli interessati inoltrassero alle autorità competenti, “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore” della L.R. Sardegna n. 12 del 2007, “la domanda diretta ad ottenere l’approvazione tecnica in via di sanatoria dell’opera e [la] domanda diretta ad ottenere l’autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio”. Analogamente, l’art. 91, comma 2, lettera b), della L.R. Sardegna n. 9 del 2023 ha sostituito questo termine con quello del 30 settembre 2024.
3.1.- Secondo il ricorrente, le disposizioni impugnate, nel prorogare il termine di presentazione della domanda di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti esistenti, derogherebbero al divieto di sanatoria di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa, posto dall’art. 167 cod. beni culturali.
Sarebbe così violata la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., né si potrebbero invocare le competenze legislative regionali in materia di “agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario” (art. 3, comma primo, lettera d, statuto reg. Sardegna), nonché in materia di “opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria” (art. 4, comma primo, lettera c, statuto reg. Sardegna), in quanto la deroga all’indicata norma statale si tradurrebbe nell’inosservanza di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
3.2.- La Regione ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, perché il ricorrente non si sarebbe confrontato con le ulteriori potestà legislative regionali in materia ambientale, sulla scorta di quanto stabilito dall’art. 6 del D.P.R. n. 480 del 1975 e, in materia di “invasi minori”, in applicazione del principio del parallelismo delle funzioni amministrative e legislative, espresso dall’art. 6 dello statuto speciale.
L’eccezione non è fondata.
Come si è detto, il ricorrente ha indicato le competenze statutarie di cui agli artt. 3, comma primo, lettera d), e 4, comma primo, lettera c), statuto reg. Sardegna, invocando i limiti che, in relazione ad entrambe, discendono dal rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, tra cui rientra l’art. 167 cod. beni culturali.
Il nucleo del ragionamento condotto dal ricorrente, che sostiene il travalicamento delle competenze attribuite al legislatore regionale, emerge, dunque, con sufficiente nettezza (tra le tante, sentenze n. 58 del 2023 e n. 117 del 2022). La mancata considerazione di altre competenze regionali può incidere, semmai, sul merito delle questioni.
3.3.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
Sia la proroga al 30 settembre 2024 del termine per presentare l’istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti (disposta dall’art. 91, comma 1, lettera a), sia la possibilità di inoltrare l’istanza di autorizzazione alla prosecuzione dopo l’accertamento del mancato rispetto del menzionato termine o dopo l’applicazione della sanzione (prevista dall’art. 91, comma 1, lettera b), riguardano anche opere che sono state regolarmente realizzate in presenza di autorizzazione originaria.
In tali casi, la prosecuzione dell’esercizio è autorizzata secondo il procedimento disciplinato dall’art. 25 del citato Allegato A.
In riferimento a tale ipotesi, le disposizioni impugnate sono immuni dal vizio denunciato dal ricorrente, mancando il presupposto da cui muove la censura (l’eventuale sussistenza di un abuso paesaggistico soggetto a regolarizzazione).
Tuttavia, come visto, le stesse previsioni di cui all’art. 91, comma 1, lettere a) e b), della L.R. Sardegna n. 9 del 2023 possono riguardare anche sbarramenti realizzati in assenza delle approvazioni previste dalla normativa vigente al momento della costruzione ovvero in difformità dai progetti approvati. In tali casi, il procedimento di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio è disciplinato dall’art. 26 dello stesso Allegato A, che obbliga gli interessati a richiedere, oltre a tale autorizzazione, anche la “approvazione tecnica in via di sanatoria dell’opera”, nel rispetto dello stesso termine prorogato al 30 settembre 2024 (in forza dell’art. 91, comma 2, lettera b).
Sotto questo diverso aspetto, la disciplina regionale impugnata è conforme alla norma interposta di cui all’art. 167 cod. beni culturali.
Lo stesso art. 26 dell’Allegato A prevede infatti, al comma 6, che “[l]’approvazione tecnica in sanatoria non sostituisce obblighi, oneri e vincoli gravanti sul soggetto e sulle opere interessate, con riferimento alla concessione di derivazione, all’approvazione del progetto ai sensi delle vigenti norme in materia di lavori pubblici, alla valutazione di impatto ambientale, all’assetto idrografico, agli interessi urbanistici, paesaggistici, artistici, storico-archeologici, sanitari, demaniali, della difesa nazionale, dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza che restano di competenza delle autorità previste dalle norme vigenti”.
Secondo tale clausola di salvezza, l’approvazione tecnica in sanatoria degli sbarramenti non autorizzati o difformi, in relazione alla quale il legislatore regionale ha prorogato il termine di presentazione della domanda (e consentito il suo inoltro anche nei casi di cui all’art. 91, comma 1, lettera b), non consente comunque una regolarizzazione delle opere sotto il profilo paesaggistico, in deroga all’art. 167 cod. beni culturali.
Ciò vale a distinguere la questione in esame rispetto a quella decisa con la sentenza n. 201 del 2021, che ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della L.R. Veneto 23 giugno 2020, n. 23 (Norme in materia di costruzione, esercizio e vigilanza degli sbarramenti di ritenuta e dei bacini di accumulo di competenza regionale), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La disposizione allora impugnata consentiva, in relazione agli sbarramenti idrici di competenza regionale, la regolarizzazione delle opere non denunciate o realizzate in difformità dai progetti, previa presentazione, da parte del proprietario o del gestore, del progetto esecutivo completo dello stato di fatto e comprensivo della certificazione di idoneità statica.
Questa Corte ha ritenuto che in tal modo si fosse delineato “un novero amplissimo di ipotesi, sostanzialmente illimitato e comunque idoneo a ricomprendere anche tutti gli sbarramenti idrici realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica, ovvero in difformità dalla stessa”, anche al di fuori dei casi tassativi indicati dall’art. 167 cod. beni culturali, “senza, peraltro, alcun richiamo alla necessità di acquisire il preventivo parere vincolante della soprintendenza”.
Un tale contrasto è apparso “non […] sanabile in via interpretativa, tramite una lettura della disposizione impugnata che ne postul[asse] un’implicita conformità alla normativa statale in materia paesaggistica”; ciò in considerazione della compiutezza della disciplina regionale, “per cui il silenzio serbato in relazione ad alcuni profili qualificanti non [avrebbe potuto] intendersi quale tacito richiamo ad essi”.
Diversamente, la disciplina regionale qui esaminata non è rimasta silente sui profili paesaggistici degli sbarramenti non autorizzati o difformi, in quanto con la richiamata clausola di cui all’art. 26, comma 6, dell’Allegato A ha escluso la possibilità di derogare alla normativa statale concernente i predetti profili, così rispettando i limiti delle competenze legislative attribuite alla Regione dallo statuto speciale.
[…]