<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Donare significa soddisfare un interesse personale del debitore che, se volesse soddisfare un interesse patrimoniale, si garantirebbe (al fine appunto di soddisfarlo) un corrispettivo per la propria prestazione; è un principio che vale anche quando la donazione è “</em>indiretta<em>”, fattispecie nella quale tuttavia la mancanza del rigore formale previsto per la donazione “</em>diretta<em>” può sortire l’effetto di giustificare disinvolte attribuzioni prive di causa, senza contare il possibile pregiudizio (o il mancato vantaggio) che da un atto “</em>liberale<em>” e gratuito – talvolta ben celato - può derivare ai creditori del donante, ai relativi successibili </em>post mortem<em> e financo al coniuge in comunione legale dei beni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nella <strong>codificazione liberale</strong> è rilevante in primo luogo, ai sensi dell’<strong>art.1101</strong>, la <strong>distinzione</strong> di tipo <strong>generico e sistematico</strong> tra <strong>contratto a titolo oneroso</strong>, nel quale <strong>ciascuno</strong> dei contraenti intende, “<strong><em>mediante equivalente</em></strong>”, <strong>procurarsi un vantaggio</strong>; e <strong>contratto a titolo gratuito o di beneficenza</strong>, allorché <strong>uno dei contraenti</strong> intenda <strong>procurare un vantaggio all’altro</strong> <strong>senza</strong> <strong>equivalente</strong>; tra questi ultimi in particolare rilevante <strong>la donazione</strong>, disciplinata dai <strong>soli articoli 1050 e 1051</strong>, laddove peraltro <strong>non si prevede</strong> una <strong>forma particolarmente rigorosa</strong> per compiere <strong>l’atto</strong> “<em>di <strong>spontanea liberalità</strong>, col quale il donante <strong>si spoglia attualmente ed irrevocabilmente</strong> della cosa donata in favore del <strong>donatario che l’accetta</strong></em>”; importante anche, più nello specifico, l’<strong>art.1238, comma 2</strong>, laddove si prevede che le <strong>obbligazioni contratte dal debitore</strong> possano essere <strong>estinte</strong> <strong>anche</strong> col <strong>pagamento fatto da un terzo</strong> “<em>che non vi ha interesse</em>”, purché quegli <strong>agisca in nome e per la liberazione del debitore</strong> (sia dunque un <strong>mandatario con rappresentanza</strong> del debitore medesimo) ovvero agisca <strong>in nome proprio</strong> (mandatario <strong>senza rappresentanza</strong>) ma in questo caso <strong>senza sottentrare nei diritti del creditore</strong> (sono escluse tuttavia dalla possibile estinzione per adempimento del terzo le <strong>obbligazioni di fare infungibili</strong> ex <strong>art. 1239</strong> c.c.).</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile (21 aprile), disciplina la <strong>donazione indiretta</strong> (o <strong>liberalità atipica</strong>) all’<strong>art.809</strong>, laddove – <strong>in calce</strong> alle norme sulla <strong>donazione “<em>diretta</em>”</strong> e <strong>formale</strong> di cui agli <strong>articoli 769 e seguenti</strong> - si fa menzione di <strong>liberalità</strong> risultanti da “<strong><em>atti diversi</em></strong>” rispetto alla <strong>donazione <em>tout court</em></strong>, disciplinata negli <strong>articoli precedenti</strong>. Un cenno è presente anche all’<strong>art.737</strong> in tema di <strong>collazione</strong>, laddove si fa riferimento a quanto si è <strong>ricevuto dal <em>de cuius</em></strong> per <strong>donazione</strong> non già solo direttamente ma <strong>anche</strong>, appunto, “<strong><em>indirettamente</em></strong>”. Più in particolare, per l’art.809 c.c. le <strong>liberalità</strong>, anche se <strong>risultano da atti diversi</strong> da quelli previsti <strong>dall'articolo <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-v/capo-i/art769.html">769</a></strong>, sono soggette alle <strong>stesse norme</strong> che regolano la <strong>revocazione delle <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1120.html">donazioni</a> per causa d'ingratitudine</strong> e per <strong>sopravvenienza di figli</strong> nonché a quelle sulla <strong>riduzione delle donazioni</strong> per <strong>integrare la quota dovuta ai legittimari</strong>; sono tuttavia <strong>esplicitamente escluse</strong> da tale disciplina le liberalità previste dal <strong>secondo comma dell'articolo <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-v/capo-i/art770.html">770</a></strong> (quelle “<strong><em>rimuneratorie</em></strong>”, che si sogliono fare <strong>in occasione di servizi resi</strong>, o comunque <strong>in conformità agli usi</strong>) e quelle che a norma dell'<strong>articolo <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-secondo/titolo-iv/capo-ii/art742.html">742</a></strong> <strong>non</strong> sono soggette a <strong>collazione</strong>. In tema di famiglia ed in particolare di <strong>comunione legale tra coniugi</strong>, importante l’<strong>art.179</strong> alla cui stregua <strong>non</strong> costituiscono oggetto della <strong>comunione</strong> e sono dunque <strong>beni personali del coniuge</strong> da un lato i <strong>beni acquisiti successivamente al matrimonio</strong> per effetto di <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1100.html">donazione</a></strong> o <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/834.html">successione</a></strong>, quando <strong>nell'atto di liberalità</strong> o <strong>nel testamento</strong> non è <strong>specificato</strong> che essi sono attribuiti <strong>alla comunione</strong> (lettera <strong>b</strong>), dall’altro – ed in chiusura - i <strong>beni acquisiti con il prezzo del trasferimento</strong> dei <strong>beni personali sopraelencati</strong> o col <strong>loro scambio</strong>, purché ciò sia <strong>espressamente dichiarato</strong> all'atto dell'acquisto (lettera <strong>f</strong>). Di rilievo le norme sulla <strong>delegazione di pagamento</strong> (art.<strong>1268 e seguenti</strong>), che potrebbero far luogo ad una <strong>donazione indiretta</strong> nel caso in cui <strong>il delegato paghi</strong> al creditore delegatario pur <strong>senza essere obbligato</strong> nei confronti del <strong>delegante </strong>(e tuttavia <strong>liberando quest’ultimo</strong> nei confronti del delegatario); parimenti ad una <strong>donazione indiretta</strong> potrebbe far luogo lo schema del <strong>contratto a favore di terzo</strong> ex <strong>art.1411</strong> e seguenti, allorché <strong>la relativa causa</strong> si compendi nello <strong>spirito di liberalità</strong> dello <strong>stipulante</strong>, il quale <strong>vuole arricchire il terzo</strong> giusta prestazione a relativo beneficio da parte del <strong>promittente</strong>. Importante anche l’<strong>art.1875</strong> in tema di <strong>rendita vitalizia a favore di un terzo</strong>, e <strong>l’art.1923, comma 2, in tema di assicurazione sulla vita a favore del terzo</strong>, secondo il cui disposto sono fatte salve – rispetto ai <strong>premi pagati</strong> – le <strong>disposizioni</strong> relative alla <strong>revocazione degli atti</strong> compiuti <strong>in pregiudizio dei creditori</strong> e quelle relative alla <strong>collazione</strong>, all’<strong>imputazione</strong> ed alla <strong>riduzione delle donazioni</strong>, norma che - letta in combinato disposto con l’<strong>art.741</strong> c.c., laddove è prescritto <strong>l’obbligo della collazione</strong> di quanto il defunto ha speso in favore dei <strong>relativi discendenti</strong> per <strong>soddisfare premi</strong> relativi a <strong>contratti di assicurazione sulla vita</strong> a loro favore – dimostra come <strong>la donazione (indiretta)</strong> abbia in questo caso ad oggetto <strong>i premi pagati all’assicuratore</strong>, e <strong>non già l’indennizzo</strong> eventualmente versato da quest’ultimo.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1943</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 marzo esce la sentenza della Cassazione n.582 onde, laddove una <strong>divisione</strong> venga dalle parti <strong>consapevolmente</strong> effettuata <strong>in porzioni diseguali</strong> al <strong>fine di avvantaggiare</strong> taluni tra i condividenti, affiora una fattispecie di <strong>donazione indiretta</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">La <strong>Costituzione</strong> prevede all’<strong>art.41, comma 1</strong>, la <strong>libertà della iniziativa economica privata</strong> (entro i <strong>limiti</strong> del successivo <strong>comma 2</strong>) e, con essa, la <strong>garanzia dell’autonomia negoziale</strong>, che si sostanzia nella <strong>libertà</strong> riconosciuta alle parti, nel <strong>perseguimento</strong> dei <strong>rispettivi interessi</strong>, di <strong>stipulare contratti</strong>, massime se <strong>tipici</strong>; laddove <strong>atipici</strong>, ovvero comunque laddove dai <strong>contorni non precisamente definiti</strong>, tale libertà <strong>fa i conti in misura maggiore</strong>, per l’appunto, con i <strong>limiti</strong> previsti al comma 2 dell’art.41 e segnatamente con l'<strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/182.html">utilità sociale</a></strong> e con la <strong>sicurezza</strong>, la <strong>libertà</strong> e la <strong>dignità umana</strong>, costituendo tali limiti il <strong>primo e fondamentale parametro di meritevolezza</strong> (in termini di tutela giuridica) degli <strong>interessi</strong> perseguiti dalle parti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1949</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 aprile esce la sentenza della Cassazione n.943 onde, in tema di <strong>collazione</strong> per <strong>acquisto di un bene (immobile)</strong> e relativa <strong>intestazione a nome altrui</strong> (normalmente, di un discendente), <strong>oggetto della donazione</strong> è la <strong>somma di denaro</strong> utilizzata <strong>per acquistare</strong> il bene immobile in parola: in questo caso il donatario è <strong>debitore</strong> di un <strong>obbligo di valuta</strong> – a titolo appunto di <strong>collazione</strong> – corrispondente alla <strong>somma che gli è stata donata in vita</strong> dal <em>de cuius</em>, con l’aggiunta degli <strong>interessi legali</strong>; viene dunque abbracciata l’opzione ermeneutica che <strong>valorizza</strong> da un lato la <strong>lettera dell’art.737</strong> c.c. - onde le norme sulla collazione assumono a <strong>punto di riferimento</strong> non già il <strong><em>quantum</em> di arricchimento</strong> del donatario, quanto piuttosto il <strong><em>quantum</em> di impoverimento</strong> del donante (“<strong><em>ciò che si è ricevuto dal defunto</em></strong>”) e, dunque, la <strong>somma di denaro</strong> <strong>uscita</strong> dal relativo patrimonio al fine di <strong>acquistare</strong> l’immobile ed <strong>intestarlo a nome altrui</strong> (per esempio, al figlio) – e dall’altro la <strong>lettera dell’art.1923</strong> c.c. – onde, in tema di <strong>assicurazione sulla vita a favore del terzo</strong>, si guarda ai <strong>premi pagati</strong> dall’assicurato, e dunque ancora una volta a <strong>ciò che in termini monetari è uscito</strong> dal relativo patrimonio, per individuare, quanto alle <strong>donazioni</strong>, l’oggetto della <strong>riduzione per lesione di legittima</strong>, di <strong>revocazione per frode ai creditori</strong> o, appunto, della <strong>collazione</strong> - ; una <strong>freccia nell’arco</strong> di questa tesi è il fatto che in sede di <strong>definitiva stesura del codice civile</strong> è stato <strong>soppresso l’art.357</strong> del relativo <strong>progetto preliminare</strong>, dove invece si prevedeva <strong>esplicitamente</strong> – quale oggetto di conferimento – <strong>l’immobile acquistato dall’ascendente</strong> ed <strong>intestato al discendente</strong>. Si tratta di un orientamento che resterà <strong>granitico</strong> fino alla <strong>fine degli anni Ottanta</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1955</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.566 alla cui stregua perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> è sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1963</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.1685 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 giugno esce la sentenza della Cassazione n.1771 che distingue la <strong>donazione indiretta</strong> – nella quale il <strong>negozio apparente</strong> cui si ricollega la <strong>liberalità</strong> (indiretta) è <strong>realmente voluto</strong> dalle parti e <strong>concluso proprio in vista</strong> della divisata <strong>donazione</strong> (indiretta) – dalla <strong>donazione simulata</strong>, nella quale <strong>l’apparente negozio oneroso</strong> <strong>non è</strong> invece <strong>voluto</strong> dalle parti, che nella realtà vogliono (solo) un <strong>negozio gratuito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1964</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 9 giugno esce la sentenza della Cassazione n.1416 che, ribadendo quanto già in precedenza affermato, distingue la <strong>donazione indiretta</strong> – nella quale il <strong>negozio apparente</strong> cui si ricollega la <strong>liberalità</strong> (indiretta) è <strong>realmente voluto</strong> dalle parti e <strong>concluso proprio in vista</strong> della divisata <strong>donazione</strong> (indiretta) – dalla <strong>donazione simulata</strong>, nella quale <strong>l’apparente negozio oneroso</strong> <strong>non è</strong> invece <strong>voluto</strong> dalle parti, che nella realtà vogliono (solo) un <strong>negozio gratuito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1967</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.203 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 marzo esce la sentenza della Cassazione n.507 alla cui stregua la <strong>rinunzia abdicativa</strong> ad un <strong>diritto</strong> determina <strong>l’acquisto per via indiretta di un vantaggio</strong> da parte di un <strong>terzo beneficiario</strong> tutte le volte che, attraverso la <strong>rinunzia </strong>medesima, <strong>venga meno</strong> uno <strong>stato di compressione</strong> in cui versa <strong>l’interesse</strong> del terzo beneficiario <strong>prima della rinunzia</strong> ridetta.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1969</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile esce la sentenza della Cassazione n.1220 secondo la quale si ha <strong>donazione indiretta</strong> allorquando il donante faccia luogo ad una <strong>liberalità</strong> a favore del donatario <strong>utilizzando strumentalmente</strong> <strong>negozi giuridici diversi</strong> che, pur conservando la <strong>causa loro propria</strong>, sono appunto <strong>indirettamente orientati</strong> ad <strong>arricchire</strong> il donatario per <strong>spirito di liberalità</strong>, mentre si è al cospetto di una <strong>donazione simulata</strong> allorché <strong>l’atto compiuto</strong> <strong>a titolo oneroso</strong> sia <strong>meramente apparente</strong>, volendo le parti – nella realtà – porre in essere <strong>solo un atto a titolo gratuito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 maggio esce la sentenza della Cassazione n. 1465 onde la <strong>donazione indiretta</strong> consiste in una <strong>liberalità</strong> che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la <strong>donazione tipica</strong> – utilizzando lo <strong>schema di un negozio oneroso</strong> che, oltre a produrre <strong>l’effetto tipico</strong> che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce <strong>anche</strong> un <strong>ulteriore effetto</strong>, connesso all’<strong><em>animus donandi</em></strong> di una delle parti, dell’<strong>arricchimento dell’altra parte</strong> senza riceverne un corrispettivo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza della Cassazione n. 1987 che ribadisce la <strong>donazione indiretta</strong> consistere in una <strong>liberalità</strong> che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la <strong>donazione tipica</strong> – utilizzando lo <strong>schema di un negozio oneroso</strong> che, oltre a produrre <strong>l’effetto tipico</strong> che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce <strong>anche</strong> un <strong>ulteriore effetto</strong>, connesso all’<strong><em>animus donandi</em></strong> di una delle parti, dell’<strong>arricchimento dell’altra parte</strong> senza riceverne un corrispettivo. Più in specie, viene assunto far luogo ad una <strong>donazione indiretta</strong> un <strong>mandato ad amministrare</strong> conferito al mandatario con <strong>l’obbligo </strong>di<strong> versare le rendite </strong>o<strong> altre somme di denaro</strong> derivanti dalla gestione <strong>ad un terzo</strong>. Del pari per la Corte è <strong>donazione indiretta</strong> il <strong>mandato irrevocabile</strong> conferito <strong>nell’interesse del mandatario o di un terzo</strong>, laddove l’interesse (al mandato) in capo al mandante <strong>non trovi giustificazione</strong> in un <strong>preesistente rapporto giuridico</strong> che lo avvinca ai <strong>soggetti beneficiari</strong> dell’<strong>attività gestoria</strong> divisata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1970</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 5 dicembre esce la sentenza della Cassazione n. 2565 che ribadisce la <strong>donazione indiretta</strong> consistere in una <strong>liberalità</strong> posta in essere – piuttosto che attraverso la <strong>donazione tipica</strong> – utilizzando lo <strong>schema di un negozio oneroso</strong> che, oltre a produrre <strong>l’effetto tipico</strong> che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce <strong>anche</strong> un <strong>ulteriore effetto</strong>, connesso all’<strong><em>animus donandi</em></strong> di una delle parti, dell’<strong>arricchimento dell’altra parte</strong> senza riceverne un corrispettivo.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 18 dicembre esce la sentenza della Cassazione n.2710 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1971</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2892, che si occupa del <strong>negozio c.d. indiretto</strong> per rappresentare come al relativo cospetto la <strong>disciplina giuridica</strong> applicabile debba assumersi <strong>quella del negozio tipico adottato</strong> dalle parti quale “<strong><em>negozio mezzo</em></strong>” per raggiungere gli <strong>scopi ulteriori</strong> da esse divisati; in sostanza, il <strong>negozio tipico prescelto</strong> è sì un <strong>punto di passaggio</strong> per il raggiungimento di <strong>scopi ulteriori</strong>, ma ad esso si applica appunto la <strong>relativa disciplina</strong>, e non <strong>quella eventualmente ricollegabile allo scopo ulteriore</strong> perseguito. In tema di <strong>donazione indiretta</strong> si tratta di una <strong>affermazione particolarmente importante</strong>, dacché applicando la disciplina dello “<strong><em>scopo ulteriore</em></strong>”, e non già quella del <strong>negozio-mezzo adottato</strong>, si dovrebbe far luogo a <strong>forma pubblica ex art.782</strong> c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1972</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’11 marzo esce la sentenza della Cassazione n.712 onde si ha <strong>donazione indiretta</strong> allorquando il donante faccia luogo ad una <strong>liberalità</strong> a favore del donatario <strong>utilizzando strumentalmente</strong> <strong>negozi giuridici diversi</strong> che, pur conservando la <strong>causa loro propria</strong>, sono appunto <strong>indirettamente orientati</strong> ad <strong>arricchire</strong> il donatario per <strong>spirito di liberalità</strong>, mentre si è al cospetto di una <strong>donazione simulata</strong> allorché <strong>l’atto compiuto</strong> <strong>a titolo oneroso</strong> sia <strong>meramente apparente</strong>, volendo le parti – nella realtà – porre in essere <strong>solo un atto a titolo gratuito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1974</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della Cassazione n.1545, onde – in caso di <strong>rinunzia abdicativa</strong> – ne va affermata la natura di <strong>donazione indiretta</strong> tutte le volte in cui vi sia un <strong>diretto nesso di causalità</strong> tra la <strong>rinunzia abdicativa</strong> stessa e <strong>l’arricchimento di un terzo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 ottobre marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2621 che ravvisa una ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> in fattispecie in cui il beneficiario <strong>non</strong> sia stato fatto destinatario di <strong>atti negoziali</strong>, quanto piuttosto di <strong>atti di natura non negoziale</strong>, ed in specie di <strong>comportamenti</strong> di natura <strong>positiva</strong>, come nel caso delle <strong>costruzioni fatte su suolo altrui</strong> da parte di un terzo <strong>con materiali propri</strong>, <strong>regime</strong> che può essere <strong>esteso alle piantagioni</strong> e che <strong>fa perno</strong> sull’istituto della c.d. <strong>accessione</strong>. Un discorso analogo - facente perno stavolta sui <strong>diversi istituti</strong> della <strong>usucapione</strong> o della <strong>prescrizione</strong> – può farsi per <strong>comportamenti di natura negativa</strong>, e dunque sostanzialmente per <strong>l’inerzia</strong> che favorisca il <strong>beneficiario</strong> facendogli <strong>acquistare per usucapione</strong> o facendogli <strong>estinguere per prescrizione</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1976</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.824 che ravvisa una ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> in fattispecie in cui il beneficiario <strong>non</strong> sia stato fatto destinatario di <strong>atti negoziali</strong>, quanto piuttosto di <strong>atti di natura non negoziale</strong>, ed in specie di <strong>comportamenti</strong> di natura <strong>positiva</strong>, come nel caso delle <strong>costruzioni fatte su suolo altrui</strong> da parte di un terzo <strong>con materiali propri</strong>, <strong>regime</strong> che può essere <strong>esteso alle piantagioni</strong> e che <strong>fa perno</strong> sull’istituto della c.d. <strong>accessione</strong>. Un discorso analogo - facente perno stavolta sui <strong>diversi istituti</strong> della <strong>usucapione</strong> o della <strong>prescrizione</strong> – può farsi per <strong>comportamenti di natura negativa</strong>, e dunque sostanzialmente per <strong>l’inerzia</strong> che favorisca il <strong>beneficiario</strong> facendogli <strong>acquistare per usucapione</strong> o facendogli <strong>estinguere per prescrizione</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.3526 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.4550 onde la <strong>donazione indiretta</strong> si caratterizza non tanto per <strong>l’effetto finale</strong> che ne discende, quanto piuttosto per <strong>il mezzo</strong> che le parti utilizzano onde conseguire <strong>il fine di liberalità</strong> che <strong>la contraddistingue</strong>; detto fine può essere perseguito dunque attraverso la <strong>donazione tipica e formale</strong>, giusta <strong>contratto ex art.769</strong> c.c., ovvero attraverso un <strong>negozio giuridico</strong> <strong>apparentemente diverso</strong>, che tuttavia persegue il <strong>medesimo fine</strong> (di <strong>liberalità</strong>) per via <strong>indiretta</strong>, quale <strong>scopo ulteriore e diverso</strong> rispetto alla <strong>causa propria</strong> del contratto utilizzato.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.4711 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1979</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio esce la sentenza della Cassazione n. 526 che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, afferma come si sia al cospetto di una <strong>fattispecie</strong> in cui – dal punto di vista <strong>strutturale e formale</strong> – si segue il <strong>regime proprio</strong> del <strong>negozio </strong>(<strong>direttamente</strong>)<strong> voluto</strong> dalle parti, che è un <strong>negozio di scambio</strong> per il quale <strong>non occorre la forma scritta</strong> per atto pubblico <strong><em>ad substantiam</em></strong>; se invece si guarda al <strong>risultato perseguito</strong> dalle parti medesime, vale a dire all’<strong>arricchimento di una di esse</strong> per <strong>spirito di liberalità</strong>, si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong> alla quale si applica la <strong>disciplina</strong> contenuta nell’<strong>art.809</strong> c.c., che rappresenta una <strong>novità</strong> rispetto al <strong>codice del 1865</strong> e che è del pari formalmente “<em>libera</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1980</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 gennaio esce la sentenza del Tribunale <strong>di Pinerolo</strong> che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1982</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 giugno esce la sentenza della Cassazione n.3394 onde la convenzione con cui una parte, a titolo di <strong>corrispettivo</strong> rispetto ad una <strong>prestazione dell’altra</strong>, si <strong>obbliga</strong> a corrispondergli una <strong>data somma mensile</strong> fino al <strong>relativo decesso</strong> e, successivamente, una <strong>rendita in denaro ad un terzo</strong> vita natural durante (ancorché sottoposta alla <strong>condizione risolutiva</strong> di un <strong>eventuale matrimonio</strong>) si configura come <strong>costituzione</strong> di <strong>rendita vitalizia onerosa</strong> (giusta costituzione di <strong>vitalizio successivo</strong>) e, ad un tempo, come <strong>donazione indiretta</strong> nella parte in cui viene <strong>assicurata la rendita al terzo</strong> (<em>post mortem</em>).</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 ottobre viene varata <strong>l’ordinanza</strong> della Corte di Cassazione poi numerata 340.83 con la quale viene sollevava in via incidentale <strong>questione di legittimità costituzionale</strong> degli <strong>artt. 556 e 564, secondo comma</strong>, del codice civile, per la parte in cui dette norme <strong>richiamano l'art. 751</strong> dello stesso codice, nonché <strong>dell'art. 751</strong> suddetto, per preteso contrasto con <strong>l'art. 3 della Costituzione</strong>. In sostanza la Corte - che è la protagonista di un <strong>orientamento giurisprudenziale granitico</strong> onde, in caso di <strong>acquisto di un bene</strong> (normalmente immobile) da parte dell’<strong>ascendente</strong> ed <strong>intestazione del medesimo a nome del discendente,</strong> alla <strong>morte</strong> del primo <strong>l’eventuale collazione</strong> ha ad oggetto <strong>non già l’immobile (indirettamente) donato</strong> al beneficiario, quanto piuttosto <strong>la somma spesa</strong> per acquistarlo a suo tempo, <strong>aumentata degli interessi legali</strong> (debito di valuta) – dubita della <strong>legittimità costituzionale</strong> di tale <strong>proprio “<em>diritto vivente</em>”</strong> per <strong>presunto contrasto</strong> con il <strong>principio di eguaglianza</strong>, dal momento che può profilarsi una <strong>disparità di trattamento tra coeredi</strong>, e segnatamente tra chi tra essi <strong>deve conferire una somma di denaro</strong> soggetta al <strong>principio nominalistico</strong> (per essere stato <strong>donatario indiretto</strong> del bene immobile, acquistato dal <em>de cuius</em> e <strong>a lui intestato</strong>) e chi al contrario, in veste di <strong>donatario diretto</strong> dell’immobile, deve <strong>conferire</strong> <strong>l’immobile stesso</strong> o <strong>imputare alla propria quota</strong> il corrispondente (ed ovviamente <strong>maggiore</strong>) <strong>valore</strong> al tempo dell’apertura della successione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 luglio esce la sentenza della Cassazione n.4618 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato. Per la Corte l’accordo attraverso il quale un soggetto – per <strong>spirito di liberalità</strong> – <strong>assuma il debito</strong> che <strong>un altro</strong> (debitore originario) ha verso un terzo <strong>non fa luogo</strong> ad una <strong>donazione tipica e diretta</strong>, e ciò in quanto <strong>non si verifica</strong> a vantaggio del debitore originario <strong>alcun arricchimento</strong> (che potrebbe aversi solo giusta <strong>relativa liberazione</strong> in forza di un <strong>accollo privativo</strong> ex <strong>art.1273, comma 2</strong>, c.c.), ma si fa luogo in ogni caso una <strong>donazione indiretta</strong> ad <strong>effetti obbligatori</strong> tra le parti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1985</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.1446 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.230 che <strong>dichiara inammissibile</strong> la questione di legittimità costituzionale degli <strong>artt. 556 e 564, comma secondo</strong>, del codice civile, per la parte in cui <strong>richiamano l'art. 751</strong> del codice civile, e <strong>dello stesso art. 751</strong> del codice civile, sollevata dalla Corte di cassazione, in riferimento all'<strong>art. 3</strong> della Costituzione, nel 1982/83, non potendo la Corte <strong>operare scelte</strong> nell'ambito di <strong>soluzioni plurime tutte "<em>astrattamente possibili</em>"</strong>, né valutare essa la <strong>congruità</strong> di un <strong>ventaglio di soluzioni</strong> da indicare al <strong>legislatore</strong>, cui resta pertanto la <strong>discrezionalità</strong> in ordine alla <strong>disciplina della collazione</strong> al cospetto di <strong>donazioni dirette</strong> e di <strong>donazioni indirette</strong> (acquisto ed intestazione a nome altrui) di <strong>beni immobili</strong> da parte del <em>de cuius</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1986</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.171 che si occupa della particolare fattispecie in cui un soggetto stipula un <strong>contratto preliminare di acquisto</strong> con il <strong>venditore di un bene</strong>, e <strong>fornisce poi il denaro</strong> ad <strong>un terzo</strong> – che egli <strong>intende beneficiare</strong> – per la <strong>stipula del definitivo</strong>, onde <strong>il definitivo</strong> viene poi stipulato dal ridetto <strong>terzo beneficiario</strong>: in questi casi si è per la Corte al cospetto di una <strong>donazione indiretta del bene</strong> (normalmente immobile) oggetto della <strong>sequenza preliminare-definitivo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6416 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.596 che <strong>abbandona</strong> il proprio <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 5410 che ribadisce la <strong>donazione indiretta</strong> consistere in una <strong>liberalità</strong> che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la <strong>donazione tipica</strong> – utilizzando lo <strong>schema di un negozio oneroso</strong> che, oltre a produrre <strong>l’effetto tipico</strong> che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce <strong>anche</strong> un <strong>ulteriore effetto</strong>, connesso all’<strong><em>animus donandi</em></strong> di una delle parti, dell’<strong>arricchimento dell’altra parte</strong> senza riceverne un corrispettivo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 6 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4986 che ribadisce di voler <strong>abbandonare</strong> il proprio <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza del Tribunale di Napoli in tema di <strong>caduta in comunione legale</strong> <strong>tra coniugi</strong> dei <strong>beni donati</strong> ad uno di essi. Se si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta del bene</strong> (sovente <strong>immobile</strong>) si applica – a rigore - <strong>l’art.179, comma 1, lettera b)</strong> del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione <strong>è stato assegnato</strong> al coniuge a titolo (di <strong>successione ereditaria</strong> ovvero) di <strong>donazione</strong> (quale che essa sia), per <strong>escludere</strong> appunto il ridetto bene dalla <strong>comunione legale</strong>; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato <strong>cada in comunione</strong> quando <strong>nell’”<em>atto di liberalità</em>”</strong> (o <strong>nel testamento</strong>) venga <strong>specificato</strong> che esso è appunto <strong>attribuito alla comunione</strong>, e poiché nella <strong>donazione “<em>indiretta</em>”</strong> <strong>nulla</strong> viene <strong>specificato</strong>, il problema che si è posto è capire se si applica <strong>in ogni caso</strong> l’art.179, comma 1, <strong>lettera b)</strong>, ovvero debba applicarsi piuttosto la <strong>regola generale</strong> di cui all’<strong>art.177, comma 1, lettera a)</strong> c.c. quale <strong>acquisto </strong>compiuto dal coniuge<strong> (donatario)</strong> <strong>in costanza di matrimonio</strong>, e come tale <strong>automaticamente</strong> ricadente <strong>in comunione.</strong> Il Tribunale abbraccia la tesi (che si rivelerà <strong>minoritaria</strong>) secondo la quale il <strong>bene oggetto di donazione indiretta</strong> (a differenza di quello oggetto di donazione <strong>diretta</strong>) cade <strong>in comunione</strong>, stante il c.d. “<strong><em>favor communionis</em></strong>” e la natura <strong>eccezionale</strong> delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla <strong>regola generale</strong>, appunto, della caduta in comunione <strong>di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi</strong> in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la <strong>diversa espressione</strong> utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “<strong><em>donazione</em></strong>” (diretta) e poi di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>”, proprio per <strong>distinguere</strong> questa seconda ipotesi dalla prima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 ottobre esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> della Cassazione n.9282 che autorevolmente ribadisce come <strong>vada abbandonato</strong> il <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>. La Corte <strong>distingue</strong> peraltro l’ipotesi in cui <strong>l’ascendente dona</strong> al discendente <strong>il denaro</strong>, laddove <strong>oggetto della collazione</strong> non può che essere <strong>il denaro medesimo</strong> quale <strong>bene</strong> di cui il genitore <strong>ha inteso beneficiare il figlio</strong>, ed il cui <strong>autonomo</strong> <strong>reimpiego</strong> per l’acquisto dell’immobile <strong>non può avere rilievo</strong> per essere <strong>estraneo</strong> alla <strong>previsione</strong> stessa del donante; dalla diversa ipotesi del <strong>denaro donato</strong> allo <strong>specifico scopo</strong> di consentire al discendente <strong>l’acquisto dell’immobile</strong> in parola, laddove si riscontra un <strong>preciso nesso di causalità</strong> tra <strong>dazione del denaro</strong> ed <strong>acquisto dell’immobile</strong>, con conseguente <strong>configurabilità della donazione (indiretta)</strong> <strong>dell’immobile</strong> stesso, e <strong>non già solo del denaro</strong> che serve per acquistarlo, <strong>prescindendo</strong> peraltro dal <strong>concreto atteggiarsi della fattispecie</strong>, potendo accadere che l’ascendente <strong>sottoscriva </strong>con il promittente venditore<strong> il preliminare di acquisto</strong> seguito poi da <strong>sottoscrizione del contratto definitivo</strong> da parte del <strong>discendente</strong>, ovvero che <strong>l’ascendente acquisti l’immobile</strong> e <strong>lo intesti al discendente</strong>, ovvero ancora che l’ascendente <strong>doni al discendente il denaro necessario</strong> <strong>per procedere</strong> al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza - al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong>, quale <strong>negozio</strong> che, pur <strong>non rivestendosi</strong> della <strong>forma della donazione</strong>, è mosso dal <strong>fine di liberalità</strong> ed ha <strong>lo scopo e l’effetto</strong> di <strong>arricchire gratuitamente</strong> il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo <strong>non già tanto all’impoverimento</strong> del donante, quanto piuttosto <strong>all’arricchimento</strong> (<strong>voluto</strong> dal donante) <strong>del donatario</strong>, quale <strong>scopo ultimo</strong> perseguito appunto dal donante, onde appare <strong>riduttivo</strong> alla Corte (come fa la <strong>tesi formalistica</strong> in precedenza sposata) affermare che tale <strong>arricchimento del beneficiario </strong>donatario <strong>corrisponda</strong> al <strong>solo bene</strong> (o valore) <strong>uscito</strong> dal patrimonio del donante, e dunque del <strong>denaro usato</strong> per acquistare il divisato immobile. Mentre nella <strong>donazione diretta</strong> dell’<strong>immobile</strong> tale <strong>corrispondenza</strong> (tra <strong>impoverimento</strong> del donante ed <strong>arricchimento</strong> del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il beneficiario <strong>si arricchisce</strong> <strong>anche</strong> per effetto di un <strong>negozio</strong> concluso <strong>non già direttamente con il donante</strong> (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma <strong>con un terzo</strong>, come quando si utilizzi un <strong>procedimento di donazione indiretta complesso</strong> in cui il donatario <strong>si arricchisce</strong> dell’immobile acquistato dal venditore <strong>con denaro del donante</strong>, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, <strong>l’arricchimento del donatario al tempo X</strong> potendosi palesare <strong>maggiore</strong>, in termini di <strong>valore</strong>, dell’<strong>impoverimento del donante al precedente tempo Y</strong>. La Corte ribadisce infine come nel caso in cui un soggetto stipuli un <strong>contratto preliminare di acquisto</strong> con il <strong>venditore di un bene</strong>, e <strong>fornisca poi il denaro</strong> ad <strong>un terzo</strong> – che egli <strong>intende beneficiare</strong> – per la <strong>stipula del definitivo</strong>, onde <strong>il definitivo</strong> viene poi stipulato dal ridetto <strong>terzo beneficiario,</strong> si sia al cospetto di una <strong>donazione indiretta del bene</strong> (normalmente immobile) oggetto della <strong>sequenza preliminare-definitivo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 21 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 11499 che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, ribadisce come si sia al cospetto di una <strong>fattispecie</strong> in cui – dal punto di vista <strong>strutturale e formale</strong> – si segue il <strong>regime proprio</strong> del <strong>negozio </strong>(<strong>direttamente</strong>)<strong> voluto</strong> dalle parti, che è un <strong>negozio di scambio</strong> per il quale <strong>non occorre la forma scritta</strong> per atto pubblico <strong><em>ad substantiam</em></strong>; se invece si guarda al <strong>risultato perseguito</strong> dalle parti medesime, vale a dire all’<strong>arricchimento di una di esse</strong> per <strong>spirito di liberalità</strong>, si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong> alla quale si applica la <strong>disciplina</strong> contenuta nell’<strong>art.809</strong> c.c., che rappresenta una <strong>novità</strong> rispetto al <strong>codice del 1865</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.13630 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 marzo esce la sentenza del Tribunale di Catania che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, ribadisce come si sia al cospetto di una <strong>fattispecie</strong> in cui – dal punto di vista <strong>strutturale e formale</strong> – si segue il <strong>regime proprio</strong> del <strong>negozio </strong>(<strong>direttamente</strong>)<strong> voluto</strong> dalle parti, che è un <strong>negozio di scambio</strong> per il quale <strong>non occorre la forma scritta</strong> per atto pubblico <strong><em>ad substantiam</em></strong>; se invece si guarda al <strong>risultato perseguito</strong> dalle parti medesime, vale a dire all’<strong>arricchimento di una di esse</strong> per <strong>spirito di liberalità</strong>, si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong> alla quale si applica la <strong>disciplina</strong> contenuta nell’<strong>art.809</strong> c.c., che rappresenta una <strong>novità</strong> rispetto al <strong>codice del 1865</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’8 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1257 che, riprendendo quanto <strong>autorevolmente ed innovativamente</strong> affermato dalle <strong>SSUU</strong> nel 1992 - ribadisce che <strong>va abbandonato</strong> il <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>. La Corte <strong>distingue</strong> peraltro l’ipotesi in cui <strong>l’ascendente dona</strong> al discendente <strong>il denaro</strong>, laddove <strong>oggetto della collazione</strong> non può che essere <strong>il denaro medesimo</strong> quale <strong>bene</strong> di cui il genitore <strong>ha inteso beneficiare il figlio</strong>, ed il cui <strong>autonomo</strong> <strong>reimpiego</strong> per l’acquisto dell’immobile <strong>non può avere rilievo</strong> per essere <strong>estraneo</strong> alla <strong>previsione</strong> stessa del donante; dalla diversa ipotesi del <strong>denaro donato</strong> allo <strong>specifico scopo</strong> di consentire al discendente <strong>l’acquisto dell’immobile</strong> in parola, laddove si riscontra un <strong>preciso nesso di causalità</strong> tra <strong>dazione del denaro</strong> ed <strong>acquisto dell’immobile</strong>, con conseguente <strong>configurabilità della donazione (indiretta)</strong> <strong>dell’immobile</strong> stesso, e <strong>non già solo del denaro</strong> che serve per acquistarlo, <strong>prescindendo</strong> peraltro dal <strong>concreto atteggiarsi della fattispecie</strong>, potendo accadere che l’ascendente <strong>sottoscriva </strong>con il promittente venditore<strong> il preliminare di acquisto</strong> seguito poi da <strong>sottoscrizione del contratto definitivo</strong> da parte del <strong>discendente</strong>, ovvero che <strong>l’ascendente acquisti l’immobile</strong> e <strong>lo intesti al discendente</strong>, ovvero ancora che l’ascendente <strong>doni al discendente il denaro necessario</strong> <strong>per procedere</strong> al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza - al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong>, quale <strong>negozio</strong> che, pur <strong>non rivestendosi</strong> della <strong>forma della donazione</strong>, è mosso dal <strong>fine di liberalità</strong> ed ha <strong>lo scopo e l’effetto</strong> di <strong>arricchire gratuitamente</strong> il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo <strong>non già tanto all’impoverimento</strong> del donante, quanto piuttosto <strong>all’arricchimento</strong> (<strong>voluto</strong> dal donante) <strong>del donatario</strong>, quale <strong>scopo ultimo</strong> perseguito appunto dal donante, onde appare <strong>riduttivo</strong> alla Corte (come fa la <strong>tesi formalistica</strong> in precedenza sposata) affermare che tale <strong>arricchimento del beneficiario </strong>donatario <strong>corrisponda</strong> al <strong>solo bene</strong> (o valore) <strong>uscito</strong> dal patrimonio del donante, e dunque del <strong>denaro usato</strong> per acquistare il divisato immobile. Mentre nella <strong>donazione diretta</strong> dell’<strong>immobile</strong> tale <strong>corrispondenza</strong> (tra <strong>impoverimento</strong> del donante ed <strong>arricchimento</strong> del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il beneficiario <strong>si arricchisce</strong> <strong>anche</strong> per effetto di un <strong>negozio</strong> concluso <strong>non già direttamente con il donante</strong> (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma <strong>con un terzo</strong>, come quando si utilizzi un <strong>procedimento di donazione indiretta complesso</strong> in cui il donatario <strong>si arricchisce</strong> dell’immobile acquistato dal venditore <strong>con denaro del donante</strong>, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, <strong>l’arricchimento del donatario al tempo X</strong> potendosi palesare <strong>maggiore</strong>, in termini di <strong>valore</strong>, dell’<strong>impoverimento del donante al precedente tempo Y</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 luglio esce la sentenza della Corte d’Appello di Napoli in tema di <strong>caduta in comunione legale</strong> <strong>tra coniuge</strong> dei <strong>beni donati</strong> ad uno di essi. Se si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta del bene</strong> (sovente <strong>immobile</strong>) si applica – a rigore - <strong>l’art.179, comma 1, lettera b)</strong> del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione <strong>è stato assegnato</strong> al coniuge a titolo (di <strong>successione ereditaria</strong> ovvero) di <strong>donazione</strong> (quale che essa sia), per <strong>escludere</strong> appunto il ridetto bene dalla <strong>comunione legale</strong>; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato <strong>cada in comunione</strong> quando <strong>nell’”<em>atto di liberalità</em>”</strong> (o <strong>nel testamento</strong>) venga <strong>specificato</strong> che esso è appunto <strong>attribuito alla comunione</strong>, e poiché nella <strong>donazione “<em>indiretta</em>”</strong> <strong>nulla</strong> viene <strong>specificato</strong>, il problema che si è posto è capire se si applica <strong>in ogni caso</strong> l’art.179, comma 1, <strong>lettera b)</strong>, ovvero debba applicarsi piuttosto la <strong>regola generale</strong> di cui all’<strong>art.177, comma 1, lettera a)</strong> c.c. quale <strong>acquisto </strong>compiuto dal coniuge<strong> (donatario)</strong> <strong>in costanza di matrimonio</strong>, e dunque <strong>automaticamente</strong> ricadente <strong>in comunione.</strong> La Corte abbraccia la tesi (che si rivelerà <strong>minoritaria</strong>) secondo la quale il <strong>bene oggetto di donazione indiretta</strong> (a differenza di quello oggetto di donazione <strong>diretta</strong>) cade <strong>in comunione</strong>, stante il c.d. “<strong><em>favor communionis</em></strong>” e la natura <strong>eccezionale</strong> delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla <strong>regola generale</strong>, appunto, della caduta in comunione <strong>di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi</strong> in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la <strong>diversa espressione</strong> utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “<strong><em>donazione</em></strong>” (diretta) e poi di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>”, proprio per <strong>distinguere</strong> questa seconda ipotesi dalla prima.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7160 che, in tema di <strong>rendita vitalizia a favore di un terzo</strong> ex <strong>art.1875</strong> afferma come – trattandosi di una fattispecie di <strong>donazione indiretta</strong> – <strong>non</strong> sia <strong>necessaria</strong> la <strong>forma scritta</strong> prevista per la <strong>donazione</strong> di cui all’art.769 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1214 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato. Per la Corte la <strong>ragione sostanziale</strong> della <strong>mancata sussistenza</strong> di un <strong>onere di forma solenne</strong> per le donazioni indirette risiede nel fatto che <strong>l’art.782</strong> c.c. – laddove prescrive la <strong>forma dell’atto pubblico</strong> per la donazione diretta <strong>al fine di tutelare il donante</strong> – <strong>non</strong> può essere <strong>esteso</strong> (a differenza delle norme che invece <strong>tutelano i terzi</strong>) alla <strong>donazione indiretta</strong>, e ciò in quanto <strong>l’arricchimento non è l’effetto tipico</strong> del negozio che le parti <strong>adottano</strong> per realizzarlo. Per la Corte il <strong>negozio indiretto</strong> costituisce una delle <strong>espressioni tipiche</strong> dell’<strong>autonomia privata</strong> e dunque la <strong>forma negoziale</strong>, in linea di principio, non può che essere <strong>quella del negozio di volta in volta adottato</strong>, e <strong>non già</strong> quella del negozio che <strong>in modo tipico è previsto</strong> dall’ordinamento (nel caso di specie, la <strong>donazione diretta</strong>) per la realizzazione della <strong>causa</strong> al cui perseguimento <strong>è stata piegata la funzione</strong> del <strong>negozio posto concretamente in essere</strong> dalle parti. Il principio, prosegue la Corte, vale <strong>anche</strong> per le <strong>donazioni indirette</strong> e ciò tanto più tenendo conto del fatto che esso, <strong>lungi</strong> dal trovare <strong>ostacolo</strong> nel <strong>dato normativo</strong>, ne riceve invece <strong>conferma</strong>, come è ben desumibile <strong>dall’art.809</strong> c.c. che, nello stabilire <strong>quali siano le norme</strong> sulle <strong>donazioni</strong> che si applicano agli altri <strong>atti di liberalità</strong> realizzati con <strong>negozi diversi</strong> da quello <strong>tipico</strong> di cui all’art.769 c.c., <strong>non richiama</strong> tra esse quella che prescrive la <strong>specifica forma dell’atto pubblico</strong> normalmente richiesta per la donazione, vale a dire <strong>l’art.782</strong> c.c.. Sotto altro profilo, prosegue la Corte, non si è mancato di far osservare che, dal momento che <strong>la norma sulla forma della donazione</strong> fa parte di quelle disposizioni intese a realizzare <strong>la tutela del donante</strong> (onde scongiurare che lo <strong>spirito di liberalità</strong> possa trasformarsi in un <strong>pregiudizio</strong> per il donante medesimo), utilizzando uno <strong>strumento di carattere preventivo</strong> (la <strong>forma pubblica <em>ad substantiam</em></strong> appunto), detta norma – a differenza delle altre norme che assicurano <strong>la tutela dei terzi</strong> – <strong>non</strong> può essere <strong>estesa</strong> a quei negozi che perseguano lo <strong>scopo di liberalità</strong> giusta <strong>schemi negoziali</strong> previsti per il raggiungimento di <strong>finalità di altro genere</strong>; diversamente opinando, si configurerebbe infatti per la Corte un <strong>troppo radicale sacrificio dell’autonomia privata</strong> alla quale va ricondotto il <strong>potere delle parti</strong> di avvalersi delle <strong>figure negoziali</strong> per perseguire <strong>finalità lecite</strong> e, come tali, idonee a trovare nell’ordinamento il relativo riconoscimento. Con questa sentenza la Corte, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, <strong>supera</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 maggio esce la sentenza della III sezione delle Cassazione n.4231 che, riprendendo quanto <strong>autorevolmente ed innovativamente</strong> affermato dalle <strong>SSUU</strong> nel 1992 - ribadisce che <strong>va abbandonato</strong> il <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>. La Corte <strong>distingue</strong> peraltro l’ipotesi in cui <strong>l’ascendente dona</strong> al discendente <strong>il denaro</strong>, laddove <strong>oggetto della collazione</strong> non può che essere <strong>il denaro medesimo</strong> quale <strong>bene</strong> di cui il genitore <strong>ha inteso beneficiare il figlio</strong>, ed il cui <strong>autonomo</strong> <strong>reimpiego</strong> per l’acquisto dell’immobile <strong>non può avere rilievo</strong> per essere <strong>estraneo</strong> alla <strong>previsione</strong> stessa del donante; dalla diversa ipotesi del <strong>denaro donato</strong> allo <strong>specifico scopo</strong> di consentire al discendente <strong>l’acquisto dell’immobile</strong> in parola, laddove si riscontra un <strong>preciso nesso di causalità</strong> tra <strong>dazione del denaro</strong> ed <strong>acquisto dell’immobile</strong>, con conseguente <strong>configurabilità della donazione (indiretta)</strong> <strong>dell’immobile</strong> stesso, e <strong>non già solo del denaro</strong> che serve per acquistarlo, <strong>prescindendo</strong> peraltro dal <strong>concreto atteggiarsi della fattispecie</strong>, potendo accadere che l’ascendente <strong>sottoscriva </strong>con il promittente venditore<strong> il preliminare di acquisto</strong> seguito poi da <strong>sottoscrizione del contratto definitivo</strong> da parte del <strong>discendente</strong>, ovvero che <strong>l’ascendente acquisti l’immobile</strong> e <strong>lo intesti al discendente</strong>, ovvero ancora che l’ascendente <strong>doni al discendente il denaro necessario</strong> <strong>per procedere</strong> al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza - al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong>, quale <strong>negozio</strong> che, pur <strong>non rivestendosi</strong> della <strong>forma della donazione</strong>, è mosso dal <strong>fine di liberalità</strong> ed ha <strong>lo scopo e l’effetto</strong> di <strong>arricchire gratuitamente</strong> il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo <strong>non già tanto all’impoverimento</strong> del donante, quanto piuttosto <strong>all’arricchimento</strong> (<strong>voluto</strong> dal donante) <strong>del donatario</strong>, quale <strong>scopo ultimo</strong> perseguito appunto dal donante, onde appare <strong>riduttivo</strong> alla Corte (come fa la <strong>tesi formalistica</strong> in precedenza sposata) affermare che tale <strong>arricchimento del beneficiario </strong>donatario <strong>corrisponda</strong> al <strong>solo bene</strong> (o valore) <strong>uscito</strong> dal patrimonio del donante, e dunque del <strong>denaro usato</strong> per acquistare il divisato immobile. Mentre nella <strong>donazione diretta</strong> dell’<strong>immobile</strong> tale <strong>corrispondenza</strong> (tra <strong>impoverimento</strong> del donante ed <strong>arricchimento</strong> del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il beneficiario <strong>si arricchisce</strong> <strong>anche</strong> per effetto di un <strong>negozio</strong> concluso <strong>non già direttamente con il donante</strong> (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma <strong>con un terzo</strong>, come quando si utilizzi un <strong>procedimento di donazione indiretta complesso</strong> in cui il donatario <strong>si arricchisce</strong> dell’immobile acquistato dal venditore <strong>con denaro del donante</strong>, onde la <strong>corrispondenza</strong> in parola può non sussistere, <strong>l’arricchimento del donatario al tempo X</strong> potendosi palesare <strong>maggiore</strong>, in termini di <strong>valore</strong>, dell’<strong>impoverimento del donante al precedente tempo Y</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11237, in tema di donazione indiretta e comunione legale tra coniugi. Se si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta del bene</strong> (sovente <strong>immobile</strong>) si applica – a rigore - <strong>l’art.179, comma 1, lettera b)</strong> del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione <strong>è stato assegnato</strong> al coniuge a titolo (di <strong>successione ereditaria</strong> ovvero) di <strong>donazione</strong> (quale che essa sia), per <strong>escludere</strong> appunto il ridetto bene dalla <strong>comunione legale</strong>; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato <strong>cada in comunione</strong> quando <strong>nell’”<em>atto di liberalità</em>”</strong> (o <strong>nel testamento</strong>) venga <strong>specificato</strong> che esso è appunto <strong>attribuito alla comunione</strong>, e poiché nella <strong>donazione “<em>indiretta</em>”</strong> <strong>nulla</strong> viene <strong>specificato</strong>, il problema che si è posto è capire se si applica <strong>in ogni caso</strong> l’art.179, comma 1, <strong>lettera b)</strong>, ovvero debba applicarsi piuttosto la <strong>regola generale</strong> di cui all’<strong>art.177, comma 1, lettera a)</strong> c.c. quale <strong>acquisto </strong>compiuto dal coniuge<strong> (donatario)</strong> <strong>in costanza di matrimonio</strong>¸ e dunque<strong> automaticamente </strong>ricadente<strong> in comunione</strong>. La Corte, in proposito, ripudia la tesi (che si rivelerà <strong>minoritaria</strong>) onde il <strong>bene oggetto di donazione indiretta</strong> (a differenza di quello oggetto di donazione <strong>diretta</strong>) cadrebbe <strong>in comunione</strong>, stante il c.d. “<strong><em>favor communionis</em></strong>” e la natura <strong>eccezionale</strong> delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla <strong>regola generale</strong>, appunto, della caduta in comunione <strong>di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi</strong> in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la <strong>diversa espressione</strong> utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “<strong><em>donazione</em></strong>” (diretta) e poi di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>”, proprio per <strong>distinguere</strong> questa seconda ipotesi dalla prima. Per la Corte va piuttosto abbracciata la tesi (che sarà <strong>maggioritaria</strong>) onde, all’opposto (e valorizzando il <strong>consapevole e voluto collegamento negoziale</strong> tra <strong>messa a disposizione del denaro</strong> ed <strong>acquisto del bene</strong>), anche in ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il bene donato <strong>non cade </strong>in comunione, in quanto sul crinale <strong>letterale</strong> la nozione di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>” appare <strong>onnicomprensiva</strong> ed inglobante in sé anche la “<strong><em>donazione</em></strong>”, mentre sul crinale <strong>strutturale</strong> non conta la <strong>specificazione</strong> della <strong>destinazione “<em>personale</em>”</strong>, la quale ultima <strong>non</strong> può assumersi <strong>requisito essenziale</strong> per <strong>escludere</strong> il bene donato dalla <strong>comunione</strong>, essendo piuttosto <strong>rilevante</strong> il requisito opposto della <strong>destinazione “<em>alla comunione</em>”</strong>, questa sì <strong>da specificarsi</strong> se si vuole <strong>escludere</strong> l’effetto della attribuibilità del bene <strong>al novero di</strong> <strong>quelli personali</strong> del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente <strong>acquisti un bene</strong> e <strong>lo intesti al proprio discendente coniugato</strong> in regime di <strong>comunione legale</strong>, tale bene, - salva <strong>esplicita</strong> manifestazione di volontà <strong>in senso contrario</strong> - quale “<strong><em>donazione</em></strong>” (seppure indiretta) <strong>non cade</strong> in comunione, sia perché il donante <strong>ciò non vuole</strong> (salva appunto <strong>l’esplicita, opposta</strong> manifestazione di volontà), sia perché la <strong>logica</strong> della caduta di un bene acquistato <strong>in comunione legale</strong> risiede nel fatto che tale acquisto è il <strong>precipitato</strong> della <strong>collaborazione</strong> e del <strong>sacrificio</strong> di <strong>entrambi i coniugi</strong>, circostanza che <strong>non si verifica</strong> nel caso in cui il bene sia stato appunto <strong>donato solo ad uno di essi</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 30 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.13117, che – in caso di <strong>rinunzia abdicativa</strong> – ne conferma la natura di <strong>donazione indiretta</strong> tutte le volte in cui vi sia un <strong>diretto nesso di causalità</strong> tra la <strong>rinunzia abdicativa</strong> stessa e <strong>l’arricchimento di un terzo</strong>. Detta <strong>rinunzia abdicativa</strong> ad un <strong>diritto</strong> determina <strong>l’acquisto per via indiretta di un vantaggio</strong> da parte di un <strong>terzo beneficiario</strong> tutte le volte che, attraverso la <strong>rinunzia </strong>medesima, <strong>venga meno</strong> uno <strong>stato di compressione</strong> in cui versa <strong>l’interesse</strong> del terzo beneficiario <strong>prima della rinunzia</strong> ridetta.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’8 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4680 che, riprendendo quanto <strong>autorevolmente ed innovativamente</strong> affermato dalle <strong>SSUU</strong> nel 1992 - ribadisce che <strong>va abbandonato</strong> il <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>. La Corte <strong>distingue</strong> peraltro l’ipotesi in cui <strong>l’ascendente dona</strong> al discendente <strong>il denaro</strong>, laddove <strong>oggetto della collazione</strong> non può che essere <strong>il denaro medesimo</strong> quale <strong>bene</strong> di cui il genitore <strong>ha inteso beneficiare il figlio</strong>, ed il cui <strong>reimpiego</strong> per l’acquisto dell’immobile <strong>non può avere rilievo</strong> per essere <strong>estraneo</strong> alla <strong>previsione</strong> stessa del donante; dalla diversa ipotesi del <strong>denaro donato</strong> allo <strong>specifico scopo</strong> di consentire al discendente <strong>l’acquisto dell’immobile</strong> in parola, laddove si riscontra un <strong>preciso nesso di causalità</strong> tra <strong>dazione del denaro</strong> ed <strong>acquisto dell’immobile</strong>, con conseguente <strong>configurabilità della donazione (indiretta)</strong> <strong>dell’immobile</strong> stesso, e <strong>non già solo del denaro</strong> che serve per acquistarlo, <strong>prescindendo</strong> peraltro dal <strong>concreto atteggiarsi della fattispecie</strong>, potendo accadere che l’ascendente <strong>sottoscriva </strong>con il promittente venditore<strong> il preliminare di acquisto</strong> seguito poi da <strong>sottoscrizione del contratto definitivo</strong> da parte del <strong>discendente</strong>, ovvero che <strong>l’ascendente acquisti l’immobile</strong> e <strong>lo intesti al discendente</strong>, ovvero ancora che l’ascendente <strong>doni al discendente il denaro necessario</strong> <strong>per procedere</strong> al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza - al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong>, quale <strong>negozio</strong> che, pur <strong>non rivestendosi</strong> della <strong>forma della donazione</strong>, è mosso dal <strong>fine di liberalità</strong> ed ha <strong>lo scopo e l’effetto</strong> di <strong>arricchire gratuitamente</strong> il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo <strong>non già tanto all’impoverimento</strong> del donante, quanto piuttosto <strong>all’arricchimento</strong> (<strong>voluto</strong> dal donante) <strong>del donatario</strong>, quale <strong>scopo ultimo</strong> perseguito appunto dal donante, onde appare <strong>riduttivo</strong> alla Corte (come fa la <strong>tesi formalistica</strong> in precedenza sposata) affermare che tale <strong>arricchimento del beneficiario </strong>donatario <strong>corrisponda</strong> al <strong>solo bene</strong> (o valore) <strong>uscito</strong> dal patrimonio del donante, e dunque del <strong>denaro usato</strong> per acquistare il divisato immobile. Mentre nella <strong>donazione diretta</strong> dell’<strong>immobile</strong> tale <strong>corrispondenza</strong> (tra <strong>impoverimento</strong> del donante ed <strong>arricchimento</strong> del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il beneficiario <strong>si arricchisce</strong> <strong>anche</strong> per effetto di un <strong>negozio</strong> concluso <strong>non già direttamente con il donante</strong> (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma <strong>con un terzo</strong>, come quando si utilizzi un <strong>procedimento di donazione indiretta complesso</strong> in cui il donatario <strong>si arricchisce</strong> dell’immobile acquistato dal venditore <strong>con denaro del donante</strong>, onde la <strong>corrispondenza</strong> in parola può <strong>non sussistere</strong>, <strong>l’arricchimento del donatario al tempo X</strong> potendosi palesare <strong>maggiore</strong>, in termini di <strong>valore</strong>, dell’<strong>impoverimento del donante al precedente tempo Y</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3499 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato. Statuendo in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, la Corte assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 642 che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>. Si è dunque al cospetto di un solo <strong>negozio indiretto</strong> (tesi <strong>prevalente</strong>), il <strong>contratto commutativo</strong> costituendo lo <strong>strumento</strong> attraverso il quale si giunge – <strong>per via indiretta</strong> - a quello <strong>donativo</strong>; la conseguenza è che si applica la <strong>forma</strong> propria del <strong>contratto prescelto</strong> (con funzione <strong>di scambio</strong>), e <strong>non già</strong> la <strong>forma <em>ad substantiam</em></strong> della donazione, come peraltro conferma lo stesso <strong>art.809</strong> del codice laddove individua le <strong>norme materiali sulle donazioni</strong> <strong>dirette</strong> che possono applicarsi agli <strong>atti di liberalità diversi dalla donazione <em>tout court</em></strong> (donazioni “<strong><em>indirette</em></strong>”), <strong>senza</strong> che sia <strong>esplicitamente richiamato l’art.782</strong> c.c. ed il <strong>rigore formale</strong> ivi prescritto (atto pubblico). Per la Corte – dal punto di vista <strong>strutturale e formale</strong> – si segue il <strong>regime proprio</strong> del <strong>negozio </strong>(<strong>direttamente</strong>)<strong> voluto</strong> dalle parti, che è un <strong>negozio di scambio</strong> per il quale <strong>non occorre la forma scritta</strong> per atto pubblico <strong><em>ad substantiam</em></strong>; se invece si guarda al <strong>risultato perseguito</strong> dalle parti medesime, vale a dire all’<strong>arricchimento di una di esse</strong> per <strong>spirito di liberalità</strong>, si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong> alla quale si applica la <strong>disciplina</strong> contenuta nell’<strong>art.809</strong> c.c., che rappresenta una <strong>novità</strong> rispetto al <strong>codice del 1865</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 3 ottobre esce la sentenza del <strong>Tribunale di Firenze</strong> che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.15778 che, riprendendo quanto <strong>autorevolmente ed innovativamente</strong> affermato dalle <strong>SSUU</strong> nel 1992 - ribadisce che <strong>va abbandonato</strong> il <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>. La Corte <strong>distingue</strong> peraltro l’ipotesi in cui <strong>l’ascendente dona</strong> al discendente <strong>il denaro</strong>, laddove <strong>oggetto della collazione</strong> non può che essere <strong>il denaro medesimo</strong> quale <strong>bene</strong> di cui il genitore <strong>ha inteso beneficiare il figlio</strong>, ed il cui <strong>reimpiego</strong> per l’acquisto dell’immobile <strong>non può avere rilievo</strong> per essere <strong>estraneo</strong> alla <strong>previsione</strong> stessa del donante; dalla diversa ipotesi del <strong>denaro donato</strong> allo <strong>specifico scopo</strong> di consentire al discendente <strong>l’acquisto dell’immobile</strong> in parola, laddove si riscontra un <strong>preciso nesso di causalità</strong> tra <strong>dazione del denaro</strong> ed <strong>acquisto dell’immobile</strong>, con conseguente <strong>configurabilità della donazione (indiretta)</strong> <strong>dell’immobile</strong> stesso, e <strong>non già solo del denaro</strong> che serve per acquistarlo, <strong>prescindendo</strong> peraltro dal <strong>concreto atteggiarsi della fattispecie</strong>, potendo accadere che l’ascendente <strong>sottoscriva </strong>con il promittente venditore<strong> il preliminare di acquisto</strong> seguito poi da <strong>sottoscrizione del contratto definitivo</strong> da parte del <strong>discendente</strong>, ovvero che <strong>l’ascendente acquisti l’immobile</strong> e <strong>lo intesti al discendente</strong>, ovvero ancora che l’ascendente <strong>doni al discendente il denaro necessario</strong> <strong>per procedere</strong> al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza - al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong>, quale <strong>negozio</strong> che, pur <strong>non rivestendosi</strong> della <strong>forma della donazione</strong>, è mosso dal <strong>fine di liberalità</strong> ed ha <strong>lo scopo e l’effetto</strong> di <strong>arricchire gratuitamente</strong> il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo <strong>non già tanto all’impoverimento</strong> del donante, quanto piuttosto <strong>all’arricchimento</strong> (<strong>voluto</strong> dal donante) <strong>del donatario</strong>, quale <strong>scopo ultimo</strong> perseguito appunto dal donante, onde appare <strong>riduttivo</strong> alla Corte (come fa la <strong>tesi formalistica</strong> in precedenza sposata) affermare che tale <strong>arricchimento del beneficiario </strong>donatario <strong>corrisponda</strong> al <strong>solo bene</strong> (o valore) <strong>uscito</strong> dal patrimonio del donante, e dunque del <strong>denaro usato</strong> per acquistare il divisato immobile. Mentre nella <strong>donazione diretta</strong> dell’<strong>immobile</strong> tale <strong>corrispondenza</strong> (tra <strong>impoverimento</strong> del donante ed <strong>arricchimento</strong> del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il beneficiario <strong>si arricchisce</strong> <strong>anche</strong> per effetto di un <strong>negozio</strong> concluso <strong>non già direttamente con il donante</strong> (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma <strong>con un terzo</strong>, come quando si utilizzi un <strong>procedimento di donazione indiretta complesso</strong> in cui il donatario <strong>si arricchisce</strong> dell’immobile acquistato dal venditore <strong>con denaro del donante</strong>, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, <strong>l’arricchimento del donatario</strong> al tempo X potendosi palesare <strong>maggiore</strong>, in termini di <strong>valore</strong>, dell’<strong>impoverimento del donante</strong> al precedente tempo Y. Sul versante dei rapporti tra <strong>donazione indiretta</strong> e <strong>comunione legale tra coniugi</strong>, coerentemente, la Corte ribadisce la tesi (ormai <strong>maggioritaria</strong>) onde, valorizzando il <strong>consapevole e voluto collegamento negoziale</strong> tra <strong>messa a disposizione del denaro</strong> ed <strong>acquisto del bene</strong>, anche in ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il bene donato <strong>non cade </strong>in comunione (ai sensi dell’<strong>art.179</strong>, comma 1, <strong>lettera b</strong> c.c.), in quanto sul crinale <strong>letterale</strong> la nozione di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>” appare <strong>onnicomprensiva</strong> ed inglobante in sé anche la “<strong><em>donazione</em></strong>”, mentre sul crinale <strong>strutturale</strong> non conta la <strong>specificazione</strong> della <strong>destinazione “<em>personale</em>”</strong>, la quale ultima <strong>non</strong> può assumersi <strong>requisito essenziale</strong> per <strong>escludere</strong> il bene donato dalla <strong>comunione</strong>, essendo piuttosto <strong>rilevante</strong> il requisito opposto della <strong>destinazione “<em>alla comunione</em>”</strong>, questa sì <strong>da specificarsi</strong> se si vuole <strong>escludere</strong> l’effetto della attribuibilità del bene <strong>al novero di</strong> <strong>quelli personali</strong> del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente <strong>acquisti un bene</strong> e <strong>lo intesti al proprio discendente coniugato</strong> in regime di <strong>comunione legale</strong>, tale bene, - salva <strong>esplicita</strong> manifestazione di volontà <strong>in senso contrario</strong> - quale “<strong><em>donazione</em></strong>” (seppure indiretta) <strong>non cade</strong> in comunione, sia perché il donante <strong>ciò non vuole</strong> (salva appunto <strong>l’esplicita, opposta</strong> manifestazione di volontà), sia perché la <strong>logica</strong> della caduta di un bene acquistato <strong>in comunione legale</strong> risiede nel fatto che tale acquisto è il <strong>precipitato</strong> della <strong>collaborazione</strong> e del <strong>sacrificio</strong> di <strong>entrambi i coniugi</strong>, circostanza che <strong>non si verifica</strong> nel caso in cui il bene sia stato appunto <strong>donato solo ad uno di essi</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 29 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4623 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 6711 che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 5461 che ribadisce la <strong>donazione indiretta</strong> consistere in una <strong>liberalità</strong> che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la <strong>donazione tipica</strong> – utilizzando lo <strong>schema di un negozio oneroso</strong> che, oltre a produrre <strong>l’effetto tipico</strong> che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce <strong>anche</strong> un <strong>ulteriore effetto</strong>, connesso all’<strong><em>animus donandi</em></strong> di una delle parti, dell’<strong>arricchimento dell’altra parte</strong> senza riceverne un corrispettivo.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 26 agosto esce la sentenza della Cassazione n.12486 che, riprendendo quanto <strong>autorevolmente ed innovativamente</strong> affermato dalle <strong>SSUU</strong> nel 1992 - ribadisce che <strong>va abbandonato</strong> il <strong>tradizionale orientamento</strong> – più <strong>formalistico</strong> – inteso ad <strong>individuare</strong>, quale <strong>oggetto della collazione</strong> in ipotesi di <strong>bene immobile acquistato dal <em>de cuius</em></strong> ed <strong>intestato a nome altrui</strong> (segnatamente, a nome di un <strong>discendente</strong>), la <strong>somma a suo tempo uscita</strong> dal patrimonio del donante (aumentata degli <strong>interessi legali</strong>) per abbracciare la <strong>diversa opzione ermeneutica</strong> – di stampo maggiormente <strong>sostanzialistico</strong> e più idonea <strong>scongiurare disparità di trattamento</strong> tra coeredi – alla cui stregua <strong>oggetto della collazione</strong> è <strong>quanto ha arricchito il beneficiario</strong>, e dunque in sostanza <strong>l’immobile medesimo</strong> al valore dell’<strong>aperta successione</strong>. La Corte <strong>distingue</strong> peraltro l’ipotesi in cui <strong>l’ascendente dona</strong> al discendente <strong>il denaro</strong>, laddove <strong>oggetto della collazione</strong> non può che essere <strong>il denaro medesimo</strong> quale <strong>bene</strong> di cui il genitore <strong>ha inteso beneficiare il figlio</strong>, ed il cui <strong>reimpiego</strong> per l’acquisto dell’immobile <strong>non può avere rilievo</strong> per essere <strong>estraneo</strong> alla <strong>previsione</strong> stessa del donante; dalla diversa ipotesi del <strong>denaro donato</strong> allo <strong>specifico scopo</strong> di consentire al discendente <strong>l’acquisto dell’immobile</strong> in parola, laddove si riscontra un <strong>preciso nesso di causalità</strong> tra <strong>dazione del denaro</strong> ed <strong>acquisto dell’immobile</strong>, con conseguente <strong>configurabilità della donazione (indiretta)</strong> <strong>dell’immobile</strong> stesso, e <strong>non già solo del denaro</strong> che serve per acquistarlo, <strong>prescindendo</strong> peraltro dal <strong>concreto atteggiarsi della fattispecie</strong>, potendo accadere che l’ascendente <strong>sottoscriva </strong>con il promittente venditore<strong> il preliminare di acquisto</strong> seguito poi da <strong>sottoscrizione del contratto definitivo</strong> da parte del <strong>discendente</strong>, ovvero che <strong>l’ascendente acquisti l’immobile</strong> e <strong>lo intesti al discendente</strong>, ovvero ancora che l’ascendente <strong>doni al discendente il denaro necessario</strong> <strong>per procedere</strong> al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza - al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong>, quale <strong>negozio</strong> che, pur <strong>non rivestendosi</strong> della <strong>forma della donazione</strong>, è mosso dal <strong>fine di liberalità</strong> ed ha <strong>lo scopo e l’effetto</strong> di <strong>arricchire gratuitamente</strong> il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo <strong>non già tanto all’impoverimento</strong> del donante, quanto piuttosto <strong>all’arricchimento</strong> (<strong>voluto</strong> dal donante) <strong>del donatario</strong>, quale <strong>scopo ultimo</strong> perseguito appunto dal donante, onde appare <strong>riduttivo</strong> alla Corte (come fa la <strong>tesi formalistica</strong> in precedenza sposata) affermare che tale <strong>arricchimento del beneficiario </strong>donatario <strong>corrisponda</strong> al <strong>solo bene</strong> (o valore) <strong>uscito</strong> dal patrimonio del donante, e dunque del <strong>denaro usato</strong> per acquistare il divisato immobile. Mentre nella <strong>donazione diretta</strong> dell’<strong>immobile</strong> tale <strong>corrispondenza</strong> (tra <strong>impoverimento</strong> del donante ed <strong>arricchimento</strong> del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il beneficiario <strong>si arricchisce</strong> <strong>anche</strong> per effetto di un <strong>negozio</strong> concluso <strong>non già direttamente con il donante</strong> (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma <strong>con un terzo</strong>, come quando si utilizzi un <strong>procedimento di donazione indiretta complesso</strong> in cui il donatario <strong>si arricchisce</strong> dell’immobile acquistato dal venditore <strong>con denaro del donante</strong>, onde la <strong>corrispondenza</strong> in parola <strong>può non sussistere</strong>, <strong>l’arricchimento del donatario al tempo X</strong> potendosi palesare <strong>maggiore</strong>, in termini di <strong>valore</strong>, dell’<strong>impoverimento del donante al precedente tempo Y</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 novembre esce la sentenza del Tribunale di Napoli che annovera tra le <strong>donazioni indirette</strong>, in particolari circostanze, il <strong>contratto a favore di terzo</strong> ex art.1411 c.c., la <strong>prestazione del promittente</strong> a favore del terzo potendo trovare la propria <strong>causa</strong> nello <strong>spirito di liberalità</strong> dello <strong>stipulante</strong>, così configurandosi appunto una <strong>donazione indiretta</strong> che, come tale, <strong>non è sottoposta</strong> alle <strong>norme sulla forma</strong> proprie del contratto di donazione, ed in particolare all’art.782 c.c..</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5584 che, pronunciandosi in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, afferma come il <strong><em>nomen iuris</em></strong> che al <strong>negozio divisato</strong> hanno attribuito <strong>le parti</strong> dal punto di vista <strong>formale</strong> non assuma <strong>importanza decisiva</strong>, né tampoco esso appare <strong>idoneo a vincolare il giudice</strong> nella <strong>qualificazione</strong>, per l’appunto, del contratto come tale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3642 che, in tema di <strong>donazione indiretta</strong> di immobile da parte dell’<strong>ascendente</strong> e <strong>collazione</strong>, ribadisce come si debba distinguere l’ipotesi della <strong>donazione diretta del denaro</strong>, impiegato successivamente dal beneficiario in un <strong>acquisto immobiliare</strong> con <strong>propria autonoma e distinta determinazione</strong> (in sostanza, con il denaro il beneficiario della liberalità <strong>poteva farci qualunque cosa</strong>, e ha infine <strong>scelto autonomamente</strong> di <strong>acquistare un immobile</strong>), nel qual caso <strong>oggetto della donazione</strong> rimane il <strong>denaro stesso</strong>, da quella in cui il donante <strong>fornisca consapevolmente il denaro</strong> quale <strong>precipuo mezzo</strong> per l’<strong>acquisto dell’immobile</strong>, che costituisce <strong>l’unico specifico fine</strong>, se pur <strong>mediato</strong>, della <strong>donazione</strong>, onde a rilevare è <strong>esclusivamente l’<em>animus donandi</em></strong> inteso come <strong>consapevole volontà</strong> di (cosa) <strong>donare</strong>, in disparte <strong>l’operazione negoziale</strong> all’uopo utilizzata (talvolta anche <strong>complessa</strong>).</p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5333 che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato. La Corte, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>. Si è dunque al cospetto di un solo <strong>negozio indiretto</strong> (tesi <strong>prevalente</strong>), il <strong>contratto commutativo</strong> costituendo lo <strong>strumento</strong> attraverso il quale si giunge – <strong>per via indiretta</strong> - a quello <strong>donativo</strong>; la conseguenza è che si applica la <strong>forma</strong> propria del <strong>contratto prescelto</strong> (con funzione <strong>di scambio</strong>), e <strong>non già</strong> la <strong>forma <em>ad substantiam</em></strong> della donazione, come peraltro conferma lo stesso <strong>art.809</strong> del codice laddove individua le <strong>norme materiali sulle donazioni</strong> <strong>dirette</strong> che possono applicarsi agli <strong>atti di liberalità diversi dalla donazione <em>tout court</em></strong> (donazioni “<strong><em>indirette</em></strong>”), <strong>senza</strong> che sia <strong>esplicitamente richiamato l’art.782</strong> c.c. ed il <strong>rigore formale</strong> ivi prescritto (atto pubblico). La Corte ribadisce inoltre che nella particolare fattispecie in cui un soggetto stipula un <strong>contratto preliminare di acquisto</strong> con il <strong>venditore di un bene</strong>, e <strong>fornisce poi il denaro</strong> ad <strong>un terzo</strong> – che egli <strong>intende beneficiare</strong> – per la <strong>stipula del definitivo</strong>, onde <strong>il definitivo</strong> viene poi stipulato dal ridetto <strong>terzo beneficiario,</strong> si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta del bene</strong> (normalmente immobile) oggetto della <strong>sequenza preliminare-definitivo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 luglio esce la sentenza del Tribunale di Torino che ribadisce come - perché la <strong>donazione indiretta</strong> sia <strong>valida</strong> – sia sufficiente che le parti <strong>rispettino le forme</strong> prescritte per il <strong>negozio tipico “<em>mezzo</em>”</strong> utilizzato <strong>di volta in volta</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità </strong>divisato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.19601 onde, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, occorre <em>in primis</em> ricercare individuandola, sul crinale <strong>soggettivo</strong>, la <strong>comune volontà dei contraenti</strong>, orientata a farvi luogo. Per la Corte poi, sul versante <strong>oggettivo</strong>, la <strong>compravendita ad un prezzo inferiore</strong> rispetto a quello <strong>effettivo</strong> non integra, <strong>di per sé</strong>, un <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, essendo all’uopo altresì <strong>necessaria</strong> non solo la sussistenza di una <strong>sproporzione</strong> tra le prestazioni, ma anche la <strong>significativa entità</strong> di tale sproporzione, oltre alla <strong>indispensabile consapevolezza</strong>, da parte dell’<strong>alienante</strong>, dell’<strong>insufficienza del corrispettivo ricevuto</strong> rispetto al <strong>valore</strong> del bene ceduto, funzionale <strong>all’arricchimento di controparte acquirente</strong> corrispondente alla <strong>differenza</strong> tra il <strong>valore reale del bene ceduto</strong> e la <strong>minore entità del corrispettivo</strong> ricevuto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 ottobre esce la sentenza della III sezione del Tribunale di Genova che, sul versante dei rapporti tra <strong>donazione indiretta</strong> e <strong>comunione legale tra coniugi</strong>, ribadisce la tesi (ormai <strong>maggioritaria</strong>) onde, valorizzando il <strong>consapevole e voluto collegamento negoziale</strong> tra <strong>messa a disposizione del denaro</strong> ed <strong>acquisto del bene</strong>, anche in ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il bene donato <strong>non cade </strong>in comunione (ai sensi dell’<strong>art.179</strong>, comma 1, <strong>lettera b</strong> c.c.), in quanto sul crinale <strong>letterale</strong> la nozione di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>” appare <strong>onnicomprensiva</strong> ed inglobante in sé anche la “<strong><em>donazione</em></strong>”, mentre sul crinale <strong>strutturale</strong> non conta la <strong>specificazione</strong> della <strong>destinazione “<em>personale</em>”</strong>, la quale ultima <strong>non</strong> può assumersi <strong>requisito essenziale</strong> per <strong>escludere</strong> il bene donato dalla <strong>comunione</strong>, essendo piuttosto <strong>rilevante</strong> il requisito opposto della <strong>destinazione “<em>alla comunione</em>”</strong>, questa sì <strong>da specificarsi</strong> se si vuole <strong>escludere</strong> l’effetto della attribuibilità del bene <strong>al novero di</strong> <strong>quelli personali</strong> del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente <strong>acquisti un bene</strong> e <strong>lo intesti al proprio discendente coniugato</strong> in regime di <strong>comunione legale</strong>, tale bene, - salva <strong>esplicita</strong> manifestazione di volontà <strong>in senso contrario</strong> - quale “<strong><em>donazione</em></strong>” (seppure indiretta) <strong>non cade</strong> in comunione, sia perché il donante <strong>ciò non vuole</strong> (salva appunto <strong>l’esplicita, opposta</strong> manifestazione di volontà), sia perché la <strong>logica</strong> della caduta di un bene acquistato <strong>in comunione legale</strong> risiede nel fatto che tale acquisto è il <strong>precipitato</strong> della <strong>collaborazione</strong> e del <strong>sacrificio</strong> di <strong>entrambi i coniugi</strong>, circostanza che <strong>non si verifica</strong> nel caso in cui il bene sia stato appunto <strong>donato solo ad uno di essi</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 30 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 7507 che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza del Tribunale di Bologna che si occupa di una fattispecie in tema di <strong>delegazione di pagamento</strong>, laddove tra <strong>delegante</strong> e <strong>delegato</strong> <strong>non vi sia</strong> alcun previo <strong>rapporto obbligatorio</strong>, configurandosi dunque una <strong>delegazione c.d. “<em>allo scoperto</em>”</strong>; in una simile fattispecie, l’<strong>atto solutorio</strong> posto in essere dal <strong>delegato</strong> (<strong>non obbligato</strong> nei confronti del delegante) a beneficio del <strong>creditore delegatario</strong> si qualifica <strong>nei confronti del delegante</strong> o come <strong>mutuo</strong>, o come <strong>mandato</strong>, ovvero ancora come <strong>atto di liberalità indiretta</strong>, quest’ultimo caso ricorrendo allorché <strong>manchi un corrispettivo o altra utilità</strong> per il <strong>delegato</strong>, con conseguente <strong>revocabilità della donazione</strong> (indiretta) in caso di <strong>fallimento del donante</strong> (il delegato appunto) ai sensi dell’<strong>art.64 della legge fallimentare</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 13337 che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 giugno esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.13524 alla cui stregua per il <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong> <strong>non</strong> è necessaria la <strong>forma dell’atto pubblico</strong> richiesta per la <strong>donazione diretta</strong>, essendo invece sufficiente la <strong>forma dello schema negoziale adottato</strong>, senza far menzione del <strong>criterio della c.d. prevalenza</strong>. Le SSUU ribadiscono dunque autorevolmente la tesi del <strong>negozio indiretto</strong>, e della conseguente <strong>applicabilità</strong> della <strong>forma prescritta</strong> per il <strong>negozio “<em>strumento</em>” prescelto</strong> dalle parti al fine di realizzare, <strong>indirettamente</strong>, la <strong>causa liberale</strong> dell’<strong>arricchimento</strong> di una di esse.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 13 luglio esce la sentenza del Tribunale di <strong>Monza</strong> che, sul versante dei rapporti tra <strong>donazione indiretta</strong> e <strong>comunione legale tra coniugi</strong>, ribadisce la tesi (ormai <strong>maggioritaria</strong>) onde, valorizzando il <strong>consapevole e voluto collegamento negoziale</strong> tra <strong>messa a disposizione del denaro</strong> ed <strong>acquisto del bene</strong>, anche in ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il bene donato <strong>non cade </strong>in comunione (ai sensi dell’<strong>art.179</strong>, comma 1, <strong>lettera b</strong> c.c.), in quanto sul crinale <strong>letterale</strong> la nozione di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>” appare <strong>onnicomprensiva</strong> ed inglobante in sé anche la “<strong><em>donazione</em></strong>”, mentre sul crinale <strong>strutturale</strong> non conta la <strong>specificazione</strong> della <strong>destinazione “<em>personale</em>”</strong>, la quale ultima <strong>non</strong> può assumersi <strong>requisito essenziale</strong> per <strong>escludere</strong> il bene donato dalla <strong>comunione</strong>, essendo piuttosto <strong>rilevante</strong> il requisito opposto della <strong>destinazione “<em>alla comunione</em>”</strong>, questa sì <strong>da specificarsi</strong> se si vuole <strong>escludere</strong> l’effetto della attribuibilità del bene <strong>al novero di</strong> <strong>quelli personali</strong> del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente <strong>acquisti un bene</strong> e <strong>lo intesti al proprio discendente coniugato</strong> in regime di <strong>comunione legale</strong>, tale bene, - salva <strong>esplicita</strong> manifestazione di volontà <strong>in senso contrario</strong> - quale “<strong><em>donazione</em></strong>” (seppure indiretta) <strong>non cade</strong> in comunione, sia perché il donante <strong>ciò non vuole</strong> (salva appunto <strong>l’esplicita, opposta</strong> manifestazione di volontà), sia perché la <strong>logica</strong> della caduta di un bene acquistato <strong>in comunione legale</strong> risiede nel fatto che tale acquisto è il <strong>precipitato</strong> della <strong>collaborazione</strong> e del <strong>sacrificio</strong> di <strong>entrambi i coniugi</strong>, circostanza che <strong>non si verifica</strong> nel caso in cui il bene sia stato appunto <strong>donato solo ad uno di essi</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 30 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 1955 che, in tema di <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong>, assume ormai <strong>superata</strong> la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un <strong>contratto misto</strong> (con applicabilità del c.d. <strong>criterio della prevalenza</strong>) per scorgervi, <strong>innovativamente</strong>, per l’appunto un <strong>negozio indiretto</strong>, giusta il quale le parti <strong>piegano la causa tipica</strong> del <strong>contratto</strong> adottato (<strong>apparentemente</strong> commutativo e dunque <strong>di scambio</strong>) alla realizzazione di una <strong>causa di liberalità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11496 onde, in ipotesi di <strong>donazione indiretta di un immobile</strong>, realizzata mediante <strong>l’acquisto del bene</strong> con <strong>denaro proprio del disponente</strong> ed <strong>intestazione</strong> ad <strong>altro soggetto</strong>, che il disponente medesimo intenda in tal modo <strong>beneficiare</strong>, la <strong>compravendita</strong> costituisce lo <strong>strumento formale</strong> per il <strong>trasferimento del bene</strong> ed il corrispondente <strong>arricchimento del patrimonio del destinatario</strong>, <strong>locupletazione</strong> che ha quindi <strong>ad oggetto</strong> il <strong>bene</strong> e <strong>non già il denaro</strong>. Tuttavia, prosegue la Corte, alla <strong>riduzione</strong> per <strong>lesione di legittima</strong> di siffatta liberalità indiretta <strong>non si applica</strong> il <strong>principio</strong> della <strong>quota legittima in natura</strong> (connaturata alla pertinente azione nell’ipotesi di <strong>donazione ordinaria di immobile</strong> ex <strong>art. 560</strong> c.c.), poiché l’azione <strong>non mette in discussione la titolarità</strong> dei <strong>beni donati</strong> e l’acquisizione riguarda il relativo <strong>controvalore</strong>, mediante il <strong>metodo dell’imputazione</strong>; pertanto secondo la Corte, <strong>difettando</strong> il meccanismo di <strong>recupero reale</strong> della titolarità del bene, il <strong>valore dell’investimento finanziato</strong> con la <strong>donazione indiretta</strong> dev’essere ottenuto dal <strong>legittimario leso</strong> con le <strong>modalità tipiche del diritto di credito </strong>(pecuniario), con la conseguenza che, nell’ipotesi di <strong>fallimento</strong> del <strong>donatario beneficiario</strong>, la domanda è sottoposta al <strong>rito concorsuale</strong> dell’<strong>accertamento del passivo</strong> (ex art. 52 e 93 l. fall.).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">*il 2 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1986 onde si ha <strong>donazione indiretta</strong> allorquando il donante faccia luogo ad una <strong>liberalità</strong> a favore del donatario <strong>utilizzando strumentalmente</strong> <strong>negozi giuridici diversi</strong> che, pur conservando la <strong>causa loro propria</strong>, sono appunto <strong>indirettamente orientati</strong> ad <strong>arricchire</strong> il donatario per <strong>spirito di liberalità</strong>, mentre si è al cospetto di una <strong>donazione simulata</strong> allorché <strong>l’atto compiuto</strong> <strong>a titolo oneroso</strong> sia <strong>meramente apparente</strong>, volendo le parti – nella realtà – porre in essere <strong>solo un atto a titolo gratuito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 luglio esce la sentenza del Tribunale di Ivrea onde la mera cointestazione di un conto corrente bancario a favore di un soggetto diverso da quello che effettua il versamento delle somme non integra di per sé un atto di liberalità a favore del cointestatario, a meno che non venga riscontrata l’esistenza <em>dell’animus donandi</em> consistente nell’accertamento che al momento della contestazione il proprietario del denaro già esistente sul conto non avesse altro scopo che quello di liberalità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 gennaio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.106 che - in una fattispecie di c.d. <strong>bancogiro</strong> - rimette alle <strong>SSUU</strong> la questione afferente a <strong>quale sia lo strumento utilizzabile</strong> dalle parti per far luogo ad una <strong>donazione indiretta</strong>, <strong>come funzionino</strong> appunto le donazioni indirette e se <strong>sotto l’egida dell’art.809</strong> c.c. (con conseguente <strong>non necessità</strong> del <strong>rigore formale</strong> prescritto dall’<strong>art.782</strong> c.c.) possa essere ricondotto <strong>qualunque strumento utile</strong> allo scopo, tanto che si tratti di <strong>negozio giuridico</strong>, quanto che si tratti di <strong>atto</strong> o di semplice <strong>fatto giuridico</strong>. In sostanza, la Corte chiede alle SSUU di <strong>fare chiarezza</strong> su quando va utilizzata la <strong>forma solenne</strong> (per essersi al cospetto in realtà di una <strong>donazione diretta</strong> ex <strong>art.769</strong> c.c.) e quando <strong>se ne possa prescindere</strong>, stante la <strong>effettiva configurabilità</strong> di una <strong>donazione indiretta ex art.809</strong> c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 luglio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> n.18725 secondo la quale, <em>in primis</em>, sono ipotesi <strong>potenzialmente riconducibili</strong> alla figura della <strong>donazione indiretta</strong>, ed alla relativa disciplina, il <strong>contratto a favore di terzo</strong>; il <strong>pagamento di un’obbligazione altrui</strong> compiuto <strong>dal terzo</strong> per <strong>spirito di liberalità</strong> verso il debitore; <strong>l’intestazione di beni a nome altrui</strong> per spirito di liberalità; i <strong>contratti onerosi</strong> in cui le parti <strong>fissino un corrispettivo molto inferiore</strong> al <strong>valore reale del bene trasferito</strong> ovvero un <strong>prezzo eccessivamente alto</strong> a beneficio, rispettivamente, dell’acquirente o dell’alienante; la <strong>rinuncia abdicativa</strong>. Sono invece, per la Corte, ipotesi riconducibili alla <strong>donazione ex art.769 c.c.</strong> (ed al relativo <strong>regime formale</strong>) il <strong>trasferimento del libretto di deposito a risparmio al portatore</strong>; le <strong>liberalità</strong> attuate a mezzo di <strong>titoli di credito</strong> (assegno o cambiale); l’<strong>elargizione di somme di danaro</strong> di <strong>importo non modico</strong> mediante <strong>assegni circolari</strong> che si chiede alla banca di <strong>intestare al beneficiario</strong>; <strong>l’accollo interno</strong> in cui l’accollante, <strong>familiare</strong> dell’accollato, si impegna a <strong>pagare in luogo di lui</strong> le <strong>rate di mutuo bancario</strong> dal medesimo contratto. La donazione indiretta, prosegue la Corte, <strong>non si identifica totalmente</strong> con la donazione, cioè con il <strong>contratto</strong> rivolto a realizzare la <strong>specifica funzione dell’arricchimento diretto</strong> di un soggetto a carico di un altro soggetto, il donante, che <strong>nulla ottiene</strong> in cambio in quanto agisce per <strong>spirito di liberalità</strong>; si tratta piuttosto di <strong>liberalità</strong> che si realizzano: (a) con <strong>atti diversi dal contratto</strong> (ad esempio, con <strong>negozi unilaterali</strong> come <strong>l’adempimento del terzo</strong> o le <strong>rinunce abdicative</strong>); (b) con <strong>contratti</strong> (non tra donante e donatario) rispetto ai quali <strong>il beneficiario è terzo</strong>; (c) con <strong>contratti</strong> caratterizzati dalla presenza di un (qualche) <strong>nesso di corrispettività tra attribuzioni patrimoniali</strong>; (d) con la <strong>combinazione di più negozi</strong> (come nel caso dell’<strong>intestazione di beni a nome altrui</strong>). La configurazione della donazione “<strong><em>diretta</em></strong>” come un <strong>contratto tipico a forma vincolata</strong> - e sottoposto a <strong>regole inderogabili</strong> - obbliga a fare ricorso <strong>a questo contratto</strong> per realizzare il <strong>passaggio immediato</strong> <strong>per spirito di liberalità</strong> di <strong>ingenti valori patrimoniali</strong> da un soggetto ad un altro, <strong>non</strong> essendo <strong>ragionevolmente ipotizzabile</strong> che il legislatore consenta il <strong>compimento in forme differenti</strong> di uno <strong>stesso atto</strong>, imponendo, però, <strong>l’onere della forma solenne soltanto</strong> quando le parti abbiano optato per il contratto di donazione. Più in particolare, per la Corte <strong>nel bancogiro</strong> - <strong>trasferimento</strong> per spirito di liberalità di <strong>strumenti finanziari</strong> dal <strong>conto di deposito titoli del beneficiante</strong> a quello <strong>del beneficiario</strong>, realizzato <strong>a mezzo banca</strong> attraverso <strong>l’esecuzione</strong> da parte di detta banca di <strong>un ordine </strong>(appunto)<strong> di bancogiro</strong> impartito dal disponente - l’operazione bancaria <strong>in adempimento dello <em>iussum</em></strong> svolge una <strong>funzione meramente esecutiva</strong> di un <strong>atto negoziale ad esso esterno</strong>, intercorrente tra il beneficiante <strong>e il beneficiario</strong>, il quale soltanto è in grado di <strong>giustificare gli effetti del trasferimento di valori</strong> da un patrimonio all’altro; si è di fronte <strong>non</strong> ad una <strong>donazione trilaterale</strong>, attuata <strong>indirettamente</strong> in ragione della <strong>realizzazione indiretta della <em>causa donandi</em></strong>, ma ad una <strong>donazione tipica ad esecuzione indiretta</strong> di natura <strong>bilaterale</strong>, in cui la banca svolge un <strong>ruolo meramente esecutivo</strong>; nel <strong>bancogiro</strong>, pur inquadrato nello schema della <strong>delegazione</strong> che si innesta nel <strong>rapporto di mandato</strong> sotteso a quello di <strong>conto corrente</strong>, la banca <strong>non può infatti rifiutarsi</strong> di <strong>eseguire l’ordine</strong> impartitole, in considerazione del <strong>rapporto contrattuale</strong> che la vincola al delegante, sempre che esista la <strong>disponibilità di conto</strong>, e ciò a differenza di quanto avviene <strong>nella delegazione (pura)</strong>, dove l’<strong>art. 1269, secondo comma</strong>, cod. civ. consente al delegato, <strong>ancorché debitore</strong> del delegante, di <strong>non accettare l’incarico</strong>, onde il trasferimento scaturente dall’operazione di bancogiro rinviene la propria <strong>giustificazione causale</strong> <strong>esclusivamente</strong> nel rapporto intercorrente tra <strong>l’ordinante-disponente</strong> e il <strong>beneficiario</strong>, dal quale dovrà desumersi se <strong>l’accreditamento</strong> (atto neutro) è sorretto da <strong>una giusta causa</strong>; di talché, ove questa si atteggi come <strong><em>causa donandi</em></strong> occorre, ad evitare la <strong>ripetibilità dell’attribuzione patrimoniale</strong> da parte del donante, <strong>l’atto pubblico di donazione</strong> tra il beneficiante e il beneficiario (a meno che si tratti di donazione <strong>di modico valore</strong>). La Corte precisa che il bancogiro <strong>non</strong> può essere visto né come <strong>contratto a favore di terzo</strong>, né come <strong>cointestazione di deposito bancario</strong> (entrambi riconducibili alla figura della <strong>donazione indiretta</strong>): <strong>non</strong> è contratto a favore di terzo - schema attraverso il quale lo stipulante può realizzare <strong>un’attribuzione patrimoniale indiretta</strong> a favore del <strong>terzo</strong> avente i connotati della <strong>spontaneità</strong> e del <strong>disinteresse</strong> – perché nel contratto a favore di terzo il patrimonio del promittente <strong>è direttamente coinvolto</strong> nel <strong>processo attributivo</strong> e <strong>non</strong> si configura come <strong>mera "<em>zona di transito</em>"</strong> tra lo stipulante e il terzo, l’oggetto dell’<strong>attribuzione (indiretta) <em>donandi causa</em></strong> in favore del terzo identificandosi con la <strong>prestazione del promittente</strong>, e <strong>non</strong> con quanto prestato <strong>dallo stipulante</strong> al promittente medesimo, dovendosi anche considerare che nel contratto a favore di terzo <strong>nasce immediatamente un diritto azionabile</strong> dal terzo verso il promittente, mentre <strong>il terzo beneficiario</strong> che sia destinatario di un <strong>ordine di giro</strong> <strong>non acquista alcun diritto</strong> nei confronti <strong>della banca</strong> proveniente dal contratto che intercorre tra la banca medesima e l’ordinante, l’ordine di bonifico avendo natura di <strong>negozio giuridico unilaterale</strong> la cui <strong>efficacia vincolante</strong> scaturisce da una <strong>precedente dichiarazione di volontà</strong> con la quale la banca si è <strong>obbligata ad eseguire i futuri incarichi</strong> ad essa conferiti dal cliente, ed il cui perfezionamento è circoscritto <strong>alla banca e all’ordinante</strong>, con conseguente <strong>estraneità del beneficiario</strong> nei cui confronti l’incarico del correntista di effettuare il pagamento assume natura di <strong>delegazione di pagamento</strong> (il delegato al pagamento può essere <strong>obbligato</strong>, ma <strong>solo se si vincola personalmente</strong> verso il creditore delegatario e questi <strong>accetti l’obbligazione del delegato</strong>, ai sensi dell’art. 1269, primo comma, cod. civ.); <strong>non</strong> è <strong>cointestazione del deposito bancario</strong> - suscettibile di integrare gli estremi di una <strong>donazione indiretta</strong> in favore del <strong>cointestatario</strong> con la <strong>messa a disposizione</strong>, senza obblighi di restituzione o di rendiconto, di <strong>somme di denaro</strong> in modo non corrispondente ai versamenti effettuati - perché <strong>solo nella cointestazione</strong> si realizza una <strong>deviazione in favore del terzo</strong> (operazione <strong>trilaterale</strong>) degli <strong>effetti attributivi del contratto bancario</strong>, laddove <strong>nel bancogiro</strong> il <strong>contratto di deposito titoli in amministrazione</strong> conserva <strong>integra</strong> la <strong>causa sua propria</strong>, senza alcuna implementazione liberale, collocandosi <strong>l’ordine di bonifico</strong> dato alla banca dal beneficiante nella fase di <strong>mera esecuzione</strong> del <strong>contratto bancario di riferimento</strong> (operazione <strong>bilaterale</strong>). La Corte conclude nel senso onde il <strong>trasferimento per spirito di liberalità</strong> di <strong>strumenti finanziari</strong> dal <strong>conto di deposito titoli del beneficiante</strong> a quello del <strong>beneficiario</strong> realizzato <strong>a mezzo banca</strong>, attraverso <strong>l’esecuzione di un ordine di bancogiro</strong> impartito dal disponente, <strong>non</strong> rientra tra le <strong>donazioni indirette</strong>, ma configura una <strong>donazione tipica ad esecuzione indiretta</strong>; ne deriva che la <strong>stabilità dell’attribuzione patrimoniale</strong> presuppone la <strong>stipulazione dell’atto pubblico di donazione</strong> tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della <strong>donazione di modico valore</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 536 che ribadisce l'autonomia delle domande di riduzione e di divisione e rileva che l'istituto della collazione opera o meno una volta accertata la donazione dell'atto ove la parte non abbia inteso far valere nel giudizio anche la qualità di legittimario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 4682 onde Nelle donazioni indirette l’intenzione di donare, non emergendo in via diretta, deve ricercarsi nelle circostanze che, caso per caso, caratterizzano il fatto, non essendo richiesto che tale intenzione abbia la stessa forma prevista per “l’atto utilizzato”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 24965 che, in tema di revocazione della donazione per ingratitudine, afferma che l'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriore del comportamento del donatario, che deve dimostrare un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante e mancare rispetto alla dignità del donante: l'ingiuria deve, pertanto, essere espressione di radicata e profonda avversione o di perversa animosità verso il donante. Il comportamento del donante va quindi valutato non solo sotto il profilo oggettivo, ma anche nella sua potenzialità offensiva del patrimonio morale del donante, perché espressamente rivolta a ledere la sua sfera morale, tale da essere contraria a quel senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero improntare l'atteggiamento del donatario. La Corte è consapevole che trattasi, evidentemente, di una formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali, il cui discrimine è segnato dalla ripugnanza che detto comportamento suscita nella coscienza sociale, tuttavia, al momento, la relazione extraconiugale intrattenuta dal coniuge donatario costituisce ingiuria grave solo se ad essa si accompagna un atteggiamento di disistima ed avversione da parte del donante.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 27050 onde per la validità delle donazioni indirette, cioè di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall'art. 782 cod. civ., è sufficiente l'osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l'art. 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall'art. 769 cod. civ., non richiama l'art. 782 cod. civ., che prescrive l'atto pubblico per la donazione. In tali fattispecie, l'attribuzione gratuita viene attuata, quale effetto indiretto, con il negozio oneroso, che corrisponde alla reale intenzione delle parti ed alla quale, pertanto, non si applicano i limiti alla prova testimoniale - in materia di contratti e simulazione - che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato per realizzare tale scopo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 1761 che ribadisce l’orientamento secondo cui per l'ipotesi di accertamento del reddito con metodo sintetico è ammessa la prova contraria da parte del contribuente, che può consistere anche nella dimostrazione che i beni o gli importi contestati quali indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella sua disponibilità, in quanto derivanti da un atto simulato, che non ne implica la corrispondente e reale disponibilità economica. A tal fine l'atto dissimulato che ordinariamente può invocarsi è quello di liberalità, di donazione o comunque a causa gratuita. Questo orientamento, condivisibile perché concilia comunque il riconoscimento di forme di accertamento presuntivo del reddito con il principio, immanente, della capacità contributiva prescritto dall'art. 53 Cost., trovava già ingresso nella giurisprudenza meno recente. Si affermava infatti che la sottoscrizione di un atto pubblico, quale l'atto di compravendita, contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente, può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito in forza di presunzioni semplici, applicabili dall'ufficio nell'ipotesi di accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto e quello ignoto, senza che potesse ravvisarsi la violazione del principio costituzionale della capacità contributiva, di cui all'art. 53 della Costituzione. In tale caso infatti è sempre consentita, sebbene con onere a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, in ragione della natura simulata dell'atto stipulato, sicchè esso ha natura solo apparentemente onerosa mentre il negozio dissimulato ha causa gratuita. Da ciò infatti consegue la sola mera apparenza della ulteriore capacità contributiva evincibile dal negozio simulato.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò posto, occorre sempre chiarire con quale prova il contribuente dovrà in concreto dimostrare la natura gratuita del negozio dissimulato. Non è certo sufficiente la sola esibizione di documentazione bancaria, che se dalla giurisprudenza di legittimità trova pieno ingresso ai fini della dimostrazione del possesso di altri redditi esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, e ciò per l'idoneità alla prova della natura e della provenienza della provvista utilizzata per l'acquisto, al contrario non può costituire prova sufficiente della natura liberale dell'atto la mancanza di provvista, dovendosi in questo caso allegare ad altri indizi. Infatti, se si invoca la gratuità del negozio, l'assenza di riscontri della provvista nella documentazione bancaria non impedisce di ritenere che essa sia stata diversamente ed occultamente acquisita, a tal fine correttamente deducendosi che «in materia di simulazione negoziale, specie con riguardo al pagamento del prezzo, la prova negativa costituita dalla documentazione bancaria è di per sè stessa inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al tipo formalizzato, atteso che le risultanze degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e causalmente efficiente rispetto all'adempimento dell'obbligazione del prezzo, nel negozio, simulato come oneroso che si assume celarne uno gratuito, atteso che la provvista necessaria all'adempimento del prezzo può provenire dalle tante altre fonti, e può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili - ne' quelle ne questi - in quelli bancari».</p> <p style="text-align: justify;">Neppure è di per sé sufficiente ricorrere al principio della presunzione di liberalità degli atti di compravendita tra coniugi o tra parenti in linea retta (o tali considerati ai fini delle imposte di successione), pure invocata dalla contribuente nel presente giudizio, trattandosi innanzitutto di presunzione relativa, a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 41 del 1999.</p> <p style="text-align: justify;">Resta invece incontestabile che, nella ipotesi in cui il contribuente invochi la natura liberale dell'incremento patrimoniale, allo stesso spetterà allegare quelle prove, o quell'insieme di indizi, che all'organo giudicante spetterà sottoporre al suo vaglio e che, nella seconda ipotesi, lo obbligheranno al rispetto delle regole sulla prova presuntiva. Non è infatti in contestazione che in tema di accertamento sintetico, ai sensi dell'art. 38 co 4, d.P.R n. 600 del 1973 (nella formulazione applicabile "<em>ratione temporis</em>"), una volta che l'Amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest'ultimo sia onerato della prova contraria in ordine alla presunzione che alla emersione di un indice di ricchezza corrisponda un reddito non dichiarato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 settembre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 23260 onde la donazione indiretta è caratterizzata dal perseguito fine di liberalità, e non già dal mezzo giuridico impiegato, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall'ordinamento, e consiste in atti o negozi la cui combinazione produce l'effetto, eccedente rispetto al mezzo, di un'attribuzione patrimoniale gratuita.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, allegato il pagamento di un debito quale fattispecie di donazione indiretta, è altresì implicitamente dedotto il mancato regresso o la mancata surrogazione, senza i quali l'attribuzione patrimoniale non sarebbe configurabile. A nulla rileva l'esistenza o meno di un interesse proprio del <em>solvens</em> all'adempimento, sia perché il requisito di liberalità dell'atto presuppone un <em>posterius</em> rispetto al solo pagamento, sia in quanto il carattere indiretto della donazione postula per sua stessa definizione un collegamento funzionalmente inscindibile di atti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste la c.d. donazione indiretta o liberalità atipica?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una <strong>intera categoria di atti</strong> giuridicamente rilevanti;</li> <li>tali atti <strong>non sono “<em>formali</em>”</strong>, come lo è la <strong>donazione</strong> “<strong><em>diretta</em></strong>” di cui agli <strong>articoli 769 e seguenti</strong>c.;</li> <li>essi perseguono tuttavia – come la donazione diretta - uno <strong>scopo di liberalità</strong>, e dunque sono orientati ad <strong>arricchire</strong> il destinatario <strong>depauperando</strong>, ad un tempo, il disponente;</li> <li>a chi ritiene che le <strong>liberalità atipiche</strong> <strong>non corrispondano</strong> alle <strong>donazioni indirette</strong> (assumendo configurabili <strong>liberalità atipiche non donative</strong>) si contrappone l’orientamento maggioritario secondo il quale le <strong>liberalità atipiche</strong> sono solo <strong>un altro modo</strong> per definire le <strong>donazioni indirette</strong>, dovendosi tener conto del fatto che la <strong>liberalità</strong> - avvinta come essa è ad un <strong>interesse non patrimoniale</strong> e dunque <strong>personale</strong> del disponente - non può che essere appunto <strong>una donazione</strong> che, se <strong>atipica</strong>, è “<strong><em>informale</em></strong>” e dunque <strong>già solo per questo indiretta</strong>;</li> <li>da un lato si ha dunque la <strong>donazione formale</strong> <strong>e diretta</strong>, dall’altro – <strong>per esclusione</strong> - l’<strong>intera congerie</strong> degli <strong>atti donativi “<em>indiretti</em>”</strong>;</li> <li>la <strong>causa</strong> della <strong>donazione indiretta</strong> (come quella della <strong>donazione diretta</strong>) si compendia nell’<strong><em>animus donandi</em></strong>, vale a dire nello <strong>spirito di liberalità</strong> quale <strong>interesse</strong> (personale) <strong>orientato</strong> ad <strong>arricchire il donatario</strong> (ancorché “<strong><em>indiretto</em></strong>”);</li> <li>dal punto di vista della <strong>natura giuridica</strong>, si possono isolare <strong>3 diverse opzioni ermeneutiche</strong>: g.1) la donazione indiretta compendia <strong>sempre</strong> un <strong>negozio indiretto</strong>, con la conseguenza onde – poiché la <strong>disciplina del negozio indiretto</strong> resta <strong>quella propria del negozio tipico</strong> cui le parti hanno fatto luogo, ovvero del <strong>d. negozio mezzo</strong>, che è <strong>punto di passaggio</strong> per gli <strong>ulteriori scopi</strong> divisati dalle parti medesime, alla donazione indiretta <strong>non si applica</strong> la disciplina della <strong>donazione</strong> (con particolare riguardo alla <strong>forma <em>ad substantiam</em></strong>), ma quella del <strong>negozio tipico prescelto</strong> per raggiungere (indirettamente) il <strong>fine di liberalità</strong> divisato; g.2) la donazione indiretta compendia <strong>sovente</strong> un <strong>negozio indiretto</strong>, e tuttavia <strong>non sempre</strong>, potendo piuttosto <strong>talvolta</strong> far luogo ad una <strong>fattispecie di negozio misto</strong>, come nel classico caso del <strong><em>negotium mixtum cum donatione</em></strong> (con <strong>plausibile necessità</strong> in questo caso di applicare la disciplina, anche <strong>formale</strong>, della <strong>donazione</strong>); g.3) la donazione indiretta <strong>non è mai un negozio indiretto</strong> (con scopo donativo), come dimostra il fatto che <strong>molte fattispecie</strong> pacificamente ricondotte appunto alla <strong>categoria</strong> (unitaria) della donazione indiretta non vedono <strong>neppure coinvolto il donatario</strong> (indiretto), quanto piuttosto un <strong>soggetto terzo</strong>, come nelle ipotesi del <strong>pagamento del debito altrui</strong> (assistito da fine di liberalità) ovvero del <strong>contratto a favore di terzo</strong> (parimenti assistito da fine di liberalità), laddove il negozio posto in essere ha una <strong>propria funzione oggettiva</strong>, <strong>non</strong> si configura <strong>nessuno scopo indiretto</strong> e – all’opposto – la liberalità <strong>deriva direttamente</strong> dal <strong>negozio divisato</strong>; ciò implica, per conseguenza, che <strong>occorre applicare</strong> la disciplina della <strong>donazione</strong>, con particolare riguardo al <strong>rigore formale</strong> che la contraddistingue.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa differisce la donazione indiretta dalla donazione simulata?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>donazione <strong>simulata</strong>: vi è un <strong>negozio oneroso</strong> che <strong>appare</strong>, e che tuttavia <strong>non corrisponde</strong> a quanto <strong>realmente voluto</strong> dalle parti, che nella realtà vogliono solo un <strong>negozio gratuito</strong>, per <strong>spirito di liberalità </strong>(cause <strong>distinte</strong>, una <strong>apparente</strong> ed una <strong>reale</strong>);</li> <li>donazione <strong>indiretta</strong>: vi è un <strong>negozio che appare</strong> ed <strong>a valle</strong> del quale affiora una <strong>liberalità</strong>, ma il negozio che appare è <strong>effettivamente voluto</strong> dalle parti ed <strong>all’uopo concluso</strong> con la <strong>causa</strong> che gli è propria, al <strong>fine tutt’affatto strumentale</strong> di approdare alla <strong>divisata liberalità</strong> (indiretta) e dunque di far luogo ad una <strong>causa ulteriore</strong>, alla prima <strong>collegata</strong> appunto attraverso un <strong>nesso di strumentalità </strong>(cause <strong>distinte</strong>, <strong>tutte reali</strong>, <strong>collegate</strong> tra loro).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare a proposito del <em>negotium mixtum cum donatione</em>?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un <strong>negozio commutativo</strong>, con <strong>causa </strong>(apparentemente solo) <strong>onerosa</strong>;</li> <li>tra le <strong>prestazioni corrispettive</strong> è tuttavia <strong>volutamente presente</strong> (crinale <strong>soggettivo</strong>) una considerevole <strong>sproporzione </strong>(versante <strong>oggettivo</strong>);</li> <li>ciò consente di <strong>raggiungere, indirettamente</strong>, una <strong>finalità</strong> che trascende lo <strong>scambio</strong> tra le parti;</li> <li>tale <strong>finalità</strong> si compendia nell’<strong>arricchimento (indiretto) di una delle parti</strong> ad opera (e per volontà) dell’altra, cui è sotteso lo <strong>spirito di liberalità</strong> della parte che arricchisce l’altra;</li> <li>ne affiora una <strong>donazione indiretta</strong>, come tale <strong>non soggetta</strong> alla <strong>forma pubblica</strong> di cui all’<strong>782</strong> c.c.;</li> <li>dal punto di vista della natura giuridica, si profilano diverse tesi: f.1) si tratta di <strong>due negozi collegati</strong> tra loro giusta <strong>interdipendenza bilaterale:</strong> uno <strong>oneroso</strong> (per la parte di <strong>diritto alienato</strong> in relazione alla quale viene pagato, <em>pro quota</em>, <strong>l’intero corrispettivo</strong>) e l’altro <strong>gratuito</strong> (per la parte di <strong>diritto alienato</strong> che viene <strong>ceduta gratuitamente</strong> alla controparte, con conseguente <strong>arricchimento</strong> della medesima per <strong>spirito di liberalità</strong>); muovendo da questa <strong>ricostruzione</strong>, <strong>l’intero contratto</strong> è soggetto alla <strong>forma</strong> dell’<strong>atto pubblico <em>ad substantiam</em></strong>, dal momento che la <strong>volontà del donante</strong> è stata circondata <em>ex lege</em> da <strong>garanzie</strong> che sarebbero <strong>eluse</strong> se si optasse per la <strong>libertà di forma</strong>; alla <strong>quota di diritto alienata</strong> (verso <strong>corrispettivo</strong>), si applicano le <strong>norme della vendita</strong> in tema di <strong>rescissione</strong> e di <strong>evizione</strong> in caso di <strong>dolo dell’alienante</strong>; per la <strong>quota di diritto donata</strong> (per <strong>arricchire</strong> la controparte) si applicano le norme sulla <strong>donazione</strong> per quanto concerne la <strong>collazione</strong>, <strong>revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli</strong>, <strong>riduzione</strong> per eventuale <strong>lesione di legittima</strong>; si tratta di una <strong>tesi (risalente) criticata</strong> laddove <strong>scompone</strong> in due negozi collegati (uno oneroso e l’altro gratuito) quello che in realtà è <strong>un unico negozio globalmente considerato</strong>, dal momento che anche se lo si guarda dal lato del <strong>disponente</strong>, la prestazione nei confronti dell’<strong>acquirente-donatario</strong> è <strong>unica</strong>, anche se <strong>idealmente scissa</strong> in <strong>due parti</strong> con <strong>diversa causa</strong>; f.2) si tratta di <strong>un solo contratto misto</strong> (tesi <strong>recessiva</strong>), con <strong>causa mista</strong> per <strong>mescolanza delle cause di fattispecie tipiche</strong>, una di <strong>scambio</strong> e una <strong>donativa</strong>: premesso che un elemento di scambio <strong>deve sussistere</strong>, con conseguente configurabilità di un <strong>qualche prezzo</strong> – seppure <strong>sproporzionato</strong> rispetto al <strong>valore della <em>res</em></strong> oggetto della disposizione – facendosi altrimenti luogo ad una <strong>vendita a prezzo simbolico</strong> (<strong><em>nummo uno</em></strong>) che corrisponde ad una <strong>donazione diretta</strong> (con conseguente necessità in tal caso della <strong>forma scritta <em>ad substantiam</em></strong>), si applica <strong>in prima battuta</strong> il criterio della <strong>prevalenza</strong>, con conseguente operatività del <strong>regime del negozio “<em>prevalente</em>”</strong> (o “<strong><em>assorbente</em></strong>”); laddove il criterio della prevalenza <strong>non possa operare</strong>, si applica il criterio della <strong>combinazione</strong> (che può scattare anche laddove si applichi il criterio della prevalenza, <strong>in aggiunta</strong> e nei limiti della <strong>compatibilità</strong>), onde operano – combinandosi tra loro – le regole del <strong>contratto di scambio</strong> e quelle del <strong>contratto donativo</strong>; f.3) si tratta di un solo <strong>negozio indiretto</strong> (tesi <strong>prevalente</strong>), il <strong>contratto commutativo</strong> costituendo lo <strong>strumento</strong> attraverso il quale si giunge – <strong>per via indiretta</strong> - a quello <strong>donativo</strong>; la conseguenza è che si applica la <strong>forma</strong> propria del <strong>contratto prescelto</strong> (con funzione <strong>di scambio</strong>), e <strong>non già</strong> la <strong>forma <em>ad substantiam</em></strong> della donazione, come peraltro conferma lo stesso <strong>809</strong> del codice laddove individua le <strong>norme materiali sulle donazioni</strong> <strong>dirette</strong> che possono applicarsi agli <strong>atti di liberalità diversi dalla donazione <em>tout court</em></strong> (donazioni “<strong><em>indirette</em></strong>”), <strong>senza</strong> che sia <strong>esplicitamente richiamato l’art.782</strong> c.c. ed il <strong>rigore formale</strong> ivi prescritto (atto pubblico); si è al cospetto di una <strong>fattispecie</strong> in cui – dal punto di vista <strong>strutturale e formale</strong> – si segue il <strong>regime proprio</strong> del <strong>negozio </strong>(<strong>direttamente</strong>)<strong> voluto</strong> dalle parti, che è un <strong>negozio di scambio</strong> per il quale <strong>non occorre la forma scritta</strong> per atto pubblico <strong><em>ad substantiam</em></strong>, mentre si applicano <strong>tutte le altre disposizioni</strong> previste per lo <strong>schema negoziale oneroso</strong> prescelto dalle parti (sempre che siano <strong>compatibili</strong> con la <strong>complessiva operazione</strong> divisata dalle parti medesime, che vuole <strong>esitare</strong> nell’<strong>arricchimento indiretto</strong> di una di esse per <strong>spirito di liberalità</strong> dell’altra); se invece si guarda al <strong>risultato perseguito</strong> dalle parti medesime, vale a dire all’<strong>arricchimento di una di esse</strong> per <strong>spirito di liberalità</strong>, si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta</strong> alla quale si applica la <strong>disciplina</strong> contenuta nell’<strong>art.809</strong> c.c., che rappresenta una <strong>novità</strong> rispetto al <strong>codice del 1865</strong>, e dunque le norme che regolano la <strong>revocazione</strong> (per ingratitudine o sopravvenienza di figli), quelle che disciplinano la <strong>collazione</strong> e la <strong>riduzione</strong>;</li> <li>si discute in ordine all’<strong>applicabilità o meno</strong> alla fattispecie, in via <strong>analogica</strong>, dell’’<strong>797, n.3,</strong> c.c., e della <strong>garanzia per evizione</strong> ivi prevista a favore del <strong>donatario</strong>, propendendosi in dottrina per la tesi <strong>affermativa</strong> sul presupposto dell’<strong>applicabilità</strong> di detta norma alla <strong>donazione modale</strong> ed a <strong>quella remuneratoria</strong>, con conseguente <strong>operatività della norma</strong>, <strong><em>a fortiori</em></strong>, nel caso del <em>negotium mixtum cum donatione</em>, la cui fattispecie <strong>maggiormente si avvicina</strong> alla <strong>compravendita</strong> (che è appunto la <strong><em>sedes materiae</em></strong> della garanzia per evizione).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consiste e che problemi pone la fattispecie della intestazione di beni a nome altrui?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una fattispecie di <strong>donazione indiretta</strong>;</li> <li><strong>a valle</strong> dell’operazione, il donatario (indiretto) si ritrova <strong>titolare di un bene</strong> (per lo più <strong>immobile</strong>), <strong>senza</strong> averne <strong>sopportato l’onere economico</strong> di pertinente acquisto, sobbarcatosi <strong>dal donante</strong> (indiretto);</li> <li>si profilano <strong>diverse possibili fattispecie</strong>: c.1) <strong>donazione diretta di denaro</strong> al donatario, gravata dall’<strong>onere</strong> (<strong><em>modus</em></strong>) di <strong>acquistare</strong> con tale denaro il <strong>bene divisato</strong>; c.2) <strong>contratto a favore di terzo</strong>, in cui <strong>promittente</strong> è il <strong>venditore</strong> del bene che, ricevuto il corrispettivo <strong>dallo stipulante</strong> (donante indiretto), lo trasferisce <strong>al terzo</strong> (donatario indiretto), e non allo stipulante che <strong>glielo paga</strong>; c.3) <strong>mandato ad acquistare</strong> in cui <strong>donatario</strong> (indiretto) è il <strong>mandante</strong>, mentre il <strong>mandatario</strong> è il <strong>donante</strong> (indiretto) il quale, una volta <strong>acquistato il bene</strong> <strong>nell’interesse del mandante</strong> (donatario), <strong>rinuncia</strong> per spirito di liberalità a chiedergli <strong>in ripetizione</strong> quanto <strong>speso</strong> per l’acquisto del bene medesimo; c.4) <strong>collegamento negoziale</strong>, in cui il donatario (indiretto) <strong>acquista a titolo oneroso</strong> il bene divisato <strong>dal terzo</strong>, e tuttavia <strong>non ne paga il prezzo</strong> perché a ciò provvede il donante (indiretto) in veste di <strong>terzo adempiente ex art.1180</strong>c. ovvero di <strong>terzo assuntore del debito</strong> (a titolo di <strong>delegazione</strong> o di <strong>espromissione</strong> o di <strong>accollo</strong>: art.1268 e seguenti c.c.);</li> <li>poiché si è <strong>certamente</strong> al cospetto di una <strong>liberalità</strong>, occorre <em>in primis</em> verificare se si tratta di <strong>liberalità diretta</strong> o <strong>indiretta</strong>, nel primo caso dovendosi osservare il <strong>rigore formale</strong> previsto dall’<strong>782</strong> c.c.;</li> <li>altro problema, è quello di verificare <strong>quale sia l’oggetto della liberalità</strong> donativa, se il <strong>denaro</strong> fornito per l’acquisto (a titolo <strong>diretto</strong>, con annessa necessità dell’<strong>atto pubblico <em>ad substantiam</em></strong>, o <strong>indiretto</strong>) ovvero il <strong>bene</strong> (immobile) con esso <strong>acquistato</strong> (a titolo indiretto), perché detto oggetto è anche - potenzialmente - <strong>l’oggetto</strong> delle <strong>possibili azioni di revocazione</strong>, di <strong>collazione</strong> e di <strong>riduzione</strong> (che gli <strong>articoli 737 e 809</strong>c. prevedono <strong>anche</strong> in caso di <strong>donazione indiretta</strong>);</li> <li>i <strong>problemi maggiori</strong> li solleva, con riguardo alla <strong>intestazione a terzi familiari</strong> (in genere, <strong>discendenti</strong>) di beni immobili (che dunque vengono <strong>intestati a nome altrui</strong> rispetto a <strong>chi concretamente sopporta l’onere</strong> dell’acquisto del bene in parola), la <strong>collazione</strong>; si profila infatti una netta alternativa: f.1) tesi <strong>più remota</strong>: <strong>oggetto della donazione</strong> è la <strong>somma di denaro</strong> utilizzata <strong>per acquistare</strong> il bene immobile in parola: in questo caso il donatario è <strong>debitore</strong> di un <strong>obbligo di valuta</strong> – a titolo appunto di <strong>collazione</strong> – corrispondente alla <strong>somma che gli è stata donata in vita</strong> dal <em>de cuius</em>, con l’aggiunta degli <strong>interessi legali</strong>; è l’opzione ermeneutica abbracciata da chi <strong>valorizza</strong> da un lato la <strong>lettera dell’art.737</strong>c. - onde le norme sulla collazione assumono a <strong>punto di riferimento</strong> non già il <strong><em>quantum</em> di arricchimento</strong> del donatario, quanto piuttosto il <strong><em>quantum</em> di impoverimento</strong> del donante (“<strong><em>ciò che si è ricevuto dal defunto</em></strong>”) e, dunque, la <strong>somma di denaro</strong> <strong>uscita</strong> dal relativo patrimonio al fine di <strong>acquistare</strong> l’immobile ed <strong>intestarlo a nome altrui</strong> (per esempio, al figlio) – e dall’altro la <strong>lettera dell’art.1923</strong> c.c. – onde, in tema di <strong>assicurazione sulla vita a favore del terzo</strong>, si guarda ai <strong>premi pagati</strong> dall’assicurato, e dunque ancora una volta a <strong>ciò che in termini monetari è uscito</strong> dal relativo patrimonio, per individuare, quanto alle <strong>donazioni</strong>, l’oggetto della <strong>riduzione per lesione di legittima</strong>, di <strong>revocazione per frode ai creditori</strong> o, appunto, della <strong>collazione</strong> - ; una <strong>freccia nell’arco</strong> di questa tesi è il fatto che in sede di <strong>definitiva stesura del codice civile</strong> è stato <strong>soppresso l’art.357</strong> del relativo <strong>progetto preliminare</strong>, dove invece si prevedeva <strong>esplicitamente</strong> – quale oggetto di conferimento – <strong>l’immobile acquistato dall’ascendente</strong> ed <strong>intestato al discendente</strong>; f.2) tesi <strong>più recente</strong>: oggetto della donazione è il <strong>bene immobile stesso</strong>: in questo caso il donatario è tenuto ad <strong>operare la collazione</strong> “<strong><em>conferendo</em></strong>” lo <strong>stesso immobile ricevuto</strong> a titolo di liberalità (indiretta), giusta il disposto dell’<strong>art.746 c.c.</strong> e la <strong>collazione in natura</strong> ivi prevista, ovvero “<strong><em>conferendo</em></strong>” una <strong>somma</strong> che corrisponde al <strong>relativo valore di mercato</strong> quando <strong>si apre la successione</strong>, giusta il disposto degli <strong>articoli 746 e 747</strong> c.c. e la collazione <strong>per imputazione</strong> ivi prevista; questa tesi è condivisa da chi ritiene che <strong>occorre guardare</strong> con attenzione al <strong>reale intento del donante</strong> (per giunta, nella collazione ormai <strong><em>de cuius</em></strong>) nei riguardi del <strong>donatario</strong>, onde <strong>non conta tanto l’impoverimento</strong> del <strong>donante</strong> quanto, appunto, <strong>l’arricchimento (voluto) del donatario</strong>, assumendo come punto di riferimento il <strong>valore del bene immobile</strong> acquistato e intestato al donatario medesimo al momento in cui <strong>si è aperta la successione</strong> (e ciò non solo in caso di collazione, ma anche di <strong>revocazione per frode ai creditori</strong> ovvero di <strong>riduzione</strong> per perpetrata <strong>lesione della quota di legittima</strong>); si tratta di un orientamento che <strong>valorizza</strong> il <strong>collegamento negoziale</strong> tra la <strong>messa a disposizione del denaro</strong> (che corrisponde all’<strong>impoverimento</strong> del <strong>donante</strong> indiretto) ed il successivo <strong>acquisto del bene</strong> con tale denaro (che corrisponde all’<strong>arricchimento</strong> del <strong>donatario</strong> indiretto);</li> <li>analoga questione si pone in tema di <strong>caduta in comunione legale</strong> <strong>tra coniuge</strong> dei <strong>beni donati</strong> ad uno di essi: g.1) se si è al cospetto di una <strong>donazione indiretta del bene</strong> (sovente <strong>immobile</strong>) si applica <strong>l’art.179, comma 1, lettera b)</strong> del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione <strong>è stato assegnato</strong> al coniuge a titolo (di <strong>successione ereditaria</strong> ovvero) di <strong>donazione</strong> (quale che essa sia), per <strong>escludere</strong> appunto il ridetto bene dalla <strong>comunione legale</strong>; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato <strong>cada in comunione</strong> quando <strong>nell’”<em>atto di liberalità</em>”</strong> (o <strong>nel testamento</strong>) venga <strong>specificato</strong> che esso è appunto <strong>attribuito alla comunione</strong>, e poiché nella <strong>donazione “<em>indiretta</em>”</strong> <strong>nulla</strong> viene <strong>specificato</strong>, il problema che si è posto è capire se si applica <strong>in ogni caso</strong> l’art.179, comma 1, <strong>lettera b)</strong>, ovvero debba applicarsi piuttosto la <strong>regola generale</strong> di cui all’<strong>177, comma 1, lettera a)</strong> c.c. quale <strong>acquisto </strong>compiuto dal coniuge<strong> (donatario)</strong> <strong>in costanza di matrimonio</strong>; si fronteggiano sul punto <strong>due opzioni ermeneutiche</strong>: g.1.1.) una <strong>minoritaria</strong> secondo la quale il <strong>bene oggetto di donazione indiretta</strong> (a differenza di quello oggetto di donazione <strong>diretta</strong>) cadrebbe <strong>in comunione</strong>, stante il c.d. “<strong><em>favor communionis</em></strong>” e la natura <strong>eccezionale</strong> delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla <strong>regola generale</strong>, appunto, della caduta in comunione <strong>di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi</strong> in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la <strong>diversa espressione</strong> utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “<strong><em>donazione</em></strong>” (diretta) e poi di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>”, proprio per <strong>distinguere</strong> questa seconda ipotesi dalla prima; g.1.2) una <strong>maggioritaria</strong> secondo la quale, all’opposto, anche in ipotesi di <strong>donazione indiretta</strong> il bene donato <strong>non cadrebbe</strong> in comunione, in quanto sul crinale <strong>letterale</strong> la nozione di “<strong><em>atto di liberalità</em></strong>” appare <strong>onnicomprensiva</strong> ed inglobante in sé anche la “<strong><em>donazione</em></strong>”, mentre sul crinale <strong>strutturale</strong> non conta la <strong>specificazione</strong> della <strong>destinazione “<em>personale</em>”</strong>, la quale ultima <strong>non</strong> può assumersi <strong>requisito essenziale</strong> per <strong>escludere</strong> il bene donato dalla <strong>comunione</strong>, essendo piuttosto <strong>rilevante</strong> il requisito opposto della <strong>destinazione “<em>alla comunione</em>”</strong>, questa sì <strong>da specificarsi</strong> se si vuole <strong>escludere</strong> l’effetto della attribuibilità del bene <strong>al novero di</strong> <strong>quelli personali</strong> del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente <strong>acquisti un bene</strong> e <strong>lo intesti al proprio discendente coniugato</strong> in regime di <strong>comunione legale</strong>, tale bene, - salva <strong>esplicita</strong> manifestazione di volontà <strong>in senso contrario</strong> - quale “<strong><em>donazione</em></strong>” (seppure indiretta) <strong>non cade</strong> in comunione, sia perché il donante <strong>ciò non vuole</strong> (salva appunto <strong>l’esplicita, opposta</strong> manifestazione di volontà), sia perché la <strong>logica</strong> della caduta di un bene acquistato <strong>in comunione legale</strong> risiede nel fatto che tale acquisto è il <strong>precipitato</strong> della <strong>collaborazione</strong> e del <strong>sacrificio</strong> di <strong>entrambi i coniugi</strong>, circostanza che <strong>non si verifica</strong> nel caso in cui il bene sia stato appunto <strong>donato solo ad uno di essi</strong>; g.2) se invece si è al cospetto di una <strong>donazione diretta</strong> del <strong>denaro</strong>, con la quale poi <strong>il donatario decide autonomamente</strong> di acquistare il bene divisato, il bene medesimo <strong>cade in comunione</strong> <strong>legale</strong> salvo che si verifichino le (residuali) condizioni previste dall’art.179, comma 1, <strong>lettera f)</strong>, vale a dire se viene <strong>espressamente dichiarato</strong> nell’atto di acquisto che il bene viene acquistato dal coniuge <strong>con il prezzo</strong> del <strong>trasferimento dei beni personali elencati</strong> nella stessa norma ai numeri precedenti, ovvero con <strong>il relativo scambio</strong>, e dunque se risulta dall’atto di acquisto che il coniuge <strong>compra con denaro che gli è stato donato</strong>, e che dunque è <strong>bene personale</strong> del quale ha la disponibilità a tale titolo (peraltro nel caso di acquisto di <strong>beni immobili</strong> o <strong>mobili registrati</strong> è necessaria la <strong>partecipazione dell’altro coniuge</strong> all’<strong>atto di acquisto</strong> dal quale risulta <strong>l’esclusione</strong> di detto bene dalla <strong>comunione legale</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>