Corte di Cassazione, I sezione civile, Ordinanza n. 479 del 11/01/2023.
COMMENTO
Una testata giornalistica che immette nel proprio archivio online un articolo dal contenuto diffamatorio (reato frattanto prescritto) compie una nuova e autonoma fattispecie suscettibile di inquadramento nella categoria dell’illecito civile.
Dirimente ai fini della “trasfigurazione” del contenuto da illecito penale ad ipotesi di illecito aquiliano è la diversa funzione perseguita dal mezzo riproduttivo del materiale giornalistico. La giurisprudenza di legittimità ha infatti qualificato l’archivio digitale della testata come uno strumento dalle finalità “compilative e storiche” (non più giornalistiche) di mera raccolta dati; pertanto, inidoneo ad atteggiarsi come mezzo di divulgazione. Ne consegue l’inapplicabilità della disciplina speciale sulla stampa (Legge 47/1948 – con particolare riferimento all’art. 11) che prevede sul piano civile la responsabilità oggettiva del proprietario e dell’editore in solido con l’autore del reato a mezzo stampa; così come l’insussistenza della diffamazione intesa come fatto tipico previsto dalla legge come reato.
Soccorre alla lesione di diritti costituzionalmente garantiti (all’immagine, alla reputazione personale e professionale o alla vita di relazione) – che l’articolo archiviato potrebbe in ogni caso generare – il principio di atipicità dell’illecito civile e la correlata tutela ai sensi dell’art. 2043 c.c. ove ne ricorrano in concreto tutti i presupposti.
PRINCIPIO DI DIRITTO
“In tema di responsabilità risarcitoria causata dall’inserimento e dal mantenimento di informazioni lesive di diritti personali costituzionalmente garantiti nell’archivio storico digitale di un quotidiano a diffusione nazionale, il detto archivio non è qualificabile come prodotto editoriale su supporto informatico avente i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo, avendo una finalità meramente compilativa, documentarista e storica, e pertanto non rientra nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della L. 8 febbraio 1948, n. 47 e successive modificazioni, risultando di conseguenza inapplicabili le norme della citata legge e in particolare anche quella dettata dall’art. 11 sulla responsabilità oggettiva del proprietario e dell’editore della testata giornalistica. Nell’ipotesi in cui il contenuto diffamatorio degli articoli di stampa cartacea inseriti nell’archivio storico digitale di un quotidiano risulti già accertato con sentenza passata in giudicato, l’inserimento e il mantenimento nel suddetto archivio di quelle stesse informazioni integra una nuova e autonoma fattispecie illecita, ove sussista la lesione di diritti costituzionalmente garantiti (all’immagine, anche sociale, alla reputazione personale e professionale o alla vita di relazione), essendo differenti sia il tempo, sia la forma, sia la finalità della veicolazione di dette notizie, e la successiva lesività diffusiva deve valutarsi in concreto, avuto riguardo a tutte le peculiarità del singolo caso, secondo gli ordinari criteri di cui all’art. 2043 c.c., con onere probatorio a carico del soggetto leso, anche, se del caso, in via di presunzioni, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie (condotta, elemento soggettivo, nesso causale, danno), la cui sussistenza necessita di apposita indagine del giudice di merito”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
“5. La Regione, il cui ricorso è stato notificato lo stesso giorno di quello notificato dalla Gedi, ma in orario anteriore, denuncia: i) con il primo motivo, ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., con riferimento al reato di diffamazione, per avere la Corte di merito dichiarato che la pubblicazione degli articoli in questione nell’archivio storico digitale del quotidiano (Omissis) integra un nuovo illecito diffamatorio, distinto ed autonomo rispetto a quello già commesso in sede di pubblicazione degli articoli in formato cartaceo, dovendo, peraltro, ritenersi prescritto il diritto azionato che trovava fonte in fatti del 1996; ii) con il secondo motivo, ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in riferimento agli elementi del danno aquiliano, per avere la Corte di merito dichiarato sussistere la responsabilità extracontrattuale dell’odierna ricorrente pur in assenza dei presupposti (oggettivo, soggettivo e nesso causale) richiesti dalla citata norma; iii) con il terzo motivo, ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione di legge, in riferimento all’art. 2051 c.c., per avere la sentenza impugnata riconosciuto la responsabilità dell’odierna ricorrente in qualità di nuda proprietaria dell’archivio storico digitale; iv) con il quarto motivo, ex art. 360, comma 1 n. 4 e n. 5, c.p.c. per omessa motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la Corte d’appello motivato in ordine alla fonte della responsabilità della Regione.
- La Gedi denuncia: i) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione, censurata ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., degli artt. 2043c.c. e 595 c.p. in tema di illecito diffamatorio, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che l’inserimento e il mantenimento di articoli, già giudicati diffamatori, nell’archivio storico digitale di un quotidiano consultabile on line, non indicizzato ai motori di ricerca, integri un nuovo illecito diffamatorio rilevante ai fini dell’art. 595 cod. proc.; in particolare deduce che l’archivio digitale in questione, sottoposto a vincolo di interesse culturale da parte della Sovraintendenza e a divieto di smembramento, ha finalità di conservazione e documentazione storica, non è un prodotto editoriale a cui è applicabile la disciplina del(Omissis), ma semmai assoggettato alla disciplina del trattamento dei dati personali, che non rientrava nell’oggetto della domanda del A.A., e in ogni caso, in relazione a detta ultima disciplina, la Gedi, in quanto non titolare del sito e dell’archivio e neppure responsabile o gestore dei dati personali, difetta di legittimazione passiva; ii) con il secondo motivo la nullità della sentenza impugnata, censurata ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c., per mancanza di motivazione in violazione dell’art. 132n. 4 c.p.c., relativamente all’imputabilità a Gedi dell’asserito nuovo illecito diffamatorio, nonché omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione, censurato ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c., ossia, in particolare del fatto, provato, accertato sin dal giudizio di primo grado e incontroverso in causa, che l’inserimento e il mantenimento degli articoli nella Biblioteca Digitale non era stato effettuato da Gedi e che il sito su cui essi sono stati resi consultabili non è di titolarità di Gedi o dalla stessa gestito; ribadisce la Gedi che in punto di fatto risulta accertato dal Tribunale e mai contraddetto dal A.A. che l’unica condotta posta in essere dalla stessa è quella di avere concesso al Comitato, a titolo gratuito e per una ragione di interesse storico, il diritto di duplicare e digitalizzare tutte le collezioni del giornale; iii) con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione, censurata ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., degli artt. 2043 e 2059 c.c. in tema di illecito aquiliano e risarcimento dei danni non patrimoniali, e dell’art. 2697, comma 1, c.c. in tema di onere della prova, nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, censurato ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c., ossia del fatto che gli accessi agli articoli consultabili sul sito sono stati pressoché inesistenti, come assume essere stato documentato dalla Fondazione (Omissis), gestore del sito; deduce l’assenza di allegazioni da parte del A.A. in ordine alla prova del danno, avendo egli erroneamente prospettato che fosse in re ipsa, e rimarca che la Corte d’appello ha ignorato la circostanza decisiva dell’estrema esiguità di accessi alla notizia (meno di 4) e ha fatto erroneamente uso della prova presuntiva, sostanzialmente ritenendo il danno in re ipsa.
- In via pregiudiziale i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, vanno obbligatoriamente riuniti ai sensi dell’art. 335c.p.c., e il ricorso della Gedi, notificato lo stesso giorno ma in orario successivo rispetto a quello della Regione, si converte in ricorso incidentale.
- Occorre premettere, prima di scrutinare i motivi dei ricorsi, alcune considerazioni sulla qualificazione dell’illecito di cui trattasi, che nel caso di specie si connota in modo peculiare sia in ragione del contenuto delle notizie veicolate, accertato come diffamatorio con sentenza passata in giudicato nel 2004 e già oggetto di risarcimento danni in favore del A.A., sia per lo strumento con cui è stato perpetrato, ossia mediante la costituzione dell’archivio storico digitale del quotidiano (Omissis).
Le due principali questioni, tra loro collegate e poste da entrambi i ricorsi, riguardano, infatti, le suesposte connotazioni, poiché la Corte d’appello ha qualificato l’illecito, consistito nell’inserimento e mantenimento nell’archivio digitale di sette articoli di stampa pubblicati nel 1996 sul quotidiano cartaceo (Omissis), come diffamazione a mezzo stampa, ritenendo che l’archivio digitale fosse un prodotto editoriale a cui è applicabile la disciplina sulla stampa.
Sia la Regione, sia la Gedi assumono, invece, che non si possa configurare come nuova e distinta condotta illecita di diffamazione la ripubblicazione, rectius l’inserimento e il mantenimento, dei suddetti articoli nell’archivio storico digitale e che detto archivio non sia qualificabile come un prodotto editoriale soggetto alla disciplina della stampa, essendo, pertanto, inapplicabile la l.n. 47/1948, con tutto ciò che ne consegue in punto di operatività della responsabilità oggettiva sia della Regione, nuda proprietaria della biblioteca digitale, sia dell’editore, che, in realtà, neppure ha assunto, nella fattispecie in esame, la qualità di “colui che pubblica”, essendo ascritta alla Gedi la condotta di aver concesso la digitalizzazione dei dati, mentre gestore dell’archivio era la Fondazione (Omissis) in liquidazione, soggetto rimasto intimato nel presente giudizio. Infatti è stato accertato dai giudici di merito che la Gedi, già Editrice (Omissis), nel 2006 concesse il diritto di duplicare e digitalizzare le collezioni del quotidiano “(Omissis)”, il cui archivio, nel 2003, era stato sottoposto dalla competente Sovraintendenza alla disciplina del D.Lgs. n. 490 del 1999 perché di notevole interesse storico, al Comitato per la Biblioteca Digitale dell’Informazione giornalistica, con l’accordo che tutto il materiale duplicato e digitalizzato fosse di piena ed esclusiva proprietà di detto Comitato. Quest’ultimo, nel 2010, era posto in liquidazione, e la nuda proprietà della biblioteca digitale veniva trasferita alla Regione Piemonte, mentre alla Fondazione (Omissis) era ceduto il diritto d’uso per trenta anni della Biblioteca Digitale al fine di garantirne l’accesso al pubblico on line.
8.1. Ciò posto, è necessario, in primo luogo, stabilire se l’archivio storico digitale possa equipararsi alla pubblicazione a mezzo stampa ai fini dell’applicazione della l.n. 47 del 1948 e successive modificazioni.
La Cassazione penale (Cass. S.U, 31022/2015; Cass. 4873/2017 e conformi) ha chiarito che le testate giornalistiche on line sono assimilabili al(Omissis) cartacea solo in quanto caratterizzate dai medesimi requisiti, ossia dalla: a) struttura, che deve essere costituita dalla “testata”, che è l’elemento che lo identifica, e periodicità regolare delle pubblicazioni (quotidiano, settimanale, mensile); nonché b) finalità, che deve consistere nella raccolta, nel commento e nell’analisi critica di notizie legate all’attualità (cronaca, economia, costume, politica) e dirette al pubblico, perché ne abbia conoscenza e ne assuma consapevolezza nella libera formazione della propria opinione. Rientrano, invece, nella categoria dei mezzi di pubblicità, e non all’interno del perimetro dell’ambito di stampa, gli altri strumenti on line, quali blog, social network e altri siti internet.
In conformità hanno statuito le Sezioni Unite civili di questa Corte, con la sentenza n. 23469/2016, pronunciata ex art. 363 c.p.c., affermando il principio di diritto secondo cui “La tutela costituzionale assicurata dal comma 3 dell’art. 21 Cost. al(Omissis) si applica al giornale o al periodico pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico, quando possieda i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo e quindi sia caratterizzato da una testata, diffuso o aggiornato con regolarità, organizzato in una struttura con un direttore responsabile, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, finalizzata all’attività professionale di informazione diretta al pubblico, cioè di raccolta, commento e divulgazione di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati. Pertanto, nel caso in cui sia dedotto il contenuto diffamatorio di notizie ivi pubblicate, il giornale pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico non può essere oggetto, in tutto o in parte, di provvedimento cautelare preventivo o inibitorio, di contenuto equivalente al sequestro o che ne impedisca o limiti la diffusione, ferma restando la tutela eventualmente concorrente prevista in tema di protezione dei dati personali”. Le Sezioni Unite hanno anche preso in esame la normativa sopravvenuta alla l.n. 47/1948: “In particolare, la L. 7 marzo 2001, n. 62 (intitolata “nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali”), ha, in un minimale tentativo di organicità (contestato in quanto tale però dalla prevalente dottrina, che sottolinea la settorialità dell’intervento), definito unitariamente come “prodotto editoriale” quello “realizzato su supporto cartaceo (…) o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico”, distinguendo, all’interno del genus, due species – quella dei prodotti editoriali senza periodicità regolare e quella dei prodotti editoriali con periodicità regolare – e comunque estendendo diverse normative previste per (Omissis) tradizionale ad ogni prodotto editoriale caratterizzato dalla periodicità regolare. Anche gli interventi successivi, tra i quali quello del 2012 (D.L. 18 maggio 2012, n. 63, conv. con mod. in L. 16 luglio 2012, n. 103) ed altro in via di pubblicazione proprio in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale dopo l’approvazione da parte dei due rami del Parlamento, privilegiano comunque una disciplina orientata alla gestione di provvidenze pubbliche, orientate a sostenere il pluralismo e la professionalità nell’erogazione dell’informazione”. L’ultimo riferimento è alla modifica, del 2016, della l.n. 62/2001 (l.n. 198/2016, che, all’art. 3 bis lett. g, esclude dalla nozione di “quotidiano on line” la testata giornalistica che si configuri esclusivamente come aggregatore di notizie), entrata in vigore da gennaio 2017, ed entrambe le normative sopravvenute richiamano solo gli artt. 2 e 5 della l.n. 47 del 1948.
8.2. Alla stregua dei principi suesposti, deve senz’altro ritenersi che l’archivio storico digitale di cui trattasi non sia qualificabile, contrariamente a quanto si afferma nella sentenza impugnata, come prodotto editoriale su supporto informatico avente i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o del periodico tradizionale su supporto cartaceo, dal momento che, in base agli accertamenti fattuali incontroversi in causa, non possiede affatto i suddetti tratti caratterizzanti (testata, diffusione o aggiornamento con regolarità, organizzato in una struttura, con un direttore responsabile, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, finalizzato all’attività professionale di informazione diretta al pubblico).
E’ dirimente rimarcare che la finalità dell’archivio è meramente compilativa e storica e non risulta che, nella specie, ci sia organizzazione “giornalistica” con struttura tipica – direttore responsabile redazione e via dicendo -, ma consiste solo in un’aggregazione di notizie, integralmente trasferite nell’archivio digitale, pubblicate dal quotidiano nel corso di svariati anni. Infatti, l’archivio storico di ogni quotidiano, “per non snaturare la sua funzione, deve contenere tutti gli articoli pubblicati su tutte le edizioni, nella loro originaria forma e contenuto, e non può subire “amputazioni” a pena di perdere il carattere di storicità e di completezza che lo caratterizza”, e ciò in quanto il “trattamento dei dati archiviati on line non è caratterizzato da finalità giornalistiche (come accade, invece, al momento della sua pubblicazione o nel caso di una “nuova pubblicazione” nell’ambito di una “nuova iniziativa giornalistica”) ma avviene a fini documentaristici” (così Cass. 7559/2020 in tema di protezione dei dati personali, con ampia motivazione).
8.3. Corollario di detto inquadramento è l’inapplicabilità della speciale disciplina sulla stampa, posto che solo ove ricorra l’ipotesi di “giornale informatico” con le caratteristiche precisate potrebbe applicarsi integralmente la l.n. 47/1948 e successive modificazioni (per la verità non senza criticità, evidenziate dalla dottrina, anche su detta conclusione), e in particolare l’art. 11 sulla responsabilità oggettiva di proprietario ed editore. La Cassazione penale ha chiarito che, ove il mezzo con cui si attua la diffamazione sia diverso dal(Omissis), non si applica l’art. 57 c.p., ma, nella ricorrenza dei presupposti, l’art. 110 c.p. (cfr. Cass. pen. 1275/2019 sulla testata giornalistica telematica rientrante nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, solo in quanto funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo; cfr. anche Cass. pen. 7220/2021). In questi casi (blogger o gestore sito), si è ritenuto che debba acquisirsi la prova del consapevole e volontario concorso nella diffusione della notizia, eventualmente anche mediante condotta omissiva (ad esempio mancata rimozione dal sito) e che non si tratti reato omissivo improprio ex art. 57 e 57 bis c.p. (omesso controllo colposo). Per quanto occorra, va infine aggiunto che l’applicazione della l.n. 47/1948 e in particolare dell’art. 11 non può che essere rigorosamente limitata ai casi previsti, dato che introduce una particolare tipologia di responsabilità oggettiva – del proprietario della testata giornalistica e dell’editore – che, in via speciale e derogatoria rispetto ai principi generali della responsabilità civile, consente di presumere la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, e ciò in ragione del rischio d’impresa che grava, per l’appunto, su detti soggetti obbligati, correlato all’elevata diffusività lesiva dello strumento di veicolazione della notizia.
8.4. Le considerazioni suesposte consentono ora di qualificare l’illecito di cui trattasi, in coerenza con quanto si è precisato. Una volta appurato che il principale elemento caratterizzante dell’archivio storico digitale è la finalità compilativa e storica, detta finalità caratterizza anche la condotta addebitata alle odierne ricorrenti e pertanto non solo non può trovare applicazione la disciplina sulla stampa, ma neppure la fattispecie illecita può qualificarsi come “diffamazione” nel suo senso proprio, mutuato dalla nozione penalistica.
Il fine della digitalizzazione delle notizie è inscindibilmente correlato a quello dell’archivio in cui sono inserite e pertanto, come aveva affermato il Tribunale in base a quanto riportato nella sentenza impugnata, lo scopo perseguito non era quello di “dare nuovo clamore” ai fatti o di “procedere a un nuovo attacco” nei confronti del A.A., ma quello della raccolta e aggregazione di dati a fini documentaristici.
8.5. La suddetta qualificazione giuridica, difforme da quella effettuata dalla Corte di merito, che pure in ogni caso ha richiamato, in generale, la lesione di diritti costituzionalmente garantiti, palesa l’infondatezza delle censure nelle parti relative alla dedotta identità dei fatti oggetto dell’odierna pretesa risarcitoria rispetto a quelli in relazione ai quali il A.A. ha già ottenuto il risarcimento all’esito della sentenza del Tribunale di Torino del 2004, passata in giudicato. Al riguardo si osserva che, fermo, all’evidenza, quanto accertato dai giudici di merito, non incidendo la nuova qualificazione giuridica sulla sfera fattuale, nei casi come quello qui esaminato, si tratta di condotte successive e ulteriori, poste in essere con il distinto fine di cui si è appena detto, foriere di nuovo, autonomo e diverso pregiudizio (cfr. in una fattispecie simile Cass. 16908/2018; cfr. anche Cass. 5525/2012). In altre parole, anche se il contenuto delle notizie è il medesimo, sono differenti sia il tempo, sia la forma, sia la finalità della veicolazione di notizie già pubblicate e ora raccolte solo in funzione documentaristica e storica, trattandosi di un prodotto – in senso lato – culturale, dovendo, in ogni caso, la nuova lesività diffusiva valutarsi in concreto avuto riguardo a tutte le peculiarità del singolo caso.
8.6. Ulteriore corollario delle suesposte considerazioni è che l’azione proposta deve inquadrarsi nell’ambito generale dell’art. 2043 c.c. per la lesione di diritti costituzionalmente garantiti (all’immagine, anche sociale, alla reputazione personale e professionale o alla vita di relazione) causata, in tesi, dalle suindicate condotte, per omissione di aggiornamenti o indicazioni rettificanti ed esplicative del contenuto diffamatorio degli articoli del 1996, e ciò secondo le ordinarie regole della responsabilità civile, ossia con onere probatorio a carico del soggetto leso, anche se del caso in via di presunzioni, mediante puntuali allegazioni a sostegno, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie (condotta, elemento soggettivo, nesso causale, danno), la cui sussistenza necessita di apposita indagine del giudice di merito, non atteggiandosi, invece, come oggettiva la responsabilità del nudo proprietario dell’archivio e di Gedi, per non essere applicabile nella specie, come si è visto, la disciplina sulla stampa.
8.7. Occorre altresì precisare che le banche dati accessibili al pubblico, anche con le modalità proprie della fattispecie in esame, sono assoggettate alla disciplina dei dati personali e che, per quanto tale disciplina non sia stata invocata dal A.A., il quale non ha, perciò, ottenuto la tutela afferente all’aggiornamento dei dati e non ha impugnato la relativa statuizione, il mancato richiamo di detta disciplina ha comportato solo riflessi attinenti ai rimedi conseguibili, ma non ha incidenza sulla qualificazione dei fatti allegati a supporto dell’azione risarcitoria proposta dall’odierno controricorrente per la lesione dei suoi diritti, aventi copertura costituzionale.
8.8. Va, infine, aggiunto che, nella specie, non viene in discussione il diritto all’oblio con riguardo agli aspetti scrutinati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 19681/2019, poiché, nel caso in esame, la pubblicazione ab origine era illecita, sicché non opera alcuna esigenza di bilanciamento di contrapposti diritti ed interessi (libertà di espressione e diritto di cronaca, da un lato, e diritto alla riservatezza e alla tutela dell’identità personale, dall’altro), dovendo prevalere i diritti della personalità dell’interessato in ragione di quell’illiceità originaria della pubblicazione (così anche Cass. 10347/2021, in una fattispecie simile alla presente).
In altri termini, il tema della tutela del diritto all’oblio e della congruità dei rimedi per ottenerla (mediante la sola deindicizzazione dei dati secondo la sentenza della Corte EDU sez. III, 22/06/2021, n. 57292, Biancardi c. Italia; mediante la anonimizzazione secondo la sentenza della Corte EDU, sez. III, 22 giugno 2021, n. 57292/2016, Hurbain c. Belgio – cfr. anche Cass. 15160/2021) presuppone sempre la liceità della precedente pubblicazione giornalistica, di seguito inserita nell’archivio digitale, il che non è nell’ipotesi che si sta scrutinando, in cui si controverte, ora, solo ed esclusivamente della pretesa risarcitoria del danneggiato.
- La Corte ritiene di dover enunciare i seguenti principi di diritto ex art. 384c.p.c.:
“In tema di responsabilità risarcitoria causata dall’inserimento e dal mantenimento di informazioni lesive di diritti personali costituzionalmente garantiti nell’archivio storico digitale di un quotidiano a diffusione nazionale, il detto archivio non è qualificabile come prodotto editoriale su supporto informatico avente i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo, avendo una finalità meramente compilativa, documentarista e storica, e pertanto non rientra nella nozione di “stampa” di cui all’art. 1 della L. 8 febbraio 1948, n. 47 e successive modificazioni, risultando di conseguenza inapplicabili le norme della citata legge e in particolare anche quella dettata dall’art. 11 sulla responsabilità oggettiva del proprietario e dell’editore della testata giornalistica”.
“Nell’ipotesi in cui il contenuto diffamatorio degli articoli di stampa cartacea inseriti nell’archivio storico digitale di un quotidiano risulti già accertato con sentenza passata in giudicato, l’inserimento e il mantenimento nel suddetto archivio di quelle stesse informazioni integra una nuova e autonoma fattispecie illecita, ove sussista la lesione di diritti costituzionalmente garantiti (all’immagine, anche sociale, alla reputazione personale e professionale o alla vita di relazione), essendo differenti sia il tempo, sia la forma, sia la finalità della veicolazione di dette notizie, e la successiva lesività diffusiva deve valutarsi in concreto, avuto riguardo a tutte le peculiarità del singolo caso, secondo gli ordinari criteri di cui all’art. 2043 c.c., con onere probatorio a carico del soggetto leso, anche, se del caso, in via di presunzioni, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie (condotta, elemento soggettivo, nesso causale, danno), la cui sussistenza necessita di apposita indagine del giudice di merito”.
- Sulla scorta dei principi suesposti, vanno ora esaminati i ricorsi proposti dalla Regione e dalla Gedi.
10.1. I motivi contenuti nel ricorso della Regione, che possono scrutinarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei termini precisati e che ulteriormente si vanno ad illustrare.
Nello specifico, richiamato quanto esposto nei paragrafi che precedono, sebbene sia infondata la doglianza relativa alla dedotta identità dei fatti oggetto dell’odierna pretesa risarcitoria rispetto a quelli in relazione ai quali il A.A. ha già ottenuto il risarcimento all’esito della sentenza del Tribunale di Torino del 2004, la qualificazione giuridica della fattispecie di cui si è detto impone, secondo i canoni generali di cui all’art. 2043 c.c., l’indagine sulla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi.
La Corte d’appello, dando atto che la Regione è nuda proprietaria dell’archivio digitale, non ha espresso alcuna specifica motivazione idonea a giustificare la conclusione consistita nell’affermazione della responsabilità del suddetto Ente, presupponendo implicitamente che si trattasse di responsabilità oggettiva ex art. 11 l.n. 47/1948, in conformità a quanto dedotto dall’odierno controricorrente e dallo stesso ribadito in questa sede.
Nell’illustrare le vicende di rilevanza, la Regione ha esposto che: a) con atto a rogito Notaio Morone del 28/12/2012 il “Comitato per la biblioteca digitale dell’informazione giornalistica” aveva devoluto l’archivio storico de “(Omissis)” in nuda proprietà all’odierna ricorrente principale ed in uso gratuito, per la durata di anni trenta, alla Fondazione (Omissis); b) il medesimo atto, a pag. 11, specificava che la devoluzione in uso gratuito alla Fondazione (Omissis) comportava “la gestione, lo sviluppo, la valorizzazione e la messa a disposizione on line a favore del pubblico della Biblioteca digitale” e che sull’archivio storico del giornale “(Omissis)”, nella versione on line, erano presenti gli articoli di cronaca pubblicati dal medesimo quotidiano nei mesi da settembre e dicembre 1996, relativi a fatti riguardanti l’Avv. A.A. e contenenti riferimenti diretti alla sua persona, ritenuti dallo stesso gravemente denigratori. Ribadisce la Regione di essere esclusivamente nuda proprietaria dell’archivio digitale storico de quo, senza alcun potere di gestione o disponibilità di detto archivio, sicché non avrebbe potuto alla stessa imputarsi alcuna condotta commissiva od omissiva in relazione all’inserimento e al mantenimento degli articoli di cui si tratta nell’archivio. Inoltre, deduce che non aveva alcun obbligo di custodia e che la Corte d’appello non aveva svolto alcuna indagine sul nesso causale tra la posizione del nudo proprietario e l’evento dannoso.
Le doglianze meritano accoglimento nel senso precisato, ossia dovendo applicarsi le ordinarie regole dettate dall’art. 2043 c.c., con onere probatorio a carico del soggetto leso, anche, se del caso, in via di presunzione previa compiuta allegazione della parte dei fatti di rilevanza. Pertanto i giudici di merito avrebbero dovuto svolgere l’indagine sulla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito (condotta, elemento soggettivo, nesso causale, danno), mentre nessuna indagine è stata svolta in tal senso, avendo la Corte di merito implicitamente ritenuto applicabile l’art. 11 citato e sussistente la correlata responsabilità oggettiva dell’ente nudo proprietario, dopo aver qualificato l’archivio storico on line come prodotto editoriale digitale soggetto alla disciplina sulla stampa e l’illecito come diffamazione a mezzo stampa.
10.2. Analoghe considerazioni devono esprimersi in ordine ai motivi della Gedi, che pure possono scrutinarsi congiuntamente per la loro connessione.
Nello specifico, il primo motivo merita accoglimento nella parte in cui in cui la ricorrente incidentale critica la ricostruzione giuridica della fattispecie effettuata dalla Corte d’appello come riconducibile ad illecito integrante diffamazione a mezzo stampa, sul rilievo, corretto per quanto si è detto, che l’archivio digitale storico non è prodotto editoriale su supporto informatico equiparabile al quotidiano o periodico cartaceo.
Anche il secondo motivo è fondato nella parte in cui la Gedi si duole di omesso esame di fatti che effettivamente assumono carattere di decisività, sia in ordine all’individuazione della condotta ascrivibile alla Gedi, non essendovi stata alcuna attività di “edizione” da parte della stessa, sia in ordine alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, che non sono stati scrutinati secondo le ordinarie regole ex art. 2043 c.c., con il conseguente onere probatorio a carico del soggetto leso.
Occorre ribadire che, secondo la ricostruzione fattuale della stessa Corte d’appello, la Gedi neppure ha assunto, nella fattispecie in esame, la qualità di “colui che pubblica”, essendo ascritta alla suddetta società la condotta di aver concesso la copiatura e digitalizzazione dei dati, mentre gestore dell’archivio era la Fondazione (Omissis) in liquidazione, soggetto rimasto intimato nel presente giudizio.
La nuova lesività diffusiva, sia in termini di causalità rispetto alle condotte, in particolare, in tesi, per omissione di aggiornamenti o indicazioni rettificanti ed esplicative del contenuto degli articoli pubblicati sul quotidiano cartaceo nel 1996 e “trasfusi” nell’archivio digitale, sia in termini di quantificazione del danno, dovrà essere valutata in concreto e in dettaglio dai giudici di merito, avuto riguardo a tutte le peculiarità del singolo caso, non essendo sufficiente a tal fine un generico richiamo alla “capacità offensiva attuale degli articoli già censurati” (pag.13 della sentenza impugnata). Si tratta, infatti, come più volte rimarcato, di condotte nuove e distinte, che richiedono la rinnovazione di autonoma indagine fattuale, avendo, peraltro, la stessa Corte di merito dato atto che solo i titoli degli articoli, di tenore non precisato, erano accessibili a chiunque consultasse liberamente e gratuitamente l’archivio, mentre l’intero testo degli articoli era consultabile esclusivamente dagli abbonati, sostenendo, altresì, Gedi che i relativi dati fossero deindicizzati sugli ordinari motori di ricerca e che gli accessi effettivi agli articoli in questione fossero stati pochissimi. Anche in ordine al terzo motivo, vertente sulla quantificazione del danno e sull’omesso esame di fatto decisivo (irrisorio numero di accessi on line agli articoli in questione afferenti il A.A.), valgono, di conseguenza, i medesimi principi e le puntualizzazioni appena espressi.
- In conclusione, vanno accolti, nei termini precisati, sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, affinchè, alla luce dei principi suesposti, riesamini il merito della controversia e provveda anche in ordine anche alle spese del presente giudizio.”