Massima
Donare significa soddisfare un interesse personale del debitore che, se volesse soddisfare un interesse patrimoniale, si garantirebbe (al fine appunto di soddisfarlo) un corrispettivo per la propria prestazione; è un principio che vale anche quando la donazione è “indiretta”, fattispecie nella quale tuttavia la mancanza del rigore formale previsto per la donazione “diretta” può sortire l’effetto di giustificare disinvolte attribuzioni prive di causa, senza contare il possibile pregiudizio (o il mancato vantaggio) che da un atto “liberale” e gratuito – talvolta ben celato – può derivare ai creditori del donante, ai relativi successibili post mortem e financo al coniuge in comunione legale dei beni.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Nella codificazione liberale è rilevante in primo luogo, ai sensi dell’art.1101, la distinzione di tipo generico e sistematico tra contratto a titolo oneroso, nel quale ciascuno dei contraenti intende, “mediante equivalente”, procurarsi un vantaggio; e contratto a titolo gratuito o di beneficenza, allorché uno dei contraenti intenda procurare un vantaggio all’altro senza equivalente; tra questi ultimi in particolare rilevante la donazione, disciplinata dai soli articoli 1050 e 1051, laddove peraltro non si prevede una forma particolarmente rigorosa per compiere l’atto “di spontanea liberalità, col quale il donante si spoglia attualmente ed irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che l’accetta”; importante anche, più nello specifico, l’art.1238, comma 2, laddove si prevede che le obbligazioni contratte dal debitore possano essere estinte anche col pagamento fatto da un terzo “che non vi ha interesse”, purché quegli agisca in nome e per la liberazione del debitore (sia dunque un mandatario con rappresentanza del debitore medesimo) ovvero agisca in nome proprio (mandatario senza rappresentanza) ma in questo caso senza sottentrare nei diritti del creditore (sono escluse tuttavia dalla possibile estinzione per adempimento del terzo le obbligazioni di fare infungibili ex art. 1239 c.c.).
1942
Il codice civile (21 aprile), disciplina la donazione indiretta (o liberalità atipica) all’art.809, laddove – in calce alle norme sulla donazione “diretta” e formale di cui agli articoli 769 e seguenti – si fa menzione di liberalità risultanti da “atti diversi” rispetto alla donazione tout court, disciplinata negli articoli precedenti. Un cenno è presente anche all’art.737 in tema di collazione, laddove si fa riferimento a quanto si è ricevuto dal de cuius per donazione non già solo direttamente ma anche, appunto, “indirettamente”. Più in particolare, per l’art.809 c.c. le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari; sono tuttavia esplicitamente escluse da tale disciplina le liberalità previste dal secondo comma dell’articolo 770 (quelle “rimuneratorie”, che si sogliono fare in occasione di servizi resi, o comunque in conformità agli usi) e quelle che a norma dell’articolo 742 non sono soggette a collazione. In tema di famiglia ed in particolare di comunione legale tra coniugi, importante l’art.179 alla cui stregua non costituiscono oggetto della comunione e sono dunque beni personali del coniuge da un lato i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione (lettera b), dall’altro – ed in chiusura – i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto (lettera f). Di rilievo le norme sulla delegazione di pagamento (art.1268 e seguenti), che potrebbero far luogo ad una donazione indiretta nel caso in cui il delegato paghi al creditore delegatario pur senza essere obbligato nei confronti del delegante (e tuttavia liberando quest’ultimo nei confronti del delegatario); parimenti ad una donazione indiretta potrebbe far luogo lo schema del contratto a favore di terzo ex art.1411 e seguenti, allorché la relativa causa si compendi nello spirito di liberalità dello stipulante, il quale vuole arricchire il terzo giusta prestazione a relativo beneficio da parte del promittente. Importante anche l’art.1875 in tema di rendita vitalizia a favore di un terzo, e l’art.1923, comma 2, in tema di assicurazione sulla vita a favore del terzo, secondo il cui disposto sono fatte salve – rispetto ai premi pagati – le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, all’imputazione ed alla riduzione delle donazioni, norma che – letta in combinato disposto con l’art.741 c.c., laddove è prescritto l’obbligo della collazione di quanto il defunto ha speso in favore dei relativi discendenti per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore – dimostra come la donazione (indiretta) abbia in questo caso ad oggetto i premi pagati all’assicuratore, e non già l’indennizzo eventualmente versato da quest’ultimo.
1943
Il 12 marzo esce la sentenza della Cassazione n.582 onde, laddove una divisione venga dalle parti consapevolmente effettuata in porzioni diseguali al fine di avvantaggiare taluni tra i condividenti, affiora una fattispecie di donazione indiretta.
1948
La Costituzione prevede all’art.41, comma 1, la libertà della iniziativa economica privata (entro i limiti del successivo comma 2) e, con essa, la garanzia dell’autonomia negoziale, che si sostanzia nella libertà riconosciuta alle parti, nel perseguimento dei rispettivi interessi, di stipulare contratti, massime se tipici; laddove atipici, ovvero comunque laddove dai contorni non precisamente definiti, tale libertà fa i conti in misura maggiore, per l’appunto, con i limiti previsti al comma 2 dell’art.41 e segnatamente con l’utilità sociale e con la sicurezza, la libertà e la dignità umana, costituendo tali limiti il primo e fondamentale parametro di meritevolezza (in termini di tutela giuridica) degli interessi perseguiti dalle parti.
1949
Il 19 aprile esce la sentenza della Cassazione n.943 onde, in tema di collazione per acquisto di un bene (immobile) e relativa intestazione a nome altrui (normalmente, di un discendente), oggetto della donazione è la somma di denaro utilizzata per acquistare il bene immobile in parola: in questo caso il donatario è debitore di un obbligo di valuta – a titolo appunto di collazione – corrispondente alla somma che gli è stata donata in vita dal de cuius, con l’aggiunta degli interessi legali; viene dunque abbracciata l’opzione ermeneutica che valorizza da un lato la lettera dell’art.737 c.c. – onde le norme sulla collazione assumono a punto di riferimento non già il quantum di arricchimento del donatario, quanto piuttosto il quantum di impoverimento del donante (“ciò che si è ricevuto dal defunto”) e, dunque, la somma di denaro uscita dal relativo patrimonio al fine di acquistare l’immobile ed intestarlo a nome altrui (per esempio, al figlio) – e dall’altro la lettera dell’art.1923 c.c. – onde, in tema di assicurazione sulla vita a favore del terzo, si guarda ai premi pagati dall’assicurato, e dunque ancora una volta a ciò che in termini monetari è uscito dal relativo patrimonio, per individuare, quanto alle donazioni, l’oggetto della riduzione per lesione di legittima, di revocazione per frode ai creditori o, appunto, della collazione – ; una freccia nell’arco di questa tesi è il fatto che in sede di definitiva stesura del codice civile è stato soppresso l’art.357 del relativo progetto preliminare, dove invece si prevedeva esplicitamente – quale oggetto di conferimento – l’immobile acquistato dall’ascendente ed intestato al discendente. Si tratta di un orientamento che resterà granitico fino alla fine degli anni Ottanta.
1955
Il 14 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.566 alla cui stregua perché la donazione indiretta sia valida è sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
1963
*Il 22 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.1685 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
Il 28 giugno esce la sentenza della Cassazione n.1771 che distingue la donazione indiretta – nella quale il negozio apparente cui si ricollega la liberalità (indiretta) è realmente voluto dalle parti e concluso proprio in vista della divisata donazione (indiretta) – dalla donazione simulata, nella quale l’apparente negozio oneroso non è invece voluto dalle parti, che nella realtà vogliono (solo) un negozio gratuito.
1964
*Il 9 giugno esce la sentenza della Cassazione n.1416 che, ribadendo quanto già in precedenza affermato, distingue la donazione indiretta – nella quale il negozio apparente cui si ricollega la liberalità (indiretta) è realmente voluto dalle parti e concluso proprio in vista della divisata donazione (indiretta) – dalla donazione simulata, nella quale l’apparente negozio oneroso non è invece voluto dalle parti, che nella realtà vogliono (solo) un negozio gratuito.
1967
*Il 23 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.203 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
Il 3 marzo esce la sentenza della Cassazione n.507 alla cui stregua la rinunzia abdicativa ad un diritto determina l’acquisto per via indiretta di un vantaggio da parte di un terzo beneficiario tutte le volte che, attraverso la rinunzia medesima, venga meno uno stato di compressione in cui versa l’interesse del terzo beneficiario prima della rinunzia ridetta.
1969
Il 18 aprile esce la sentenza della Cassazione n.1220 secondo la quale si ha donazione indiretta allorquando il donante faccia luogo ad una liberalità a favore del donatario utilizzando strumentalmente negozi giuridici diversi che, pur conservando la causa loro propria, sono appunto indirettamente orientati ad arricchire il donatario per spirito di liberalità, mentre si è al cospetto di una donazione simulata allorché l’atto compiuto a titolo oneroso sia meramente apparente, volendo le parti – nella realtà – porre in essere solo un atto a titolo gratuito.
Il 3 maggio esce la sentenza della Cassazione n. 1465 onde la donazione indiretta consiste in una liberalità che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la donazione tipica – utilizzando lo schema di un negozio oneroso che, oltre a produrre l’effetto tipico che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce anche un ulteriore effetto, connesso all’animus donandi di una delle parti, dell’arricchimento dell’altra parte senza riceverne un corrispettivo.
Il 6 giugno esce la sentenza della Cassazione n. 1987 che ribadisce la donazione indiretta consistere in una liberalità che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la donazione tipica – utilizzando lo schema di un negozio oneroso che, oltre a produrre l’effetto tipico che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce anche un ulteriore effetto, connesso all’animus donandi di una delle parti, dell’arricchimento dell’altra parte senza riceverne un corrispettivo. Più in specie, viene assunto far luogo ad una donazione indiretta un mandato ad amministrare conferito al mandatario con l’obbligo di versare le rendite o altre somme di denaro derivanti dalla gestione ad un terzo. Del pari per la Corte è donazione indiretta il mandato irrevocabile conferito nell’interesse del mandatario o di un terzo, laddove l’interesse (al mandato) in capo al mandante non trovi giustificazione in un preesistente rapporto giuridico che lo avvinca ai soggetti beneficiari dell’attività gestoria divisata.
1970
*Il 5 dicembre esce la sentenza della Cassazione n. 2565 che ribadisce la donazione indiretta consistere in una liberalità posta in essere – piuttosto che attraverso la donazione tipica – utilizzando lo schema di un negozio oneroso che, oltre a produrre l’effetto tipico che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce anche un ulteriore effetto, connesso all’animus donandi di una delle parti, dell’arricchimento dell’altra parte senza riceverne un corrispettivo.
*Il 18 dicembre esce la sentenza della Cassazione n.2710 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
1971
Il 14 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2892, che si occupa del negozio c.d. indiretto per rappresentare come al relativo cospetto la disciplina giuridica applicabile debba assumersi quella del negozio tipico adottato dalle parti quale “negozio mezzo” per raggiungere gli scopi ulteriori da esse divisati; in sostanza, il negozio tipico prescelto è sì un punto di passaggio per il raggiungimento di scopi ulteriori, ma ad esso si applica appunto la relativa disciplina, e non quella eventualmente ricollegabile allo scopo ulteriore perseguito. In tema di donazione indiretta si tratta di una affermazione particolarmente importante, dacché applicando la disciplina dello “scopo ulteriore”, e non già quella del negozio-mezzo adottato, si dovrebbe far luogo a forma pubblica ex art.782 c.c.
1972
*L’11 marzo esce la sentenza della Cassazione n.712 onde si ha donazione indiretta allorquando il donante faccia luogo ad una liberalità a favore del donatario utilizzando strumentalmente negozi giuridici diversi che, pur conservando la causa loro propria, sono appunto indirettamente orientati ad arricchire il donatario per spirito di liberalità, mentre si è al cospetto di una donazione simulata allorché l’atto compiuto a titolo oneroso sia meramente apparente, volendo le parti – nella realtà – porre in essere solo un atto a titolo gratuito.
1974
Il 29 maggio esce la sentenza della Cassazione n.1545, onde – in caso di rinunzia abdicativa – ne va affermata la natura di donazione indiretta tutte le volte in cui vi sia un diretto nesso di causalità tra la rinunzia abdicativa stessa e l’arricchimento di un terzo.
Il 5 ottobre marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2621 che ravvisa una ipotesi di donazione indiretta in fattispecie in cui il beneficiario non sia stato fatto destinatario di atti negoziali, quanto piuttosto di atti di natura non negoziale, ed in specie di comportamenti di natura positiva, come nel caso delle costruzioni fatte su suolo altrui da parte di un terzo con materiali propri, regime che può essere esteso alle piantagioni e che fa perno sull’istituto della c.d. accessione. Un discorso analogo – facente perno stavolta sui diversi istituti della usucapione o della prescrizione – può farsi per comportamenti di natura negativa, e dunque sostanzialmente per l’inerzia che favorisca il beneficiario facendogli acquistare per usucapione o facendogli estinguere per prescrizione.
1976
*Il 10 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.824 che ravvisa una ipotesi di donazione indiretta in fattispecie in cui il beneficiario non sia stato fatto destinatario di atti negoziali, quanto piuttosto di atti di natura non negoziale, ed in specie di comportamenti di natura positiva, come nel caso delle costruzioni fatte su suolo altrui da parte di un terzo con materiali propri, regime che può essere esteso alle piantagioni e che fa perno sull’istituto della c.d. accessione. Un discorso analogo – facente perno stavolta sui diversi istituti della usucapione o della prescrizione – può farsi per comportamenti di natura negativa, e dunque sostanzialmente per l’inerzia che favorisca il beneficiario facendogli acquistare per usucapione o facendogli estinguere per prescrizione.
*Il 16 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.3526 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
1978
L’11 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.4550 onde la donazione indiretta si caratterizza non tanto per l’effetto finale che ne discende, quanto piuttosto per il mezzo che le parti utilizzano onde conseguire il fine di liberalità che la contraddistingue; detto fine può essere perseguito dunque attraverso la donazione tipica e formale, giusta contratto ex art.769 c.c., ovvero attraverso un negozio giuridico apparentemente diverso, che tuttavia persegue il medesimo fine (di liberalità) per via indiretta, quale scopo ulteriore e diverso rispetto alla causa propria del contratto utilizzato.
*Il 19 ottobre esce la sentenza della Cassazione n.4711 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
1979
Il 24 gennaio esce la sentenza della Cassazione n. 526 che, in tema di negotium mixtum cum donatione, afferma come si sia al cospetto di una fattispecie in cui – dal punto di vista strutturale e formale – si segue il regime proprio del negozio (direttamente) voluto dalle parti, che è un negozio di scambio per il quale non occorre la forma scritta per atto pubblico ad substantiam; se invece si guarda al risultato perseguito dalle parti medesime, vale a dire all’arricchimento di una di esse per spirito di liberalità, si è al cospetto di una donazione indiretta alla quale si applica la disciplina contenuta nell’art.809 c.c., che rappresenta una novità rispetto al codice del 1865 e che è del pari formalmente “libera”.
1980
*Il 25 gennaio esce la sentenza del Tribunale di Pinerolo che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
1982
Il 3 giugno esce la sentenza della Cassazione n.3394 onde la convenzione con cui una parte, a titolo di corrispettivo rispetto ad una prestazione dell’altra, si obbliga a corrispondergli una data somma mensile fino al relativo decesso e, successivamente, una rendita in denaro ad un terzo vita natural durante (ancorché sottoposta alla condizione risolutiva di un eventuale matrimonio) si configura come costituzione di rendita vitalizia onerosa (giusta costituzione di vitalizio successivo) e, ad un tempo, come donazione indiretta nella parte in cui viene assicurata la rendita al terzo (post mortem).
Il 12 ottobre viene varata l’ordinanza della Corte di Cassazione poi numerata 340.83 con la quale viene sollevava in via incidentale questione di legittimità costituzionale degli artt. 556 e 564, secondo comma, del codice civile, per la parte in cui dette norme richiamano l’art. 751 dello stesso
codice, nonché dell’art. 751 suddetto, per preteso contrasto con l’art. 3 della Costituzione. In sostanza la Corte – che è la protagonista di un orientamento giurisprudenziale granitico onde, in caso di acquisto di un bene (normalmente immobile) da parte dell’ascendente ed intestazione del medesimo a nome del discendente, alla morte del primo l’eventuale collazione ha ad oggetto non già l’immobile (indirettamente) donato al beneficiario, quanto piuttosto la somma spesa per acquistarlo a suo tempo, aumentata degli interessi legali (debito di valuta) – dubita della legittimità costituzionale di tale proprio “diritto vivente” per presunto contrasto con il principio di eguaglianza, dal momento che può profilarsi una disparità di trattamento tra coeredi, e segnatamente tra chi tra essi deve conferire una somma di denaro soggetta al principio nominalistico (per essere stato donatario indiretto del bene immobile, acquistato dal de cuius e a lui intestato) e chi al contrario, in veste di donatario diretto dell’immobile, deve conferire l’immobile stesso o imputare alla propria quota il corrispondente (ed ovviamente maggiore) valore al tempo dell’apertura della successione.
1983
L’8 luglio esce la sentenza della Cassazione n.4618 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato. Per la Corte l’accordo attraverso il quale un soggetto – per spirito di liberalità – assuma il debito che un altro (debitore originario) ha verso un terzo non fa luogo ad una donazione tipica e diretta, e ciò in quanto non si verifica a vantaggio del debitore originario alcun arricchimento (che potrebbe aversi solo giusta relativa liberazione in forza di un accollo privativo ex art.1273, comma 2, c.c.), ma si fa luogo in ogni caso una donazione indiretta ad effetti obbligatori tra le parti.
1985
*Il 19 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.1446 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
Il 17 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.230 che dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 556 e 564, comma secondo, del codice civile, per la parte in cui richiamano l’art. 751 del codice civile, e dello stesso art. 751 del codice civile, sollevata dalla Corte di cassazione, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nel 1982/83, non potendo la Corte operare scelte nell’ambito di soluzioni plurime tutte “astrattamente possibili“, né valutare essa la congruità di un ventaglio di soluzioni da indicare al legislatore, cui resta pertanto la discrezionalità in ordine alla disciplina della collazione al cospetto di donazioni dirette e di donazioni indirette (acquisto ed intestazione a nome altrui) di beni immobili da parte del de cuius.
1986
Il 15 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.171 che si occupa della particolare fattispecie in cui un soggetto stipula un contratto preliminare di acquisto con il venditore di un bene, e fornisce poi il denaro ad un terzo – che egli intende beneficiare – per la stipula del definitivo, onde il definitivo viene poi stipulato dal ridetto terzo beneficiario: in questi casi si è per la Corte al cospetto di una donazione indiretta del bene (normalmente immobile) oggetto della sequenza preliminare-definitivo.
1987
Il 21 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.9500 alla cui stregua, allorché un coniuge, in sede di separazione consensuale, assuma l’obbligo nei confronti dell’altro coniuge di provvedere al mantenimento del figlio minore, impegnandosi a tal fine a trasferirgli un bene immobile, questi pone in essere con il ridetto coniuge un contratto preliminare a favore del figlio, con la conseguenza che l’atto scritto con cui il coniuge – obbligatosi all’esecuzione di tale contratto preliminare – dichiara di trasferire al figlio quel bene, essendo privo dello spirito di liberalità, non configura una donazione, ma piuttosto una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico che, ai sensi dell’art.1333 c.c., in assenza di rifiuto del destinatario in un termine adeguato alla natura dell’affare o stabilito dagli usi, determina l’irrevocabilità della pertinente proposta e quindi la conclusione del contratto medesimo, nonostante la volontà di accettazione della controparte non risulti da atto scritto, dovendosi assumere assolto l’onere della forma attraverso le modalità con le quali è stata formulata la proposta.
La Corte preliminarmente – al fine di fissare l’ambito dei propri poteri – rammenta come i motivi d’impugnazione vadano interpretati dal giudice che deve porli a fondamento della pronuncia richiestagli; ciò nel senso che il giudice medesimo, al di la’ di imprecisioni formali e di impostazioni giuridiche non corrette, e’ tenuto a cogliere le ragioni essenziali effettivamente espresse con la doglianza formulata dal soccombente contro la sentenza soggetta a riesame e, sulla base dei fatti accertati e delle eccezioni in senso proprio tempestivamente sollevate, e’ tenuto ad applicare ad essi, in relazione ai motivi esposti dall’interessato ed intesi nel senso accennato, le norme adeguate e gli istituti giuridici opportuni.
Tanto premesso, esattamente per il Collegio la corte napoletana ha nel caso di specie ritenuto (con la sentenza gravata) che il negozio intercorso nel 1959 tra i coniugi Z. T., mediante cui il primo si e’ obbligato a “donare” una appezzamento di terreno alla figlia minorenne Antonietta per provvedere così, mediante elargizione una tantum, al relativo mantenimento, configurasse un contratto preliminare a favore di terzo (figura giuridica ammissibile secondo la giurisprudenza della Corte; cfr. sent. 5 aprile 1974, n. 967).
Altrettanto ineccepibilmente la stessa corte territoriale ha rilevato che l’atto con cui Z., dando attuazione e tale obbligo, ha manifestato l’irrevocabile volontà di trasferire alla figlia il terreno ridetto, non costituiva affatto una donazione, secondo l’erronea indicazione del rogito, esulando da esso ogni intento di liberalità, ma avendo piuttosto essa causa nell’esigenza di soddisfare un preciso obbligo legale: quello ineludibile di provvedere al mantenimento dei figli, fino a che questi non siano posti in condizioni di autonomia economica.
Ne deriva – prosegue la Corte – che l’atto notar G. del 26 giugno 1960 sancisce la volonta’ dello Z. di trasferire, con effetto immediato, irrevocabilmente e gratuitamente ad Antonietta Z. il piccolo fondo de quo.
Col secondo motivo di ricorso – chiosa ancora il Collegio – la destinataria, dolendosi della circostanza che sia stato ritenuto revocabile tale atto e legittima la revoca concretamente espressa dal padre nel 1975, pure tra molte inesattezze e non condivisibili costruzioni giuridiche, ha colto il punto nodale della controversia, conferendo alla Corte il potere dovere di intervenire al fine di eliminare alcuni errori riscontrabili nelle ulteriori argomentazioni del giudice del merito e, in conseguenza, nell’impugnata decisione.
Ha ritenuto, la corte pertenopea, che il rogito G. piu’ volte menzionato, del giugno 1960, costituisse una proposta di trasferimento immobiliare, in adempimento di un obbligo giuridico, revocabile perché privo della indicazione del termine per l’accettazione e, in effetti, legittimamente revocata essendo nel frattempo mancata l’accettazione dell’interessata, da esprimere nel rispetto della forma richiesta per i trasferimenti immobiliari. Ha aggiunto, il giudice d’appello, che tra i modi di acquisto della proprietà (art. 922 c.c.), non sono annoverati gli atti unilaterali.
Senonché – osserva la Corte – mediante tale impostazione e’ stato omesso di considerare che, ai sensi dell’art. 1333 c.c., la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente, e’ irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale e’ destinata. E’ vero che, a tenore della medesima norma, il destinatario puo’ rifiutare la proposta entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi; ma, in mancanza di tale rifiuto, il contratto e’ concluso.
Nelle specie e’ assolutamente pacifico che la cosiddetta donazione e’ pervenuta a conoscenza della destinataria, dato che e’ avvenuto il trasferimento del possesso del bene.
Inoltre e’ altrettanto certo che il rifiuto del trasferimento immobiliare non v’e’ stato; anzi l’acquisizione e il prolungato e pacifico esercizio del possesso suddetto implica, addirittura, una tacita e inequivoca manifestazione della volontà contraria.
Dato ciò il contratto – di tipo unilaterale perché comportante prestazioni solo a carico di una delle parti – si e’ concluso ed ha determinato, con il passaggio della proprietà immobiliare dal padre alla figlia, una nuova situazione giuridica non modificabile unilateralmente. A ragione, quindi, la ricorrente censura l’impugnata sentenza che ha ritenuto revocabile una manifestazione di volontà, ed i connessi effetti giuridici, che tale non era.
Ne’ e’ possibile obiettare per il Collegio, in ipotesi, che l’accettazione del trasferimento immobiliare non sarebbe avvenuta con la forma richiesta: va considerato che la disciplina delineata dall’art. 1333 c.c., all’infuori dei casi espressamente previsti dalla legge, come in tema di donazione, non soffre deroga allorché il contratto unilaterale sia soggetto all’esigenza della forma scritta ad substantiam; tale esigenza, invero, deve ritenersi soddisfatta sol che sia consacrato in iscritto l’obbligo del promittente (che nella specie si riscontra), mentre a conferire certezza al negozio concluso e’ sufficiente la produzione in giudizio, da parte del promissario, dello scritto contenente l’obbligazione dell’altro contraente, unico obbligato.
L’impostazione e la soluzione della controversia nel senso sopra delineato rendono palese l’inconsistenza della tesi, esposta nel primo motivo, del litisconsorzio necessario nei confronti di Vincenza T.: il contratto preliminare a favore di terzo da lei concluso con il marito si e’ realizzato nel contratto unilaterale atipico e gratuito con cui quest’ultimo ha trasferito alla figlia la proprietà di un fondo, secondo gli impegni assunti; e la presente controversia – precisa la Corte – riguarda esclusivamente gli effetti di quest’ultimo contratto e le parti che lo hanno concluso.
Il ricorso deve quindi per la Corte essere accolto per quanto di ragione e l’impugnata sentenza cassata; il giudice di rinvio, nel procedere al nuovo giudizio di secondo grado, si atterra’ ai seguenti principi di diritto: allorché taluno, in sede di separazione coniugale consensuale, assume l’obbligo di provvedere al mantenimento di una figlia minore, impegnandosi a tal fine a trasferirle nel prossimo futuro un determinato bene immobile, pone in essere con il coniuge un contratto preliminare a favore di terzo. Quando poi, in esecuzione di detto obbligo, dichiara per iscritto di trasferire alla figlia tale bene, avvia il processo formativo di un negozio che, privo della connotazione dell’atto di liberalità, esula dalla donazione ma configura una proposta di contratto unilaterale, gratuito e atipico che, ai sensi dell’art. 1333 c.c., in mancanza di rifiuto del destinatario entro il termine adeguato alla natura dell’affare e stabilito dagli usi, determina la conclusione del contratto stesso e, quindi, l’irrevocabilità della proposta; ciò a nulla rilevando che la volontà di accettazione non risulti da atto scritto, dovendosi ritenere assolto l’obbligo della forma attraverso le modalità con cui e’ stata formulata la pertinente proposta.
1988
*Il 28 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6416 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
1989
Il 31 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.596 che abbandona il proprio tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione.
*Il 7 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 5410 che ribadisce la donazione indiretta consistere in una liberalità che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la donazione tipica – utilizzando lo schema di un negozio oneroso che, oltre a produrre l’effetto tipico che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce anche un ulteriore effetto, connesso all’animus donandi di una delle parti, dell’arricchimento dell’altra parte senza riceverne un corrispettivo.
1991
*Il 6 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4986 che ribadisce di voler abbandonare il proprio tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione.
Il 29 maggio esce la sentenza del Tribunale di Napoli in tema di caduta in comunione legale tra coniugi dei beni donati ad uno di essi. Se si è al cospetto di una donazione indiretta del bene (sovente immobile) si applica – a rigore – l’art.179, comma 1, lettera b) del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione è stato assegnato al coniuge a titolo (di successione ereditaria ovvero) di donazione (quale che essa sia), per escludere appunto il ridetto bene dalla comunione legale; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato cada in comunione quando nell’”atto di liberalità” (o nel testamento) venga specificato che esso è appunto attribuito alla comunione, e poiché nella donazione “indiretta” nulla viene specificato, il problema che si è posto è capire se si applica in ogni caso l’art.179, comma 1, lettera b), ovvero debba applicarsi piuttosto la regola generale di cui all’art.177, comma 1, lettera a) c.c. quale acquisto compiuto dal coniuge (donatario) in costanza di matrimonio, e come tale automaticamente ricadente in comunione. Il Tribunale abbraccia la tesi (che si rivelerà minoritaria) secondo la quale il bene oggetto di donazione indiretta (a differenza di quello oggetto di donazione diretta) cade in comunione, stante il c.d. “favor communionis” e la natura eccezionale delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla regola generale, appunto, della caduta in comunione di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la diversa espressione utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “donazione” (diretta) e poi di “atto di liberalità”, proprio per distinguere questa seconda ipotesi dalla prima.
1992
Il 5 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.9282 che autorevolmente ribadisce come vada abbandonato il tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione. La Corte distingue peraltro l’ipotesi in cui l’ascendente dona al discendente il denaro, laddove oggetto della collazione non può che essere il denaro medesimo quale bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, ed il cui autonomo reimpiego per l’acquisto dell’immobile non può avere rilievo per essere estraneo alla previsione stessa del donante; dalla diversa ipotesi del denaro donato allo specifico scopo di consentire al discendente l’acquisto dell’immobile in parola, laddove si riscontra un preciso nesso di causalità tra dazione del denaro ed acquisto dell’immobile, con conseguente configurabilità della donazione (indiretta) dell’immobile stesso, e non già solo del denaro che serve per acquistarlo, prescindendo peraltro dal concreto atteggiarsi della fattispecie, potendo accadere che l’ascendente sottoscriva con il promittente venditore il preliminare di acquisto seguito poi da sottoscrizione del contratto definitivo da parte del discendente, ovvero che l’ascendente acquisti l’immobile e lo intesti al discendente, ovvero ancora che l’ascendente doni al discendente il denaro necessario per procedere al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza – al cospetto di una donazione indiretta, quale negozio che, pur non rivestendosi della forma della donazione, è mosso dal fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo non già tanto all’impoverimento del donante, quanto piuttosto all’arricchimento (voluto dal donante) del donatario, quale scopo ultimo perseguito appunto dal donante, onde appare riduttivo alla Corte (come fa la tesi formalistica in precedenza sposata) affermare che tale arricchimento del beneficiario donatario corrisponda al solo bene (o valore) uscito dal patrimonio del donante, e dunque del denaro usato per acquistare il divisato immobile. Mentre nella donazione diretta dell’immobile tale corrispondenza (tra impoverimento del donante ed arricchimento del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di donazione indiretta il beneficiario si arricchisce anche per effetto di un negozio concluso non già direttamente con il donante (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma con un terzo, come quando si utilizzi un procedimento di donazione indiretta complesso in cui il donatario si arricchisce dell’immobile acquistato dal venditore con denaro del donante, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, l’arricchimento del donatario al tempo X potendosi palesare maggiore, in termini di valore, dell’impoverimento del donante al precedente tempo Y. La Corte ribadisce infine come nel caso in cui un soggetto stipuli un contratto preliminare di acquisto con il venditore di un bene, e fornisca poi il denaro ad un terzo – che egli intende beneficiare – per la stipula del definitivo, onde il definitivo viene poi stipulato dal ridetto terzo beneficiario, si sia al cospetto di una donazione indiretta del bene (normalmente immobile) oggetto della sequenza preliminare-definitivo.
*Il 21 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 11499 che, in tema di negotium mixtum cum donatione, ribadisce come si sia al cospetto di una fattispecie in cui – dal punto di vista strutturale e formale – si segue il regime proprio del negozio (direttamente) voluto dalle parti, che è un negozio di scambio per il quale non occorre la forma scritta per atto pubblico ad substantiam; se invece si guarda al risultato perseguito dalle parti medesime, vale a dire all’arricchimento di una di esse per spirito di liberalità, si è al cospetto di una donazione indiretta alla quale si applica la disciplina contenuta nell’art.809 c.c., che rappresenta una novità rispetto al codice del 1865.
*Il 23 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.13630 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
1993
*Il 25 marzo esce la sentenza del Tribunale di Catania che, in tema di negotium mixtum cum donatione, ribadisce come si sia al cospetto di una fattispecie in cui – dal punto di vista strutturale e formale – si segue il regime proprio del negozio (direttamente) voluto dalle parti, che è un negozio di scambio per il quale non occorre la forma scritta per atto pubblico ad substantiam; se invece si guarda al risultato perseguito dalle parti medesime, vale a dire all’arricchimento di una di esse per spirito di liberalità, si è al cospetto di una donazione indiretta alla quale si applica la disciplina contenuta nell’art.809 c.c., che rappresenta una novità rispetto al codice del 1865.
1994
*L’8 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1257 che, riprendendo quanto autorevolmente ed innovativamente affermato dalle SSUU nel 1992 – ribadisce che va abbandonato il tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione. La Corte distingue peraltro l’ipotesi in cui l’ascendente dona al discendente il denaro, laddove oggetto della collazione non può che essere il denaro medesimo quale bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, ed il cui autonomo reimpiego per l’acquisto dell’immobile non può avere rilievo per essere estraneo alla previsione stessa del donante; dalla diversa ipotesi del denaro donato allo specifico scopo di consentire al discendente l’acquisto dell’immobile in parola, laddove si riscontra un preciso nesso di causalità tra dazione del denaro ed acquisto dell’immobile, con conseguente configurabilità della donazione (indiretta) dell’immobile stesso, e non già solo del denaro che serve per acquistarlo, prescindendo peraltro dal concreto atteggiarsi della fattispecie, potendo accadere che l’ascendente sottoscriva con il promittente venditore il preliminare di acquisto seguito poi da sottoscrizione del contratto definitivo da parte del discendente, ovvero che l’ascendente acquisti l’immobile e lo intesti al discendente, ovvero ancora che l’ascendente doni al discendente il denaro necessario per procedere al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza – al cospetto di una donazione indiretta, quale negozio che, pur non rivestendosi della forma della donazione, è mosso dal fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo non già tanto all’impoverimento del donante, quanto piuttosto all’arricchimento (voluto dal donante) del donatario, quale scopo ultimo perseguito appunto dal donante, onde appare riduttivo alla Corte (come fa la tesi formalistica in precedenza sposata) affermare che tale arricchimento del beneficiario donatario corrisponda al solo bene (o valore) uscito dal patrimonio del donante, e dunque del denaro usato per acquistare il divisato immobile. Mentre nella donazione diretta dell’immobile tale corrispondenza (tra impoverimento del donante ed arricchimento del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di donazione indiretta il beneficiario si arricchisce anche per effetto di un negozio concluso non già direttamente con il donante (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma con un terzo, come quando si utilizzi un procedimento di donazione indiretta complesso in cui il donatario si arricchisce dell’immobile acquistato dal venditore con denaro del donante, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, l’arricchimento del donatario al tempo X potendosi palesare maggiore, in termini di valore, dell’impoverimento del donante al precedente tempo Y.
*Il 19 luglio esce la sentenza della Corte d’Appello di Napoli in tema di caduta in comunione legale tra coniuge dei beni donati ad uno di essi. Se si è al cospetto di una donazione indiretta del bene (sovente immobile) si applica – a rigore – l’art.179, comma 1, lettera b) del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione è stato assegnato al coniuge a titolo (di successione ereditaria ovvero) di donazione (quale che essa sia), per escludere appunto il ridetto bene dalla comunione legale; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato cada in comunione quando nell’”atto di liberalità” (o nel testamento) venga specificato che esso è appunto attribuito alla comunione, e poiché nella donazione “indiretta” nulla viene specificato, il problema che si è posto è capire se si applica in ogni caso l’art.179, comma 1, lettera b), ovvero debba applicarsi piuttosto la regola generale di cui all’art.177, comma 1, lettera a) c.c. quale acquisto compiuto dal coniuge (donatario) in costanza di matrimonio, e dunque automaticamente ricadente in comunione. La Corte abbraccia la tesi (che si rivelerà minoritaria) secondo la quale il bene oggetto di donazione indiretta (a differenza di quello oggetto di donazione diretta) cade in comunione, stante il c.d. “favor communionis” e la natura eccezionale delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla regola generale, appunto, della caduta in comunione di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la diversa espressione utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “donazione” (diretta) e poi di “atto di liberalità”, proprio per distinguere questa seconda ipotesi dalla prima.
Il 01 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7160 che, in tema di rendita vitalizia a favore di un terzo ex art.1875 afferma come – trattandosi di una fattispecie di donazione indiretta – non sia necessaria la forma scritta prevista per la donazione di cui all’art.769 c.c.
1997
Il 10 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1214 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato. Per la Corte la ragione sostanziale della mancata sussistenza di un onere di forma solenne per le donazioni indirette risiede nel fatto che l’art.782 c.c. – laddove prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione diretta al fine di tutelare il donante – non può essere esteso (a differenza delle norme che invece tutelano i terzi) alla donazione indiretta, e ciò in quanto l’arricchimento non è l’effetto tipico del negozio che le parti adottano per realizzarlo. Per la Corte il negozio indiretto costituisce una delle espressioni tipiche dell’autonomia privata e dunque la forma negoziale, in linea di principio, non può che essere quella del negozio di volta in volta adottato, e non già quella del negozio che in modo tipico è previsto dall’ordinamento (nel caso di specie, la donazione diretta) per la realizzazione della causa al cui perseguimento è stata piegata la funzione del negozio posto concretamente in essere dalle parti. Il principio, prosegue la Corte, vale anche per le donazioni indirette e ciò tanto più tenendo conto del fatto che esso, lungi dal trovare ostacolo nel dato normativo, ne riceve invece conferma, come è ben desumibile dall’art.809 c.c. che, nello stabilire quali siano le norme sulle donazioni che si applicano agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quello tipico di cui all’art.769 c.c., non richiama tra esse quella che prescrive la specifica forma dell’atto pubblico normalmente richiesta per la donazione, vale a dire l’art.782 c.c.. Sotto altro profilo, prosegue la Corte, non si è mancato di far osservare che, dal momento che la norma sulla forma della donazione fa parte di quelle disposizioni intese a realizzare la tutela del donante (onde scongiurare che lo spirito di liberalità possa trasformarsi in un pregiudizio per il donante medesimo), utilizzando uno strumento di carattere preventivo (la forma pubblica ad substantiam appunto), detta norma – a differenza delle altre norme che assicurano la tutela dei terzi – non può essere estesa a quei negozi che perseguano lo scopo di liberalità giusta schemi negoziali previsti per il raggiungimento di finalità di altro genere; diversamente opinando, si configurerebbe infatti per la Corte un troppo radicale sacrificio dell’autonomia privata alla quale va ricondotto il potere delle parti di avvalersi delle figure negoziali per perseguire finalità lecite e, come tali, idonee a trovare nell’ordinamento il relativo riconoscimento. Con questa sentenza la Corte, in tema di negotium mixtum cum donatione, supera la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità.
*Il 14 maggio esce la sentenza della III sezione delle Cassazione n.4231 che, riprendendo quanto autorevolmente ed innovativamente affermato dalle SSUU nel 1992 – ribadisce che va abbandonato il tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione. La Corte distingue peraltro l’ipotesi in cui l’ascendente dona al discendente il denaro, laddove oggetto della collazione non può che essere il denaro medesimo quale bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, ed il cui autonomo reimpiego per l’acquisto dell’immobile non può avere rilievo per essere estraneo alla previsione stessa del donante; dalla diversa ipotesi del denaro donato allo specifico scopo di consentire al discendente l’acquisto dell’immobile in parola, laddove si riscontra un preciso nesso di causalità tra dazione del denaro ed acquisto dell’immobile, con conseguente configurabilità della donazione (indiretta) dell’immobile stesso, e non già solo del denaro che serve per acquistarlo, prescindendo peraltro dal concreto atteggiarsi della fattispecie, potendo accadere che l’ascendente sottoscriva con il promittente venditore il preliminare di acquisto seguito poi da sottoscrizione del contratto definitivo da parte del discendente, ovvero che l’ascendente acquisti l’immobile e lo intesti al discendente, ovvero ancora che l’ascendente doni al discendente il denaro necessario per procedere al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza – al cospetto di una donazione indiretta, quale negozio che, pur non rivestendosi della forma della donazione, è mosso dal fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo non già tanto all’impoverimento del donante, quanto piuttosto all’arricchimento (voluto dal donante) del donatario, quale scopo ultimo perseguito appunto dal donante, onde appare riduttivo alla Corte (come fa la tesi formalistica in precedenza sposata) affermare che tale arricchimento del beneficiario donatario corrisponda al solo bene (o valore) uscito dal patrimonio del donante, e dunque del denaro usato per acquistare il divisato immobile. Mentre nella donazione diretta dell’immobile tale corrispondenza (tra impoverimento del donante ed arricchimento del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di donazione indiretta il beneficiario si arricchisce anche per effetto di un negozio concluso non già direttamente con il donante (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma con un terzo, come quando si utilizzi un procedimento di donazione indiretta complesso in cui il donatario si arricchisce dell’immobile acquistato dal venditore con denaro del donante, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, l’arricchimento del donatario al tempo X potendosi palesare maggiore, in termini di valore, dell’impoverimento del donante al precedente tempo Y.
Il 15 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11237, in tema di donazione indiretta e comunione legale tra coniugi. Se si è al cospetto di una donazione indiretta del bene (sovente immobile) si applica – a rigore – l’art.179, comma 1, lettera b) del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione è stato assegnato al coniuge a titolo (di successione ereditaria ovvero) di donazione (quale che essa sia), per escludere appunto il ridetto bene dalla comunione legale; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato cada in comunione quando nell’”atto di liberalità” (o nel testamento) venga specificato che esso è appunto attribuito alla comunione, e poiché nella donazione “indiretta” nulla viene specificato, il problema che si è posto è capire se si applica in ogni caso l’art.179, comma 1, lettera b), ovvero debba applicarsi piuttosto la regola generale di cui all’art.177, comma 1, lettera a) c.c. quale acquisto compiuto dal coniuge (donatario) in costanza di matrimonio¸ e dunque automaticamente ricadente in comunione. La Corte, in proposito, ripudia la tesi (che si rivelerà minoritaria) onde il bene oggetto di donazione indiretta (a differenza di quello oggetto di donazione diretta) cadrebbe in comunione, stante il c.d. “favor communionis” e la natura eccezionale delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla regola generale, appunto, della caduta in comunione di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la diversa espressione utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “donazione” (diretta) e poi di “atto di liberalità”, proprio per distinguere questa seconda ipotesi dalla prima. Per la Corte va piuttosto abbracciata la tesi (che sarà maggioritaria) onde, all’opposto (e valorizzando il consapevole e voluto collegamento negoziale tra messa a disposizione del denaro ed acquisto del bene), anche in ipotesi di donazione indiretta il bene donato non cade in comunione, in quanto sul crinale letterale la nozione di “atto di liberalità” appare onnicomprensiva ed inglobante in sé anche la “donazione”, mentre sul crinale strutturale non conta la specificazione della destinazione “personale”, la quale ultima non può assumersi requisito essenziale per escludere il bene donato dalla comunione, essendo piuttosto rilevante il requisito opposto della destinazione “alla comunione”, questa sì da specificarsi se si vuole escludere l’effetto della attribuibilità del bene al novero di quelli personali del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente acquisti un bene e lo intesti al proprio discendente coniugato in regime di comunione legale, tale bene, – salva esplicita manifestazione di volontà in senso contrario – quale “donazione” (seppure indiretta) non cade in comunione, sia perché il donante ciò non vuole (salva appunto l’esplicita, opposta manifestazione di volontà), sia perché la logica della caduta di un bene acquistato in comunione legale risiede nel fatto che tale acquisto è il precipitato della collaborazione e del sacrificio di entrambi i coniugi, circostanza che non si verifica nel caso in cui il bene sia stato appunto donato solo ad uno di essi.
*Il 30 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.13117, che – in caso di rinunzia abdicativa – ne conferma la natura di donazione indiretta tutte le volte in cui vi sia un diretto nesso di causalità tra la rinunzia abdicativa stessa e l’arricchimento di un terzo. Detta rinunzia abdicativa ad un diritto determina l’acquisto per via indiretta di un vantaggio da parte di un terzo beneficiario tutte le volte che, attraverso la rinunzia medesima, venga meno uno stato di compressione in cui versa l’interesse del terzo beneficiario prima della rinunzia ridetta.
1998
*L’8 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4680 che, riprendendo quanto autorevolmente ed innovativamente affermato dalle SSUU nel 1992 – ribadisce che va abbandonato il tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione. La Corte distingue peraltro l’ipotesi in cui l’ascendente dona al discendente il denaro, laddove oggetto della collazione non può che essere il denaro medesimo quale bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, ed il cui reimpiego per l’acquisto dell’immobile non può avere rilievo per essere estraneo alla previsione stessa del donante; dalla diversa ipotesi del denaro donato allo specifico scopo di consentire al discendente l’acquisto dell’immobile in parola, laddove si riscontra un preciso nesso di causalità tra dazione del denaro ed acquisto dell’immobile, con conseguente configurabilità della donazione (indiretta) dell’immobile stesso, e non già solo del denaro che serve per acquistarlo, prescindendo peraltro dal concreto atteggiarsi della fattispecie, potendo accadere che l’ascendente sottoscriva con il promittente venditore il preliminare di acquisto seguito poi da sottoscrizione del contratto definitivo da parte del discendente, ovvero che l’ascendente acquisti l’immobile e lo intesti al discendente, ovvero ancora che l’ascendente doni al discendente il denaro necessario per procedere al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza – al cospetto di una donazione indiretta, quale negozio che, pur non rivestendosi della forma della donazione, è mosso dal fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo non già tanto all’impoverimento del donante, quanto piuttosto all’arricchimento (voluto dal donante) del donatario, quale scopo ultimo perseguito appunto dal donante, onde appare riduttivo alla Corte (come fa la tesi formalistica in precedenza sposata) affermare che tale arricchimento del beneficiario donatario corrisponda al solo bene (o valore) uscito dal patrimonio del donante, e dunque del denaro usato per acquistare il divisato immobile. Mentre nella donazione diretta dell’immobile tale corrispondenza (tra impoverimento del donante ed arricchimento del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di donazione indiretta il beneficiario si arricchisce anche per effetto di un negozio concluso non già direttamente con il donante (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma con un terzo, come quando si utilizzi un procedimento di donazione indiretta complesso in cui il donatario si arricchisce dell’immobile acquistato dal venditore con denaro del donante, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, l’arricchimento del donatario al tempo X potendosi palesare maggiore, in termini di valore, dell’impoverimento del donante al precedente tempo Y.
1999
*Il 10 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3499 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato. Statuendo in tema di negotium mixtum cum donatione, la Corte assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità.
2000
Il 21 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 642 che, in tema di negotium mixtum cum donatione, assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità. Si è dunque al cospetto di un solo negozio indiretto (tesi prevalente), il contratto commutativo costituendo lo strumento attraverso il quale si giunge – per via indiretta – a quello donativo; la conseguenza è che si applica la forma propria del contratto prescelto (con funzione di scambio), e non già la forma ad substantiam della donazione, come peraltro conferma lo stesso art.809 del codice laddove individua le norme materiali sulle donazioni dirette che possono applicarsi agli atti di liberalità diversi dalla donazione tout court (donazioni “indirette”), senza che sia esplicitamente richiamato l’art.782 c.c. ed il rigore formale ivi prescritto (atto pubblico). Per la Corte – dal punto di vista strutturale e formale – si segue il regime proprio del negozio (direttamente) voluto dalle parti, che è un negozio di scambio per il quale non occorre la forma scritta per atto pubblico ad substantiam; se invece si guarda al risultato perseguito dalle parti medesime, vale a dire all’arricchimento di una di esse per spirito di liberalità, si è al cospetto di una donazione indiretta alla quale si applica la disciplina contenuta nell’art.809 c.c., che rappresenta una novità rispetto al codice del 1865.
*Il 3 ottobre esce la sentenza del Tribunale di Firenze che, in tema di negotium mixtum cum donatione, assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità.
*Il 14 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.15778 che, riprendendo quanto autorevolmente ed innovativamente affermato dalle SSUU nel 1992 – ribadisce che va abbandonato il tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione. La Corte distingue peraltro l’ipotesi in cui l’ascendente dona al discendente il denaro, laddove oggetto della collazione non può che essere il denaro medesimo quale bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, ed il cui reimpiego per l’acquisto dell’immobile non può avere rilievo per essere estraneo alla previsione stessa del donante; dalla diversa ipotesi del denaro donato allo specifico scopo di consentire al discendente l’acquisto dell’immobile in parola, laddove si riscontra un preciso nesso di causalità tra dazione del denaro ed acquisto dell’immobile, con conseguente configurabilità della donazione (indiretta) dell’immobile stesso, e non già solo del denaro che serve per acquistarlo, prescindendo peraltro dal concreto atteggiarsi della fattispecie, potendo accadere che l’ascendente sottoscriva con il promittente venditore il preliminare di acquisto seguito poi da sottoscrizione del contratto definitivo da parte del discendente, ovvero che l’ascendente acquisti l’immobile e lo intesti al discendente, ovvero ancora che l’ascendente doni al discendente il denaro necessario per procedere al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza – al cospetto di una donazione indiretta, quale negozio che, pur non rivestendosi della forma della donazione, è mosso dal fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo non già tanto all’impoverimento del donante, quanto piuttosto all’arricchimento (voluto dal donante) del donatario, quale scopo ultimo perseguito appunto dal donante, onde appare riduttivo alla Corte (come fa la tesi formalistica in precedenza sposata) affermare che tale arricchimento del beneficiario donatario corrisponda al solo bene (o valore) uscito dal patrimonio del donante, e dunque del denaro usato per acquistare il divisato immobile. Mentre nella donazione diretta dell’immobile tale corrispondenza (tra impoverimento del donante ed arricchimento del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di donazione indiretta il beneficiario si arricchisce anche per effetto di un negozio concluso non già direttamente con il donante (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma con un terzo, come quando si utilizzi un procedimento di donazione indiretta complesso in cui il donatario si arricchisce dell’immobile acquistato dal venditore con denaro del donante, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, l’arricchimento del donatario al tempo X potendosi palesare maggiore, in termini di valore, dell’impoverimento del donante al precedente tempo Y. Sul versante dei rapporti tra donazione indiretta e comunione legale tra coniugi, coerentemente, la Corte ribadisce la tesi (ormai maggioritaria) onde, valorizzando il consapevole e voluto collegamento negoziale tra messa a disposizione del denaro ed acquisto del bene, anche in ipotesi di donazione indiretta il bene donato non cade in comunione (ai sensi dell’art.179, comma 1, lettera b c.c.), in quanto sul crinale letterale la nozione di “atto di liberalità” appare onnicomprensiva ed inglobante in sé anche la “donazione”, mentre sul crinale strutturale non conta la specificazione della destinazione “personale”, la quale ultima non può assumersi requisito essenziale per escludere il bene donato dalla comunione, essendo piuttosto rilevante il requisito opposto della destinazione “alla comunione”, questa sì da specificarsi se si vuole escludere l’effetto della attribuibilità del bene al novero di quelli personali del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente acquisti un bene e lo intesti al proprio discendente coniugato in regime di comunione legale, tale bene, – salva esplicita manifestazione di volontà in senso contrario – quale “donazione” (seppure indiretta) non cade in comunione, sia perché il donante ciò non vuole (salva appunto l’esplicita, opposta manifestazione di volontà), sia perché la logica della caduta di un bene acquistato in comunione legale risiede nel fatto che tale acquisto è il precipitato della collaborazione e del sacrificio di entrambi i coniugi, circostanza che non si verifica nel caso in cui il bene sia stato appunto donato solo ad uno di essi.
2001
*Il 29 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4623 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
*Il 15 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 6711 che, in tema di negotium mixtum cum donatione, assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità.
2002
*Il 16 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 5461 che ribadisce la donazione indiretta consistere in una liberalità che viene posta in essere – piuttosto che attraverso la donazione tipica – utilizzando lo schema di un negozio oneroso che, oltre a produrre l’effetto tipico che lo caratterizza (in quanto appunto negozio oneroso), produce anche un ulteriore effetto, connesso all’animus donandi di una delle parti, dell’arricchimento dell’altra parte senza riceverne un corrispettivo.
*Il 26 agosto esce la sentenza della Cassazione n.12486 che, riprendendo quanto autorevolmente ed innovativamente affermato dalle SSUU nel 1992 – ribadisce che va abbandonato il tradizionale orientamento – più formalistico – inteso ad individuare, quale oggetto della collazione in ipotesi di bene immobile acquistato dal de cuius ed intestato a nome altrui (segnatamente, a nome di un discendente), la somma a suo tempo uscita dal patrimonio del donante (aumentata degli interessi legali) per abbracciare la diversa opzione ermeneutica – di stampo maggiormente sostanzialistico e più idonea scongiurare disparità di trattamento tra coeredi – alla cui stregua oggetto della collazione è quanto ha arricchito il beneficiario, e dunque in sostanza l’immobile medesimo al valore dell’aperta successione. La Corte distingue peraltro l’ipotesi in cui l’ascendente dona al discendente il denaro, laddove oggetto della collazione non può che essere il denaro medesimo quale bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, ed il cui reimpiego per l’acquisto dell’immobile non può avere rilievo per essere estraneo alla previsione stessa del donante; dalla diversa ipotesi del denaro donato allo specifico scopo di consentire al discendente l’acquisto dell’immobile in parola, laddove si riscontra un preciso nesso di causalità tra dazione del denaro ed acquisto dell’immobile, con conseguente configurabilità della donazione (indiretta) dell’immobile stesso, e non già solo del denaro che serve per acquistarlo, prescindendo peraltro dal concreto atteggiarsi della fattispecie, potendo accadere che l’ascendente sottoscriva con il promittente venditore il preliminare di acquisto seguito poi da sottoscrizione del contratto definitivo da parte del discendente, ovvero che l’ascendente acquisti l’immobile e lo intesti al discendente, ovvero ancora che l’ascendente doni al discendente il denaro necessario per procedere al pertinente acquisto. Per la Corte in tutte queste ipotesi si è – all’evidenza – al cospetto di una donazione indiretta, quale negozio che, pur non rivestendosi della forma della donazione, è mosso dal fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario: si deve pertanto avere riguardo non già tanto all’impoverimento del donante, quanto piuttosto all’arricchimento (voluto dal donante) del donatario, quale scopo ultimo perseguito appunto dal donante, onde appare riduttivo alla Corte (come fa la tesi formalistica in precedenza sposata) affermare che tale arricchimento del beneficiario donatario corrisponda al solo bene (o valore) uscito dal patrimonio del donante, e dunque del denaro usato per acquistare il divisato immobile. Mentre nella donazione diretta dell’immobile tale corrispondenza (tra impoverimento del donante ed arricchimento del donatario) appare alla Corte predicabile, nelle ipotesi di donazione indiretta il beneficiario si arricchisce anche per effetto di un negozio concluso non già direttamente con il donante (come appunto nelle ipotesi di donazione diretta) ma con un terzo, come quando si utilizzi un procedimento di donazione indiretta complesso in cui il donatario si arricchisce dell’immobile acquistato dal venditore con denaro del donante, onde la corrispondenza in parola può non sussistere, l’arricchimento del donatario al tempo X potendosi palesare maggiore, in termini di valore, dell’impoverimento del donante al precedente tempo Y.
Il 6 novembre esce la sentenza del Tribunale di Napoli che annovera tra le donazioni indirette, in particolari circostanze, il contratto a favore di terzo ex art.1411 c.c., la prestazione del promittente a favore del terzo potendo trovare la propria causa nello spirito di liberalità dello stipulante, così configurandosi appunto una donazione indiretta che, come tale, non è sottoposta alle norme sulla forma proprie del contratto di donazione, ed in particolare all’art.782 c.c..
2003
Il 9 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5584 che, pronunciandosi in tema di negotium mixtum cum donatione, afferma come il nomen iuris che al negozio divisato hanno attribuito le parti dal punto di vista formale non assuma importanza decisiva, né tampoco esso appare idoneo a vincolare il giudice nella qualificazione, per l’appunto, del contratto come tale.
2004
Il 24 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.3642 che, in tema di donazione indiretta di immobile da parte dell’ascendente e collazione, ribadisce come si debba distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal beneficiario in un acquisto immobiliare con propria autonoma e distinta determinazione (in sostanza, con il denaro il beneficiario della liberalità poteva farci qualunque cosa, e ha infine scelto autonomamente di acquistare un immobile), nel qual caso oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisca consapevolmente il denaro quale precipuo mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce l’unico specifico fine, se pur mediato, della donazione, onde a rilevare è esclusivamente l’animus donandi inteso come consapevole volontà di (cosa) donare, in disparte l’operazione negoziale all’uopo utilizzata (talvolta anche complessa).
*Il 16 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5333 che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato. La Corte, in tema di negotium mixtum cum donatione, assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità. Si è dunque al cospetto di un solo negozio indiretto (tesi prevalente), il contratto commutativo costituendo lo strumento attraverso il quale si giunge – per via indiretta – a quello donativo; la conseguenza è che si applica la forma propria del contratto prescelto (con funzione di scambio), e non già la forma ad substantiam della donazione, come peraltro conferma lo stesso art.809 del codice laddove individua le norme materiali sulle donazioni dirette che possono applicarsi agli atti di liberalità diversi dalla donazione tout court (donazioni “indirette”), senza che sia esplicitamente richiamato l’art.782 c.c. ed il rigore formale ivi prescritto (atto pubblico). La Corte ribadisce inoltre che nella particolare fattispecie in cui un soggetto stipula un contratto preliminare di acquisto con il venditore di un bene, e fornisce poi il denaro ad un terzo – che egli intende beneficiare – per la stipula del definitivo, onde il definitivo viene poi stipulato dal ridetto terzo beneficiario, si è al cospetto di una donazione indiretta del bene (normalmente immobile) oggetto della sequenza preliminare-definitivo.
*Il 10 luglio esce la sentenza del Tribunale di Torino che ribadisce come – perché la donazione indiretta sia valida – sia sufficiente che le parti rispettino le forme prescritte per il negozio tipico “mezzo” utilizzato di volta in volta per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato.
Il 29 settembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.19601 onde, in tema di negotium mixtum cum donatione, occorre in primis ricercare individuandola, sul crinale soggettivo, la comune volontà dei contraenti, orientata a farvi luogo. Per la Corte poi, sul versante oggettivo, la compravendita ad un prezzo inferiore rispetto a quello effettivo non integra, di per sé, un negotium mixtum cum donatione, essendo all’uopo altresì necessaria non solo la sussistenza di una sproporzione tra le prestazioni, ma anche la significativa entità di tale sproporzione, oltre alla indispensabile consapevolezza, da parte dell’alienante, dell’insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto, funzionale all’arricchimento di controparte acquirente corrispondente alla differenza tra il valore reale del bene ceduto e la minore entità del corrispettivo ricevuto.
2005
*Il 13 ottobre esce la sentenza della III sezione del Tribunale di Genova che, sul versante dei rapporti tra donazione indiretta e comunione legale tra coniugi, ribadisce la tesi (ormai maggioritaria) onde, valorizzando il consapevole e voluto collegamento negoziale tra messa a disposizione del denaro ed acquisto del bene, anche in ipotesi di donazione indiretta il bene donato non cade in comunione (ai sensi dell’art.179, comma 1, lettera b c.c.), in quanto sul crinale letterale la nozione di “atto di liberalità” appare onnicomprensiva ed inglobante in sé anche la “donazione”, mentre sul crinale strutturale non conta la specificazione della destinazione “personale”, la quale ultima non può assumersi requisito essenziale per escludere il bene donato dalla comunione, essendo piuttosto rilevante il requisito opposto della destinazione “alla comunione”, questa sì da specificarsi se si vuole escludere l’effetto della attribuibilità del bene al novero di quelli personali del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente acquisti un bene e lo intesti al proprio discendente coniugato in regime di comunione legale, tale bene, – salva esplicita manifestazione di volontà in senso contrario – quale “donazione” (seppure indiretta) non cade in comunione, sia perché il donante ciò non vuole (salva appunto l’esplicita, opposta manifestazione di volontà), sia perché la logica della caduta di un bene acquistato in comunione legale risiede nel fatto che tale acquisto è il precipitato della collaborazione e del sacrificio di entrambi i coniugi, circostanza che non si verifica nel caso in cui il bene sia stato appunto donato solo ad uno di essi.
2006
*Il 30 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 7507 che, in tema di negotium mixtum cum donatione, assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità.
Il 6 giugno esce la sentenza del Tribunale di Bologna che si occupa di una fattispecie in tema di delegazione di pagamento, laddove tra delegante e delegato non vi sia alcun previo rapporto obbligatorio, configurandosi dunque una delegazione c.d. “allo scoperto”; in una simile fattispecie, l’atto solutorio posto in essere dal delegato (non obbligato nei confronti del delegante) a beneficio del creditore delegatario si qualifica nei confronti del delegante o come mutuo, o come mandato, ovvero ancora come atto di liberalità indiretta, quest’ultimo caso ricorrendo allorché manchi un corrispettivo o altra utilità per il delegato, con conseguente revocabilità della donazione (indiretta) in caso di fallimento del donante (il delegato appunto) ai sensi dell’art.64 della legge fallimentare.
*Il 7 giugno esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 13337 che, in tema di negotium mixtum cum donatione, assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità.
Il 12 giugno esce la sentenza delle SSUU n.13524 alla cui stregua per il negotium mixtum cum donatione non è necessaria la forma dell’atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo invece sufficiente la forma dello schema negoziale adottato, senza far menzione del criterio della c.d. prevalenza. Le SSUU ribadiscono dunque autorevolmente la tesi del negozio indiretto, e della conseguente applicabilità della forma prescritta per il negozio “strumento” prescelto dalle parti al fine di realizzare, indirettamente, la causa liberale dell’arricchimento di una di esse.
*Il 13 luglio esce la sentenza del Tribunale di Monza che, sul versante dei rapporti tra donazione indiretta e comunione legale tra coniugi, ribadisce la tesi (ormai maggioritaria) onde, valorizzando il consapevole e voluto collegamento negoziale tra messa a disposizione del denaro ed acquisto del bene, anche in ipotesi di donazione indiretta il bene donato non cade in comunione (ai sensi dell’art.179, comma 1, lettera b c.c.), in quanto sul crinale letterale la nozione di “atto di liberalità” appare onnicomprensiva ed inglobante in sé anche la “donazione”, mentre sul crinale strutturale non conta la specificazione della destinazione “personale”, la quale ultima non può assumersi requisito essenziale per escludere il bene donato dalla comunione, essendo piuttosto rilevante il requisito opposto della destinazione “alla comunione”, questa sì da specificarsi se si vuole escludere l’effetto della attribuibilità del bene al novero di quelli personali del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente acquisti un bene e lo intesti al proprio discendente coniugato in regime di comunione legale, tale bene, – salva esplicita manifestazione di volontà in senso contrario – quale “donazione” (seppure indiretta) non cade in comunione, sia perché il donante ciò non vuole (salva appunto l’esplicita, opposta manifestazione di volontà), sia perché la logica della caduta di un bene acquistato in comunione legale risiede nel fatto che tale acquisto è il precipitato della collaborazione e del sacrificio di entrambi i coniugi, circostanza che non si verifica nel caso in cui il bene sia stato appunto donato solo ad uno di essi.
2007
*Il 30 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 1955 che, in tema di negotium mixtum cum donatione, assume ormai superata la precedente giurisprudenza orientata a vedervi un contratto misto (con applicabilità del c.d. criterio della prevalenza) per scorgervi, innovativamente, per l’appunto un negozio indiretto, giusta il quale le parti piegano la causa tipica del contratto adottato (apparentemente commutativo e dunque di scambio) alla realizzazione di una causa di liberalità.
2010
Il 12 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.11496 onde, in ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario, locupletazione che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, prosegue la Corte, alla riduzione per lesione di legittima di siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (connaturata alla pertinente azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda il relativo controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto secondo la Corte, difettando il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito (pecuniario), con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del donatario beneficiario, la domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo (ex art. 52 e 93 l. fall.).
2016
*il 2 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1986 onde si ha donazione indiretta allorquando il donante faccia luogo ad una liberalità a favore del donatario utilizzando strumentalmente negozi giuridici diversi che, pur conservando la causa loro propria, sono appunto indirettamente orientati ad arricchire il donatario per spirito di liberalità, mentre si è al cospetto di una donazione simulata allorché l’atto compiuto a titolo oneroso sia meramente apparente, volendo le parti – nella realtà – porre in essere solo un atto a titolo gratuito.
L’8 luglio esce la sentenza del Tribunale di Ivrea onde la mera cointestazione di un conto corrente bancario a favore di un soggetto diverso da quello che effettua il versamento delle somme non integra di per sé un atto di liberalità a favore del cointestatario, a meno che non venga riscontrata l’esistenza dell’animus donandi consistente nell’accertamento che al momento della contestazione il proprietario del denaro già esistente sul conto non avesse altro scopo che quello di liberalità.
2017
Il 4 gennaio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.106 che – in una fattispecie di c.d. bancogiro – rimette alle SSUU la questione afferente a quale sia lo strumento utilizzabile dalle parti per far luogo ad una donazione indiretta, come funzionino appunto le donazioni indirette e se sotto l’egida dell’art.809 c.c. (con conseguente non necessità del rigore formale prescritto dall’art.782 c.c.) possa essere ricondotto qualunque strumento utile allo scopo, tanto che si tratti di negozio giuridico, quanto che si tratti di atto o di semplice fatto giuridico. In sostanza, la Corte chiede alle SSUU di fare chiarezza su quando va utilizzata la forma solenne (per essersi al cospetto in realtà di una donazione diretta ex art.769 c.c.) e quando se ne possa prescindere, stante la effettiva configurabilità di una donazione indiretta ex art.809 c.c.
Il 27 luglio esce la sentenza delle SSUU n.18725 secondo la quale, in primis, sono ipotesi potenzialmente riconducibili alla figura della donazione indiretta, ed alla relativa disciplina, il contratto a favore di terzo; il pagamento di un’obbligazione altrui compiuto dal terzo per spirito di liberalità verso il debitore; l’intestazione di beni a nome altrui per spirito di liberalità; i contratti onerosi in cui le parti fissino un corrispettivo molto inferiore al valore reale del bene trasferito ovvero un prezzo eccessivamente alto a beneficio, rispettivamente, dell’acquirente o dell’alienante; la rinuncia abdicativa. Sono invece, per la Corte, ipotesi riconducibili alla donazione ex art.769 c.c. (ed al relativo regime formale) il trasferimento del libretto di deposito a risparmio al portatore; le liberalità attuate a mezzo di titoli di credito (assegno o cambiale); l’elargizione di somme di danaro di importo non modico mediante assegni circolari che si chiede alla banca di intestare al beneficiario; l’accollo interno in cui l’accollante, familiare dell’accollato, si impegna a pagare in luogo di lui le rate di mutuo bancario dal medesimo contratto. La donazione indiretta, prosegue la Corte, non si identifica totalmente con la donazione, cioè con il contratto rivolto a realizzare la specifica funzione dell’arricchimento diretto di un soggetto a carico di un altro soggetto, il donante, che nulla ottiene in cambio in quanto agisce per spirito di liberalità; si tratta piuttosto di liberalità che si realizzano: (a) con atti diversi dal contratto (ad esempio, con negozi unilaterali come l’adempimento del terzo o le rinunce abdicative); (b) con contratti (non tra donante e donatario) rispetto ai quali il beneficiario è terzo; (c) con contratti caratterizzati dalla presenza di un (qualche) nesso di corrispettività tra attribuzioni patrimoniali; (d) con la combinazione di più negozi (come nel caso dell’intestazione di beni a nome altrui). La configurazione della donazione “diretta” come un contratto tipico a forma vincolata – e sottoposto a regole inderogabili – obbliga a fare ricorso a questo contratto per realizzare il passaggio immediato per spirito di liberalità di ingenti valori patrimoniali da un soggetto ad un altro, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che il legislatore consenta il compimento in forme differenti di uno stesso atto, imponendo, però, l’onere della forma solenne soltanto quando le parti abbiano optato per il contratto di donazione. Più in particolare, per la Corte nel bancogiro – trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario, realizzato a mezzo banca attraverso l’esecuzione da parte di detta banca di un ordine (appunto) di bancogiro impartito dal disponente – l’operazione bancaria in adempimento dello iussum svolge una funzione meramente esecutiva di un atto negoziale ad esso esterno, intercorrente tra il beneficiante e il beneficiario, il quale soltanto è in grado di giustificare gli effetti del trasferimento di valori da un patrimonio all’altro; si è di fronte non ad una donazione trilaterale, attuata indirettamente in ragione della realizzazione indiretta della causa donandi, ma ad una donazione tipica ad esecuzione indiretta di natura bilaterale, in cui la banca svolge un ruolo meramente esecutivo; nel bancogiro, pur inquadrato nello schema della delegazione che si innesta nel rapporto di mandato sotteso a quello di conto corrente, la banca non può infatti rifiutarsi di eseguire l’ordine impartitole, in considerazione del rapporto contrattuale che la vincola al delegante, sempre che esista la disponibilità di conto, e ciò a differenza di quanto avviene nella delegazione (pura), dove l’art. 1269, secondo comma, cod. civ. consente al delegato, ancorché debitore del delegante, di non accettare l’incarico, onde il trasferimento scaturente dall’operazione di bancogiro rinviene la propria giustificazione causale esclusivamente nel rapporto intercorrente tra l’ordinante-disponente e il beneficiario, dal quale dovrà desumersi se l’accreditamento (atto neutro) è sorretto da una giusta causa; di talché, ove questa si atteggi come causa donandi occorre, ad evitare la ripetibilità dell’attribuzione patrimoniale da parte del donante, l’atto pubblico di donazione tra il beneficiante e il beneficiario (a meno che si tratti di donazione di modico valore). La Corte precisa che il bancogiro non può essere visto né come contratto a favore di terzo, né come cointestazione di deposito bancario (entrambi riconducibili alla figura della donazione indiretta): non è contratto a favore di terzo – schema attraverso il quale lo stipulante può realizzare un’attribuzione patrimoniale indiretta a favore del terzo avente i connotati della spontaneità e del disinteresse – perché nel contratto a favore di terzo il patrimonio del promittente è direttamente coinvolto nel processo attributivo e non si configura come mera “zona di transito“ tra lo stipulante e il terzo, l’oggetto dell’attribuzione (indiretta) donandi causa in favore del terzo identificandosi con la prestazione del promittente, e non con quanto prestato dallo stipulante al promittente medesimo, dovendosi anche considerare che nel contratto a favore di terzo nasce immediatamente un diritto azionabile dal terzo verso il promittente, mentre il terzo beneficiario che sia destinatario di un ordine di giro non acquista alcun diritto nei confronti della banca proveniente dal contratto che intercorre tra la banca medesima e l’ordinante, l’ordine di bonifico avendo natura di negozio giuridico unilaterale la cui efficacia vincolante scaturisce da una precedente dichiarazione di volontà con la quale la banca si è obbligata ad eseguire i futuri incarichi ad essa conferiti dal cliente, ed il cui perfezionamento è circoscritto alla banca e all’ordinante, con conseguente estraneità del beneficiario nei cui confronti l’incarico del correntista di effettuare il pagamento assume natura di delegazione di pagamento (il delegato al pagamento può essere obbligato, ma solo se si vincola personalmente verso il creditore delegatario e questi accetti l’obbligazione del delegato, ai sensi dell’art. 1269, primo comma, cod. civ.); non è cointestazione del deposito bancario – suscettibile di integrare gli estremi di una donazione indiretta in favore del cointestatario con la messa a disposizione, senza obblighi di restituzione o di rendiconto, di somme di denaro in modo non corrispondente ai versamenti effettuati – perché solo nella cointestazione si realizza una deviazione in favore del terzo (operazione trilaterale) degli effetti attributivi del contratto bancario, laddove nel bancogiro il contratto di deposito titoli in amministrazione conserva integra la causa sua propria, senza alcuna implementazione liberale, collocandosi l’ordine di bonifico dato alla banca dal beneficiante nella fase di mera esecuzione del contratto bancario di riferimento (operazione bilaterale). La Corte conclude nel senso onde il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta; ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore.
2018
L’11 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 536 che ribadisce l’autonomia delle domande di riduzione e di divisione e rileva che l’istituto della collazione opera o meno una volta accertata la donazione dell’atto ove la parte non abbia inteso far valere nel giudizio anche la qualità di legittimario.
Il 28 febbraio esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 4682 onde Nelle donazioni indirette l’intenzione di donare, non emergendo in via diretta, deve ricercarsi nelle circostanze che, caso per caso, caratterizzano il fatto, non essendo richiesto che tale intenzione abbia la stessa forma prevista per “l’atto utilizzato”.
Il 10 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 24965 che, in tema di revocazione della donazione per ingratitudine, afferma che l’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriore del comportamento del donatario, che deve dimostrare un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante e mancare rispetto alla dignità del donante: l’ingiuria deve, pertanto, essere espressione di radicata e profonda avversione o di perversa animosità verso il donante. Il comportamento del donante va quindi valutato non solo sotto il profilo oggettivo, ma anche nella sua potenzialità offensiva del patrimonio morale del donante, perché espressamente rivolta a ledere la sua sfera morale, tale da essere contraria a quel senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero improntare l’atteggiamento del donatario. La Corte è consapevole che trattasi, evidentemente, di una formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali, il cui discrimine è segnato dalla ripugnanza che detto comportamento suscita nella coscienza sociale, tuttavia, al momento, la relazione extraconiugale intrattenuta dal coniuge donatario costituisce ingiuria grave solo se ad essa si accompagna un atteggiamento di disistima ed avversione da parte del donante.
Il 25 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 27050 onde per la validità delle donazioni indirette, cioè di quelle liberalità realizzate ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 cod. civ., è sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’art. 782 cod. civ., che prescrive l’atto pubblico per la donazione. In tali fattispecie, l’attribuzione gratuita viene attuata, quale effetto indiretto, con il negozio oneroso, che corrisponde alla reale intenzione delle parti ed alla quale, pertanto, non si applicano i limiti alla prova testimoniale – in materia di contratti e simulazione – che valgono, invece, per il negozio tipico utilizzato per realizzare tale scopo.
2019
Il 23 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 1761 che ribadisce l’orientamento secondo cui per l’ipotesi di accertamento del reddito con metodo sintetico è ammessa la prova contraria da parte del contribuente, che può consistere anche nella dimostrazione che i beni o gli importi contestati quali indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella sua disponibilità, in quanto derivanti da un atto simulato, che non ne implica la corrispondente e reale disponibilità economica. A tal fine l’atto dissimulato che ordinariamente può invocarsi è quello di liberalità, di donazione o comunque a causa gratuita. Questo orientamento, condivisibile perché concilia comunque il riconoscimento di forme di accertamento presuntivo del reddito con il principio, immanente, della capacità contributiva prescritto dall’art. 53 Cost., trovava già ingresso nella giurisprudenza meno recente. Si affermava infatti che la sottoscrizione di un atto pubblico, quale l’atto di compravendita, contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente, può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito in forza di presunzioni semplici, applicabili dall’ufficio nell’ipotesi di accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto e quello ignoto, senza che potesse ravvisarsi la violazione del principio costituzionale della capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione. In tale caso infatti è sempre consentita, sebbene con onere a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, in ragione della natura simulata dell’atto stipulato, sicchè esso ha natura solo apparentemente onerosa mentre il negozio dissimulato ha causa gratuita. Da ciò infatti consegue la sola mera apparenza della ulteriore capacità contributiva evincibile dal negozio simulato.
Ciò posto, occorre sempre chiarire con quale prova il contribuente dovrà in concreto dimostrare la natura gratuita del negozio dissimulato. Non è certo sufficiente la sola esibizione di documentazione bancaria, che se dalla giurisprudenza di legittimità trova pieno ingresso ai fini della dimostrazione del possesso di altri redditi esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e ciò per l’idoneità alla prova della natura e della provenienza della provvista utilizzata per l’acquisto, al contrario non può costituire prova sufficiente della natura liberale dell’atto la mancanza di provvista, dovendosi in questo caso allegare ad altri indizi. Infatti, se si invoca la gratuità del negozio, l’assenza di riscontri della provvista nella documentazione bancaria non impedisce di ritenere che essa sia stata diversamente ed occultamente acquisita, a tal fine correttamente deducendosi che «in materia di simulazione negoziale, specie con riguardo al pagamento del prezzo, la prova negativa costituita dalla documentazione bancaria è di per sè stessa inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al tipo formalizzato, atteso che le risultanze degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e causalmente efficiente rispetto all’adempimento dell’obbligazione del prezzo, nel negozio, simulato come oneroso che si assume celarne uno gratuito, atteso che la provvista necessaria all’adempimento del prezzo può provenire dalle tante altre fonti, e può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili – ne’ quelle ne questi – in quelli bancari».
Neppure è di per sé sufficiente ricorrere al principio della presunzione di liberalità degli atti di compravendita tra coniugi o tra parenti in linea retta (o tali considerati ai fini delle imposte di successione), pure invocata dalla contribuente nel presente giudizio, trattandosi innanzitutto di presunzione relativa, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 41 del 1999.
Resta invece incontestabile che, nella ipotesi in cui il contribuente invochi la natura liberale dell’incremento patrimoniale, allo stesso spetterà allegare quelle prove, o quell’insieme di indizi, che all’organo giudicante spetterà sottoporre al suo vaglio e che, nella seconda ipotesi, lo obbligheranno al rispetto delle regole sulla prova presuntiva. Non è infatti in contestazione che in tema di accertamento sintetico, ai sensi dell’art. 38 co 4, d.P.R n. 600 del 1973 (nella formulazione applicabile “ratione temporis“), una volta che l’Amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo sia onerato della prova contraria in ordine alla presunzione che alla emersione di un indice di ricchezza corrisponda un reddito non dichiarato.
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Il 18 settembre esce l’ordinanza della II sezione della Cassazione n. 23260 onde la donazione indiretta è caratterizzata dal perseguito fine di liberalità, e non già dal mezzo giuridico impiegato, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento, e consiste in atti o negozi la cui combinazione produce l’effetto, eccedente rispetto al mezzo, di un’attribuzione patrimoniale gratuita.
In particolare, allegato il pagamento di un debito quale fattispecie di donazione indiretta, è altresì implicitamente dedotto il mancato regresso o la mancata surrogazione, senza i quali l’attribuzione patrimoniale non sarebbe configurabile. A nulla rileva l’esistenza o meno di un interesse proprio del solvens all’adempimento, sia perché il requisito di liberalità dell’atto presuppone un posterius rispetto al solo pagamento, sia in quanto il carattere indiretto della donazione postula per sua stessa definizione un collegamento funzionalmente inscindibile di atti.
2020
Il 4 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 6080 che, affrontando il più ampio tema delle regole ermeneutiche degli atti unilaterali, conferma che è impossibile ipotizzabile un preliminare di donazione, perché incompatibile con lo spirito di liberalità, che è elemento essenziale della donazione; la presenza di un futuro obbligo negoziale a contrarre comporta, in capo al donante, l’obbligo di manifestare in un successivo definitivo atto la propria determinazione alla liberalità che, viceversa, nel contratto di donazione è frutto di una volontà spontaneamente ed istantaneamente manifestata.
La giurisprudenza già da tempo si è espressa nel senso che una promessa di donazione non è giuridicamente produttiva di obbligo a contrarre, perché la coazione all’adempimento, cui il promittente sarebbe soggetto, contrasta con il requisito della spontaneità della donazione, il quale deve sussistere al momento del contratto. Si afferma infatti che la cessione della proprietà non può essere legittimamente qualificata “preliminare di donazione” pena la sua insanabile nullità, “essendo la donazione actus legitimus che non ammette preliminare.
2021
Il 16 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 20336 che conferma il principio secondo cui in tema di comunione legale dei coniugi, la donazione indiretta rientra nell’esclusione di cui all’art. 179, primo comma, lett. b), c. c., senza che sia necessaria l’espressa dichiarazione da parte del coniuge acquirente prevista dall’art. 179, primo comma, lett. f), c.c., né la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di acquisto e la sua adesione alla dichiarazione dell’altro coniuge acquirente ai sensi dell’art. 179, secondo comma, c.c., trattandosi di disposizioni non richiamate. Secondo la Suprema Corte, infatti, assume rilievo esclusivamente l’accertamento della provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto: ove esso, infatti, abbia natura donativa, si configura l’ipotesi di cui all’art. 179, primo comma, lett. b), c.c., con conseguente automatica esclusione del cespite dal regime della comunione legale, sempre che, il donatario non abbia scelto, autonomamente, di cointestare il bene anche al coniuge, ricorrendo -in tale seconda eventualità- una ipotesi di donazione, eseguita mediante rinuncia abdicativa, pro quota, al diritto di proprietà esclusiva del bene. Nella pronuncia in parola, infine, la Suprema Corte ritiene di dover dare continuità al principio alla cui stregua si ha donazione indiretta di un bene anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuto dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, dovendo, in tal caso, individuarsi l’oggetto della liberalità, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante. Pertanto, in presenza di un accertamento di fatto che confermi la provenienza donativa non di tutto, ma soltanto di parte del denaro utilizzato per l’acquisto di un bene, quest’ultimo dovrà ritenersi di proprietà esclusiva del donatario soltanto per la parte del suo valore effettivamente corrispondente all’entità della donazione ricevuta, e non invece per l’intero, restando la residua parte del valore del cespite, non acquistata con denaro personale dell’intestatario, soggetta al regime della comunione legale tra i coniugi.
Questioni intriganti
In cosa consiste la c.d. donazione indiretta o liberalità atipica?
- si tratta di una intera categoria di atti giuridicamente rilevanti;
- tali atti non sono “formali”, come lo è la donazione “diretta” di cui agli articoli 769 e seguenti c.c.;
- essi perseguono tuttavia – come la donazione diretta – uno scopo di liberalità, e dunque sono orientati ad arricchire il destinatario depauperando, ad un tempo, il disponente;
- a chi ritiene che le liberalità atipiche non corrispondano alle donazioni indirette (assumendo configurabili liberalità atipiche non donative) si contrappone l’orientamento maggioritario secondo il quale le liberalità atipiche sono solo un altro modo per definire le donazioni indirette, dovendosi tener conto del fatto che la liberalità – avvinta come essa è ad un interesse non patrimoniale e dunque personale del disponente – non può che essere appunto una donazione che, se atipica, è “informale” e dunque già solo per questo indiretta;
- da un lato si ha dunque la donazione formale e diretta, dall’altro – per esclusione – l’intera congerie degli atti donativi “indiretti”;
- la causa della donazione indiretta (come quella della donazione diretta) si compendia nell’animus donandi, vale a dire nello spirito di liberalità quale interesse (personale) orientato ad arricchire il donatario (ancorché “indiretto”);
- dal punto di vista della natura giuridica, si possono isolare 3 diverse opzioni ermeneutiche: g.1) la donazione indiretta compendia sempre un negozio indiretto, con la conseguenza onde – poiché la disciplina del negozio indiretto resta quella propria del negozio tipico cui le parti hanno fatto luogo, ovvero del c.d. negozio mezzo, che è punto di passaggio per gli ulteriori scopi divisati dalle parti medesime, alla donazione indiretta non si applica la disciplina della donazione (con particolare riguardo alla forma ad substantiam), ma quella del negozio tipico prescelto per raggiungere (indirettamente) il fine di liberalità divisato; g.2) la donazione indiretta compendia sovente un negozio indiretto, e tuttavia non sempre, potendo piuttosto talvolta far luogo ad una fattispecie di negozio misto, come nel classico caso del negotium mixtum cum donatione (con plausibile necessità in questo caso di applicare la disciplina, anche formale, della donazione); g.3) la donazione indiretta non è mai un negozio indiretto (con scopo donativo), come dimostra il fatto che molte fattispecie pacificamente ricondotte appunto alla categoria (unitaria) della donazione indiretta non vedono neppure coinvolto il donatario (indiretto), quanto piuttosto un soggetto terzo, come nelle ipotesi del pagamento del debito altrui (assistito da fine di liberalità) ovvero del contratto a favore di terzo (parimenti assistito da fine di liberalità), laddove il negozio posto in essere ha una propria funzione oggettiva, non si configura nessuno scopo indiretto e – all’opposto – la liberalità deriva direttamente dal negozio divisato; ciò implica, per conseguenza, che occorre applicare la disciplina della donazione, con particolare riguardo al rigore formale che la contraddistingue.
In cosa differisce la donazione indiretta dalla donazione simulata?
- donazione simulata: vi è un negozio oneroso che appare, e che tuttavia non corrisponde a quanto realmente voluto dalle parti, che nella realtà vogliono solo un negozio gratuito, per spirito di liberalità (cause distinte, una apparente ed una reale);
- donazione indiretta: vi è un negozio che appare ed a valle del quale affiora una liberalità, ma il negozio che appare è effettivamente voluto dalle parti ed all’uopo concluso con la causa che gli è propria, al fine tutt’affatto strumentale di approdare alla divisata liberalità (indiretta) e dunque di far luogo ad una causa ulteriore, alla prima collegata appunto attraverso un nesso di strumentalità (cause distinte, tutte reali, collegate tra loro).
Cosa occorre ricordare a proposito del negotium mixtum cum donatione?
- si tratta di un negozio commutativo, con causa (apparentemente solo) onerosa;
- tra le prestazioni corrispettive è tuttavia volutamente presente (crinale soggettivo) una considerevole sproporzione (versante oggettivo);
- ciò consente di raggiungere, indirettamente, una finalità che trascende lo scambio tra le parti;
- tale finalità si compendia nell’arricchimento (indiretto) di una delle parti ad opera (e per volontà) dell’altra, cui è sotteso lo spirito di liberalità della parte che arricchisce l’altra;
- ne affiora una donazione indiretta, come tale non soggetta alla forma pubblica di cui all’art.782 c.c.;
- dal punto di vista della natura giuridica, si profilano diverse tesi: f.1) si tratta di due negozi collegati tra loro giusta interdipendenza bilaterale: uno oneroso (per la parte di diritto alienato in relazione alla quale viene pagato, pro quota, l’intero corrispettivo) e l’altro gratuito (per la parte di diritto alienato che viene ceduta gratuitamente alla controparte, con conseguente arricchimento della medesima per spirito di liberalità); muovendo da questa ricostruzione, l’intero contratto è soggetto alla forma dell’atto pubblico ad substantiam, dal momento che la volontà del donante è stata circondata ex lege da garanzie che sarebbero eluse se si optasse per la libertà di forma; alla quota di diritto alienata (verso corrispettivo), si applicano le norme della vendita in tema di rescissione e di evizione in caso di dolo dell’alienante; per la quota di diritto donata (per arricchire la controparte) si applicano le norme sulla donazione per quanto concerne la collazione, revoca per ingratitudine o sopravvenienza di figli, riduzione per eventuale lesione di legittima; si tratta di una tesi (risalente) criticata laddove scompone in due negozi collegati (uno oneroso e l’altro gratuito) quello che in realtà è un unico negozio globalmente considerato, dal momento che anche se lo si guarda dal lato del disponente, la prestazione nei confronti dell’acquirente-donatario è unica, anche se idealmente scissa in due parti con diversa causa; f.2) si tratta di un solo contratto misto (tesi recessiva), con causa mista per mescolanza delle cause di fattispecie tipiche, una di scambio e una donativa: premesso che un elemento di scambio deve sussistere, con conseguente configurabilità di un qualche prezzo – seppure sproporzionato rispetto al valore della res oggetto della disposizione – facendosi altrimenti luogo ad una vendita a prezzo simbolico (nummo uno) che corrisponde ad una donazione diretta (con conseguente necessità in tal caso della forma scritta ad substantiam), si applica in prima battuta il criterio della prevalenza, con conseguente operatività del regime del negozio “prevalente” (o “assorbente”); laddove il criterio della prevalenza non possa operare, si applica il criterio della combinazione (che può scattare anche laddove si applichi il criterio della prevalenza, in aggiunta e nei limiti della compatibilità), onde operano – combinandosi tra loro – le regole del contratto di scambio e quelle del contratto donativo; f.3) si tratta di un solo negozio indiretto (tesi prevalente), il contratto commutativo costituendo lo strumento attraverso il quale si giunge – per via indiretta – a quello donativo; la conseguenza è che si applica la forma propria del contratto prescelto (con funzione di scambio), e non già la forma ad substantiam della donazione, come peraltro conferma lo stesso art.809 del codice laddove individua le norme materiali sulle donazioni dirette che possono applicarsi agli atti di liberalità diversi dalla donazione tout court (donazioni “indirette”), senza che sia esplicitamente richiamato l’art.782 c.c. ed il rigore formale ivi prescritto (atto pubblico); si è al cospetto di una fattispecie in cui – dal punto di vista strutturale e formale – si segue il regime proprio del negozio (direttamente) voluto dalle parti, che è un negozio di scambio per il quale non occorre la forma scritta per atto pubblico ad substantiam, mentre si applicano tutte le altre disposizioni previste per lo schema negoziale oneroso prescelto dalle parti (sempre che siano compatibili con la complessiva operazione divisata dalle parti medesime, che vuole esitare nell’arricchimento indiretto di una di esse per spirito di liberalità dell’altra); se invece si guarda al risultato perseguito dalle parti medesime, vale a dire all’arricchimento di una di esse per spirito di liberalità, si è al cospetto di una donazione indiretta alla quale si applica la disciplina contenuta nell’art.809 c.c., che rappresenta una novità rispetto al codice del 1865, e dunque le norme che regolano la revocazione (per ingratitudine o sopravvenienza di figli), quelle che disciplinano la collazione e la riduzione;
- si discute in ordine all’applicabilità o meno alla fattispecie, in via analogica, dell’’art.797, n.3, c.c., e della garanzia per evizione ivi prevista a favore del donatario, propendendosi in dottrina per la tesi affermativa sul presupposto dell’applicabilità di detta norma alla donazione modale ed a quella remuneratoria, con conseguente operatività della norma, a fortiori, nel caso del negotium mixtum cum donatione, la cui fattispecie maggiormente si avvicina alla compravendita (che è appunto la sedes materiae della garanzia per evizione).
In cosa consiste e che problemi pone la fattispecie della intestazione di beni a nome altrui?
- si tratta di una fattispecie di donazione indiretta;
- a valle dell’operazione, il donatario (indiretto) si ritrova titolare di un bene (per lo più immobile), senza averne sopportato l’onere economico di pertinente acquisto, sobbarcatosi dal donante (indiretto);
- si profilano diverse possibili fattispecie: c.1) donazione diretta di denaro al donatario, gravata dall’onere (modus) di acquistare con tale denaro il bene divisato; c.2) contratto a favore di terzo, in cui promittente è il venditore del bene che, ricevuto il corrispettivo dallo stipulante (donante indiretto), lo trasferisce al terzo (donatario indiretto), e non allo stipulante che glielo paga; c.3) mandato ad acquistare in cui donatario (indiretto) è il mandante, mentre il mandatario è il donante (indiretto) il quale, una volta acquistato il bene nell’interesse del mandante (donatario), rinuncia per spirito di liberalità a chiedergli in ripetizione quanto speso per l’acquisto del bene medesimo; c.4) collegamento negoziale, in cui il donatario (indiretto) acquista a titolo oneroso il bene divisato dal terzo, e tuttavia non ne paga il prezzo perché a ciò provvede il donante (indiretto) in veste di terzo adempiente ex art.1180 c.c. ovvero di terzo assuntore del debito (a titolo di delegazione o di espromissione o di accollo: art.1268 e seguenti c.c.);
- poiché si è certamente al cospetto di una liberalità, occorre in primis verificare se si tratta di liberalità diretta o indiretta, nel primo caso dovendosi osservare il rigore formale previsto dall’art.782 c.c.;
- altro problema, è quello di verificare quale sia l’oggetto della liberalità donativa, se il denaro fornito per l’acquisto (a titolo diretto, con annessa necessità dell’atto pubblico ad substantiam, o indiretto) ovvero il bene (immobile) con esso acquistato (a titolo indiretto), perché detto oggetto è anche – potenzialmente – l’oggetto delle possibili azioni di revocazione, di collazione e di riduzione (che gli articoli 737 e 809 c.c. prevedono anche in caso di donazione indiretta);
- i problemi maggiori li solleva, con riguardo alla intestazione a terzi familiari (in genere, discendenti) di beni immobili (che dunque vengono intestati a nome altrui rispetto a chi concretamente sopporta l’onere dell’acquisto del bene in parola), la collazione; si profila infatti una netta alternativa: f.1) tesi più remota: oggetto della donazione è la somma di denaro utilizzata per acquistare il bene immobile in parola: in questo caso il donatario è debitore di un obbligo di valuta – a titolo appunto di collazione – corrispondente alla somma che gli è stata donata in vita dal de cuius, con l’aggiunta degli interessi legali; è l’opzione ermeneutica abbracciata da chi valorizza da un lato la lettera dell’art.737 c.c. – onde le norme sulla collazione assumono a punto di riferimento non già il quantum di arricchimento del donatario, quanto piuttosto il quantum di impoverimento del donante (“ciò che si è ricevuto dal defunto”) e, dunque, la somma di denaro uscita dal relativo patrimonio al fine di acquistare l’immobile ed intestarlo a nome altrui (per esempio, al figlio) – e dall’altro la lettera dell’art.1923 c.c. – onde, in tema di assicurazione sulla vita a favore del terzo, si guarda ai premi pagati dall’assicurato, e dunque ancora una volta a ciò che in termini monetari è uscito dal relativo patrimonio, per individuare, quanto alle donazioni, l’oggetto della riduzione per lesione di legittima, di revocazione per frode ai creditori o, appunto, della collazione – ; una freccia nell’arco di questa tesi è il fatto che in sede di definitiva stesura del codice civile è stato soppresso l’art.357 del relativo progetto preliminare, dove invece si prevedeva esplicitamente – quale oggetto di conferimento – l’immobile acquistato dall’ascendente ed intestato al discendente; f.2) tesi più recente: oggetto della donazione è il bene immobile stesso: in questo caso il donatario è tenuto ad operare la collazione “conferendo” lo stesso immobile ricevuto a titolo di liberalità (indiretta), giusta il disposto dell’art.746 c.c. e la collazione in natura ivi prevista, ovvero “conferendo” una somma che corrisponde al relativo valore di mercato quando si apre la successione, giusta il disposto degli articoli 746 e 747 c.c. e la collazione per imputazione ivi prevista; questa tesi è condivisa da chi ritiene che occorre guardare con attenzione al reale intento del donante (per giunta, nella collazione ormai de cuius) nei riguardi del donatario, onde non conta tanto l’impoverimento del donante quanto, appunto, l’arricchimento (voluto) del donatario, assumendo come punto di riferimento il valore del bene immobile acquistato e intestato al donatario medesimo al momento in cui si è aperta la successione (e ciò non solo in caso di collazione, ma anche di revocazione per frode ai creditori ovvero di riduzione per perpetrata lesione della quota di legittima); si tratta di un orientamento che valorizza il collegamento negoziale tra la messa a disposizione del denaro (che corrisponde all’impoverimento del donante indiretto) ed il successivo acquisto del bene con tale denaro (che corrisponde all’arricchimento del donatario indiretto);
- analoga questione si pone in tema di caduta in comunione legale tra coniuge dei beni donati ad uno di essi: g.1) se si è al cospetto di una donazione indiretta del bene (sovente immobile) si applica l’art.179, comma 1, lettera b) del codice civile onde è sufficiente dimostrare che il bene in questione è stato assegnato al coniuge a titolo (di successione ereditaria ovvero) di donazione (quale che essa sia), per escludere appunto il ridetto bene dalla comunione legale; nella stessa norma viene tuttavia previsto che il bene divisato cada in comunione quando nell’”atto di liberalità” (o nel testamento) venga specificato che esso è appunto attribuito alla comunione, e poiché nella donazione “indiretta” nulla viene specificato, il problema che si è posto è capire se si applica in ogni caso l’art.179, comma 1, lettera b), ovvero debba applicarsi piuttosto la regola generale di cui all’art.177, comma 1, lettera a) c.c. quale acquisto compiuto dal coniuge (donatario) in costanza di matrimonio; si fronteggiano sul punto due opzioni ermeneutiche: g.1.1.) una minoritaria secondo la quale il bene oggetto di donazione indiretta (a differenza di quello oggetto di donazione diretta) cadrebbe in comunione, stante il c.d. “favor communionis” e la natura eccezionale delle ipotesi disciplinate dall’art.179 rispetto alla regola generale, appunto, della caduta in comunione di tutti gli acquisti di ciascuno dei coniugi in costanza di matrimonio, come dimostrerebbe anche la diversa espressione utilizzata dal legislatore, che parla in poche righe dapprima di “donazione” (diretta) e poi di “atto di liberalità”, proprio per distinguere questa seconda ipotesi dalla prima; g.1.2) una maggioritaria secondo la quale, all’opposto, anche in ipotesi di donazione indiretta il bene donato non cadrebbe in comunione, in quanto sul crinale letterale la nozione di “atto di liberalità” appare onnicomprensiva ed inglobante in sé anche la “donazione”, mentre sul crinale strutturale non conta la specificazione della destinazione “personale”, la quale ultima non può assumersi requisito essenziale per escludere il bene donato dalla comunione, essendo piuttosto rilevante il requisito opposto della destinazione “alla comunione”, questa sì da specificarsi se si vuole escludere l’effetto della attribuibilità del bene al novero di quelli personali del coniuge che lo riceve; laddove dunque un ascendente acquisti un bene e lo intesti al proprio discendente coniugato in regime di comunione legale, tale bene, – salva esplicita manifestazione di volontà in senso contrario – quale “donazione” (seppure indiretta) non cade in comunione, sia perché il donante ciò non vuole (salva appunto l’esplicita, opposta manifestazione di volontà), sia perché la logica della caduta di un bene acquistato in comunione legale risiede nel fatto che tale acquisto è il precipitato della collaborazione e del sacrificio di entrambi i coniugi, circostanza che non si verifica nel caso in cui il bene sia stato appunto donato solo ad uno di essi; g.2) se invece si è al cospetto di una donazione diretta del denaro, con la quale poi il donatario decide autonomamente di acquistare il bene divisato, il bene medesimo cade in comunione legale salvo che si verifichino le (residuali) condizioni previste dall’art.179, comma 1, lettera f), vale a dire se viene espressamente dichiarato nell’atto di acquisto che il bene viene acquistato dal coniuge con il prezzo del trasferimento dei beni personali elencati nella stessa norma ai numeri precedenti, ovvero con il relativo scambio, e dunque se risulta dall’atto di acquisto che il coniuge compra con denaro che gli è stato donato, e che dunque è bene personale del quale ha la disponibilità a tale titolo (peraltro nel caso di acquisto di beni immobili o mobili registrati è necessaria la partecipazione dell’altro coniuge all’atto di acquisto dal quale risulta l’esclusione di detto bene dalla comunione legale).