Cass. pen., I, ud. dep. 07.03.2022, n. 8123
MASSIMA
Il concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso è configurabile nelle ipotesi in cui il concorrente è un libero professionista, che, pur non essendo inserito nella struttura organizzativa della consorteria, instaura con la stessa un rapporto sinallagmatico, incentrato su un sistema di reciproci vantaggi, economici e professionali, che non viene meno laddove, nell’ambito dell’intesa intervenuta tra i due soggetti, è consentito al soggetto attivo del reato Io svolgimento di un’attività di intermediazione criminale a favore di cosche alleate o federate con quella con cui si è instaurato il sinallagma mafioso.
È indispensabile che il dolo del concorrente esterno investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio.
L’accertamento di una condotta di collusione professionale postula la verifica della sussistenza di un rapporto di cointeressenza fondato sulla reciprocità dei vantaggi.
La presunzione di pericolosità sociale prevista dalla disposizione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. impone la custodia cautelare per un indagato di associazione di tipo mafioso, salvo che non risultino definitivamente interrotti i suoi legami con la consorteria di riferimento ovvero quando il venire meno della pericolosità derivi da elementi processuali concreti e specifici, che dimostrino l’effettivo allontanamento dal sodalizio dell’affiliato. Differente, invece, è la valutazione che deve essere compiuta, nell’ambito della stessa presunzione di pericolosità prefigurata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in riferimento alle ipotesi di concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso, atteso che gli elementi indiziari che, in questo caso, si richiedono per potere superare il giudizio presuntivo non possono coincidere con quelli richiesti per l’associato. In tali ipotesi delittuose, infatti, non vi è alcun legame associativo da rescindere, anche tenuto conto del fatto che il collegamento funzionale dell’agente al sodalizio criminale può essere connotato da occasionalità o da sporadicità. Ne discende che, in questo caso, il giudizio di pericolosità non può prescindere dalle emergenze indiziarie, in relazione alle quali occorre verificare se il rischio di ulteriori condotte illecite sia concreto e reso probabile dai collegamenti funzionali esistenti tra l’indagato e la consorteria di riferimento.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso proposto da Tiberio Sorrenti è infondato.
- Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in riferimento agli artt. 273, 309, comma 9, cod. proc. pen., 110 e 416-bis cod. pen., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato associativo contestato a Tiberio Sorrenti al capo 1, rispetto alla quale si evidenziava una discrasia motivazionale insanabile tra la posizione di contiguità concorsuale ascritta all’indagato – nello svolgimento della sua attività professionale di commercialista, che lo metteva in contatto con le imprese menzionate nel provvedimento censurato – e la sfera di operatività delle cosche ‘ndranghetistiche Pesce e Cacciola. Secondo il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, il coinvolgimento concorsuale di Tiberio Sorrenti nelle attività delittuose contestategli al capo 1 della rubrica, ai sensi degli artt. 110 e 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, cod. pen., si riteneva corroborato dalle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, che venivano richiamate analiticamente nelle pagine 7-24 del provvedimento censurato, mediante la citazione dei passaggi salienti di tali captazioni, che si reputavano pienamente confermative dell’assunto accusatorio. Tra queste captazioni, si ritiene opportuno richiamare per la loro particolare rilevanza probatoria, seguendo l’ordine di esposizione contenuto nel provvedimento cautelare censurato, l’intercettazione registrata il 30/03/2012 tra Tiberio Sorrenti e Antonio Messina, citata nelle pagine 7-10; l’intercettazione registrata il 13/05/2012 tra Tiberio Sorrenti e Vincenzo Cucinotta, citata nelle pagine 10-12; l’intercettazione registrata il 07/05/2012 tra Tiberio Sorrenti e Antonio Messina, citata a pagina 16; l’intercettazione registrata il 18/05/2012 tra Tiberio Sorrenti, Antonio Messina e Antonio Rizzo, citata nelle pagine 16-20; l’intercettazione registrata 1’08/02/2013 tra Tiberio Sorrenti e Antonio Rizzo, citata nelle pagine 22-24. Sulla scorta di questo compendio indiziario, ritenuto univoco, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria evidenziava che la cosca Pesce e la cosca Cacciola, fin dal 2012, tramite Tiberio Sorrenti, si erano infiltrate nel settore della grande distribuzione alimentare, nel quale la società Distribuzione Cambria s.r.l. svolgeva un ruolo commerciale egemonico nell’area calabrese, gestendo il trasporto dei prodotti alimentari consegnati per conto del gruppo societario guidato da Rocco Cambria. Si muovevano, in particolare, in questa direzione probatoria le conversazioni, sopra citate, registrate nel corso delle indagini preliminari tra Tiberio Sorrenti e Antonio Messina – che aveva lungamente collaborato con l’indagato quale titolare della ditta Autotrasporti Messina di Messina Antonio & C. s.a.s. di Messina Antonio, alla quale, successivamente, era subentrata la ditta individuale Comandè Giuseppe -, da cui si evinceva il pieno coinvolgimento del ricorrente nella gestione del settore del trasporto di merci alimentare effettuato per conto del gruppo Cambria dalle imprese riconducibili alla cosca Pesce e alla cosca Cacciola. Secondo il Tribunale del riesame, analogo rilievo probatorio doveva essere attribuito alle captazioni, sopra citate, registrate tra Tiberio Sorrenti e Antonio Rizzo, che, più volte, si recava nello studio professionale del ricorrente – ubicato a Rosarno, in Via Nazionale Sud n. 236 – per discutere del trasporto delle merci alimentari per conto società Distribuzione Cambria s.r.I., in relazione al quale si era verificato un avvicendamento concordato tra la ditta Autotrasporti Messina di Messina Antonio & C. s.a.s. di Messina Antonio e la ditta individuale Comandè Giuseppe di Rosarno, che veniva attuato con il contributo decisivo dello stesso Messina; contributo, questo, che si riteneva attestato dal contenuto dell’intercettazione registrata il 18/05/2012, già citata, tra Tiberio Sorrenti, Antonio Messina e Antonio Rizzo. Si consideri ulteriormente che gli esiti delle intercettazioni, riguardanti i colloqui registrati nel corso delle indagini preliminari tra Tiberio Sorrenti, Antonio Messina e Antonio Rizzo, venivano ritenuti corroborati dalle risultanze documentali, richiamate a pagina 24 dell’ordinanza impugnata, relative ai rapporti commerciali esistenti tra la ditta Autotrasporti Messina di Messina Antonio & C. s.a.s. di Messina Antonio, la ditta individuale Comandè Giuseppe e la società Distribuzione Cambria s.r.I., che confermavano il ruolo di intermediazione svolto dal ricorrente nella gestione delle attività di trasporto eseguite dalle imprese riconducibili alla cosca Pesce. Rispetto al ruolo egemonico, incontroverso, svolto dalla cosca Pesce nella gestione dei trasporti, nell’ambito delle attività di distribuzione alimentare riconducibili dal gruppo Cambria, non assume un rilievo idoneo ad attenuare il giudizio di gravità indiziaria censurato la corresponsione periodica di somme ai rappresentati della cosca Cacciola, che, al contrario, costituisce un’ulteriore dimostrazione della funzione di intermediazione criminale svolta da Tiberio Sorrenti, che gli consentiva di gestire autonomamente i rapporti tra le cosche ‘ndranghetistiche presenti nell’intera area rosarnese, in un lungo arco temporale, compreso tra il 2012 e il 2018. Senza considerare, per altro verso, che la cosca Pesce e la cosca Cacciola, nel più ampio contesto della criminalità organizzata rosarnese erano storicamente alleate, anche alla luce del fatto che i vertici delle due consorterie erano legati da vincoli di parentela e rapporti di condivisione strategica, tra l’altro attestati dalla gestione del settore dei trasporti di prodotti alimentari. Gli esiti delle captazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari nei confronti del ricorrente si ritenevano ulteriormente corroborati dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Vincenzo Albanese e Giuseppe Cacciola, le cui propalazioni consentivano di chiarire quale fosse il ruolo di intermediazione criminale tra il gruppo Cambria e l’ambiente ‘ndranghetistico rosarnese svolto da Tiberio Sorrenti. Più precisamente, il collaboratore di giustizia Vincenzo Albanese veniva esaminato nelle date del 22/12/2015 e del 07/09/2016, richiamando l’attività di trasporto di prodotti alimentari svolta dalle imprese vicine alla cosca Cacciola per conto della società Distribuzione Cambria s.r.I., aggiungendo che in questo settore erano coinvolti anche imprenditori collegati alla cosca Pesce, i cui vertici, come detto, erano imparentati con la famiglia Cacciola; mentre, il collaboratore Giuseppe Cacciola veniva esaminato il 28/12/2019, riferendo del ruolo di intermediazione criminale svolto da Tiberio Sorrenti con riferimento alla cosca Cacciola, alla quale i rappresentanti del gruppo Cambria si erano rivolti, tramite Giovanni Battista Cacciola, allo scopo di ricevere protezione per le attività commerciali svolte nell’area rosarnese.
In questa, univoca, cornice indiziaria, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni alle quali giungeva il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 33 dell’ordinanza impugnata, evidenziava che «Sorrenti rappresentava il perno sul quale faceva leva tutto l’affare relativo alla distribuzione alimentare […]», confermando la fondatezza dell’assunto accusatorio. Si consideri, inoltre, che al ruolo di intermediazione criminale svolto da Sorrenti in favore delle cosche Pesce e Cacciola faceva da «contraltare la possibilità di esercitare la sua attività professionale in una posizione di rilievo all’interno del territorio rosarnese, mettendo al servizio delle locali articolazioni di ‘Ndrangheta e dei loro redditizi affari la sua esperienza in campo economico […]».
2.1. Non è, per altro verso, possibile operare una reinterpretazione complessiva del contenuto delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari nei confronti di Tiberio Sorrenti, in linea con quanto prospettato dalla difesa del ricorrente, essendo una tale operazione di ermeneutica processuale preclusa a questo Collegio, conformemente al seguente principio di diritto: «In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite» (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650-01; Sez. 1, n. 3643 del 26/05/1997, Scotto, v. 208254-01). In questo contesto, occorre ribadire il consolidato principio di diritto secondo cui, a seguito della riformulazione normativa dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della prova, non è consentito dedurre il vizio di travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei giudizi di merito. Se così non fosse, si domanderebbe a questa Corte il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, come quella della reinterpretazione degli elementi indiziari valutati dal giudice cautelare ai fini della decisione (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623-01; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215-01; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167-01). Sul punto, allo scopo di circoscrivere con maggiore puntualità gli ambiti di intervento del giudice di legittimità in relazione all’operazione di ermeneutica processuale compiuta dai Giudici cautelari reggini sui risultati delle intercettazioni attivate nei confronti di Tiberio Sorrenti, si ritiene utile richiamare il seguente principio di diritto: «In tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione» (Sez. 6, n. 29530 del 03/05/2006, Rispoli, Rv. 235088-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414-01; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, Acampa, Rv. 278611-01). Questa posizione ermeneutica, da ultimo, è stata ribadita dalle Sezioni Unite, che, in linea con la giurisprudenza che si è richiamata, hanno affermato il principio di diritto, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui: «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01).
2.1.2. Nella cornice indiziaria descritta nei paragrafi precedenti, che, allo stato, deve ritenersi incontroversa, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria compiva una verifica del compendio probatorio acquisito nei confronti di Tiberio Sorrenti che appare pienamente rispettosa delle emergenze processuali e conforme alla giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui il concorrente esterno di un’associazione di tipo mafioso è «il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e privo dell’affectio societatis […), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione […] e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima» (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 236584-01). Non può, in proposito, non rilevarsi che, con tale arresto, la giurisprudenza di legittimità ha definitivamente ribadito la legittimità della figura del concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso, ma l’ha vincolata allo statuto della causalità, rendendosi conto delle difficoltà di accertamento «dell’effettivo nesso condizionalistico tra la condotta stessa e la realizzazione del fatto di reato, come storicamente verificatosi, hic et nunc, con tutte le sue caratteristiche essenziali, soprattutto laddove questo rivesta dimensione plurisoggettiva e natura associativa». Naturalmente, trattandosi di un accertamento processuale che svolge una funzione di carattere selettivo delle condotte penalmente rilevanti, è necessario che il contributo atipico sia considerato effettivamente idoneo ad aumentare la probabilità o il rischio di realizzazione del fatto di reato, escludendone la rilevanza laddove si riveli «ininfluente o addirittura controproducente per la verificazione dell’evento lesivo» (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, cit.). Quello che, pertanto, assume rilievo, ai fini della valutazione dell’atteggiamento di contiguità dell’esponente del mondo delle professioni con cui il sodalizio criminale, di volta in volta, si rapporta, è la valutazione della sua adesione al progetto di controllo illecito del territorio – certamente riscontrabile nel ruolo di intermediazione criminale svolto da Tiberio Sorrenti nei confronti della cosca Pesce e della cosca Cacciola, nel settore della grande distribuzione alimentare -, per il quale è indispensabile che il dolo del concorrente esterno «investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio» (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, cit.). In questa cornice ermeneutica, la verifica compiuta dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria consentiva di individuare il contributo funzionale di Tiberio Sorrenti, che veniva accertato – alla luce del rapporto esistente tra l’indagato e gli esponenti delle cosche Pesce e Cacciola con cui si rapportava nel corso di un lungo arco temporale, compreso tra il 2012 e il 2018 – attraverso una verifica probatoria eseguita ex post sull’efficienza causale del suo apporto concorsuale, effettuata mediante le regole tipiche dell’argomentazione processuale. Veniva, pertanto, compiuta una verifica congrua sulla rilevanza causale del contributo fornito da Tiberio Sorrenti al perseguimento degli obiettivi strategici della cosca Pesce e della cosca Pesce Cacciola nel settore dei trasporti della grande distribuzione alimentare, così come contestato al capo 1, eseguita attraverso una valutazione del collegamento funzionale esistente tra l’indagato e le consorterie ‘ndranghetistiche oggetto di vaglio e dei vantaggi che il ricorrente ricavava dal suo apporto concorsuale; vantaggi riconducibili sia all’attività imprenditoriale del gruppo Cambria, sia agli interessi economici dei sodalizi rosarnesi, sia alla sua attività professionale. Sul punto, si ritiene opportuno richiamare il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 33 dell’ordinanza impugnata, in cui il Tribunale del riesame di Reggio Calabria affermava che le emergenze indiziarie imponevano di evidenziare che il collegamento concorsuale di Tiberio Sorrenti con la cosca Pesce e con la cosca Cacciola, comportava notevoli benefici professionali per il ricorrente, che operava professionalmente a Rosarno, attestati dal fatto che era lo stesso indagato, in una delle intercettazioni registrate nel corso delle indagini preliminari, ad «affermare di occuparsi di tutta la contabilità delle attività riferibili alle cosche, peraltro in modo stabile e continuativo, rappresentando pertanto un vero e proprio punto di riferimento»; il che confermava che lo «svolgimento della sua attività professionale a tali livelli comportasse un ritorno di carattere economico […1». Si accertava, in questo modo, l’esistenza di un rapporto di contiguità fondato non sulla generica disponibilità di Tiberio Sorrenti verso le cosche Pesce e Cacciola, ma connotato da specifici e reciproci vantaggi, riconducibili a un’ottica criminale sinallagmatica, alla luce della quale venivano inquadrati i collegamenti concorsuali controversi. Tale rapporto sinallagmatico discendeva dal fatto che Tiberio Sorrenti svolgeva la sua attività di intermediazione criminale in favore delle cosche Pesce e Cacciola, in un ampio arco temporale, compreso tra il 2012 e il 2018, sfruttando la capacità di controllo illecito del territorio da parte dei sodalizi ‘ndranghetistici, proteggendo sul territorio il gruppo Cambia e ottenendo, in cambio di questo supporto, consistenti vantaggi, economici e professionali. Né potrebbe essere diversamente, atteso che l’accertamento di una condotta di collusione professionale, analoga a quella contestata al capo 1 della rubrica a Tiberio Sorrenti – che svolgeva la professione di commercialista – postula la verifica della sussistenza di un rapporto di cointeressenza fondato sulla reciprocità dei vantaggi, come costantemente affermato da questa Corte, secondo cui, in questi casi, ci si trova di fronte a un soggetto «che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi […]» (Sez. 3, n. 30346 del 18/04/2013, Orobello, Rv. 256740-01), che possono riguardare sia l’organizzazione mafiosa con cui si perfeziona l’intesa sinallagmatica sia gruppi alleati o federati. Non si può, pertanto, non ribadire conclusivamente che il concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso è configurabile nelle ipotesi in cui il concorrente è un libero professionista, che, pur non essendo inserito nella struttura organizzativa della consorteria, instaura con la stessa un rapporto sinallagmatico, incentrato su un sistema di reciproci vantaggi, economici e professionali, che non viene meno laddove, nell’ambito dell’intesa intervenuta tra i due soggetti, è consentito al soggetto attivo del reato Io svolgimento di un’attività di intermediazione criminale a favore di cosche alleate o federate con quella con cui si è instaurato il sinallagma mafioso.
2.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
- Deve ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in riferimento all’art. 275 cod. proc. pen., conseguenti al fatto che la misura cautelare disposta nei confronti di Tiberio Sorrenti a fronte della contraddittorietà del compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini preliminari, resa evidente dalle censure difensive prospettate con le precedenti doglianze, era stata applicata in modo automatico e senza tenere conto degli elementi sintomatici della pericolosità sociale del ricorrente, sui quali il Tribunale del riesame di Reggio Calabria si era espresso in termini assertivi e svincolati dalle risultanze processuali, trascurando di considerare ulteriormente la possibilità di applicare all’indagato la misura degli arresti domiciliari, anche alla luce della sua problematica situazione familiare, attestata dalle gravi condizioni di salute del figlio, documentate dalla relazione redatta il 10/05/2021 dalla dottoressa Giuseppina Morabito. Osserva il Collegio che la presunzione di pericolosità sociale prevista dalla disposizione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. impone la custodia cautelare per un indagato di associazione di tipo mafioso, salvo che non risultino definitivamente interrotti i suoi legami con la consorteria di riferimento ovvero quando il venire meno della pericolosità derivi da elementi processuali concreti e specifici, che dimostrino l’effettivo allontanamento dal sodalizio dell’affiliato (Sez. 5, n. 57580 del 14/09/2017, Lupia, Rv. 272435-01; Sez. 2, n. 19283 del 03/02/2017, Cocciolo, Rv. 270062-01; Sez. 1, n. 45657 del 06/10/2015, Varzaru, Rv. 265419-01). Differente, invece, è la valutazione che deve essere compiuta, nell’ambito della stessa presunzione di pericolosità prefigurata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in riferimento alle ipotesi di concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso – analogamente a quanto contestato a Tiberio Sorrenti al capo 1 della rubrica, così come riqualificato in sede di riesame, ai sensi degli artt. 110 e 416- bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, cod. pen. -, atteso che gli elementi indiziari che, in questo caso, si richiedono per potere superare il giudizio presuntivo non possono coincidere con quelli richiesti per l’associato. In tali ipotesi delittuose, infatti, non vi è alcun legame associativo da rescindere, anche tenuto conto del fatto che il collegamento funzionale dell’agente al sodalizio criminale può essere connotato da occasionalità o da sporadicità (Sez. 2, n. 2242 dell’11/12/2013, Riela, Rv. 261701-01; Sez. 1, n. 2946 del 17/10/2013, dep. 2014, Palumbo, Rv. dell’08/07/2011, Mancini, Rv. 250360-01). 257774-01; Sez. 6, n. 27685
Ne discende che, in questo caso, il giudizio di pericolosità non può prescindere dalle emergenze indiziarie, in relazione alle quali occorre verificare se il rischio di ulteriori condotte illecite, analoghe a quelle concorsuali contestate a Tiberio Sorrenti al capo 1 della rubrica, sia concreto e reso probabile dai collegamenti funzionali esistenti tra l’indagato e la consorteria ‘ndranghetistica di riferimento. Questi collegamenti funzionali, nel caso di specie, risultano dimostrati, per effetto del ruolo di intermediazione criminale svolto dal ricorrente, per un lungo arco temporale, compreso tra il 2012 e il 2018, nella gestione di una parte delle attività illecite delle cosche Pesce e Cacciola – con particolare riferimento al settore dei trasporti di prodotti alimentari collegato alla società Distribuzione Cambria s.r.l. -, alla luce del quale il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava il provvedimento cautelare genetico, sulla base di una valutazione ineccepibile del compendio indiziario (Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, Scozzafava, Rv. 281273-01; Sez. 1, n. 24135 del 10/05/2019, Castorina, Rv. 276193-01; Sez. 6, n. 29807 del 04/05/2017, Nocerino, Rv. 270738-01). In questa, univoca, cornice indiziaria, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni alle quali giungeva il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 38 dell’ordinanza impugnata, osservava che gli elementi indiziari acquisiti nei confronti di Tiberio Sorrenti «non possono che connotare in termini negativi la personalità dell’odierno indagato e delineano un grave quadro cautelare, che induce ad una prognosi sfavorevole circa il pericolo di recidiva, da ritenersi senza dubbio concreto ed attuale, avendo esercitato la sua attività di intermediazione per le cosche rosarnesi in maniera stabile e per un lungo lasso temporale che arriva fino a tempi più recenti, diventando un vero e proprio punto di riferimento per la gestione degli interessi del sodalizio». Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
- Per queste ragioni, il ricorso proposto da Tiberio Sorrenti deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue, infine, a tali statuizioni processuali, la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario dove il ricorrente si trova ristretto, a norma dell’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.