Massima
Scongiurare una lite presente o futura tra le parti può avere effetti benefici non solo in ottica processuale (deflazione del contenzioso) ma già – e prima ancora – in ottica sostanziale, massime in termini di potenziale recupero della fiducia reciproca tra le parti, le quali possono – nei casi a più lieto esito – financo novare il proprio precedente rapporto, ponendolo nel nulla e sostituendolo integralmente con uno nuovo; il tutto con effetti costitutivi che non si limitano ad accertare, ma si spingono a “disporre” tra le parti medesime giusta reciproche concessioni le cui ricadute possono divenire assai complesse laddove molteplici siano gli attori della vicenda sulla quale la transazione impinge, come nella tipica ipotesi dell’obbligazione solidale.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Nella codificazione liberale la transazione trova posto agli articoli 1764 e seguenti; in particolare, l’art.1764 la definisce come contratto con cui le parti, dando, promettendo o ritenendo ciascuna qualche cosa, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere. Importante anche l’art.1772 alla cui stregua le transazioni hanno tra le parti l’autorità di una sentenza irrevocabile, con conseguente collocazione della transazione a cavallo tra la sostanza ed il processo: essendo assimilata alla sentenza irrevocabile, parte della dottrina attribuisce alla transazione natura accertativa (negozio di accertamento), e non già costitutiva. Dal testo dell’art.1769 ed in particolare dal riferimento a “ciò che è stato espresso” si evince la necessità della forma scritta ad substantiam per la validità del contratto.
1942
Il codice civile (21 aprile), disciplina la transazione agli articoli 1965 e seguenti. Non viene riproposta l’assimilazione tra la transazione e la sentenza irrevocabile, circostanza che fa propendere la dottrina e la giurisprudenza per la natura non già di accertamento, ma costitutivo-dispositiva della transazione, opzione ermeneutica confortata dall’art.1976 c.c., laddove si prevede non più la irrevocabilità dell’accertamento transattivo, quanto piuttosto la possibilità che la transazione si risolva per inadempimento. Dal punto di vista dell’oggetto della transazione, importante l’art.2113 c.c. che, in materia di lavoro subordinato, prevede l’invalidità delle rinunce e delle transazioni che hanno ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi. Sul crinale della forma l’art.1967 precisa che la forma è generalmente richiesta ormai solo ad probationem, e non già per la validità del contratto, esclusi i casi in cui siano coinvolti i diritti di cui all’art.1350 c.c. Da un punto di vista più generale, secondo il disposto dell’art.1304 c.c. la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare; l’art.1199 disciplina poi la quietanza di pagamento che il creditore soddisfatto rilascia al debitore adempiente.
1948
Viene varata la Costituzione repubblicana secondo la quale, ai sensi dell’art.41, l’iniziativa economica privata è libera, non potendosi tuttavia svolgere in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; viene demandato alla legge di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Si tratta di una norma che fonda l’autonomia negoziale dei privati e, ad un tempo, ne richiama i pertinenti limiti orientati a tutelare interessi costituzionalmente rilevanti sia dal punto di vista individuale che collettivo.
1968
Il 5 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3658, che abbraccia la tesi della natura costitutivo – dispositiva della transazione prevista dal codice civile del 1942, piuttosto che di mero accertamento.
1978
Il 9 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2251 che distingue la transazione dal negozio di accertamento facendo perno sulla diversa causa che rispettivamente li connota: mentre nella transazione le parti perseguono l’interesse a dirimere con effetti ex nunc una lite presente o futura tra loro, nel negozio di accertamento le parti medesime perseguono l’interesse ad eliminare con effetti ex tunc una situazione di incertezza che connota un rapporto tra loro preesistente.
1980
Il 26 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 3443, che si occupa della transazione novativa e della inammissibilità dell’azione di risoluzione per inadempimento di tale accordo transattivo ex art.1976 c.c. laddove il rapporto preesistente sia stato estinto per novazione (salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato tra le parti in via derogatoria): laddove una parte agisca per la risoluzione della transazione novativa, non occorre per la Corte una apposita eccezione della controparte, vertendosi in tema di condizioni dell’azione e di conseguente possibilità per il giudice di rilevare d’ufficio tale inammissibilità.
1983
Il 10 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.161 che distingue la transazione dal negozio di accertamento appuntandosi fondamentalmente sulla presenza di reciproche concessioni (costitutive e dispositive) nella transazione; tali reciproche concessioni non si rinvengono invece nel negozio di accertamento giusta il quale le parti mirano solo a conferire certezza ad un rapporto giuridico preesistente tra loro, con valore dichiarativo e ricognitivo.
1984
Il 9 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 5659 che si occupa della transazione non avente carattere novativo, predicandone la relativa risolubilità per inadempimento, riferendosi l’art.1976 c.c. (e la non risolubilità ivi prevista) alla sola transazione novativa, che estingue l’originario rapporto sostituendosi al medesimo.
1987
Il 9 luglio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n.5999 che si occupa della differenza tra la transazione ed il negozio di accertamento; più in specie, nella transazione le parti modificano (con effetti costitutivi e dispositivi) la disciplina di un rapporto preesistente mediante reciproche concessioni, mentre con il negozio di accertamento le parti rimuovono dubbi ed incertezze relativi ad un determinato rapporto giuridico con una regolamentazione nuova (solo perché così interpretata a partire da quel momento), ma in realtà corrispondente ad una situazione preesistente, e dunque con effetti retroattivi.
Il 5 agosto esce esce la sentenza della II Sezione della Cassazione n. 6727 alla cui stregua il legato di alimenti ex art.660 c.c., giusta esplicito richiamo del codice alle prestazioni di cui all’art.438 c.c., ha efficacia da intendersi subordinata alla sussistenza dello stato di bisogno dell’onorato legatario. Si tratta di un legato non cedibile, non compensabile e non rinunciabile né transigibile, a differenza per la Corte di legato di mantenimento che è invece soggetto a transazione.
1988
Il 15 febbraio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n.1617 che dichiara risolubile per impossibilità sopravvenuta sia la transazione semplice, sia la transazione novativa (quest’ultima non risolubile solo per inadempimento della parte, ex art.1976 c.c.).
Il 12 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6138 che si occupa della rescissione per lesione nella transazione, esclusa dall’art.1970 c.c. Per la Corte nella transazione in cui due parti contrapposte in virtù di pretese tra loro incrociate decidono entrambe di rinunciare alle proprie rivendicazioni giusta accordo transattivo, dal consenso che le parti si scambiano concludendo la transazione è difficile scorgere delle prestazioni ad esso eziologicamente riconducibili e, men che meno, una “sproporzione ultra dimidium” tra le ridette prestazioni.
1993
Il 5 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.7319 alla cui stregua la capacità di disporre dei diritti richiesta in capo alle parti dall’art.1966, comma 1, c.c. è un aspetto della più generale capacità di agire (art.2 c.c.).
*Il 28 agosto esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9125 che dichiara risolubile per eccessiva onerosità sopravvenuta sia la transazione semplice, sia la transazione novativa (quest’ultima non risolubile solo per inadempimento della parte, ex art.1976 c.c.).
1994
Il 18 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9762 che si occupa della forma della transazione nell’ipotesi in cui una delle parti contrattuali sia la Pubblica Amministrazione. Per la Corte la volontà di obbligarsi della PA non può desumersi per implicito da atti o fatti più o meno indicativi di una aspirazione o inclinazione intenzionale, ma deve essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam; né la suindicata necessità può ritenersi attenuata o derogata nell’ipotesi in cui il negozio che la PA intende concludere con un altro soggetto abbia per oggetto l’estinzione transattiva di un debito per risarcimento danni.
1997
Il 22 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4562 alla cui stregua la transazione può costituire un atto di straordinaria amministrazione quando abbia ad oggetto un danno che, per la relativa natura ed entità, possa incidere profondamente sulla vita presente e futura del danneggiato, ovvero nel caso di specie di un minore.
1998
Il 12 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione 11451 che si occupa della possibilità che la quietanza di pagamento rilasciata dal creditore al debitore ai sensi dell’art.1199 c.c. possa costituire prova scritta di una transazione e, in particolare, di un accordo transattivo complessivamente considerato. Per la Corte, la quietanza ha valore probatorio di regola limitatamente alla somma della quale attesta la ricezione da parte del creditore, tranne che in base a particolari elementi di fatto che devono essere specificamente individuati affiori la volontà abdicatoria in relazione ad altri importi dovuti per il medesimo titolo – oltre a quelli indicati come percepiti – o la volontà comune delle parti – in relazione ad un dissenso, sia pure potenziale, su un determinato rapporto giuridico – di evitare ogni contesa giusta reciproche concessioni.
1999
Il 3 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1787 che esclude la possibilità per la transazione di essere provata per presunzioni, stante la necessità della forma scritta ad probationem di cui all’art.1967 c.c.
Il 22 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3984 che inserendosi in un consolidato solco pretorio dichiara – ai sensi dell’art.1970 c.c. – la transazione non impugnabile per causa di lesione (e dunque non rescindibile) stante come la considerazione dei reciproci sacrifici e vantaggi siccome derivanti dal contratto transattivo (che dunque ha natura costitutiva, e non dichiarativa) deve ritenersi assumere carattere soggettivo, essendo rimessa all’autonomia negoziale delle parti.
Il 6 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11117, che si occupa dell’oggetto della transazione assumendo tale non il rapporto o la situazione giuridica (diritto) cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui tale valutazione discorde ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse vogliono eliminare giusta reciproche concessioni. Secondo la Corte affinché una transazione sia validamente conclusa è necessario da un lato che essa abbia ad oggetto una “res dubia” – e dunque che cada su un rapporto giuridico avente, almeno nell’opinione delle parti, carattere di incertezza – e dall’altro che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare tra loro, i contraenti si facciano delle reciproche concessioni.
2000
Il 14 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1642 che esclude la possibilità per la transazione di essere provata per testimoni, stante la necessità della forma scritta ad probationem di cui all’art.1967 c.c. La Corte tuttavia precisa che la prova per testimoni può essere ammessa per provare non già il contenuto della transazione, ma il fatto che essa abbia avuto luogo, onde è ammissibile la prova testimoniale del contratto di transazione quando lo stesso non sia invocato tra le parti quale fonte di reciproci diritti ed obblighi, ma quale atto in senso stretto consistente nel riconoscimento dell’altrui diritto e produttivo degli effetti interruttivi della prescrizione ex art.2944 c.c.
*Il 26 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5344 che esclude la possibilità per la transazione di essere provata per presunzioni, stante la necessità della forma scritta ad probationem di cui all’art.1967 c.c.
Il 4 settembre esce la sentenza del Tribunale civile di Catania alla cui stregua laddove manchi la reciprocità delle concessioni si configura un negozio diverso dalla transazione: in sostanza, le reciproche concessioni non possono essere l’oggetto della transazione, contribuendo piuttosto a definirne la causa.
2001
Il 21 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2490, che distingue dalla transazione il compromesso in arbitri: quest’ultimo è un contratto con il quale le parti, piuttosto che prevenire una lite o porvi fine giusta reciproche concessioni, devolvono la controversia tra loro insorta ad uno o più arbitri in luogo del giudice ordinario.
2003
Il 3 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazoine n.5139 che rivede la propria posizione sull’oggetto della transazione: non si tratta, per la Corte, della lite in atto o che può sorgere tra le parti, e ciò sia perché detta lite è solo il presupposto della transazione, e sia anche perché ad essa non possono riferirsi i requisiti di cui all’art.1346 c.c. (oggetto possibile, lecito, determinato o determinabile); oggetto della transazione è dunque la situazione giuridica controversa, vale a dire la cosa o il comportamento su cui vertono la pretesa e la contestazione delle parti. La Corte precisa nondimeno che, poiché la transazione non importa una volizione retrospettiva (ex tunc), come invece avviene nel contratto di accertamento, tale oggetto va considerato essenzialmente sul piano della situazione che dalla transazione medesima consegue. La Corte rappresenta, sotto altro profilo, come la transazione non possa essere annullata per errore di fatto o di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto della controversia: essa dunque estende anche all’errore di fatto il regime della non annullabilità che l’art.1969 c.c. prevede testualmente per il solo errore di diritto; l’unico caso in cui l’errore può per la Corte divenire rilevante ai fini dell’annullabilità della transazione è quello in cui esso non cada direttamente sulle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti (caput controversum), ma sui relativi presupposti o antecedenti logici (sempre che si tratti di errore essenziale e riconoscibile).
Il 6 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6861 onde, affinché un negozio possa essere considerato transattivo, è necessario da un lato che esso abbia ad oggetto una res dubia, e dunque cada su un rapporto giuridico avente, almeno nell’opinione delle parti, carattere di incertezza; e dall’altro lato che, nell’intento di far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare tra loro, i contranti si facciano delle concessioni reciproche, il cui contenuto può peraltro per la Corte atteggiarsi nel modo più vario.
Il 16 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11142 che – ai fini della validità della transazione – assume necessaria la sussistenza di una res litigiosa, chiarendo tuttavia come a tale fine non occorra che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza propria della pretesa, essendo sufficiente anche l’esistenza di un dissenso potenziale anche se ancora da definire nei più precisi termini di una lite e non esteriorizzato in una rigorosa formulazione.
Il 27 ottobre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 6666 che assume la capacità di disporre dei diritti di cui all’art.1966, comma 1, c.c. quale difetto di legittimazione delle parti (e non già di capacità di agire), con conseguente inefficacia (e non annullabilità) della transazione stipulata in relativo difetto.
2004
Il 15 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.13114 che individua nell’arbitro irrituale sostanzialmente un mandatario a transigere, la cui decisione può valere come accertamento, ovvero come transazione impugnabile con riguardo ai limiti del mandato ad esso conferito dalle parti.
2005
Il 23 marzo esce la sentenza del Tribunale civile di Roma secondo la quale – in difetto di reciproche concessioni – la transazione va assunta nulla per difetto di causa: tali reciproche concessioni non costituiscono dunque l’oggetto della transazione, ma contribuiscono ad identificarne la causa contrattuale.
2006
Il 28 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4455 che, in tema di transazione novativa ex art.1976 c.c., ne riconosce l’esistenza quando si accerti la contestuale convergenza di due elementi, l’uno di natura oggettiva e l’altro di natura soggettiva: sul piano oggettivo è necessario per la Corte che le parti, al fine di risolvere o prevenire una lite, siano addivenute ad una rinunzia reciproca, anche parziale, alle proprie pretese, volta a modificare, estinguendola, la situazione negoziale precedente e ad instaurarne una nuova in quanto tra i due rapporti, il vecchio e il nuovo, vi sia una situazione di obiettiva incompatibilità, onde è proprio tale obiettiva incompatibilità a compendiare il requisito oggettivo dell’aliquid novi; sul piano soggettivo è poi necessario per la Corte che sussista una inequivoca manifestazione di volontà delle parti in tal senso, ovvero che esse abbiano palesato il loro intento di instaurare tra loro un nuovo rapporto e di estinguere quello originario, dando a tale volontà forma e contenuto adeguati, sicché il requisito soggettivo (animus novandi) non può mai assumersi implicito, dovendo piuttosto essere espresso ed esplicito.
Il 12 aprile viene varato il decreto legislativo n.163, codice dei contratti pubblici, il cui art. 240 comma 18 prevede – in tema di appalti pubblici – accordi bonari con natura transattiva
Il 19 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.22395 alla cui stregua – in punto di determinatezza o determinabilità dell’oggetto della transazione ex art.1346 c.c. – non è necessaria una indicazione specifica ad opera delle parti, dal momento che la specificità dei termini di un accordo transattivo non costituisce requisito essenziale per la validità della transazione se dal contesto della convenzione transattiva si possa desumere la sussistenza di dazioni e concessioni che le parti si siano reciprocamente fatte allo scopo di porre fine ad una lite già cominciata o di prevenire una lite che può sorgere tra loro.
Il 16 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.24377 che si occupa della transazione non novativa, e della conseguente possibilità di ottenerne la risoluzione per inadempimento: quando la transazione non ha carattere novativo, la mancata estinzione del rapporto originario (che discenderebbe invece da tale carattere novativo) significa non già e non tanto che la posizione delle parti ed il rapporto che le avvince siano regolati contemporaneamente dall’accordo originario e da quello transattivo (non novativo), quanto piuttosto che l’eventuale venir meno dell’accordo transattivo fa rivivere l’accordo originario; ciò a differenza appunto della fattispecie in cui le parti abbiano espressamente od oggettivamente stipulato un accordo transattivo a carattere novativo, laddove l’art.1976 c.c. sancisce la non risolubilità di tale tipo transattivo (novativo).
2007
Il 26 gennaio esce la sentenza della Corte d’Appello di Torino che si occupa della nullità della transazione ai sensi dell’art.1972 c.c., quando essa è relativa ad un contratto illecito, e dunque ha ad oggetto un contratto a propria volta nullo per causa illecita (art.1343 c.c.) o per motivo illecito (art.1345 c.c.). Per la Corte l’art.1972 c.c. si riferisce ad una transazione novativa, che elide il rapporto sottostante novandolo con un nuovo rapporto. Ove così non fosse, per la Corte la nullità deriverebbe dal rapporto di collegamento tra di due titoli, poiché in caso di accordo transattivo conservativo, come tale idoneo a lasciare in vita il rapporto sottostante nullo, la nullità di quest’ultimo produce nullità derivata della transazione che su di esso incide.
Il 2 agosto esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n.17015 che si occupa dell’errore di diritto normalmente irrilevante nella transazione ex art.1969 c.c., in quanto investente una questione oggetto di controversia tra le parti. Per la Corte, in tema di annullamento della transazione ai sensi dell’art.1969 c.c., è rilevante (e rende dunque annullabile la transazione) il solo errore di diritto che – non investendo direttamente la res controversa – cada su un presupposto della stessa e dunque su un antecedente logico della transazione, mentre è irrilevante l’errore di diritto che cada appunto su una questione che sia stata oggetto di controversia tra le parti (il c.d. “caput controversum”); per la Corte non è quindi annullabile – nel caso di specie – la transazione con la quale le parti abbiano convenuto un determinato corrispettivo come incentivo all’esodo e a tacitazione di tutti i diritti del lavoratore in relazione alla cessazione del pertinente rapporto di lavoro, in quanto in tale caso l’errore, incidendo sulle reciproche concessioni, attiene direttamente all’oggetto della transazione, e non già ad un relativo presupposto.
2008
Il 15 settembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.23674 che si occupa della transazione novativa ex art.1976 c.c., rappresentando come la transazione assuma per l’appunto carattere novativo quando le parti, in sede di accordo transattivo, non si limitano a reciproche concessioni, ma danno vita ad autonomi quanto nuovi rapporti giuridici incompatibili con la situazione preesistente onde la transazione produce l’effetto di eliminare in radice il conflitto solo a seguito della relativa, compiuta esecuzione. La pronuncia sembra valorizzare l’accertamento di un aliquid novi globalmente inteso al fine di predicare la presenza di una transazione novativa.
Il 31 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 26325 che, occupandosi della quietanza di pagamento rilasciata dal creditore al debitore ex art.1199 c.c., rappresenta costituire una confessione stragiudiziale dell’avvenuto pagamento dell’obbligazione, come tale revocabile solo per errore o violenza, ai sensi dell’art.2732 c.c. La quietanza si conferma dunque uno strumento utile ad operare una delle reciproche “concessioni” che compendiano la transazione.
2011
Il 30 dicembre esce l’importante sentenza delle SSUU n.30174, che si occupa del complesso regime della transazione con riguardo alle obbligazioni solidali, nel caso in cui sia intervenuto accordo transattivo tra il creditore e uno dei condebitori in solido. In primo luogo le SSUU distinguono l’ipotesi della transazione parziaria, che investe dunque non l’intero credito solidale, ma solo una quota ideale del debito gravante in capo ad uno dei condebitori solidali, dalla transazione che investe l’intera obbligazione solidale: soltanto in quest’ultimo caso (transazione che investe l’intera obbligazione solidale, e non già la quota ideale di condebito solidale gravante su uno dei debitori in solito), si applica l’art.1304 c.c., con conseguente diritto dei condebitori non transigenti di profittare della transazione stipulata da uno di loro con il creditore, senza che eventuali clausole inserite nella transazione possano impedirlo; si tratta di un diritto potestativo, riconducibile ad un caso eccezionale in cui, ai sensi dell’art.1372, comma 2, c.c., il contratto (di transazione) produce per legge effetti nei confronti di terzi (i condebitori solidali non transigenti). Nel diverso caso di transazione parziaria, che investe dunque non l’intera obbligazione solidale, ma soltanto la quota ideale di uno dei condebitori solidali, l’art.1304 c.c. non si applica, essendosi al cospetto di una obbligazione divisibile in cui la solidarietà è stata prevista nel solo interesse del creditore (al fine di meglio garantirne la soddisfazione del pertinente credito); è il giudice del merito a dover di volta in volta verificare, applicando i canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., se ci si trovi dinanzi ad una transazione parziaria (con conseguente inapplicabilità dell’art.1304 c.c.) o ad una transazione sull’intera obbligazione (con conseguente piena applicabilità dell’art.1304 c.c.). Le SSUU si soffermano poi, più in specie, sul caso in cui la transazione sia parziaria, al fine di verificare come si calcola il residuo credito che il creditore solidale può esigere dagli altri condebitori solidali (che non possono profittare della transazione del condebitore transigente per la ridetta inapplicabilità dell’art.1304 c.c.): la Corte distingue l’ipotesi in cui il condebitore solidale transigente abbia pagato al creditore una somma pari o superiore all’importo della relativa quota ideale di debito, fattispecie nella quale – anche al fine di scongiurare la locupletazione del creditore medesimo – quest’ultimo potrà pretendere dagli altri condebitori solidali non transigenti l’importo globale del credito decurtato di quanto ricevuto in pagamento dal condebitore solidale transigente; dall’ipotesi in cui il condebitore solidale transigente abbia pagato al creditore una somma inferiore all’importo della relativa quota ideale di debito, fattispecie nella quale – anche al fine di scongiurare un vulnus ai condebitori solidali non transigenti (i quali non possono profittare della transazione, ma non possono neppure risultarne alfine pregiudicati, circostanza che si verificherebbe se fossero costretti a pagare in più quel tanto in meno che ha pagato il condebitore solidale transigente in forza della transazione con il creditore) – il creditore in parola potrà pretendere dagli altri condebitori solidali non transigenti l’importo globale del credito decurtato in misura proporzionale rispetto a quanto ricevuto in pagamento dal condebitore solidale transigente.
2013
Il 25 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.24164 secondo la quale ai fini della valida conclusione di un contratto di transazione è necessario, da un lato che essa abbia ad oggetto una “res dubia”, e dunque che cada su un rapporto giuridico avente – almeno nella opinione delle parti – carattere di incertezza; e dall’altro che, nell’intento di far cessare la ridetta “res dubia” insorta fra loro, i contraenti si facciano delle reciproche concessioni. L’oggetto della transazione, precisa la Corte nel solco di un consolidato orientamento sul tema, non è peraltro il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo, e che le parti stesse intendono eliminare mediante le reciproche concessioni che si fanno, le quali ultime possono consistere anche in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese, in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un “quid medium” tra le prospettazioni o pretese iniziali.
2015
Il 24 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.3598 che puntualizza le differenti conseguenze che, in ambito processuale, possono essere ricondotte rispettivamente ad una transazione e ad una cessazione della materia del contendere, in presenza della prima – transazione tra le parti – il giudice emettendo una pronuncia di merito con la quale rigetta la domanda dell’attore, stante la valenza preclusiva dell’atto transattivo; al cospetto della seconda – cessazione della materia del contendere – il giudice emettendo invece una pronuncia di rito.
Il 30 settembre esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n.19458, alla cui stregua, ai fini dell’annullamento di un contratto perché concluso in stato d’incapacità naturale, il gravissimo pregiudizio a carico dell’incapace costituisce elemento indiziario dell’ulteriore requisito della malafede dell’altro contraente, ma, di per sé, non è idoneo a costituirne la prova assoluta. La Corte conferma nel caso di specie la decisione di merito innanzi ad essa impugnata, che ha respinto la domanda di annullamento di un accordo transattivo proprio per non avere il lavoratore assolto all’onere di allegazione e prova circa la sussistenza del requisito della malafede dell’altro contraente.
2016
Il 19 aprile entra in vigore il decreto legislativo n.50, c.d. “codice degli appalti” (d.lgs. 50/16), il cui art. 217, comma 1, lett. e), abroga l’art. 240 comma 18 del previgente codice n.163.06 secondo cui gli accordi bonari conclusi ai sensi del medesimo articolo hanno natura transattiva
Il 19 dicembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.26113 onde, in caso di transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori in solido ed avente ad oggetto la sola quota del condebitore che l’ha stipulata (transazione “parziaria”), il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto, ma questo solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla relativa quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla ridetta quota ab origine facente idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati va per la Corte ridotto in misura proporzionalmente pari alla quota di chi ha transatto: in questo caso dunque la misura della riduzione per gli altri condebitori in solido che non abbiano partecipato alla transazione non è data dal “pagato” dal debitore transigente, ma da “quanto avrebbe dovuto pagare in ragione della propria quota” (e rispetto al quale quanto ha pagato è meno); in questo modo, i condebitori solidali beneficiano della transazione stipulata dal condebitore che ha transatto, in quanto il loro debito si riduce proporzionalmente dell’importo che quegli avrebbe dovuto pagare al creditore anche se in realtà la somma che gli ha concretamente versato è stata inferiore.
2017
Il 15 novembre esce l’ordinanza della V sezione della Cassazione n. 27054 onde, in caso di accertamento fiscale basato sugli stessi elementi su cui sia stata stipulata una transazione tra privato e INPS, l’affermazione secondo cui il risultato dell’attività istruttoria posto a base dell’avviso di accertamento non può essere sconfessato dall’accordo stragiudiziale raggiunto tra le parti per la conciliazione della controversia lavoristica parallelamente sorta (prevalendo dunque su tale transazione) postula che agli esiti di quell’attività lecita i giudici d’appello abbiano riconosciuto idoneità a sorreggere l’atto impositivo, che sia impedita solo da quell’accordo: quando non sia possibile riscontrare ciò, l’accertamento non potrà superare le risultanze evincibili dall’atto transattivo (che dunque in questi casi deve assumersi prevalente).
Il 12 settembre esce la sentenza delle SSUU n. 21109 che ribadisce la non divulgabilità della corrispondenza intercorsa tra i difensori e avente ad oggetto la proposta conciliativa ex art. 91, comma 1, c.p.c..
Il 13 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 24077 secondo cui la richiesta di risarcimento del danneggiato alla assicurazione del danneggiante, a mezzo lettera raccomandata, quale condizione di proponibilità dell’azione ai sensi e nei termini di cui all’art. 22, L. n. 990 del 1969, integra un atto giuridico in senso stretto, e non piuttosto un atto negoziale, né una proposta transattiva, sicché l’indicata condizione deve ritenersi soddisfatta anche quando la richiesta stessa venga formulata da un legale in nome e per conto del danneggiato, pure se privo di procura scritta, o se lo stesso sia minorenne.
2018
Il 14 febbraio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 956 che, in materia di gare, richiede che il concorrente, in sede di dichiarazione di tutte le vicende pregresse, concernenti fatti risolutivi, errori o altre negligenze comunque rilevanti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, occorse in precedenti rapporti contrattuali con PPAA diverse dalla stazione appaltante, dichiari anche gli inadempimenti che abbiano dato luogo ad una conclusione transattiva della vicenda poiché rilevanti al fine di valutare l’affidabilità professionale dell’appaltatore. L’inosservanza di tale onere comporta irrimediabilmente l’esclusione dalla gara e non può essere sanato, mediante ricorso al soccorso istruttorio, istituto non utilizzabile per sopperire alla mancanza di dichiarazioni o documenti essenziali ai fini dell’ammissione alla gara.
Il 16 marzo esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n.6598 onde, in tema di pubblico impiego e in materia di sospensione cautelare disposta ai sensi dell’art. 97 d.P.R. n. 3/1957, ove il potere disciplinare risulti regolarmente esercitato e applicata la conseguente sanzione disciplinare (nella fattispecie il licenziamento per giusta causa), l’eventuale revoca del licenziamento, intervenuta a seguito di accordo transattivo conciliativo, non può essere considerata quale riconoscimento dell’infondatezza dell’addebito contestato, conseguendone che non potrà essere richiesta la differenza tra retribuzione che si sarebbe percepita in assenza della sospensione e l’assegno alimentare riconosciuto, dovendo trovare applicazione il comma 2 del citato art. 97 d.P.R. n. 3/1957. Il Collegio precisa che la circostanza, pur enfatizzata nel caso di specie dalla Corte di merito, che successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro inter partes, fosse intervenuto un accordo transattivo fra le parti, idoneo di per sé a porre nel nulla gli effetti connessi al tempestivo esercizio della azione disciplinare, non presenta valore decisivo ai fini della soluzione della delibata questione, non emergendo dalla statuizione emessa dai giudici del gravame, alcun elemento che sia idoneo a far ritenere che le parti abbiano inteso, con il sopravvenuto accordo, disciplinare anche i diritti avanzati dal lavoratore in relazione al periodo di sospensione cautelare dal servizio. Privo di fondamento – prosegue la Corte – è l’assunto della Corte distrettuale secondo cui le parti avrebbero stipulato una transazione conservativa, con ricostituzione del rapporto ed eliminazione delle conseguenze sfavorevoli connesse con il licenziamento, così come non appare condivisibile l’ulteriore argomentazione onde la sanzione sarebbe stata posta nel nulla per scelta del datore di lavoro che ha rinunciato ad esercitare il proprio potere disciplinare, revocando la sanzione. Il potere disciplinare risulta infatti per la Corte esercitato pienamente da parte datoriale, e non è emerso sia stato inficiato dai fatti sopravvenuti enunciati dalla Corte di merito, inidonei, dunque, ad impingere in alcun modo nella vicenda scrutinata. Il carattere meramente transattivo della revoca del licenziamento disciplinare a suo tempo intimato fa sì che essa non possa considerarsi come riconoscimento dell’infondatezza dell’addebito su cui si era basato. Pertanto, non si è verificata la prima delle due ipotesi cui il cit. art. 97 riconnette il diritto alla differenza tra retribuzione e assegno alimentare, vale a dire l’accertata infondatezza dell’addebito; né sussiste l’altra ipotesi, inerente alla tardiva attivazione del procedimento disciplinare. In altre parole, non avendo in sede conciliativa le parti stabilito alcunché circa la sorte delle retribuzioni durante il periodo di sospensione cautelare, si deve applicare puramente e semplicemente il cit. art. 97, che non consente il recupero della differenza tra retribuzione e assegno alimentare quante volte l’addebito sia stato comunque ritualmente e tempestivamente accertato all’esito del procedimento disciplinare, seppur poi in concreto non sia stata eseguita (o sia stata revocata) la relativa sanzione.
*Il 25 giugno esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 3925 che, in materia di gare, richiede che il concorrente, in sede di dichiarazione di tutte le vicende pregresse, concernenti fatti risolutivi, errori o altre negligenze, comunque rilevanti ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, occorse in precedenti rapporti contrattuali con PPAA diverse dalla stazione appaltante, dichiari anche gli inadempimenti che abbiano dato luogo ad una conclusione transattiva della vicenda poiché rilevanti al fine di valutare l’affidabilità professionale dell’appaltatore. L’inosservanza di tale onere comporta irrimediabilmente l’esclusione dalla gara e non può essere sanato mediante ricorso al soccorso istruttorio, istituto non utilizzabile per sopperire alla mancanza di dichiarazioni o documenti essenziali ai fini dell’ammissione alla gara.
Il 9 luglio esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 4192 che afferma rientrare nel perimetro della cognizione del giudice dell’ottemperanza la valutazione circa gli effetti prodotti su un decreto ingiuntivo non opposto da un successivo contratto transattivo intervenuto tra le parti, trattandosi di questione preliminare di merito che il giudice è tenuto a risolvere per valutare se sussiste il diritto di agire in via esecutiva.
Il 12 luglio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato onde non può dar luogo ad esclusione dalla gara un accordo transattivo tra una impresa ed una P.A., nel caso in cui tale accordo transattivo sia di contenuto meramente patrimoniale e non abbia dato luogo, propriamente, ad una «condanna» al risarcimento del danno o ad altre sanzioni, ai sensi dell’art. 80 del codice degli appalti; secondo il Collegio, il concetto di condanna non può che essere di stretta interpretazione, proprio per le conseguenze espulsive che derivano dalla fattispecie tipizzata dal legislatore, e che per definizione presuppone una statuizione giudiziale condannatoria e non già un mero accordo transattivo (art. 1965 c.c.).
Il 7 novembre esce la sentenza della sezione lavoro della Cassazione n. 28448 che, al fine di riconoscere al verbale di conciliazione sindacale valore transattivo, richiede l’accertamento dello schema tipico di tale tipo contrattuale (in particolare gli elementi dell’aliud datum et retentum) dovendo diversamente ritenersi formata una mera dichiarazione di scienza.
L’8 novembre esce la sentenza della III sezione del TAR Sicilia – Catania che riconosce illegittimo un provvedimento di proroga di un contratto pubblico adottato sulla base di una transazione stipulata con la ditta interessata; i provvedimenti di proroga dei contratti pubblici, infatti, vanno per il Tar considerati illegittimi perché in contrasto con l’art. 97 Cost., oltre che con i principi comunitari di concorrenza, non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità, nonché, in generale, con la normativa comunitaria, che all’art. 31, comma 1, n. 4, lett. b), Direttiva 2004/18 consente agli Stati membri il rinnovo dell’affidamento, con ricorso alla procedura negoziata, solo quando ricorrono le condizioni in esso indicate, tra le quali rileva che la possibilità del rinnovo sia indicata sin dall’avvio del confronto competitivo e l’importo totale previsto per la prosecuzione sia individuato nel bando.
Il 7 novembre esce la sentenza della Cassazione penale, sez. III, n. 50157, che affronta la problematica di come disporre la confisca per equivalente, in caso di accordi transattivi con il Fisco. Sostiene la Corte che nel caso di accordi conciliativi con l’erario, deve attribuirsi rilevanza alla quantificazione del profitto operata in sede amministrativa, ma il giudice penale, in forza dell’inesistenza di una pregiudiziale tributaria, ben può discostarsi dalla determinazione dell’ammontare del profitto come risultante nell’accordo, purché ne dia congrua motivazione.
2019
Il 20 febbraio esce l’ordinanza della Corte di Cassazione civile, sez. III, n. 4022, che affronta la fattispecie della risoluzione del contratto, con riferimento alla gravità dell’inadempimento. Afferma la Corte che la gravità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1455 c.c., va commisurata all’interesse che la parte adempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto e non alla convenienza, per detta parte, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all’adempimento (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale – sul presupposto che la richiesta pronuncia, annullando gli sforzi compiuti per comporre la lite, non corrispondesse all’interesse della parte istante – aveva respinto la domanda di risoluzione di una transazione).
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Il 27 febbraio esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III Civile, n. 5721/19, che si pronuncia sugli effetti della transazione, proposta da una delle parti, in ambito di adempimento dell’onere della prova. La Corte di legittimità, logicamente, chiarisce che la proposta di accordo transattivo, proveniente da una delle parti, non può assumere valore probatorio (ad esempio, confessorio), nel corso del giudizio instaurato: tale proposta di definizione bonaria non può assumere un valore probatorio contrario alla parte che l’abbia avanzata, al solo fine di definire o di evitare l’insorgere di una controversia giudiziale.
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Il giorno 11 marzo esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. I civile, n. 6922, che si pronuncia, in tema di procedure concorsuali, sul caso di concordato preventivo senza transazione e non applicabilità della regola dell’infalcidiabilità del credito IVA. Sostiene la Corte di legittimità che
nell’ambito del concordato preventivo, la previsione dell’infalcidiabilità del credito IVA, di cui all’art. 182-ter della Legge Fallimentare, trova applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale. Infatti la regola dell’infalcidiabilità del credito IVA è inclusa nella disciplina speciale del concordato preventivo con transazione fiscale. E non si può pretendere di estenderla ai casi regolati dalla disciplina generale del concordato preventivo senza transazione.
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Il 22 marzo esce l’ordinanza della Cassazione civile, sez. II, ordinanza n, 8240/2019, che si pronuncia sui presupposti per la configurabilità di una “transazione divisionale” (negozio con il quale, in sede di divisione ereditaria, gli eredi contestualmente dividono ma anche “transigono” sulle rispettive quote). La Corte afferma che non è sufficiente la consapevolezza della sproporzione delle quote, o dei beni indicati nell’accordo divisorio, per far presumere la volontà di transigere. Pertanto, afferma la Corte di legittimità che ai fini dell’interpretazione di un negozio come transazione divisionale, nel quale la causa transattiva prevale su quella divisionale, non è possibile presumere la volontà di transigere con rinuncia ai propri diritti, sulla base della semplice consapevolezza della sproporzione delle quote o dei beni indicati nell’accordo divisorio, in mancanza non solo dell’aliquid datum aliquid retentum, ma anche di un mero disaccordo tra gli eredi e di qualsiasi espressa rinuncia o menzione della volontà di comporre future controversie.
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Il giorno 11 aprile esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. II civile, n. 10187, che si pronuncia in tema di effetti dell’ammissione al gratuito patrocinio in caso di composizione della lite, per via transattiva. Il principio di diritto sostenuto dalla Cassazione è il seguente: l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, fino a quando non sia revocata, continua, pur in caso di composizione della lite, a produrre i suoi effetti, vale a dire vi è l’obbligo dell’Erario di procedere all’anticipazione degli onorari e delle spese dovuti al difensore, il quale, pertanto, ha il diritto alla relativa liquidazione. Allo Stato, piuttosto, spetta il diritto al relativo recupero, ove ne sussistano le condizioni.
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Il 29 aprile esce l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. lavoro, n. 11354, che si pronuncia in un caso di azione risarcitoria (promossa dai genitori per la figlia minore), e di accordo transattivo intervenuto in corso di causa. Sostiene la corte che l’accordo transattivo con l’azienda sanitaria per il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità medica e non esclude il rimborso delle spese sostenute per cure all’estero. Viene pertanto accolta la richiesta di una coppia di genitori, che sono stati obbligati a recarsi in America per un ciclo di terapie per la figlia e l’ azienda sanitaria viene condannata a rimborsare le spese da loro sostenute. Viene, dunque, considerato irrilevante il fatto che madre e padre abbiano raggiunto un accordo transattivo con l’azienda sanitaria per la chiusura del giudizio civile risarcitorio riguardante la responsabilità della struttura e dei medici per la patologia della figlia.
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Il 29 luglio esce la sentenza della sezione Lavoro della Cassazione n. 20418 che richiama il consolidato orientamento secondo cui l’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti.
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Il 30 luglio esce l’ordinanza della Corte di Cassazione civile, sez. II, n. 20547, che afferma il principio di diritto secondo cui in caso di transazione della causa tra le parti, l’onorario professionale va parametrato e determinato in base al valore della domanda giudiziale introduttiva, ovviamente in caso di causa introdotta con domanda di valore determinato, e non invece con riferimento al valore dell’importo transatto.
Lo stesso giorno esce l’ordinanza della sez. IV del Consiglio di Stato, n. 5391, che rimette all’Adunanza Plenaria la risoluzione delle seguenti questioni di diritto:
- a) se per le fattispecie sottoposte all’esame del giudice amministrativo e disciplinate dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri (c.d. acquisizione sanante), l’illecito permanente dell’Autorità viene meno solo nei casi da esso previsti (l’acquisizione del bene o la sua restituzione), salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti, di natura transattiva;
- b) se, pertanto, la ‘rinuncia abdicativa’, salve le questioni concernenti le controversie all’esame del giudice civile, non può essere ravvisata quando sia applicabile l’art. 42 bis;
- c) se, ove sia invocata la sola tutela restitutoria e/o risarcitoria prevista dal codice civile e non sia richiamato l’art. 42 bis, il giudice amministrativo può qualificare l’azione come proposta avverso il silenzio dell’Autorità inerte in relazione all’esercizio dei poteri ex 42 bis;
- d) se, in tale ipotesi, il giudice amministrativo può conseguentemente fornire tutela all’interesse legittimo del ricorrente applicando la disciplina di cui all’art. 42 bis e, eventualmente, nominando un Commissario ad acta già in sede di cognizione
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Il 17 ottobre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 26528 che richiama due importanti principi consolidati in giurisprudenza.
Da un lato, ricorda che in tema di transazione, le reciproche concessioni alle quali fa riferimento l’art. 1965, primo comma, cod. civ., possono riguardare anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, purché questi ultimi siano ragionevolmente prevedibili; il relativo accertamento è riservato all’apprezzamento del giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logica e completa.
Sotto altro punto di vista, precisa che il presupposto della res dubia, che caratterizza la transazione, è integrato non dalla incertezza obiettiva circa lo stato di fatto o di diritto, ma dalla sussistenza di discordanti valutazioni in ordine alle correlative situazioni giudiziali ed ai rispettivi diritti ed obblighi delle parti: nessuna incidenza sulla validità e sulla efficacia del negozio può attribuirsi all’accertamento ex post della assoluta infondatezza di una delle contrapposte pretese; e ciò proprio perché la prevenzione della lite, o il suo superamento e non quindi un astratto accertamento del contenuto esatto ed effettivo della res dubia – costituiscono quel che è causa/scopo funzionale che muove le parti a transigere.
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Il 30 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 27789 in tema di quantificazione del compenso dell’avvocato.
Per quanto concerne il caso di controversia definita a seguito di transazione fra le parti, viene richiamato l’orientamento secondo cui il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all’avvocato nei confronti del cliente, si determina, in base alle norme del codice di procedura civile, avendo riguardo soltanto all’oggetto della domanda, considerata al momento iniziale della lite, per cui nessuna rilevanza può attribuirsi alla somma concretamente liquidata dal giudice in sentenza, ovvero realizzata dal cliente a seguito di transazione.
È stato infatti chiarito che l’indagine demandata al giudice di merito è quella di verificare l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perché in tali casi – a prescindere dai profili di responsabilità ascrivibili al professionista – il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata stante la sua obiettiva inadeguatezza rispetto alla attività svolta.
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Il 9 dicembre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 32109 che affronta il problema degli effetti di una transazione novativa sulla causa pendente rispetto al rapporto transatto.
A norma dell’art. 1976 c.c., «la risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione, salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato»; invero, «se il rapporto preesistente è stato estinto per novazione», la transazione è novativa, elide il rapporto originario e quindi «la risoluzione della transazione per inadempimento non può essere richiesta».
Con la clausola di chiusura «salvo che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato», il legislatore ha inteso tuttavia precisare che l’inadempimento della transazione novativa «non può far rivivere rapporti definitivamente estinti se non quando la volontà di entrambe le parti abbia subordinato all’effettivo adempimento l’estinzione medesima» (Relazione cod. civ., n. 773).
In dottrina, il patto di risolubilità della transazione novativa è inteso come un accordo di «quiescenza», diretto a tenere in sospeso il rapporto originario, sino all’effettivo adempimento della transazione novativa, quiescenza che si correla ad una condizione sospensiva, giacché il rapporto originario si estingue solo se, e quando, la transazione novativa è adempiuta.
In linea generale, la transazione novativa, stipulata tra le parti in causa e avente ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, determina la cessazione della materia del contendere, appunto per l’effetto estintivo che essa ordinariamente dispiega sul rapporto originario.
Osserva a questo punto la Corte che, quand’anche la transazione abbia carattere novativo, tuttavia, cioè quand’anche essa obiettivamente sostituisca al precedente un nuovo rapporto obbligatorio, non può il giudice far da essa discendere la declaratoria di cessazione della materia del contendere sul rapporto originario, ove le parti abbiano espressamente stipulato il diritto alla risoluzione, a norma dell’inciso finale dell’art. 1976 c.c..
Il Collegio richiama quindi un precedente, pur non recente, secondo il quale, ove in una transazione avente carattere novativo sia pattuita la clausola risolutiva espressa per il caso di inadempimento, il verificarsi della condizione risolutiva determina la completa reviviscenza del rapporto originario antecedente alla risolta transazione (Cass. 9 agosto 1969, n. 2974).
Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: “la transazione novativa stipulata tra le parti in causa e avente ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio non determina la cessazione della materia del contendere qualora contenga l’espressa pattuizione del diritto delle parti alla risoluzione per inadempimento della transazione medesima, giacché questa pattuizione, secondo l’inciso finale dell’art. 1976 c.c., impedisce l’estinzione immediata del rapporto originario e lo tiene in stato di quiescenza sino all’effettivo adempimento della transazione novativa; solo l’adempimento della transazione determina l’effettiva estinzione del rapporto originario, mentre la risoluzione della stessa per inadempimento comporta la reviviscenza del medesimo rapporto”.
2020
Il 7 febbraio esce la sentenza della VI sezione penale della Cassazione n. 5236 che fa proprio l’orientamento secondo cui non sono configurabili i reati di cui agli artt.12-sexies legge 1 dicembre 1970, n. 898 e 570 cod. pen., qualora gli ex coniugi si siano attenuti ad accordi transattivi conclusi in sede stragiudiziale pur quando questi non siano trasfusi nella sentenza di divorzio che nulla abbia statuito in ordine alle obbligazioni patrimoniali.
Se è pacifico che le intese patrimoniali che siano state eventualmente raggiunte dalle parti in sede di separazione non incidono sulla determinazione dell’assegno di divorzio ai sensi dell’art. 5 della legge n.898 del 1970, modificato dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, presupponendo l’assegno divorzile Io scioglimento del matrimonio, è anche vero che nella giurisprudenza civile di legittimità si è riconosciuta la liceità delle intese economiche raggiunte dalle parti dopo la presentazione della domanda di divorzio, poiché gli accordi si riferiscono ad un divorzio che le parti hanno già deciso di conseguire e non semplicemente prefigurato: con la conseguenza che tale parametro esegetica debba valere, a maggior ragione, quando la sentenza di divorzio sia già intervenuta e gli accordi tra gli ex coniugi abbiano ad oggetto una modifica delle statuizioni patrimoniali contenute in quella decisione.
E’ ragionevole, infatti, stimare che queste intese non possano produrre effetti vincolanti tra le parti solo laddove dovessero contenere clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell’assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all’ordine pubblico: in mancanza di tali circostanze, non si Vede perché un accordo transattivo non possa produrre effetti obbligatori per le parti, anche prima e indipendentemente dal fatto che il suo contenuto sia stato recepito in un provvedimento dell’autorità giudiziaria. In questo senso si è espressa anche la Cessazione civile, per la quale l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l’omologazione.
Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: “non è configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio di cui all’art. 570-bis cod, pen., qualora l’agente si sia attenuto agli impegni assunti con l’ex coniuge per mezzo di un accordo transattivo, non omologato dall’autorità giudiziaria, modificativo delle statuizioni sui rapporti patrimoniali contenute in un precedente provvedimento giudiziario“.
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Il 20 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 4451 sul tema della risolubilità della transazione per eccessiva onerosità sopravvenuta, tema che, pur godendo di una sua classicità presso la dottrina, ha avuto poche occasioni di emersione in giurisprudenza.
La legge stabilisce l’irrescindibilità della transazione per causa di lesione (art. 1970 c.c.) e l’irresolubilità per inadempimento della transazione novativa (art. 1976 c.c.), ma non anche l’irresolubilità della transazione per eccessiva onerosità sopravvenuta. Una linea dottrinale esclude la risolubilità della transazione per eccessiva onerosità sopravvenuta poiché qualifica la transazione come contratto aleatorio, sì da riportarla alla generale irresolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta dei contratti aleatori (art. 1469 c.c.).
Seppur autorevole, questa posizione è isolata in letteratura, e negletta dalla giurisprudenza di legittimità. Per la sua natura commutativa, e non aleatoria, la transazione è considerata soggetta al principio generale di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. L’irresolubilità della transazione novativa per inadempimento, sancita dall’art. 1976 c.c., quale eccezione al principio generale di risolubilità dei contratti a prestazioni corrispettive per alterazione del sinallagma funzionale, è ritenuta inestensibile all’eccessiva onerosità, oltre che all’impossibilità sopravvenuta e alla presupposizione. La commutatività della transazione può dirsi ormai acquisita, sorretta dalla “reciprocità delle concessioni” che l’art. 1965 c.c. indica a fondamento causale del negozio compositivo, sicché, se ancora si dibatte, come per la revocatoria fallimentare da notevole sproporzione, non si dibatte più sull’aleatorietà o la commutatività della transazione, ma unicamente sui parametri oggettivi del giudizio commutativo.
In base alla natura commutativa del rapporto tra aliquid datum e aliquid retentum, considerata inoltre la valenza sistematica della risoluzione per alterazione funzionale del sinallagma, viene enunciato il seguente principio di diritto: «la transazione ad esecuzione differita è suscettibile di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in base al principio generale emergente dall’art. 1467 c.c., in quanto l’irresolubilità della transazione novativa stabilita in via eccezionale dall’art. 1976 c.c. è limitata alla risoluzione per inadempimento, e l’irrescindibilità della transazione per causa di lesione, sancita dall’art. 1970 c.c., esaurisce la sua ratio sul piano del sinallagma genetico».
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Il 5 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1605 che si allinea all’orientamento secondo cui la transazione stipulata a seguito della risoluzione contrattuale disposta dalla stazione appaltante per grave inadempimento impedisce l’accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione stessa, ma determina definitivamente il consolidamento del fatto storico costituito dalla risoluzione per inadempimento disposta dalla stazione appaltante, che richiede, ai sensi dell’art. 1455 c.c., l’importanza e quindi la gravità dell’inadempimento. Tale circostanza (risoluzione contrattuale composta mediante transazione), integra comunque il presupposto del grave errore nell’esecuzione della prestazione, rilevante ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 163 del 2006. Pertanto deve essere dichiarata in sede di partecipazione, potendo rilevare potenzialmente come grave illecito professionale, la risoluzione di un contratto d’appalto seppur poi si è giunti a transazione, non potendo il concorrente dichiarante omettere di rendere la dichiarazione facendo riferimento ad una propria valutazione di non gravità della vicenda.
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Il 20 aprile esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 7963 alla cui stregua gli elementi caratteristici del contratto di transazione sono rappresentati dalla “res litigiosa” (ad integrare la quale, peraltro, non occorre che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza propria della pretesa, essendo sufficiente l’esistenza di un dissenso potenziale, pur se ancora da definire nei più precisi termini di una lite, e non esteriorizzata in una rigorosa formulazione e nel “nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche concessioni, viene a sostituirsi a quello precedente cui si riconnetteva la lite o il pericolo di lite. Secondo la Suprema Corte, quantunque l’accordo transattivo sia connotato da una certa portata innovativa, la differenza tra la transazione “novativa” e quella “conservativa” è da ravvisarsi nel fatto che, nella prima, è necessario che l’accordo raggiunto dalle parti disciplini per intero il nuovo rapporto negoziale, e ciò perché la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un diverso rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche, sicché di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’«animus novandi», consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’«aliquid novi», inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto, sempre nella prospettiva di eliminare la “res litigiosa”. Per contro, la transazione è “conservativa” quando le parti danno vita ad un accordo con il quale le parti si limitano ad apportare modifiche solo quantitative ad una situazione già in atto e a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti (anche) in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un «quid medium» tra le prospettazioni iniziali. La distinzione tra le due fattispecie – transazione “novativa” e “conservativa” – assume rilievo dirimente, secondo la Suprema Corte, ai fini dell’applicazione dell’art. 1972 c.c. Il comma 1 del medesimo art. 1972, nel contemplare l’ipotesi della nullità della transazione relativa al “contratto illecito”, sancisce la nullità della transazione soltanto se questa ha ad oggetto un contratto nullo per illiceità della causa o del motivo comune ad entrambe le parti e non quando si tratta di contratto nullo per mancanza di uno dei requisiti previsti dall’art. 1325 c.c.; tale disposizione prevede l’ipotesi in cui la transazione non abbia avuto a oggetto il titolo, integrando la cosiddetta “transazione novativa”, bensì soltanto la sua esecuzione ovvero gli effetti da esso derivanti (transazione non novativa), con la conseguenza che la nullità del titolo (rimasto in vita) travolge rendendo nulla anche la transazione, seppure le parti abbiano trattato della nullità. Per contro, il secondo comma della norma citata – che disciplina invece il caso in cui la composizione della lite abbia riguardato il titolo (transazione cd. novativa) – ne prevede l’annullabilità (e non la nullità), che può essere chiesta solo dalla parte che ignorava la causa di nullità del titolo, sicché, in sostanza, la transazione novativa ovvero quella che interviene sul titolo è annullabile, ma il vizio del negozio può essere fatto valere soltanto dalla parte che sia in errore sulla nullità del titolo. La Suprema Corte afferma, infine, che l’applicazione dell’art. 1972, comma 2, cod. civ. alla sola transazione cd. “novativa” trova la ragione d’essere nel fatto che la nullità, l’inesistenza o comunque l’esaurimento del preesistente titolo rimasto invece incontroverso e fuori della transazione (cosiddetta transazione «non novativa»), determinano, indipendentemente da ogni impugnativa, automaticamente l’inutilità della transazione e ciò in quanto, come già osservato dalla prevalente dottrina, nella transazione “conservativa”, l’accordo transattivo regola congiuntamente alla fonte preesistente – e non in sostituzione di esso – il rapporto tra le parti, sicché le vicende ad essa relative sono destinate ad influire sulla sorte del contratto di cui all’art. 1965 c.c. L’applicazione, per contro, del comma 1 dell’art. 1972 cod. civ. è, invece, una conseguenza del fatto che in caso di transazione “conservativa”, l’accordo transattivo non potrebbe consentire al titolo illecito – che resta fonte concorrente del rapporto – di produrre effetti giuridici.
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Il 22 aprile esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 8034 onde l’intervenuta transazione dell’oggetto della lite determina l’obiettivo venir meno dell’interesse delle parti alla pronuncia giurisdizionale. Carenza, quest’ultima, che il giudice deve rilevare anche d’ufficio, a prescindere dall’atteggiamento delle parti. Una volta accertata la sopraggiunta carenza di interesse ad agire, il giudice può solo pronunciarsi sulle spese (se non regolate con l’accordo transattivo), ma di certo gli è precluso decidere la causa nel merito.
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Il 10 luglio esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 14711 che conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’art. 1304 comma 1 c.c., nel consentire, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra creditore e uno dei debitori solidali, se ne possa avvalere, si riferisce esclusivamente all’atto di transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, mentre non include la transazione parziale che, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne.
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Il 16 dicembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 28830 che ribadisce il proprio precedente orientamento secondo il quale, ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell’avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito di transazione.
In cosa si compendia la transazione?
- fondamentalmente, nel superare una lite (trans agere), e dunque nel prevenire tale lite o nel porvi fine, attraverso un contratto che ha natura di contratto di scambio;
- il mezzo che le parti utilizzano per raggiungere questo obiettivo (funzione della transazione e dunque causa del contratto, connessa agli interessi delle parti medesime) sono le reciproche concessioni che esse si fanno (aliquid datum, aliquid retentum); si tratta dunque di un contratto di scambio a titolo oneroso;
- le reciproche concessioni – il dare, il promettere o il ritenere del codice del 1865 – presuppongono la disponibilità dei diritti, onde la transazione è nulla (art.1966 c.c.) se tali diritti non sono disponibili in capo alle parti;
- le reciproche concessioni possono limitarsi a porre fine ad una lite già cominciata o a prevenirne una che può sorgere, senza creare, modificare od estinguere rapporti diversi rispetto a quello che ha formato oggetto della pretesa o della contestazione fra le parti (c.d. transazione pura o interna: art.1965, comma 1, c.c., in cui ad un precedente assetto di interessi le parti affiancano l’accordo transattivo); in questo caso l’oggetto del contratto di transazione ex art.1346 c.c. è sempre integralmente una res litigiosa;
- le reciproche concessioni possono porre fine ad una lite già cominciata o a prevenirne una che può sorgere, sostituendo integralmente il precedente rapporto e con esso il pregresso assetto degli interessi con un nuovo regolamento degli interessi medesimi (c.d. transazione novativa: art.1976 c.c., in cui ad un precedente assetto di interessi le parti sostituiscono, sovrapponendovelo, l’accordo transattivo); in questo caso l’oggetto del contratto di transazione ex art.1346 c.c. è sempre integralmente una res litigiosa;
- le reciproche concessioni possono anche porre fine ad una lite già cominciata o prevenirne una che può sorgere, creando, modificando od estinguendo rapporti diversi rispetto a quello che ha formato oggetto della pretesa o della contestazione fra le parti (c.d. transazione mista o esterna: art.1965, comma 2, c.c., in cui rilevano i collegamenti negoziali tra contratti aventi cause proprie ed autonome, ed in cui laddove si crei un nuovo rapporto, esso non si sovrappone integralmente all’accordo originario, ma al limite vi si affianca non già semplicemente come accordo transattivo, ma come nuovo regolamento di interessi); in questo caso l’oggetto del contratto di transazione ex art.1346 c.c. può essere solo parzialmente una res litigiosa;
- ciò che muove le reciproche concessioni, e sul quale esse incidono, è comunque proprio una “res litigiosa”, vale a dire una contrapposizione, un dissenso (anche solo potenziale), un conflitto tra pretese e dunque tra interessi, una controversia o una contestazione, che si sia già approdati o meno ad un processo;
- si ha res litigiosa quando non si ha certezza su tutto o una parte del rapporto sul quale la transazione incide (tanto in fatto quanto in diritto), e dunque quando più a monte si ha una res dubia, che può involgere l’interpretazione del rapporto tra le parti e che può derivare dalle circostanze più varie – di tipo tanto oggettivo (incertezza delle parti su una situazione giuridica presente) quanto soggettivo (opinione incerta su una situazione giuridica futura) – e che può sospingere a voler scongiurare un giudizio financo la parte che sia più o meno consapevole della propria ragione;
- per transigere occorre la forma scritta meramente ad probationem, salvo che coinvolga i diritti di cui all’art.1350, laddove occorre invece la forma scritta ad substantiam e dunque a pena di nullità; è del pari a pena di nullità la forma scritta richiesta laddove una delle parti sia una Pubblica Amministrazione;
Quali sono i contratti e gli atti dai quali la transazione va distinta?
- dall’arbitrato, ed in particolare dall’arbitrato rituale che, pur avendo ormai secondo la giurisprudenza natura negoziale, non tende a prevenire una lite o a porvi fine attraverso delle reciproche concessioni, ma tende piuttosto a devolvere – in alternativa al giudice ordinario – ad uno o più arbitri una controversia, peraltro in difetto di reciproche concessioni; più complessa la differenza con l’arbitrato irrituale che non a caso è talvolta visto dalla giurisprudenza come un mandato delle parti a transigere, conferito all’arbitro irrituale il quale procede con una decisione che vale accertamento o transazione impugnabile nei limiti del mandato conferito;
- dal negozio di accertamento: la transazione è un contratto tipico dalla natura costitutiva e dispositiva caratterizzato dalle reciproche concessioni, capace di far luogo ad un rapporto nuovo tra le parti e la cui causa si compendia nell’interesse delle parti a dirimere una controversia, presupponendo una lite presente o futura; il negozio di accertamento è un contratto atipico o talvolta un atto unilaterale (come nel caso della ricognizione di pagamento ex art.1988 c.c.) dalla natura dichiarativa e ricognitiva, nel quale non sono presenti reciproche concessioni ma si provvede a conferire certezza, con effetti ex tunc, ad un rapporto giuridico che già esiste, con causa che si compendia nell’interesse delle parti ad eliminare, per l’appunto, una situazione di incertezza che investe l’originario rapporto che le avvince.
Quale è l’oggetto del contratto di transazione e cosa occorre ricordare in proposito?
- si tratta di “diritti”, come dimostra l’art.2113 c.c. in tema di lavoro subordinato; si oppone tuttavia che l’inesistenza del diritto vantato (o del rapporto affermato) non rende in realtà la transazione priva di oggetto;
- si tratta in via immediata e diretta della lite, mentre le situazioni giuridiche delle parti che vi sono coinvolte (massime, i diritti) ne costituiscono solo l’oggetto mediato e indiretto; si oppone tuttavia come i requisiti dell’oggetto del contratto generalmente previsti dall’art.1346 c.c. (possibile, lecito, determinato, determinabile) difficilmente possono attagliarsi alla lite;
- si tratta della situazione giuridica (già controversa ed ormai) composta, per come essa consegue alle reciproche concessioni e che consente la composizione della lite tra le parti; si oppone tuttavia che in questo modo si confonde l’oggetto della transazione con i relativi effetti; peraltro si tratta di una tesi che sembra non compatibile con la c.d. transazione complessa (o esterna) di cui all’art.1965, comma 2, c.c., laddove la lite viene composta giusta prestazioni che sono estranee (esterne rispetto) alla situazione giuridica controversa;
- si tratta delle reciproche concessioni; si oppone tuttavia come esse siano più connesse alla funzione (causa) della transazione che al relativo oggetto, anche se vi sono contratti come la compravendita laddove cosa e prezzo contribuiscono ad individuare tanto l’oggetto quanto la causa del pertinente contratto;
- si tratta sia della lite che delle reciproche concessioni delle parti per comporla; la teoria, di origine dottrinale, collega la concessione di una parte all’altra al correlato abbandono della propria pretesa, onde ciascuno dei contraenti è disposto a rinunciare alla propria pretesa (abbandono) nei termini in cui essa è stata formulata ed a venire contestualmente incontro (in tutto o in parte) alle pretese della controparte (concessione), a condizioni di reciprocità;
- si tratta dei diritti di cui si dispone, e dunque delle prestazioni in cui consistono le reciproche concessioni delle parti; si tratta di una opzione ermeneutica capace di abbracciare tanto la transazione semplice (o interna) ex art.1965, comma 1, c.c., quanto quella complessa (o esterna) di cui al comma 2, che coinvolge prestazioni estranee rispetto alla situazione giuridica controversa;
- il codice civile si riferisce implicitamente – sul crinale della liceità – all’oggetto della transazione laddove la dichiara nulla se i diritti “oggetto della lite” (e non della transazione), per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti (art.1966, comma 2, c.c.), norma che sembra optare per la lite quale oggetto del contratto; e laddove la dichiara nulla se “relativa” ad un contratto illecito (art.1972, comma 1), norma che sembra far riferimento ancora una volta alla lite sul contratto (e non al contratto illecito dal quale la lite è scaturita); poiché in entrambi tali casi la transazione è nulla, parrebbe trattarsi di nullità per illiceità dell’oggetto ex art.1346 c.c.; con riguardo alla transazione su contratto nullo, va tuttavia chiarito che per parte della dottrina la transazione è nulla per nullità del relativo oggetto solo laddove sia “relativa” ad un contratto illecito (il negozio è illecito perché orientato al raggiungimento di un effetto contrario alla legge, ed il legislatore si preoccupa di impedire il raggiungimento di detto effetto illecito indirettamente e giusta transazione) e non anche laddove si riferisca ad un atto illecito (in questo caso è l’atto o il fatto ex se che viene assunto contrario alla legge, e non la situazione giuridica che ne discende, onde mentre le conseguenze dell’atto illecito sia per le parti che verso i terzi sono disciplinate dalla legge e collegate al ridetto atto quale sanzione per chi lo ha posto in essere, per quanto concerne la situazione giuridica che discende dall’atto illecito, di essa le parti possono disporne validamente ed efficacemente giusta transazione, con effetti tra le parti medesime senza che sia pregiudicata la valutazione come illecito dell’atto a monte e senza che si determinino le conseguenze di tale atto illecito rispetto ai terzi, che restando disciplinate dalla legge);
Cosa si intende per “capacità di disporre dei propri diritti” ai sensi dell’art.1966, comma 1, c.c.?
- la norma si riferisce alla capacità di agire in generale: laddove difetti, il contratto è annullabile ex art.1425 c.c.;
- la norma si riferisce alla specifica legittimazione a transigere: laddove difetti, il contratto è inefficace;
- la norma si riferisce sia alla capacità di agire in generale, sia alla legittimazione a transigere in particolare, e dunque la transazione è annullabile dove manchi la prima e inefficace dove difetti la seconda;
- per la teoria del contrarius actus, la capacità (potere) di transigere va riconosciuta a chi ha la capacità (potere) di porre in essere l’atto che crea la situazione giuridica controversa (res dubia, res litigiosa).
Cosa si intende per diritti “sottratti alla disponibilità delle parti” ai sensi dell’art.1966, comma 2, c.c., con conseguente nullità della transazione?
- teoria soggettiva: la norma fa riferimento alla posizione delle parti rispetto all’oggetto della lite e dunque alla capacità di disporre; in questi casi per legge espressamente ovvero (implicitamente) la natura dei diritti rende nulla la transazione sui medesimi, a cagione della posizione specifica delle parti rispetto a tali diritti, non potendone esse disporre in quanto tali;
- teoria oggettiva: la norma fa riferimento al solo oggetto della transazione, vale a dire ai diritti sui cui essa cade, onde – in disparte la posizione delle parti – per legge espressamente ovvero (implicitamente) la natura dei diritti rende nulla la transazione sui medesimi (diritti ex se “intransigibili”, a prescindere dalle parti che ne sono titolari).
In quale modo la disciplina della transazione intercetta quella dell’obbligazione solidale?
- la norma di riferimento è l’art.1304 c.c., laddove afferma che la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare; in sostanza, i condebitori in solido possono dichiarare di voler profittare (diritto potestativo) della transazione fatta dal creditore con uno di essi;
- l’art.1304 c.c. non si applica al caso in cui la transazione sia parziaria, riguardi cioè (non l’intero debito solidalmente condiviso dai condebitori, ma) la sola quota di debito del condebitore transigente; la transazione può cadere sulla quota del condebitore solidale (e dunque l’art.1304 c.c. è inapplicabile) allorché si tratti di obbligazione per relativa natura scindibile e non si sia al cospetto di una solidarietà pattuita nell’interesse di uno dei condebitori (circostanza nella quale è inammissibile una divisione in quote); in queste fattispecie il creditore può consentire a transigere con uno dei condebitori limitatamente appunto alla quota di debito di tale condebitore solidale, non essendo necessario un preventivo scioglimento della solidarietà stante appunto la scindibilità dell’obbligazione e la possibilità che lo scioglimento della solidarietà avvenga – con riguardo al condebitore transigente – contestualmente alla transazione sulla quota; la possibilità di transigere con riguardo alla quota del condebitore solidale non postula di necessità titoli diversi che legano le obbligazioni avvinte dalla solidarietà, potendo essa operare anche al cospetto di un titolo unico, laddove il vincolo solidale abbia il solo scopo di garantire una migliore realizzazione del proprio credito, potendo perciò l’autonomia negoziale spiegata dal creditore con uno dei condebitori escludere tale vincolo solidale per una specifica quota parte del debito in parola, ovvero quella riferita al condebitore transigente; quando la transazione cade su una quota del debito solidale e coinvolge il solo condebitore solidale titolare di tale quota, gli altri condebitori solidali non vantano nessun titolo per poter profittare di tale transazione, potendo solo ottenere dal creditore che il proprio debito solidale si riduca dell’importo già pagato dal condebitore transigente; una volta accertato che oggetto della transazione è la quota di uno dei condebitori solidali, si pone il problema di stabilire quale sia il credito residuo che il creditore può azionare, in solido, nei confronti degli altri condebitori non transigenti, che non possono profittare della transazione proprio perché non è applicabile l’art.1304 c.c., profilandosi in proposito tre tesi: b.1) il credito verso gli altri condebitori solidali non transigenti si riduce in proporzione alla quota transatta, onde dato un credito di 100 diviso tra cinque condebitori solidali, ciascuno dei quali sarebbe tenuto alla quota ideale di 20, riducendo in proporzione il credito, a valle del pagamento da parte del condebitore transigente di un importo pari a 15 (<20 in forza della transazione), gli altri condebitori restano tenuti per un importo complessivo pari ad 80; b.2) il credito verso gli altri condebitori solidali non transigenti si riduce in misura pari a quanto percepito dal creditore in virtù della stipulata transazione onde, dato ancora una volta un credito di 100 diviso tra cinque condebitori solidali, ciascuno dei quali sarebbe tenuto alla quota ideale di 20, riducendo il credito di quanto percepito dal creditore a valle del pagamento da parte del condebitore transigente di un importo pari a 15 (<20 in forza della transazione), gli altri condebitori restano tenuti per un importo complessivo pari ad 85 (e non ad 80); b.3) tesi mediana abbracciata dalle SSUU: occorre tenere conto che nella transazione parziaria (che si riferisce alla quota di debito solidale del debitore transigente, e non all’intera obbligazione solidale) non si può giungere né ad una locupletazione del creditore, giusta incasso finale di un importo maggiore di quello dovutogli, né ad un aggravamento della posizione di quei condebitori solidali che sono rimasti estranei alla transazione stipulata da uno di essi, non potendosi essi avvantaggiare della ridetta transazione per inapplicabilità dell’art.1304 c.c., ma non potendo neppure restarne vulnerati, anche per quanto concerne il successivo regresso nei rapporti interni tra loro, onde va distinta l’ipotesi in cui il debitore solidale transigente ha versato una somma pari o superiore alla relativa quota ideale di debito (nell’esempio fatto sopra, 20 o più), fattispecie in cui il credito residuo si riduce di pari importo (80 o meno) anche al fine di scongiurare una locupletazione del creditore, dalla diversa ipotesi in cui il debitore solidale transigente abbia pagato meno di quanto dovuto in virtù della propria quota ideale (nell’esempio fatto, 15 e dunque meno di 20), fattispecie in cui il credito residuo si riduce in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto (80 = 100 – 20), anche al fine di scongiurare un aggravamento nella posizione di chi non ha partecipato alla transazione;
- l’art.1304 c.c. si applica dunque al diverso caso in cui la transazione non sia parziaria, riguardi l’intero debito solidalmente condiviso dai condebitori (e non una quota di esso); in questo caso, la transazione – proprio perché investe l’intero debito solidale, e non già solo una quota del medesimo – diviene in qualche modo comune a tutti i condebitori solidali. In queste ipotesi si assiste ad una deroga del principio per cui il contratto produce normalmente effetti per le sole parti che lo concludono ex art.1372 c.c., poiché in questo caso la transazione tra il creditore solidale e uno dei condebitori estende i propri effetti agli altri condebitori solidali, che possono dichiarare di volerne profittare. In tale fattispecie, gli altri condebitori solidali possono mettersi in una situazione analoga a quella che avrebbero avuto se avessero partecipato anch’essi alla transazione, dal momento che la transazione del condebitore solidale incide sull’intero debito, e non sulla sola quota ideale di debito del condebitore che transige, con la conseguenza onde gli altri condebitori non dovranno pagare l’intero ridotto di quanto pagato pro quota dal condebitore solidale transigente (ad esempio, dati 5 condebitori solidali, 100-20 = 80), ma dovranno pagare l’importo totale decurtato dalla concessione transattiva “globale” del creditore (nell’esempio fatto, e supponendo che il condebitore transigente abbia ottenuto di dover pagare complessivamente quanto in origine dovuto ridotto di 30, 100-30 = 70, che andrà pagato in solido da tutti e 5 i condebitori solidali); peraltro, attribuendo l’art.1304 c.c. ai condebitori solidali non transigenti un diritto potestativo che consente loro di profittare della transazione stipulata dal creditore con uno di loro, tali ultimi due soggetti non potrebbero neppure escludere tale effetto attraverso una clausola derogatoria rispetto a tale regime;
- stante la diversità degli effetti che si producono a seconda dell’incidenza della transazione – onde in caso di transazione sull’intero debito solidale, si applica l’art.1304 c.c., mentre nel caso opposto di transazione parziaria solo sulla quota del condebitore solidale transigente, l’art.1304 c.c. non si applica – il giudice di merito deve accertare cosa le parti abbiano realmente voluto con la transazione, con i diversi effetti che ne derivano, attraverso i canoni ermeneutici di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c..
Quali vizi possono incidere sulla transazione e con quali effetti?
- se la transazione scaturisce da dolo o da violenza, si applica la disciplina generale dei contratti e dunque scatta l’annullabilità;
- se la transazione scaturisce da errore, ed in particolare da errore di diritto relativo alle questioni che sono stata oggetto di controversia tra le parti, l’annullabilità è esplicitamente esclusa, in via derogatoria rispetto alla disciplina generale, dall’art.1969 c.c.;
- le parti attraverso la transazione vogliono evitare di ricercare chi tra loro ha giuridicamente ragione e chi torto, onde essa chiude la lite tra le parti stesse in modo indipendente dalla situazione litigiosa preesistente, che è quella in funzione della quale si transige, sicché in caso di errore o di inesatta conoscenza delle questioni che le parti intendono superare con la transazione, tali errori ed inesattezze non rilevano ex post a fini di annullabilità, diversamente opinando dovendo assumersi inutile la transazione stessa;
- dottrina e giurisprudenza, per questo motivo, assumono irrilevante non solo l’errore di diritto, ma anche lo stesso errore di fatto, che dunque non può essere motivo di annullamento del contratto di transazione (quand’anche l’art.1969 c.c. menzioni il solo errore di diritto): stante una lite, e stante l’ontologica impossibilità che entrambe le parti siano nella ragione, è inevitabile che una di esse si trova in errore o su circostanze di fatto, o sulla relativa qualificazione giuridica, il che le sospinge verso la transazione;
- la irrilevanza dell’errore (di diritto, con estensione all’errore di fatto) – e con essa la non annullabilità della transazione – riguarda solo l’errore che investa le questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti, ovvero il c.d. caput controversum; se l’errore cade su questioni diverse, evidentemente la transazione è annullabile, e dunque l’errore è rilevante, sempre che sia essenziale e riconoscibile ai sensi della disciplina generale (art.1428 c.c.);
- non è sul caput controversum, ed è rilevante – con conseguente annullabilità per errore della transazione – l’errore che cade sui presupposti del caput controversum medesimo, ovvero su un relativo antecedente logico, sicché l’errore (essenziale e riconoscibile) non riguarda direttamente la questione oggetto di controversia tra le parti, ma un antecedente logico o comunque un presupposto di detta questione controversa;
- lo dimostra l’art.1971 c.c. che legittima una delle parti a chiedere l’annullamento della transazione quando l’altra è stata consapevole della temerarietà della propria pretesa: si tratta di una ipotesi in cui si riscontra l’errore di fatto o di diritto di una parte che cade sulla pretesa dell’altra, e tale pretesa oggetto di errore è stata un antecedente logico della questione poi oggetto di controversia tra le parti (caput controversum) e di successiva transazione; in questo caso l’errore, oltre che essenziale, è riconoscibile in quanto controparte è stata pienamente consapevole della temerarietà della propria pretesa;
- lo dimostra l’art.1972 c.c., che legittima una delle parti a chiedere l’annullamento della transazione laddove ha ignorato la causa di nullità del titolo sul quale la transazione è poi intervenuta: in questo caso si ha errore essenziale e riconoscibile (il titolo su cui è intervenuta la transazione è nullo) che concerne tuttavia non direttamente la questione oggetto di controversia tra le parti (caput controversum) e di successiva transazione, ma un relativo antecedente logico, ovvero la nullità del titolo che detta questione ha poi generato;
- lo dimostra l’art.1973 c.c., laddove legittima a chiedere l’annullamento della transazione fatta sulla base di documenti in seguito riconosciuti falsi: in questo caso l’errore essenziale e riconoscibile cade su documenti falsi che hanno costituito meri presupposti o antecedenti logici della questione poi oggetto di controversia tra le parti (caput controversum) e di successiva transazione;
- lo dimostra l’art.1974 c.c., laddove legittima a chiedere l’annullamento della transazione fatta su una lite che risulti poi essere stata già decisa con sentenza passata in giudicato: in questo caso l’errore essenziale e riconoscibile cade su una sentenza ormai in giudicato la cui erronea inesistenza ha costituito il presupposto o l’antecedente logico della questione poi oggetto di controversia tra le parti (caput controversum) e di successiva transazione;
- sul crinale della nullità, la transazione è nulla: k.1) in generale, secondo il disposto dell’art.1418 c.c.; k.2) più in specie, quando coinvolge diritti indisponibili (art.1966, comma 2, c.c.); k.3) ancora, quando è relativa ad un contratto nullo perché illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo;
- sul versante della rescindibilità, ai sensi dell’art.1970 c.c. la transazione (lo si ricava per esclusione) mentre si può rescindere per stato di pericolo (art.1447 c.c.) non si può invece rescindere per lesione ex art.1448 c.c., palesandosi tale rimedio ontologicamente incompatibile con la natura del contratto transattivo: intervenuta la transazione, non si può tornare ad accertare le situazioni giuridiche originarie sulle quali essa ha inciso, e dunque non è possibile valutare la sussistenza o meno di una lesione che le parti stesse, nel dispiegarsi dell’autonomia negoziale ad esse affidata, hanno escluso proprio addivenendo alla transazione che si vorrebbe rescindere; la dottrina (minoritaria) che ne predica la mera natura dichiarativa o di accertamento assume poi non rescindibile la transazione a cagione proprio del fatto che da essa non discendono in realtà (in via costitutiva e dispositiva) prestazioni corrispettive dal cui squilibrio potrebbe affiorare una lesione ultra dimidium, quanto piuttosto il mero accertamento della situazione giuridica originaria, alla quale le parti conferiscono il predicato della certezza incontrovertibile.
Cosa occorre ricordare in particolare della transazione su lite concernente documenti falsi?
- è prevista dall’art.1968 c.c.;
- la transazione ha ad oggetto una lite, e quest’ultima coinvolge documenti falsi; non si transige sulla falsità del documento, materia non disponibile dalle parti, ma sull’uso o sul non uso del documento della cui falsità si discute tra le parti, quale oggetto di reciproche concessioni;
- si tratta di una transazione che presuppone una lite giudiziale, non trovando applicazione laddove non vi sia in corso un giudizio civile di falso;
- durante un giudizio civile di falso, può dunque intervenire una transazione che coinvolge la falsità del documento per cui è processo (in termini di utilizzo del documento stesso);
- tale transazione è valida, ma è inefficace finché non è omologata dal Tribunale, sentito il PM, onde si è al cospetto, per la dottrina, di una condicio iuris di efficacia della transazione;
- a differenza di altre ipotesi previste dal codice civile in cui il Tribunale può, in sede di omologazione, modificare l’accordo che omologa (tipico il caso dell’accordo di separazione consensuale, per quanto concerne affidamento e mantenimento dei figli: art.158, comma 2, c.c.) in questo caso il Tribunale può solo omologare o non omologare, non potendo modificare l’accordo transattivo siccome raggiunto dalle parti.
Cosa occorre ricordare in particolare della transazione novativa?
- è prevista all’art.1976;
- si ha – a monte – un rapporto ed un assetto di interessi tra le parti precedente, sul quale la transazione incide, e che viene estinto per novazione;
- si ha – a valle – un nuovo rapporto, e dunque un nuovo assetto di interessi, che si sostituisce integralmente, si sovrappone al rapporto originario novato (senza che peraltro siano coinvolti altri rapporti giuridici tra le parti, ancorché collegati al rapporto originario);
- per una parte della dottrina, essendo la transazione sempre costitutiva, essa è sempre novativa, sicché è superfluo isolare una figura peculiare di transazione definendola, per l’appunto, novativa, potendosi solo distinguere tra transazione “integralmente” o solo “parzialmente” novativa; per chi invece identifica la natura della transazione semplice in dichiarativa, la transazione novativa è quella peculiare transazione che produce effetti costitutivi, ovvero che collega due negozi distinti tra loro, uno generale transattivo dichiarativo e l’altro speciale transattivo costitutivo e dispositivo;
- sui rapporti tra transazione e novazione, in dottrina ed in giurisprudenza affiorano due diverse posizioni: e.1) seppure siano presenti elementi di omogeneità, occorre distinguere la novazione – che incide sulle singole obbligazioni di cui al rapporto originario – dal contratto di transazione e dai relativi effetti contestualmente estintivi del precedente rapporto e costitutivi del nuovo, con conseguente maggiore elasticità – per quanto concerne globalmente il rapporto sul quale si incide – nell’accertamento sul crinale oggettivo dell’aliquid novi e su quello soggettivo dell’animus novandi in capo alle parti; e.2) la transazione novativa costituisce un contratto che scatuisce dalla imprescindibile combinazione tra funzione transattiva e funzione novativa, onde è necessario sempre accertare – con riferimento al rapporto globalmente inteso e dunque al complessivo assetto degli interessi tra le parti – dal punto di vista oggettivo l’aliquid novi e dal punto di vista soggettivo l’animus novandi in capo alle parti medesime;
- in caso di inadempimento, a differenza di quanto accade nella transazione che non abbia carattere novativo, non è possibile agire per la risoluzione del contratto, salvo il solo caso in cui le parti si siano espressamente riservato tale diritto (art.1976 c.c.); la transazione novativa fa venire meno l’originario rapporto sul quale incide in modo totalizzante e sostitutivo, onde il rapporto originario ormai definitivamente eliso non può rivivere tramite la risoluzione del contratto di transazione novativa, a meno che le parti non abbiamo espressamente previsto in via derogatoria tale possibilità.