Corte di Cassazione Penale, Sezione II, sentenza 24 giugno 2024, n. 24901
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’associazione di tipo mafioso si connota per l’utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo che si manifesta internamente attraverso l’adozione di uno stretto regime di controllo degli associati, ma che si proietta anche all’esterno attraverso un’opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale.
Il reato previsto dall’art. 416-bis cod. pen. è configurabile in relazione ad organizzazioni diverse dalle mafie cosiddette “tradizionali”, anche nei confronti di un sodalizio costituito da un ridotto numero di partecipanti, che tuttavia impieghi il metodo mafioso per ingenerare, sia pur in un ambito territoriale circoscritto, una condizione di assoggettamento ed omertà diffusa.
L’associazione di tipo mafioso ha natura di reato di pericolo in quanto già la mera esistenza del sodalizio pone di per sé a rischio i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice, con particolare riguardo all’ordine pubblico, all’ordine economico ed alla libera partecipazione dei cittadini alla vita politica, ma ciò non consente di ritenere sufficiente ad integrare il reato la mera capacità potenziale del gruppo criminale di esercitare la forza intimidatoria, occorrendo invece che il sodalizio faccia effettivo, concreto, attuale e percepibile uso – ancorché non necessariamente con metodi violenti o minacciosi – della suddetta forza.
Ove una nuova formazione di tipo criminale, composta da più membri, ponga in essere attività dirette ad esigere dagli operatori commerciali operanti in un determinato territorio forme di pagamento di somme di denaro a titolo di “pizzo” per permettere la prosecuzione pacifica delle attività, avendo posto in essere azioni inequivocabilmente dirette ad esercitare il controllo delle attività economiche ed a conseguire vantaggi ingiusti, tale entità viene ad assumere natura essenzialmente mafiosa, proprio perché il potere intimidatorio è stato diretto ad assicurarsi uno degli scopi tipici richiamati dallo stesso terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen.
In tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la costituzione di un gruppo formalmente nuovo all’interno di un territorio già controllato da cosche mafiose non vale ad escludere la configurabilità del reato, allorché il nuovo sodalizio riproduca struttura e finalità criminali del “clan” storico, realizzi la stessa tipologia di reati, sfruttando la notorietà del primo per mantenere lo stato di assoggettamento intimidatorio nella popolazione del territorio di pertinenza, in modo da far percepire una sorta di continuità tra le azioni del gruppo originario e le proprie.
Ai fini dell’integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l’intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana.
In tema di estorsione, è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, in quanto privo di un’esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi.
Sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità.
La circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione ex art. 416-bis, cod. pen., essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso; essa è pertanto configurabile con riferimento ai reati-fine commessi nell’ambito di un’associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo.
Sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità.
L’indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l’esecuzione, non ha tuttavia efficacia ablativa rispetto agli altri effetti scaturenti dalla sentenza di condanna, tra i quali rientra la recidiva, che può quindi essere contestata anche in relazione ai reati la cui pena, inflitta con precedenti sentenze definitive, sia stata condonata.
In tema di misure alternative alla detenzione, in caso di cumulo “esecutivo” di più titoli di condanna a pene detentive e pecuniarie, l’effetto estintivo dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale si estende, qualora il condannato versi in disagiate condizioni economiche, esclusivamente alla pena pecuniaria irrogata con la pena detentiva oggetto della misura alternativa, e non già all’intera pena pecuniaria risultante dal cumulo.
In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità.
Sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Motivi della decisione
- I ricorsi degli imputati hanno contestato sotto diversi profili la possibilità di configurare i caratteri tipici di un’associazione mafiosa nelle diverse fattispecie contestate agli imputati o quali appartenenti al c.d. gruppo (Omissis) o al c.d. gruppo (Omissis) contestate ai capi n.104 e n.105 della rubrica.
Il tema, principalmente devoluto all’analisi di questa Corte negli atti di impugnazione della decisione di appello, riguarda l’assenza di esteriorizzazione del metodo mafioso da parte dei due predetti gruppi criminali e contesta la sussistenza del requisito oggettivo previsto dal terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen. per ritenere un’associazione catalogabile tra quelle di tipo mafioso, piuttosto che semplice ai sensi del precedente art. 416 cod. pen.
L’analisi cui dovrà procedersi deve tenere conto che il caso di specie si combina con le problematiche riguardanti la valenza del giudicato di condanna per precedenti fatti di cui all’art. 416-bis cod. pen. rispetto a nuove condotte delittuose, e ciò perché sia per il gruppo c.d. (Omissis) che per il gruppo (Omissis), ci si trova in presenza di soggetti già definitivamente condannati per associazione mafiosa che dopo avere scontato la pena ed essere stati rimessi in libertà, riprendono a porre in essere azioni delittuose aggregando soggetti diversi, configurando così un’ipotesi di gruppo mafioso a soggettività differente.
Con la precisazione che ove si tratti di reinserimento in mafie storiche a seguito di precedenti condanne, tale problematica risulta del tutto estranea al thema decidendum, poiché in detti differenti casi, proprio perché si attua la prosecuzione dell’attività criminale sotto l’egida di un’associazione già costituita e costantemente operativa, non sarà certo necessario dimostrare l’esteriorizzazione.
Il tema proposto con i diversi ricorsi impone richiamare alcune nozioni sul requisito dell’esteriorizzazione del metodo mafioso e sull’evoluzione giurisprudenziale sul punto;
deve essere rammentato come ai sensi del terzo comma dell’art. 416-bis c.p.: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano delia forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti…”; è certo quindi che, sulla base della previsione normativa introdotta con la legge Rognoni-La Torre nel 1982, l’associazione è di tipo mafioso soltanto ove si avvalga della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo ed abbia imposto, esternamente una condizione di assoggettamento ed omertà.
Secondo la migliore dottrina la questione nasce perché l’attuale formulazione normativa dell’art. 416-bis cod. pen. ritaglia una fattispecie di associazione mafiosa a forte connotazione sociologico-ambientale come è dimostrato dal fatto che il legislatore dell’82 ha notoriamente tipizzato quali elementi costitutivi espliciti dell’art. 416-bis cod. pen. i requisiti della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà: requisiti criminologici questi che hanno tradizionalmente caratterizzato le mafie classiche storicamente radicate nel sud Italia dall’ottocento ad oggi.
Così ricostruito il tema, appare evidente che, se in tutti i casi di mafie tradizionali, il requisito dello sfruttamento del potere intimidatorio è automaticamente ricollegato alla partecipazione a quel gruppo, sicché il problema probatorio principale è soltanto quello di provare l’inserimento del reo nel gruppo, nelle nuove figure associative sorge la problematica che non è sufficiente provare l’appartenenza, dovendosi anche dimostrare il carattere mafioso dell’associazione cui si appartiene. Insomma con l’emergere delle nuove mafie l’attenzione interpretativa e la dialettica tra giurisprudenza di merito e di legittimità si è spostata dal piano della partecipazione, e cioè della prova dell’inserimento ai sensi del primo comma, alla prova della capacità intimidatoria esteriorizzata, ai sensi del terzo comma del 416-bis cod. pen.
Sul tema della esteriorizzazione può citarsi come riferimento quella pronuncia della sezione seconda in base alla quale l’associazione di tipo mafioso si connota per l’utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo che si manifesta internamente attraverso l’adozione di uno stretto regime di controllo degli associati, ma che si proietta anche all’esterno attraverso un’opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale (Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Rv. 269747). In motivazione detta pronuncia precisa: “non basta, pertanto, che il sodalizio criminale si fondi su precise regole interne tale da esporre a pericolo chi se ne voglia allontanare ma occorre un quid pluris costituito dal metodo mafioso, seguito dai componenti dell’associazione per la realizzazione del programma associativo: esso non è componente della condotta ma dato di qualificazione del sodalizio e si connota, dal lato (attivo, per l’utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo e, dal lato passivo, per la situazione di assoggettamento e di omertà che da tale forza intimidatrice si sprigiona verso l’esterno dell’associazione, cioè nei confronti dei soggetti nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa.
In sostanza, poiché l’associazione di tipo mafioso si connota rispetto all’associazione per delinquere per la sua tendenza a proiettarsi verso l’esterno, per il suo radicamento nel territorio in cui alligna e si espande, i caratteri suoi propri, dell’assoggettamento e dell’omertà, devono essere riferiti ai soggetti nei cui confronti si dirige l’azione delittuosa, in quanto essi vengono a trovarsi, per effetto della convinzione di essere esposti al pericolo senza alcuna possibilità di difesa, in stato di soggezione psicologica e di soccombenza di fronte alla forza della prevaricazione“.
I successivi interventi giurisprudenziali sul tema della esteriorizzazione quale requisito necessario ed imprescindibile per qualificare come mafiosa un’organizzazione, hanno riguardato essenzialmente due tipologie differenti di gruppi delittuosi:
- a) le nuove associazioni mafiose, anche straniere;
- b) le mafie delocalizzate, e cioè gruppi distaccati dalle cellule madri;
tralasciando il tema delle mafie delocalizzate, sostanzialmente estraneo all’oggetto del presente procedimento, dovrà analizzarsi l’evoluzione giurisprudenziale più recente sulla tematica delle c.d. nuove associazioni mafiose che ha sempre ribadito la necessità per la qualificazione di un gruppo ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen. di rinvenire una qualche esteriorizzazione del metodo intimidatorio e ciò, pure costantemente affermandosi (Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Rv. 271724 – 01), che il reato previsto dall’art. 416-bis cod. pen. è configurabile in relazione ad organizzazioni diverse dalle mafie cosiddette “tradizionali”, anche nei confronti di un sodalizio costituito da un ridotto numero di partecipanti, che tuttavia impieghi il metodo mafioso per ingenerare, sia pur in un ambito territoriale circoscritto, una condizione di assoggettamento ed omertà diffusa.
Si è così affermato che in tema di criminalità di tipo mafioso, le “nuove” associazioni possono rientrare nella previsione dell’art. 416-bis cod. pen. qualora presentino le caratteristiche tipiche delle “mafie storiche”, sia pur dando luogo ad una riproduzione del fenomeno associativo in termini di minore intensità ed estensione, con riguardo alla complessità della organizzazione, all’ambito territoriale ed alle attività interessate, salva restando necessaria la dimostrazione che la “nuova associazione” abbia manifestato in concreto la propria capacità di intimidazione, determinando un assoggettamento omertoso (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, (dep. 12/06/2020) Rv. 279555 – 16);
tuttavia, occorre sempre rammentare che l’associazione di tipo mafioso ha natura di reato di pericolo in quanto già la mera esistenza del sodalizio pone di per sé a rischio i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice, con particolare riguardo all’ordine pubblico, all’ordine economico ed alla libera partecipazione dei cittadini alla vita politica, ma ciò non consente di ritenere sufficiente ad integrare il reato la mera capacità potenziale del gruppo criminale di esercitare la forza intimidatoria, occorrendo invece che il sodalizio faccia effettivo, concreto, attuale e percepibile uso – ancorché non necessariamente con metodi violenti o minacciosi – della suddetta forza (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, cit.).
Il tema risulta recepito ed approfondito anche da una recente pronuncia della seconda sezione relativa ad una mafia locale, secondo cui in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, mentre per la mafie “storiche” l’esistenza del sodalizio è già giudizialmente acclarata, di modo che è sufficiente accertare la sussistenza della condotta partecipativa dei singoli imputati alla consorteria, nel caso delle “nuove mafie” o “mafie atipiche” il “thema probandum” involge, in primo luogo, in carattere mafioso dell’associazione e dunque, principalmente, l’avvalimento del metodo mafioso e il programma criminale mafioso ex art. 416-bis, terzo e sesto comma, cod. pen. (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, (dep. 18/01/2024) Rv. 285908 – 02).
Detta pronuncia precisa poi che la “finalità di commettere delitti”, di cui all’art. 416-bis cod. pen., coincide con lo “scopo di commettere più delitti”, previsto dall’art. 416 cod. pen., di modo che la sola sussistenza, anche sopravvenuta, del metodo mafioso di cui si avvalgono strumentalmente i sodali per la realizzazione dei reati-fine vale, già di per sé, a qualificare come mafiosa un’associazione, anche preesistente, mediante il cd. “salto di qualità” (Sez. 2 n. 2159 del 24/11/2023 cit.);
e precisa infine come in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, la costituzione e l’esistenza della consorteria criminosa non sono esclusi per il fatto che essa sia imperniata, per lo più, su componenti della stessa famiglia, posto che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono lo stesso ancor più pericoloso (Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023 cit.).
I principi sopra indicati devono trovare applicazione anche al caso della fattispecie in esame, già denominata quale gruppo mafioso a soggettività diversa, costituito oltre che da un soggetto definitivamente condannato per partecipazione ad una determinata associazione mafiosa, che abbia scontato la pena allo stesso comminata, così risultando assente dal territorio di riferimento per un lungo arco temporale, e che sia stato successivamente scarcerato e riprenda le attività delittuose, da altri individui, originariamente estranei a fattispecie associative mafiose, che allo stesso pregiudicato mafioso aggregati, abbiano intrapreso attività criminali diffuse nel territorio.
Se è vero però che tale gruppo, proprio per la soggettività differente, rientra nelle categorie già analizzate delle “nuove mafie” o “mafie atipiche“, deve pur sempre sottolinearsi che l’inserimento, spesso con ruolo direttivo od organizzativo, di un soggetto già definitivamente condannato per 416-bis cod. pen., in qualche modo muta il tema della necessaria prova della esteriorizzazione;
ed invero l’inserimento del soggetto definitivamente condannato proprio per partecipazione ad associazione mafiosa, richiamando il potere intimidatorio scaturente dalla precedente partecipazione, determina che ove ci si trovi a giudicare attività delittuose nuovamente portate a termine nello stesso territorio in precedenza occupato, il ritorno sul luogo del delitto con modalità operative del soggetto già condannato unitamente ad altri aggregati, finisce per mutuare, quanto meno in parte, il vincolo intimidatorio in precedenza già manifestatosi, sfruttandone la fama criminale.
Appare evidente, infatti, che la ripresa delle attività delittuose sul territorio da parte di un soggetto già condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., in parte richiede nuove forme di esteriorizzazione, ma, richiamando la già ritenuta partecipazione del soggetto di vertice, ne sfrutta tale capacità criminale proprio ai fini dell’imposizione in quella stessa area del vincolo intimidatorio; e ciò significa, pertanto, che ove i soggetti facenti parte di tale nuova formazione abbiano richiamato nell’esecuzione delle attività delittuose l’inserimento nel nuovo gruppo anche del soggetto definitivamente condannato, ne hanno chiaramente inteso sfruttare la fama criminale ai fini dell’imposizione dell’omertà e dell’intimidazione.
Il c.d. gruppo mafioso a soggettività diversa, in quanto fattispecie intermedia tra le c.d. mafie nuove e quelle storiche, ricostituito attorno ad un soggetto già definitivamente condannato per 416-bis cod. pen. e che abbia scontato la pena, proprio per la particolarità della sua formazione, per l’inserimento nella stessa con ruolo organizzativo del soggetto già affermato essere “mafioso”, per il richiamo a tale presenza dotata di carattere intimidatorio nei confronti della collettività, si profila, pertanto, quale fattispecie associativa particolare che, se da un lato deve certamente essere dotata di capacità di esteriorizzare il potere intimidatorio ed imporre una nuova e diffusa condizione di omertà, dall’altro mutua i caratteri tipici dell’organizzazione già in passato operativa sullo stesso territorio per c.d. gemmazione.
1.1 Essenzialmente connesso al tema della esteriorizzazione quale elemento strutturale della fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen., appare la problematica della piattaforma probatoria necessaria al fine di dimostrare la sussistenza di tale presupposto normativo; anche in questo caso, come già notato dalla sentenza delle Sezioni Unite Modaffari in tema di partecipazione punibile, gli aspetti della struttura del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e della prova dello stesso, appaiono strettamente connessi, poiché, in tanto può dirsi dimostrata la natura mafiosa di un gruppo, in quanto sia stata acclarata la consumazione di fattispecie delittuose tipicamente dimostrative l’imposizione del vincolo intimidatorio su una determinata area od anche nei confronti di una categoria di persone, estranee ai componenti dell’associazione medesima.
E non vi è dubbio che, ai fini della dimostrazione di questo requisito essenziale della fattispecie, il riferimento normativo nella parte in cui richiama gli scopi tipici dell’associazione di tipo mafioso, costituisce un’indicazione imprescindibile; in detto contesto, lo stesso terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen., afferma che l’associazione è di tipo mafioso quando si avvale della forza di intimidazione:” per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a se’ o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Il parametro normativo fornisce, pertanto, precise indicazioni utili ad affermare a quali condizioni un determinato gruppo rivesta natura mafiosa, facendo preciso riferimento agli scopi perseguibili dal gruppo mediante lo sfruttamento del vincolo e del potere di intimidazione esercitato su una determinata area territoriale ovvero nei confronti di determinati soggetti -estranei ad essa, elencando alcune categorie di attività che vengono a tipizzare la natura mafiosa del gruppo, costituite:
dalla commissione di delitti;
dalla gestione o dal controllo delle attività economiche;
dal controllo e gestione di autorizzazione, appalti e servizi pubblici;
dalla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti;
dal condizionamento dell’esercizio del diritto di voto.
Orbene, in tale esemplificazione degli scopi mafiosi di un’associazione contenuta nella stessa norma incriminatrice, assume valenza particolarmente pregnante l’attività diretta ad assumere la gestione o comunque anche il controllo di attività economiche e ciò perché idonea ad alterare le regole fondamentali del libero mercato e della libertà di concorrenza;
e tra le attività dirette ad assicurare al gruppo di tipo mafioso il controllo delle attività economiche oltre che a garantire la realizzazione di profitti ingiusti, assume certamente rilevanza particolare la richiesta di versamento di somme effettuata dai componenti del gruppo agli esercenti attività economiche, sia commerciali che di impresa, sia autonomamente che quali appaltatori di servizi pubblici, perché dirette inequivocabilmente ad imporre forme di controllo delle attività economiche sul territorio oggetto della esplicazione della forza intimidatoria.
Deve pertanto affermarsi che ove una nuova formazione di tipo criminale, composta da più membri, ponga in essere attività dirette ad esigere dagli operatori commerciali operanti in un determinato territorio forme di pagamento di somme di denaro a titolo di “pizzo” per permettere la prosecuzione pacifica delle attività, avendo posto in essere azioni inequivocabilmente dirette ad esercitare il controllo delle attività economiche ed a conseguire vantaggi ingiusti, tale entità viene ad assumere natura essenzialmente mafiosa, proprio perché il potere intimidatorio è stato diretto ad assicurarsi uno degli scopi tipici richiamati dallo stesso terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen.
Al proposito va precisato che la natura mafiosa del gruppo va affermata anche nei casi in cui i componenti dello stesso attuino forme di controllo di attività economiche di tipo illecito che vengono a subire la pressione intimidatoria e nei cui confronti quindi siano richieste forme di pagamento di percentuali dei profitti illegali per permetterne la prosecuzione;
si è già affermato come l’associazione di tipo mafioso si connota per l’utilizzazione da parte degli associati della carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo che si manifesta internamente attraverso l’adozione di uno stretto regime di controllo degli associati, ma che si proietta anche all’esterno attraverso un’opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale (Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Rv. 269747 – 01).
E pertanto, in adesione a tale indirizzo, va ribadito che il potere intimidatorio esercitato da un gruppo nei confronti dei soggetti esplicanti attività illecite in una determinata area territoriale, quali ad esempio gli spacciatori al minuto di sostanza stupefacente, in quanto mirante ad assicurarsi il controllo di attività economiche pur illecite ed a imporre percentuali di pagamento in ragione del controllo di quel territorio da organismi sovraordinati, , costituisce esplicazione della natura mafiosa del gruppo.
1.2 Oltre al controllo delle attività economiche, particolarmente significativo appare anche il richiamo contenuto nell’art. 416-bis cod. pen. e riferito allo sfruttamento del metodo intimidatorio ed al potere di condizionamento ed omertà al fine della consumazione di delitti; in questo senso vengono infatti in rilievo quelle ipotesi delittuose consumate dal gruppo mafioso che siano attuate sfruttando il potere intimidatorio e lo stato di omertà esistente nel territorio di riferimento.
L’esemplificazione contenuta nella norma appare fare chiaro riferimento alla consumazione di delitti particolari, indicativi di una elevata capacità criminale del gruppo sprigionantesi all’esterno, e cioè a delitti c.d. di sangue attuati mediante l’eliminazione di coloro i quali ostacolino le attività del gruppo mafioso nell’ambito spaziale di attività e ciò o perché appartenenti a gruppi avversi ovvero in quanto cittadini che in qualsiasi forma e maniera siano coraggiosamente riottosi ad accettare l’espansione criminale del gruppo mafioso ed il suo diffuso potere intimidatorio.
L’omicidio o le stragi, quindi, in quanto attività ad elevata capacità criminale costituiscono quelle forme tipiche di manifestazione del potere di intimidazione sul territorio, tali da imporre diffuse condizioni di omertà, in quanto espressive di un concreto potere criminale di un gruppo mafioso nei confronti dei cittadini di una determinata area o comunità, i quali vedono messo a rischio il bene vita senza che le forze di Polizia siano capaci di assicurare in tali circostanze un’adeguata forza di prevenzione e repressione delle attività criminali.
Cosi ricostruito il riferimento contenuto nella norma, ai fini della valorizzazione della natura mafiosa di un gruppo criminale, anche l’avvenuta esecuzione in un determinato territorio di tentati omicidi, omicidi, stragi, costituisce un primo ed eclatante segno inequivocabile della presenza esteriorizzata di un gruppo dotato di carattere mafioso, capace di imporre la propria capacità criminale al punto da mettere concretamente in pericolo ed attentare all’incolumità fisica dei singoli.
E tale carattere mafioso di un gruppo è vieppiù reso manifesto ove i predetti fatti di sangue siano commessi mediante l’utilizzo di armi da fuoco micidiali, in uso solo a soggetti dotati di elevate abilità operative, in quanto stabilmente e professionalmente dediti alla consumazione di gravi delitti.
1.3 I suddetti principi andranno pertanto applicati ai casi in esame dei gruppi (Omissis) e (Omissis), oggetto di contestazione ex art. 416-bis cod. pen. ai capi nn. 104 e 105 della rubrica, che, al loro interno, vedono operativi con ruolo certamente di vertice due soggetti già definitivamente condannati per partecipazione a gruppi mafiosi operanti nel territorio foggiano e cioè nella stessa area in cui si sono poi trovati a rioperare unitamente ad altri soggetti agli stessi successivamente aggregati ed a porre in essere le azioni delittuose oggetto del presente procedimento.
In questi casi, quindi, come correttamente osservato dal procuratore generale nelle proprie conclusioni si applicano quei principi già stabiliti dal precedente di questa sezione secondo cui in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la costituzione di un gruppo formalmente nuovo all’interno di un territorio già controllato da cosche mafiose non vale ad escludere la configurabilità del reato, allorché il nuovo sodalizio riproduca struttura e finalità criminali del “clan” storico, realizzi la stessa tipologia di reati, sfruttando la notorietà del primo per mantenere lo stato di assoggettamento intimidatorio nella popolazione del territorio di pertinenza, in modo da far percepire una sorta di continuità tra le azioni del gruppo originario e le proprie (Sez. 2, n. 20926 del 13/05/2020, Rv. 279477 – 01).
Proprio in applicazione dei principi stabiliti da detta pronuncia il P.G. nelle proprie corrette conclusioni ha osservato come tali principi devono valere anche nei casi di gruppi ricostituiti in territori storici che si ricolleghino a sodalizi preesistenti, dei quali sfruttano la notorietà, in modo da far percepire una sorta di continuazione tra le azioni del gruppo originario e le proprie.
Fatte tali premesse, l’analisi di questa corte ai fini della valutazione della sussistenza del clima di intimidazione e di assoggettamento omertoso dei due gruppi oggetto delle rispettive imputazioni di cui ai capi nn. 104 e 105 della rubrica deve necessariamente estendersi all’esame degli elementi di fatto valorizzati nelle pronunce di primo e secondo grado per dimostrare l’esistenza dei presupposti della partecipazione o direzione punibile ex art. 416-bis cod. pen.
Anche in sede di giudizio di legittimità, infatti, l’analisi della sussistenza del requisito del terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen. richiede vagliare gli elementi di fatto sulla base dei quali i giudici di merito abbiano ritenuto la natura mafiosa del gruppo, ove tale presupposto sia contestato nei ricorsi, come esattamente avvenuto nel caso in esame.
In tale contesto, va in primo luogo osservato, con riferimento a quel parametro richiamato al punto 1.2 della motivazione che, sotto il profilo dell’aggressione all’incolumità personale e quindi della capacità intimidatoria diffusa nel territorio di S, le pronunce di primo e secondo grado danno atto della diffusione di un ampio clima di terrore scaturente dalla consumazione di vari fatti di sangue;
in particolare i giudici di merito segnalavano come in quel contesto temporale e territoriale fossero avvenuti l’omicidio del R.R.R., ritenuto un componente del gruppo (Omissis), l’omicidio di K.K.K., zio del collaboratore J.J.J., i tentati omicidi A.A.A., Q.Q.Q. e B.B.B. attribuiti al R.R.R. poi eliminato;
ancora la pronuncia di primo grado segnalava gli omicidi di tali D.D.D. e della moglie C.C.C., il primo componente del gruppo (Omissis), tutti fatti avvenuti con l’utilizzo di armi da guerra e perciò già dotati di forte carica intimidatrice.
Il diffuso stato di intimidazione, veniva ricavato anche dalla causale della collaborazione di J.J.J., il quale, dichiarava apertamente, di avere iniziato a collaborare dopo l’eliminazione dello zio e per l’evidente timore di essere eliminato dalle cosche operative in quel territorio indicate nei gruppi E.E.E. e (Omissis);
proprio tale scelta manifestava l’evidente stato di forte intimidazione, mentre, sotto il profilo della diffusa condizione di omertà le sentenze di merito segnalano come i parenti del K.K.K. non avessero denunciato integralmente i fatti.
Si segnalava ancora che il J.J.J. riferiva di avere partecipato ad un incontro con lo zio K.K.K. ed il gruppo (Omissis)-Testa nel quale era stato detto allo stesso K.K.K. che avrebbe dovuto allontanarsi da quel territorio per i contrasti inserti ovvero sarebbe stato eliminato, circostanza poi puntualmente verificatasi.
1.4 Quanto poi agli elementi specifici atti a dimostrare la mafiosità dei due gruppi, contestata nei ricorsi, molteplici sono gli elementi di fatto ai quali i giudici di merito hanno fatto riferimento nelle pronunce di primo e secondo grado per segnalare la certa esteriorizzazione del metodo mafioso da parte dei componenti dell’associazione E.E.E.;
con valutazioni del tutto corrette in punto interpretazione in concreto degli elementi di cui al terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen., le pronunce di merito hanno segnalato che il capo del suddetto gruppo, il E.E.E. (vedi p. 120 sentenza di appello) è soggetto già condannato per avere fatto parte della “società foggiana” e per un omicidio, che dalle dichiarazioni del collaboratore J.J.J. risultava avere una posizione di comando nel territorio di S, che fosse sospettato di essere mandante ed esecutore di omicidi;
ancora si sottolineava l’evidente carica intimidatrice derivante dall’accertato possesso di armi ed esplosivi (ben 11 ordigni sequestrati), dalle intimidazioni a carico degli spacciatori di stupefacente costretti a versare somme per effettuare l’attività illecita e come l’attività estorsiva avesse ad oggetto anche imprese legali (un esercente attività estrattiva).
Ancora emergevano circostanze rilevanti dall’esplosione di colpi di arma da fuoco all’indirizzo di altri malavitosi (B.B.B.) e dallo scontro con esponenti gruppo (Omissis), dalle estorsioni ai gestori dei sistemi di videopoker, dall’attentato in danno del A.A.A. che a dimostrazione dell’assoluta serietà delle minacce veniva gambizzato, dalla vicenda descritta al capo n.60 dell’estorsione alla macelleria (Omissis).
Ed ancora la motivazione di appello (p.121 e segg.) segnala quale elemento significativo il sostentamento degli affiliati detenuti che rientra nella tipologia operativa delle organizzazioni di stampo mafioso.
Proprio sulla base di tali elementi di fatto, poliedrici e tutti convergenti, le conclusioni dei giudici di merito circa la natura mafiosa del gruppo (Omissis) e dei suoi componenti non paiono affette da alcuno dei vizi denunciati nei ricorsi degli imputati ritenuti membri della predetta associazione mafiosa; proprio in applicazione dei principi precedentemente esposti i componenti del gruppo (Omissis), a seguito della scarcerazione del predetto già condannato per partecipazione ad associazione mafiosa, riprendevano le attività delittuose, sia sfruttando il potere intimidatorio derivante dal ruolo di vertice ricoperto dall’omonimo coimputato sia compiendo nuove attività dotate di forte carica intimidatoria, quali i gravi fatti in danno degli avversari o di coloro che non avevano assecondato le direttive del gruppo (come riferito dal J.J.J.), ovvero ai fini del controllo intimidatorio di attività lecite ed illecite.
Così che la natura mafiosa del gruppo deriva proprio dal riscontrato carattere che l’associazione ha esteriorizzato sul territorio di S.
1.5 Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche in relazione ai componenti del gruppo facente capo a R.R., soggetto già definitivamente condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. quale partecipe della ” società foggiana”.
Con le argomentazioni esposte alle pagine 166 e seguenti la sentenza di appello segnala quali elementi significativi l’esteriorizzazione del metodo mafioso; il possesso eli armi da guerra tipo kalashnikov oggetto di sequestro (3 fucili mitragliatori oltre una pistola calibro 38), il summit di mafia con il E.E.E. presso l’abitazione del R.R. in cui si stabilisce la suddivisione dei proventi illeciti, il mantenimento delle spese dei sodali arrestati, i traffici di notevoli quantità di stupefacenti anche con collegamento in altre regioni (Campania) ed all’estero (Olanda), la sintomatica vicenda della estorsione F.F.F. avvenuta con il danneggiamento ed il porto abusivo di armi contestate ai capi 35 e 35, mediante il ritrovamento di una testa di agnello davanti al portone di casa della vittima, l’invio di una busta contenente proiettili, l’esplosione di colpi di arma da fuoco sul portone, le minacce gravi telefoniche anche ai figli;
inoltre, ancora, si segnala dalla congiunta lettura delle pronunce di merito, che nel corso delle conversazioni intercettate il R.R. ed i suoi interlocutori programmassero altre estorsioni ad imprenditori, avessero individuato i soggetti facoltosi dei quali avevano ottenuto le fotografie dei nuclei familiari per rendere ancora più significative le condotte intimidatorie.
Ancora si segnalavano le dichiarazioni dei collaboratori J.J.J., M.M.M., L.L.L. circa il battesimo di nuovi adepti, il mantenimento dei sodali in carcere, l’alleanza con la batteria (Omissis)-(omissis) sancita da un incontro 24 dicembre 2015, il pestaggio di un avversario (p. 37 sentenza di primo grado) per concludere che quell’affermazione di R.R. nella intercettazione all’interno del luogo ove scontava la semidetenzione in cui affermava: “il paese è nostro” corrispondesse proprio alla condizione venutasi a creare nel territorio di S ove il predetto R.R. aveva raccolto attorno a sé un nuovo gruppo mafioso, tramite il quale programmava il compimento di azioni di sangue ed aveva già manifestato la propria capacità intimidatoria.
Così che anche al proposito di tutti i componenti del gruppo (Omissis) le conclusioni delle pronunce di primo e secondo grado appaiono esenti dai lamentati vizi.
Né può attribuirsi valore decisivo per escludere la sussistenza ed operatività dei due gruppi mafiosi (Omissis) e (Omissis) a quella circostanza segnalata nei ricorsi e secondo cui la cessazione delle attività dei gruppi a seguito dell’arresto dei capi dimostrerebbe l’assenza di concreta e diffusa capacità intimidatrice degli stessi.
Invero nelle ipotesi di c.d. gruppi a soggettività diversa di cui si è già detto, tali da ricavare per gemmazione il proprio potere, oltre che dalla ripresa di diffuse attività delittuose nel territorio, non può escludersi che l’intervenuto arresto dei componenti porti a disarticolare completamente il gruppo cessandone ogni capacità intimidatoria, senza che ciò rilevi in maniera decisiva per ciò che risulti già essere avvenuto, come puntualmente verificato nei casi in esame.
1.6 Accertata la natura mafiosa dei gruppi e sottolineate le modalità delle azioni criminose in tema di traffico di stupefacenti, di estorsione, di detenzione e porto abusivo di armi nonché di danneggiamento, correttamente i giudici di merito affermavano la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen. per i delitti-fine delle rispettive organizzazioni, apparendo la consumazione degli stessi essere avvenuta proprio nella esecuzione dei programmi delittuosi miranti ad imporre la propria presenza sul territorio di S ed al fine di finanziare le attività degli stessi.
Sicché anche al proposito dell’aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen. i ricorsi appaiono non fondati, contestando vanamente la riconducibilità dei delitti fine al programma associativo sebbene le pronunce di merito, con valutazioni conformi, abbiano già ° spiegato che ognuno dei numerosi fatti presi in considerazione nel presente procedimento, trovi proprio spiegazione nell’ottica della affermazione del potere criminale di ciascun gruppo sul territorio e nel finanziamento delle attività associative illecite.
[…]
- Infondato appare il primo motivo avanzato nel ricorso avv.ti Quaranta e Vannetiello nell’interesse di N.N. e con il quale si deduce violazione di legge e travisamento della prova;
l’impugnata pronuncia, appare avere fatto corretta applicazione del principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità e secondo cui ai fini dell’integrazione del concorso di persone nel reato di estorsione è sufficiente la coscienza e volontà di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; ne consegue che anche l’intermediario, nelle trattative per la determinazione della somma estorta, risponde del reato di concorso in estorsione, salvo che il suo intervento abbia avuto la sola finalità di perseguire l’interesse della vittima e sia stato dettato da motivi di solidarietà umana (Sez. 2, n. 6824 del 18/01/2017, Rv. 269117 – 01; Sez. 2, n. 37896 del 20/07/2017, Rv. 270723 – 01).
15.1 Quanto al secondo motivo, in punto di omessa motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen., va ricordato come sia stato affermato che in tema di estorsione, è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, in quanto privo di un’esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, Rv. 285669 – 01);
nel caso di specie la sentenza impugnata ricollega la sussistenza della fattispecie aggravata proprio al metodo posto in essere dalla compagine criminale (p.163) ed alla agevolazione, riconosciuta in ragione della provenienza della richiesta di pagamento dallo stesso gruppo mafioso, che vedeva così realizzato il progetto di controllo delle attività economiche, costituente una delle tipiche manifestazioni della mafiosità dell’azione delittuosa.
Al proposito, infatti, va sottolineato come, costituendo il controllo delle attività economiche una delle manifestazioni tipiche dell’agire dell’associazione mafiosa, indicato quale elemento oggettivo dal terzo comma dell’art. 416-bis cod. pen., ogni richiesta estorsiva rivolta dalle organizzazioni ad operatori economici, siano essi commerciali ovvero produttori di beni o fornitori “- di servizi, diretta ad ottenere somme di denaro per “autorizzare” la prosecuzione delle attività, in quanto tipica manifestazione di controllo del territorio è sempre effettuata sfruttando il metodo e favorendo l’agevolazione dell’associazione stessa.
Ed anche l’intermediario che si trovi a collegare la richiesta estorsiva del gruppo criminale alla vittima, in quanto consapevole delle ragioni di tale richiesta di pagamento del “pizzo”, avente causa nel controllo delle attività economiche su una determinata area, deve rispondere del fatto aggravato, avendone condiviso il metodo e favorito proprio quella determinata organizzazione.
Deve pertanto ribadirsi che ove l’intermediario dell’estorsione sia consapevole che la richiesta di pagamento viene effettuata all’indirizzo di un operatore commerciale per “permettergli” di continuare ad operare indisturbato od anche per lavorare con la protezione del gruppo mafioso, lo stesso risponde del fatto aggravato ex art. 416-bis 1 cod. pen.
Infine, priva di fondamento appare la doglianza in punto trattamento sanzionatorio, posto che, la corte di appello, ha già spiegato come la bassissima pena inflitta (anni 2 di reclusione) sia più che giustificata in ragione della gravità dei fatti e della negativa personalità dell’imputato.
[…]
Può pertanto ritenersi che la corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite imp. Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889 – 01) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità; parte attiva al fenomeno associativo che correttamente veniva desunta dal coinvolgimento nei reati fine dell’associazione che, ben lungi dall’essere rimasti a livello di programmazione o mero tentativo, manifestavano già il potere intimidatorio esercitato sulla cittadina di S.
Peraltro, va anche ricordato come, in relazione al profilo del metodo mafioso, pure oggetto di contestazione, sia stato ritenuto che la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione ex art. 416-bis, cod. pen., essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso; essa è pertanto configurabile con riferimento ai reati-fine commessi nell’ambito di un’associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo (Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Rv. 271103 – 01).
E correttamente i giudici di merito ne affermavano la sussistenza in correlazione con le particolari modalità esecutive del fatto estorsivo che rendevano anche l’extraneus consapevole dello sfruttamento del metodo da parte dei correi.
Può pertanto ritenersi che il giudice di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite imp. Modaffari (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Rv. 281889 – 01) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità. Apporto individuato sia nelle attività di traffico di stupefacente che nel concorso nei fatti estorsivi, così che, per la pluralità delle attività illecite e per la diversificazione delle stesse, esente da vizi appare il giudizio di coinvolgimento del ricorrente nelle attività del gruppo mafioso.
[…]
Difatti, va ricordato che l’indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l’esecuzione, non ha tuttavia efficacia ablativa rispetto agli altri effetti scaturenti dalla sentenza di condanna, tra i quali rientra la recidiva, che può quindi essere contestata anche in relazione ai reati la cui pena, inflitta con precedenti sentenze definitive, sia stata condonata (Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264629 – 01).
Il principio della limitazione degli effetti dell’affidamento in prova a seguito di cumulo delle pene da eseguire, risulta già affermato da diverse pronunce secondo cui in tema di misure alternative alla detenzione, in caso di cumulo “esecutivo” di più titoli di condanna a pene detentive e pecuniarie, l’effetto estintivo dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale si estende, qualora il condannato versi in disagiate condizioni economiche, esclusivamente alla pena pecuniaria irrogata con la pena detentiva oggetto della misura alternativa, e non già all’intera pena pecuniaria risultante dal cumulo (Sez. 1, n. 27343 del 17/05/2019, Rv. 275848 – 01).
Ne consegue che anche nel caso in esame l’affidamento in prova con esito positivo a seguito del cumulo in fase esecutiva non può comportare il venire meno delle precedenti condanne a pene non cumulate ai fini del giudizio sulla recidiva.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
[…]
Al proposito va infatti ricordato come in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n.22471 del 26/2/2015, Rv.263715).
Ancora si è affermato che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez.2, n.35181, del 22/5/2013, Rv.257784).
L’applicazione del suddetto principio deve portare ad escludere che, nella presente sede, il contenuto di quelle conversazioni, conformemente interpretato dai giudici di merito, possa essere sottoposto al sindacato di questa Corte nella prospettiva dedotta della lontananza od estraneità del figlio M.M.M. rispetto alle iniziative criminali del padre R.R., e ciò perché, l’esistenza di possibili contrasti sorti nel tempo ricavabili da altre conversazioni intercettate diverse da quelle valorizzate nelle pronunce di merito, non esclude comunque la partecipazione punibile e non espone la motivazione della sentenza impugnata al vizio di manifesta illogicità.
[…]
25.1 Quanto al secondo motivo, che lamenta violazione di legge e difetto di motivazione circa la ritenuta sussistenza della partecipazione del ricorrente U.U. all’associazione mafiosa ex articolo 416-bis codice penale, la sentenza impugnata, con le osservazioni svolte a pagina 205, appare avere fatto corretta applicazione di quel principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione (Sez. U, n. 35958 del 27/05/2021, Rv. 281889 – 01) nella parte in cui hanno affermato che sono indice di partecipazione punibile ex art. 416-bis cod. pen. tutte le condotte dalle quali potere desumere che l’affiliato abbia preso parte attiva al fenomeno associativo ovvero che abbia fornito un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità;
parte attiva al fenomeno associativo che correttamente veniva desunta dal coinvolgimento nei reati fine dell’associazione che, ben lungi dall’essere privi di valenza, ne assumevano certamente una particolare, poiché, l’accertata responsabilità per il possesso del micidiale arsenale composto anche da diverse armi da guerra e che dovevano essere utilizzate nel conflitto con le altre organizzazioni operanti in S, secondo le determinazione del capo R.R. parente del ricorrente, certamente colora di partecipazione punibile la condotta del U.U., peraltro stabilmente coinvolto anche nel traffico di stupefacenti come dimostrato dalla definitività dell’accertamento di responsabilità sul punto.
[…]