<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 4 dicembre 2019 n. 247</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 25-septies del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.– La Regione Molise propone ricorso in via principale avverso l’art. 25-septies, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, nella parte in cui tale norma dispone la incompatibilità del conferimento e del mantenimento dell’incarico di commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario delle Regioni con l’espletamento di incarichi istituzionali presso la Regione soggetta a commissariamento e stabilisce la applicabilità della incompatibilità anche per gli incarichi commissariali in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, introduttiva del citato articolo, con la conseguente decadenza dall’incarico commissariale dei Presidenti di Regione a far data dalla nomina dei nuovi Commissari ad acta.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.1.– La disciplina censurata contrasterebbe, ad avviso della Regione ricorrente, con vari parametri di costituzionalità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Risulterebbe, infatti, anzitutto violato l’art. 77 della Costituzione in riferimento alle attribuzioni costituzionali riconosciute alla Regione nelle materie della «tutela della salute» e del «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché violazione del principio di leale collaborazione. Sussisterebbe violazione dell’art. 77 Cost. – con ridondanza sulle attribuzioni regionali in tema di tutela della salute e di coordinamento della finanza pubblica – a causa della evidente estraneità della norma impugnata rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è stata inserita in sede di conversione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Vulnerato sarebbe anche il principio di leale collaborazione, trattandosi di intervento adottato unilateralmente dello Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.2.– Viene poi dedotta la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nonché la violazione del principio di leale collaborazione a norma degli artt. 117 e 118 Cost. e degli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost. , in quanto, tenuto conto della funzione dei piani di rientro e del necessario confronto istituzionale, la norma impugnata avrebbe generato effetti addirittura dannosi, introducendo, senza alcun coinvolgimento regionale, una preclusione assoluta, applicabile retroattivamente anche per quelle Regioni il cui commissariamento è già in atto e che viene ad essere intaccato dall’innesto di una figura di commissario completamente slegata dalla istituzione regionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3.– L’art. 3 Cost. sarebbe violato anche sotto il profilo della totale assenza di margine di apprezzamento del caso concreto, tenuto conto del buon andamento della gestione dei piani di rientro, con evidenti riflessi negativi sulle competenze regionali, sia amministrative sia legislative, in materia di tutela della salute e coordinamento della finanza pubblica.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il medesimo parametro costituzionale viene evocato anche sotto il profilo del mancato rispetto del principio di proporzionalità, in quanto la norma impugnata non sarebbe certamente quella meno pregiudizievole per le attribuzioni costituzionali regionali, considerato che la stessa impone un onere sproporzionato rispetto al fine da perseguire, dal momento che non prende in alcuna considerazione le situazioni specifiche, prescindendo, quindi, dalla bontà o meno della esperienza commissariale in corso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.4.– Si deduce, inoltre, violazione del principio di ragionevolezza, nonché del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e di leale collaborazione e di sussidiarietà, di cui agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., in quanto la norma denunciata non rispetterebbe i paradigmi declinati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di sussidiarietà. Non sussisterebbe, in particolare, il presupposto della inerzia regionale tale da legittimare l’intervento normativo, né si sarebbe realizzata alcuna fase di confronto con la Regione interessata. Non sarebbe stato neppure rispettato il principio di sussidiarietà, in quanto è stata adottata una soluzione opposta a quella di privilegiare la prossimità del commissario rispetto all’istituto regionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il tutto, osserva la Regione ricorrente, in assenza di ragioni particolari atte a giustificare la scelta operata, con i naturali riverberi negativi sulle attribuzioni regionali, con specifico riferimento a quelle relative alla tutela della salute. L’esautoramento regionale sarebbe poi avvenuto, in spregio all’art. 120 Cost., senza rispetto del principio di leale collaborazione, generando, anche, la correlativa violazione del principio di buona amministrazione ex art. 97 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.5.– Si lamenta, altresì, la violazione degli artt. 81 e 97 Cost., in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché in riferimento al principio di leale collaborazione. La nuova nomina del commissario, infatti, trattandosi di persona terza rispetto alla amministrazione, e dunque da retribuire ex novo, comporterà per la Regione nuovi oneri finanziari. Il che genera perplessità per il fatto che tali nuovi oneri possano essere imposti ad una Regione già obbligata ad adempiere al piano di rientro delle spese sanitarie.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La esigenza di contenimento della spesa pubblica, imposta dall’art. 81 Cost., risulterebbe pertanto frustrata dalla norma censurata, senza che risulti alcuna ragione per abbandonare il precedente e più economico modello, con conseguente violazione anche dell’art. 97 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Scelte, quelle censurate, che sono state operate in assenza di qualsiasi concertazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.6.– Viene denunciata, infine, la violazione del principio di affidamento, quale enunciato dalla giurisprudenza costituzionale, stante la portata sostanzialmente retroattiva della norma dettata dal comma 3 dell’art. 25-septies impugnato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La cessazione automatica del mandato commissariale in corso, a prescindere da qualsiasi valutazione di opportunità, equivarrebbe, inoltre, ad un intervento sostitutivo nei confronti della Regione del tutto discrezionale, in violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di quello di buona amministrazione (art. 97 Cost.), degli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost. e del principio di leale collaborazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– L’Avvocatura generale dello Stato propone una prima eccezione di inammissibilità del ricorso, fondata sulla carenza di interesse, al lume di una articolata deduzione. Alla stregua, infatti, della normativa succedutasi nel tempo e del tenore delle varie delibere di nomina, emergerebbe che il commissariamento della Regione Molise, originariamente disposto in base all’allora vigente art. 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito con modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222, sarebbe successivamente “transitato” nell’ambito applicativo dell’art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n.191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, alla data di entrata in vigore dell’art. 1, comma 395, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019) – che ha eliminato per le Regioni commissariate la incompatibilità sancita dall’art. 1, comma 569, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)» – la Regione Molise doveva ritenersi ormai commissariata ai sensi dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, con la conseguente applicabilità della incompatibilità introdotta dalla legge n. 190 del 2014. La eventuale incostituzionalità della norma impugnata, pertanto, comporterebbe la reviviscenza della incompatibilità sancita dall’art. 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli incarichi commissariali conferiti ai sensi dell’art. 2, commi 73, 83 e 84 della legge n. 191 del 2009, impedendo il cumulo per la Regione Molise dell’incarico di commissario con quello di Presidente della Regione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Da qui, ad avviso della resistente, la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.– La eccezione sollevata dalla Avvocatura comporta la necessaria disamina del complesso, articolato e non poco contraddittorio quadro normativo di riferimento, entro il quale si è snodata, nel corso degli anni, la disciplina dei piani di rientro delle spese sanitarie, delle correlative procedure di commissariamento e delle altalenanti scelte operate in ordine alle “qualità” che doveva ricoprire la persona da nominare quale commissario ad acta per il riordino finanziario delle spese sanitarie gravanti sui bilanci regionali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.1.– È noto che, in considerazione della grave e persistente incapacità di alcune Regioni di controllare la spesa sanitaria, dando vita a situazioni di deficit strutturali tali da interagire anche con i livelli delle prestazioni erogabili, a partire dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)», successivamente oggetto di varie modifiche, il legislatore statale introdusse un meccanismo articolato che faceva leva sui piani di rientro, in virtù del quale veniva imposto alle Regioni, che si fossero trovate in una condizione di sofferenza finanziaria strutturale in materia sanitaria, di sottoporsi ad una complessa procedura di risanamento, al fine di poter beneficiare del sostegno finanziario dello Stato ed accedere a nuovi finanziamenti. Gli impegni per il monitoraggio ed il contenimento e razionalizzazione della spesa sanitaria, sottoscritti attraverso una apposita intesa Stato-Regioni, erano assoggettati ad un controllo da parte di organismi appositamente istituiti dalla medesima intesa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi stabiliti nei piani di rientro stipulati in base all’art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004, il legislatore statale introdusse una particolare procedura descritta nell’art. 4 del d.l. n. 159 del 2007. In particolare, e per quel che qui interessa, venne prevista inizialmente una diffida ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Attuazione dell’art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo) nei confronti della Regione che si fosse resa inadempiente rispetto agli impegni assunti in sede di sottoscrizione dei piani di rientro e, poi, la nomina, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, di un commissario ad acta, con il compito di realizzare le finalità riportate nel piano concordato tra Stato e Regione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va peraltro sottolineato che l’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, nella sua formulazione originaria aveva previsto che la nomina a commissario ad acta fosse incompatibile con l’affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione soggetta a commissariamento. Tale incompatibilità è poi venuta meno in ragione della sua espressa abrogazione ad opera dell’art. 79, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la compatibilità, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.2.– La impostatura dei piani di rientro è stata mantenuta anche nella legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)» (art. 1, comma 277, che recepì la intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005), nella legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» (art. 1, comma 796), la quale recepì il Patto per la salute 2007-2009, nella legge finanziaria n. 191 del 2009, che recepì il Patto per la salute 2010-2012, di cui alla intesa tra Governo e Regioni del 3 dicembre 2009, ed il cui art. 13, fra l’altro, prevedeva una articolata procedura di controllo per la gestione del deficit in campo sanitario, con la procedimentalizzazione di meccanismi di intervento sostituivo a mezzo di commissari ad acta, nominati nella persona del Presidente della Regione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’art. 2, comma 79, della legge n. 191 del 2009, prevedeva, infatti, che, in caso di mancata presentazione da parte della Regione del piano di rientro ovvero in caso di mancata approvazione dello stesso, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell’art. 120 Cost., nominasse il Presidente della Regione quale commissario ad acta per la predisposizione del piano di rientro e per la sua attuazione. L’art. 2, comma 83, della stessa legge n. 191 del 2009, prendeva in considerazione l’ipotesi in cui, pur essendo stato presentato ed approvato il piano di rientro, ad una verifica dello stesso venisse constatata la inadempienza della Regione in merito alla realizzazione degli obiettivi tracciati nel piano. In tal caso, il Consiglio dei ministri diffidava la Regione interessata ad attuare il piano, adottando altresì tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti. A seguito della persistente inerzia della Regione, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell’art. 120 Cost., nominava il Presidente della Regione commissario ad acta per la intera durata del piano di rientro; in particolare, il medesimo comma 83 proseguiva affermando che «il commissario adotta tutte le misure indicate nel piano nonché gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi organizzativi e gestionali ad esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del piano».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Merita peraltro di essere rilevato che, nel testo originario del comma 83, figuravano le parole “il presidente della regione commissario ad acta” che furono sostituite da quelle «il presidente della regione o un altro soggetto commissario ad acta» ad opera del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213. Pertanto, a far tempo dalla entrata in vigore di tale fonte novellatrice, il commissario ad acta poteva essere scelto anche tra persone diverse dal Presidente della Regione da commissariare.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Significativa appare anche la “storia” del comma 84 dell’art. 2 della ricordata legge n. 191 del 2009. Il testo originario stabiliva, infatti, che «Qualora il presidente della Regione, nominato commissario ad acta per la redazione e l’attuazione del piano ai sensi dei commi 79 o 83, non adempia in tutto o in parte all’obbligo di redazione del piano o agli obblighi, anche temporali, derivanti dal piano stesso, indipendentemente dalle ragioni dell’inadempimento, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell’art. 120 della Costituzione, adotta tutti gli atti necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione. Nei casi di riscontrata difficoltà in sede di verifica e monitoraggio nell’attuazione del piano, nei tempi o nella dimensione finanziaria ivi indicata, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell’articolo 120 della Costituzione, sentita la regione interessata, nomina uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria per l’adozione e l’attuazione degli atti indicati nel piano e non realizzati». (La norma è stata modificata ad opera del comma 569 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, il quale ha soppresso le parole: «presidente della regione, nominato» ed ha sostituito le parole «ai sensi dei commi 79 o 83» con quelle: «, a qualunque titolo nominato»).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disposizione, anche nella sua versione originaria, faceva evidentemente riferimento ad una ipotesi in cui il Presidente della Regione, (che, come si è visto, dal 2012 poteva, ma non doveva più essere necessariamente nominato commissario ad acta) fosse risultato inadempiente agli obblighi derivanti dal piano di rientro e stabiliva un autonomo potere sostitutivo statale attraverso un nuovo commissariamento: da qui, la previsione dei requisiti di professionalità del nuovo commissario, ontologicamente “incompatibile” con la persona del Presidente della Regione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.3.– Un radicale mutamento di prospettiva venne tracciato nel Patto per la salute 2014-2016, che formò oggetto della intesa tra Governo e Regioni del 10 luglio 2014. L’art. 12 del protocollo di intesa, infatti, dedicato ai Piani di riorganizzazione riqualificazione e rafforzamento dei servizi sanitari regionali, espressamente prevedeva, fra l’altro, «di promuovere l’adozione delle modifiche normative necessarie affinché, in caso di nuovi commissariamenti, sia previsto che la nomina a commissario ad acta sia incompatibile con l’affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione soggetta a commissariamento»; «che il Commissario ad acta, ove nominato, deve possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti»; «che i sub Commissari svolgano attività a supporto dell’azione del Commissario, essendo il loro mandato vincolato alla realizzazione di alcuni o di tutti gli obiettivi affidati al Commissario con il mandato commissariale, avvalendosi del personale, degli uffici e dei mezzi necessari all’espletamento dell’incarico di cui all’articolo 4, comma 2, del decreto – legge n. 259/2007, convertito con modificazioni, dalla legge n. 222/2007».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’intesa raggiunta tra Governo, Regioni e Province autonome, proponeva di introdurre, dunque, per i futuri commissariamenti, la incompatibilità tra qualsiasi incarico regionale e l’assunzione della carica di commissario ad acta; ne stabiliva i requisiti di professionalità, ed espressamente evocava (nella parte dedicata ai sub- commissari), quale “fonte” degli incarichi, l’art. 4 del d.l. n. 159 del 2007 (norma base, dunque, che permaneva nel tempo, anche a fronte dei nuovi commissariamenti cui si riferiva la introducenda incompatibilità di cariche).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.4.– Il contenuto della intesa fu recepito nella legge finanziaria 2015, in quanto la legge 23 dicembre 2014, n. 190, stabilì, al comma 569, che «La nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l’adozione o l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, effettuata ai sensi dell’articolo 2, commi 79, 83 e 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, è incompatibile con l’affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento.».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La stessa disposizione prevedeva, poi, che il commissario doveva possedere un curriculum che evidenziasse «qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti». Sul piano temporale, inoltre, veniva stabilito che la nuova disciplina trovava applicazione «alle nomine effettuate, a qualunque titolo, successivamente alla data di entrata in vigore» della stessa legge.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il successivo comma 570 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 stabiliva, a sua volta, che le già richiamate disposizioni dell’art. 569 si applicavano «anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e successive modificazioni.» (ancora nella finanziaria del 2015, pertanto, i commissariamenti di cui all’art. 4 del d.l. n. 159 del 2007 venivano considerati “non assorbiti” dalle successive fonti di novellazione della materia).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.1.5.– La situazione muta novamente con la legge finanziaria del 2017 (Legge 11 dicembre 2016, n. 232), giacché, nel corso dei relativi lavori, venne approvato (con vivaci interventi critici della opposizione, che parlò di intervento normativo chiaramente diretto a favorire uno specifico Presidente di Regione commissariata) un emendamento con il quale la pregressa incompatibilità tra commissario ad acta e Presidente della Regione venne rimosso a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa legge n. 232 del 2016.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’art. 1, comma 395, stabilì, infatti che (il particolare è importante, nella prospettiva della eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dalla Avvocatura dello Stato in riferimento al ricorso proposto dalla Regione Molise) «le disposizioni di cui al comma 569 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, non si applicano alle regioni commissariate ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2007, n. 222». A sua volta, il comma 396 dello stesso articolo, abrogava il comma 570 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (il quale, come già accennato, stabiliva la estensione della incompatibilità anche ai commissariamenti disposti a norma dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Da tale operazione normativa, dunque, non veniva “toccato” il regime dei commissariamenti di cui ai commi 79, 83 e 84 dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, che avevano formato oggetto della novellazione operata dall’art. 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014, il quale aveva introdotto, per quei commissariamenti, il meccanismo della incompatibilità fra le note cariche di commissario ad acta e Presidente della Regione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– Alla stregua di tale composita evoluzione del quadro normativo può dedursi la infondatezza della eccezione sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, dal momento che l’originario “titolo” di commissariamento della Regione Molise, rappresentato dal più volte richiamato art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, non si è affatto “inalveato” – come pretenderebbe la difesa dello Stato – all’interno della più “matura” e completa disciplina dei commissariamenti dettata – pur tenendo conto delle articolate sovrastrutturazioni normative che l’hanno attinta, attraverso le varie fonti novellatrici – dalla legge n. 191 del 2009.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Occorre infatti rilevare che i commissariamenti più antichi – come quello della Regione Molise, che ormai ha abbondantemente superato il decennio – non hanno subito una sorta di “novazione” sul versante della legislazione applicabile, in quanto la base normativa dalla quale ha tratto origine l’intervento sostitutivo dello Stato è rimasta intatta nella sua perdurante produzione di effetti, al punto che ha formato oggetto di espresso richiamo proprio – e da ultimo – ad opera della norma censurata dal ricorso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Deve infatti escludersi che per le Regioni all’epoca già commissariate, la legge n. 191 del 2009 abbia rappresentato una fonte “novatrice” di tale portata da aver nella sostanza “sterilizzato” la precedente disciplina. Il riferimento alle Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007 era stato infatti soppresso dall’art. 1, comma 395, della legge n. 232 del 2016, che aveva escluso la incompatibilità per quei tipi di commissariamento, a testimonianza, dunque, della perdurante efficacia di quel regime di commissariamento. Tant’è che il decreto oggi impugnato si è ovviamente fatto carico di eliminare quella disposizione, sopprimendo, appunto, il primo periodo di quel comma.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ma ugualmente di rilievo è l’assunto della difesa regionale, laddove evidenzia come l’art. 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009, avesse espressamente chiarito che per le Regioni già sottoposte a piani di rientro e commissariate alla data del 31 dicembre 2009 restasse fermo l’assetto della gestione commissariale previgente, pur trovando per esse applicazione le disposizioni dettate dai commi da 80 a 86 dell’art. 2 della stessa legge. Considerazioni, quelle testé svolte, avvalorate dal fatto che i vari decreti di nomina dei commissari richiamavano tutti l’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A prescindere, dunque, dalla validità della tesi secondo la quale dalla eventuale incostituzionalità deriverebbe una sorta di “reviviscenza retrograda”, che generebbe l’automatico riespandersi delle disposizioni previgenti alle varie novelle con portata abrogatrice – tesi che non potrebbe comunque condividersi, in considerazione del fatto che le varie modifiche succedutesi nel tempo non sono state di abrogazione pura e semplice – è assorbente rilevare che l’interesse al ricorso risulta asseverato dal fatto che la eventuale rimozione della incompatibilità, introdotta dalla disposizione impugnata, lascerebbe inalterato, per le Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, il quadro normativo previgente, con la conseguente possibilità di designare o mantenere, quale commissario ad acta, la persona che rivesta un incarico istituzionale presso la Regione commissariata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.– A proposito, poi, della ulteriore eccezione di inammissibilità per carenza di interesse al ricorso, proposta dall’Avvocatura generale dello Stato sul presupposto che non sarebbe stata impugnata la parte della norma che enuncia i requisiti che deve possedere il commissario ad acta, e che, comunque sia, precluderebbe il conferimento dell’incarico ad un “politico”, la difesa regionale – a prescindere da qualsiasi rilievo circa il naturale “assorbimento” di tale profilo nel quadro delle censure proposte – puntualmente rileva come la impugnativa della Regione avesse riguardato l’art. 25-septies del d.l. n. 119 del 2018 in tutte le sue parti, addirittura espressamente enunciando, a pag. 9 del ricorso, proprio il comma 2, lettera b), della disposizione censurata, ove si dettano, per l’appunto, i requisiti professionali di cui deve essere in possesso il commissario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche tale eccezione va dunque disattesa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.– Scendendo all’esame del merito delle singole censure, rilievo pregiudiziale assume la questione relativa alla prospettata violazione dell’art. 77 Cost., dedotta sul presupposto che la norma impugnata, inserita in sede di conversione del d.l. n. 119 del 2018, si presenterebbe del tutto estranea rispetto alla materia disciplinata dalle disposizioni originarie del decreto stesso.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.1.– L’Avvocatura generale dello Stato prospetta la inammissibilità della questione per mancanza di lesione di attribuzioni regionali e, dunque, per mancanza di ridondanza del parametro non relativo alle competenze. Altro sarebbe, infatti, la disciplina dei piani di rientro, altro è la disciplina del commissariamento – oggetto della norma censurata – che è espressione del potere sostitutivo dello Stato ai sensi dell’art. 120 Cost., e che rientra nell’ambito della competenza statale esclusiva. Anche se si tratta di discipline fra loro correlate – soggiunge l’Avvocatura – nondimeno le stesse devono essere tenute distinte, in quanto riferite a fasi diverse della procedura finalizzata al risanamento finanziario dei servizi sanitari: per la prima, attinente alla programmazione ed attuazione dei Piani di rientro, trova applicazione il principio cooperativo e di condivisione; per la seconda, riguardante l’intervento sostitutivo dello Stato attraverso il commissariamento, la competenza legislativa è di esclusiva spettanza statale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La tesi della difesa dello Stato non può, però, essere, nel caso di specie, condivisa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In linea di massima, deve infatti ritenersi corretta l’affermazione secondo la quale, una volta constatato il fallimento dei concordati Piani di rientro, i cui risultati sono accertati attraverso le periodiche verifiche effettuate nell’ambito di Tavoli di lavoro cogestiti, l’intervento dello Stato, attraverso l’istituto del commissariamento, coinvolge una fase di intervento sostitutivo ontologicamente riservato – sul piano normativo e gestionale – alle scelte statali, nell’ambito delle attribuzioni devolute e per le finalità indicate dall’art. 120, secondo comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>E deve in proposito richiamarsi il costante assunto, ribadito da ultimo nelle sentenze n. 195 e n. 194 del 2019, secondo il quale «le Regioni possono evocare parametri di legittimità costituzionale diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze tra Stato e Regioni solo a due condizioni: quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite […] e quando le Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza della lamentata illegittimità costituzionale sul riparto delle competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando adeguatamente in proposito».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Occorre peraltro assegnare il dovuto risalto alla circostanza che, per il concreto atteggiarsi delle specifiche opzioni esercitate in ambiti pur riservati, lo Stato possa “incidere” su competenze regionali concorrenti – come la tutela della salute ed il coordinamento della finanza pubblica – secondo prospettive che la Regione può rivendicare come menomative, e di là dai limiti tracciati dalle necessità insite nell’intervento in sussidiarietà.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ove così non fosse, d’altra parte, si realizzerebbe una ipotesi di totale sottrazione al controllo costituzionale da parte delle Regioni, circa i possibili ambiti di interferenza con le relative attribuzioni, in tutte le ipotesi in cui lo Stato faccia uso degli eccezionali poteri al medesimo conferiti per surrogare carenze degli enti locali, in particolare sul versante della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ebbene, nella vicenda in esame, introducendo la norma impugnata un meccanismo di incompatibilità tra la carica di commissario ad acta rispetto all’affidamento o alla prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione commissariata, si determina una automatica menomazione sul piano delle competenze, anche rispetto alla previgente disciplina, dal momento che il quadro normativo preesistente consentiva l’esercizio di quella funzione da parte del Presidente della Regione commissariata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Un novum normativo che finisce, quindi, per determinare (specie per i commissariamenti in atto, ricoperti da presidenti di Regione, che decadono dall’incarico) una significativa interferenza nella sfera regionale, anche sul versante del relativo assetto ordinamentale, riferito, per di più, alla gestione di ambiti di competenza (sanità e coordinamento della finanza pubblica) concorrenti, anche se incisi dall’intervento sostitutivo dello Stato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non è quindi contestabile la legittimazione della Regione a far valere i vizi di una normativa che – pur se inquadrata nell’ambito dell’esercizio del potere sostitutivo dello Stato – modifica il previgente regime, direttamente riguardante non le attribuzioni del commissario ad acta in quanto tali, ma la persona che ricopra l’incarico di Presidente della Regione, assunto come soggetto incompatibile a svolgere quelle funzioni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.– Nel merito, la questione è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni avuto modo di ribadire che «l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto-legge determina la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. Tale violazione, per queste ultime norme, non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza, giacché esse, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma scaturisce dall’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad esso, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La legge di conversione è fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge ed è caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario. Essa non può quindi aprirsi a qualsiasi contenuto, come del resto prescrive, in particolare, l’art. 96-bis del regolamento della Camera dei deputati. A pena di essere utilizzate per scopi estranei a quelli che giustificano l’atto con forza di legge, le disposizioni introdotte in sede di conversione devono potersi collegare al contenuto già disciplinato dal decreto-legge, ovvero, in caso di provvedimenti governativi a contenuto plurimo, «alla ratio dominante del provvedimento originario considerato nel suo complesso» (sentenza n. 32 del 2014).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>D’altra parte, «il carattere peculiare della legge di conversione comporta anche che il Governo – stabilendo il contenuto del decreto-legge – sia nelle condizioni di circoscrivere, sia pur indirettamente, i confini del potere di emendamento parlamentare. E, anche sotto questo profilo, gli equilibri che la Carta fondamentale instaura tra Governo e Parlamento impongono di ribadire che la possibilità, per il Governo, di ricorrere al decreto-legge deve essere realmente limitata ai soli casi straordinari di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost. (sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007)» (sentenza n. 154 del 2015).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È vero – e va ancora ribadito – che «[l]a legge di conversione […] rappresenta una legge “funzionalizzata e specializzata” che non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine eterogenei (ordinanza n. 34 del 2013), ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle originarie o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico» (sentenza n. 32 del 2014).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tuttavia questa Corte ha anche precisato che la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto di omogeneità si determina solo quando le disposizioni aggiunte siano totalmente «estranee» o addirittura «intruse», cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (sentenza n. 251 del 2014), per cui «Solo la palese “estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge” (sentenza n. 22 del 2012) o la “evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge” (sentenza n. 154 del 2015) possono inficiare di per sé la legittimità costituzionale della norma introdotta con la legge di conversione» (sentenza n. 181 del 2019, nonché, da ultimo, nello stesso senso, sentenza n. 226 del 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.3.– Ebbene, alla stregua dei richiamati principi, appare nella specie evidente che tra le norme che hanno formato oggetto del decreto-legge n. 119 del 2018 e quella oggetto di scrutinio, inserita ad opera della legge di conversione, non sia intravedibile alcun tipo di nesso che le correli fra loro, né sul versante dell’oggetto della disciplina o della ratio complessiva del provvedimento di urgenza, né sotto l’aspetto dello sviluppo logico o di integrazione, ovvero di coordinamento rispetto alle materie “occupate” dall’atto di decretazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’originario decreto, infatti, enunciava i presupposti della straordinaria necessità e urgenza come raccordati a «misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili». Il provvedimento, in particolare, era strutturato in due titoli: il primo, recante «Disposizioni in materia fiscale», ed il secondo, «Disposizioni finanziarie urgenti». Il primo titolo era a sua volta suddiviso in tre capi: il primo recante «Disposizioni in materia di pacificazione fiscale», composto da nove articoli; il capo II recante «Disposizioni in materia di semplificazione fiscale e di innovazione del processo tributario», composto di sette articoli; il capo III recante «Altre disposizioni fiscali», composto da quattro articoli. Il Titolo II era composto da sette articoli.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Come posto in evidenza dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, l’originario decreto-legge (composto, come si è detto, da 27 articoli) è passato, a seguito dell’esame del Senato, a 64 articoli complessivi. Il Comitato ha sottolineato, al riguardo, che il provvedimento appare riconducibile, sulla base del preambolo, a due distinte finalità: da un lato, quella di introdurre nuovi meccanismi di carattere fiscale; dall’altro lato, quella di effettuare rifinanziamenti di significativi stanziamenti di bilancio (quali le risorse destinate al contratto di programma con le società RFI-Spa, art. 21; quelle per il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, art. 22; quelle per l’autotrasporto, art. 23; quelle per le missioni internazionali, art. 24; a queste finalità – ha ancora osservato il Comitato – se ne aggiunge una terza, per quanto non riportata nel preambolo, vale a dire quella di intervenire in materia di integrazione salariale straordinaria, art. 25. «Andrebbe approfondita – rileva il documento – la riconducibilità a tale perimetro» di varie norme introdotte in sede di conversione, fra le quali si cita espressamente proprio l’art. «25-septies (piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario)», che costituisce oggetto dei ricorsi.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va infine sottolineato che il Comitato conclusivamente «raccomanda altresì quanto segue: abbia cura il Legislatore di volersi attenere alle indicazioni di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014 in materia di decretazione d’urgenza, evitando “la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei”».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, esclusa qualsiasi pertinenza delle disposizioni di carattere fiscale contenute nel titolo I del decreto rispetto al tema dei commissari per il ripianamento delle spese sanitarie regionali, non può non sottolinearsi come del tutto eccentrico rispetto a quel tema si presenti anche l’oggetto (e la ratio) delle disposizioni di carattere “finanziario”, posto che gli articoli del decreto “incasellati” nel titolo II sono dedicati, come si è visto, al finanziamento di specifiche attività o fondi tutti eterogenei gli uni rispetto agli altri.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>D’altra parte, a segnalare la eccentricità della norma censurata rispetto alla materia del decreto sta – come correttamente puntualizza la Regione ricorrente – il rilievo che, in sede di conversione del decreto stesso, il legislatore abbia avvertito l’esigenza di modificare, in parte qua, proprio la rubrica del titolo II, introducendo le parole «e disposizioni in materia sanitaria», a testimonianza della estraneità della norma rispetto al contenuto del provvedimento convertito.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A tale riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato osserva, da un lato, che la disposizione oggetto dei ricorsi è intervenuta su norme contenute in due leggi finanziarie, e dunque rientrerebbe nella “materia finanziaria” che costituisce in parte oggetto dell’originario decreto. Dall’altro lato, la difesa dello Stato rileva che la disciplina dei piani di rientro afferisce pacificamente alla materia della finanza pubblica e, in particolare, alle politiche di bilancio, dal momento che l’andamento economico della sanità regionale costituisce una componente essenziale del quadro macroeconomico nazionale, specie con riferimento proprio al caso dei commissariamenti, che presuppongono uno squilibrio di gravità tale da imporre interventi immediati sul piano del contenimento della spesa pubblica, a salvaguardia della unità economica nazionale e dei livelli essenziali di prestazioni in tema di salute.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A fronte di tali rilievi deve però rilevarsi che il concetto di “materia finanziaria” si riempie dei contenuti definitori più vari, in ragione degli oggetti specifici cui essa risulta in concreto riferita; mentre, non è certo la sedes in cui la norma risulti inserita (legge finanziaria) quella dalla quale cogliere quei tratti di univocità di ratio che la difesa della resistente pretenderebbe desumere.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È proprio perché la “materia finanziaria” risulta concettualmente “anodìna” – dal momento che ogni intervento normativo può, in sé, generare profili che interagiscono anche con aspetti di natura “finanziaria” – che il riferimento ad essa, come identità di ratio, risulta in concreto non pertinente a fronte di una disposizione i cui effetti finanziari sono indiretti rispetto all’oggetto principale che essa disciplina, giacché – ove così non fosse – le possibilità di “innesto” in sede di conversione dei decreti-legge di norme “intruse” rispetto al contenuto ed alla ratio complessiva del provvedimento di urgenza risulterebbero, nei fatti, privata di criteri e quindi anche di scrutinabilità costituzionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La disposizione impugnata deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 77 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.– Restano assorbite le ulteriori censure dedotte dalla Regione ricorrente.</em></p>