Corte di Cassazione, I Sez. penale, 2 ottobre 2024, n. 36726
PRINCIPIO DI DIRITTO
Quando la continuazione deve essere valutata con riferimento a più reati associativi, non è sufficiente, per il riconoscimento del vincolo della medesimezza del disegno criminoso, far riferimento alla tipologia del reato e all’omogeneità della condotta a fronte della riconosciuta appartenenza di un determinato soggetto a più sodalizi criminosi, ma occorre specificamente indagare sulla natura dei vari sodalizi, sulla concreta operatività degli stessi e sulla loro continuità nel tempo, in modo che possa dirsi che l’iniziale deliberazione criminosa ha trovato espressione concreta nella progressiva appartenenza di un soggetto ad una pluralità di organizzazioni.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il motivo di ricorso è da ritenersi fondato, nei termini che saranno di seguito esposti.
- Risulta dagli atti che la condanna di M.A. nel procedimento definito con sentenza irrevocabile della Corte d’Appello di Roma in data 27.11.2018 (parz. rif. g.i.p. del Tribunale di Roma del 13.2.2018) sia intervenuta:
– per il reato di cui all’art. 74 DPR n. 309 del 1990 (capo a) per aver partecipato ad una associazione costituita per la commissione di più delitti connessi all’illecito traffico di sostanze stupefacenti, quale stabile destinatario di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente da immettere sul mercato illecito pugliese;
– per il reato di cui agli artt. 81, comma 2, cod. pen. e 73, comma 1, DPR n. 309 del 1990, in concorso con S.V. e C.E. (capo b), per avere la S.V., su disposizione del C.E., trasportato a Taranto in più occasioni un quantitativo imprecisato di eroina onde consegnarla a M.A. perché provvedesse alla sua commercializzazione nel territorio pugliese;
– per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 1, DPR n. 309 del 1990 (capo c), in concorso con N.I., K.A., C.E. e S.V., per avere K.A. consegnato a N.I., previ accordi con C.E., 300 grammi di cocaina trasportati dalla S.V. a Taranto e consegnati a M.A. perché provvedesse alla sua vendita in territorio pugliese.
Risulta, altresì, che i predetti singoli episodi delittuosi di cui all’art. 73 DPR n. 309 del 1990 siano stati posti in essere in un arco temporale compreso tra il 2.11.2013 e il 6.2.2014 e che il periodo di operatività dell’associazione romana sia stato accertato fino al mese di marzo del 2014, mentre l’associazione tarantina a delinquere, per l’appartenenza alla quale M.A. è stato condannato nelle sentenze della Corte d’Appello di Lecce già oggetto dell’applicazione della disciplina del reato continuato, era contestata a far data dal 2012 e con carattere di permanenza.
E’ evidente, dunque, che la partecipazione all’associazione tarantina con la commissione dei relativi reati-fine, da un lato, e la partecipazione all’associazione romana con la commissione dei relativi reati-fine, dall’altro, siano esattamente riferibili al medesimo periodo temporale.
Peraltro, può non arbitrariamente aggiungersi che anche il segmento romano della dedizione di M.A. al traffico di sostanze stupefacenti attenga, in definitiva, al medesimo ambito geografico della sua pregressa ma contestuale attività delittuosa pugliese, giacché risulta che il luogo della propria operatività fosse pur sempre Taranto, ove gli veniva consegnata la droga ivi trasportata da altri associati romani in funzione della sua commercializzazione “in territorio pugliese”.
- Ciò premesso, va ricordato che quando la continuazione deve essere valutata con riferimento a più reati associativi, non è sufficiente, per il riconoscimento del vincolo della medesimezza del disegno criminoso, far riferimento alla tipologia del reato e all’omogeneità della condotta a fronte della riconosciuta appartenenza di un determinato soggetto a più sodalizi criminosi, ma occorre specificamente indagare sulla natura dei vari sodalizi, sulla concreta operatività degli stessi e sulla loro continuità nel tempo, in modo che possa dirsi che l’iniziale deliberazione criminosa ha trovato espressione concreta nella progressiva appartenenza di un soggetto ad una pluralità di organizzazioni.
In tale quadro, assume peculiare rilievo sia il profilo della contiguità temporale sia quello della individuazione della compagine che concorre alla formazione del sodalizio, elementi certamente idonei a disvelare l’originaria unicità del momento deliberativo e il suo passaggio alla concreta fase attuativa (Sez. 6, n. 6851 del 9/2/2016, dep. 2017, Rv. 266106 – 01).
In ogni caso, la esistenza della identità del disegno criminoso deve essere accertata o esclusa caso per caso, in relazione alle modalità concrete di commissione dei reati di cui si chiede l’unificazione, desumibili dalle sentenze (Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016, dep. 2017, Rv. 268786 – 01).
- In applicazione di questi criteri, il giudice dell’esecuzione correttamente considera – quanto ai delitti delle tre sentenze per cui si chiede l’applicazione della disciplina di cui all’art. 81, comma 2, cod. pen.– che la omogeneità della tipologia dei reati commessi e la loro prossimità temporale non siano sufficienti per il riconoscimento del vincolo della continuazione.
Tuttavia, la motivazione del successivo diniego della richiesta difensiva non si confronta coerentemente con gli altri elementi di cui si doveva tenere conto per la valutazione della sussistenza o meno della eventuale identità del disegno criminoso.
Sotto questo profilo, risulta dalle sentenze leccesi del 2018 che M.A. sia stato giudicato e condannato quale associato – con compiti di direzione, promozione e organizzazione – di un sodalizio di stampo mafioso attivo in Taranto, dedito alla commissione di una serie di delitti, tra cui era compreso “il traffico organizzato di sostanze stupefacenti”: in particolare, all’imputato era addebitato di essere affiliato di rilievo, anche in ragione del vincolo di parentela che lo legava al capo clan C.G., e di essere stato “incaricato della reggenza temporanea della consorteria in esito al sinistro stradale patito dal C.G., con il compito di sovrintendere alla generalità degli affari illeciti della consorteria”.
Al tempo stesso, risulta dalle sentenze romane, pure del 2018, che l’associazione romana facente capo a C.E., dedita in Italia al traffico di sostanze stupefacenti provenienti dall’estero, contasse su M.A. (detto “R.”) come stabile destinatario localizzato a Taranto di partite di droga che venivano trasportate in Puglia da alcuni degli associati.
In particolare, la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Roma (confermata sul punto dalla Corte d’Appello di Roma, che, in conseguenza della rinuncia dell’imputato ai motivi sulla responsabilità, si è limitata alla sola riforma della pena irrogatagli in primo grado), dà atto, nella disamina degli elementi di prova a carico di M.A., della collaborazione processuale di C.E., accreditatosi come membro di un’associazione criminale di etnia albanese dedita al traffico internazionale di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente prevalentemente del tipo eroina e in misura minore del tipo cocaina, importata in Italia e smerciata in parte nel territorio pugliese.
Evidenzia, altresì, che C.E., nei suoi interrogatori (in cui rendeva dichiarazioni auto ed etero accusatorie, giudicate intrinsecamente attendibili ed estrinsecamente suffragate da numerosissimi elementi di riscontro), ha indicato M.A. “quale uno dei fedeli e consolidati acquirenti dello stupefacente stesso, che si occupava della relativa distribuzione nella città di Taranto”.
Richiama, inoltre, il contenuto di plurime conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali si è desunto, anche per il tramite di contestuali operazioni di polizia giudiziaria dirette all’acquisizione di riscontri, che più volte S.V., su incarico di C.E., si fosse recata a Taranto per la consegna della droga a M.A., il quale a sua volta provvedeva al pagamento delle forniture.
La conclusione è che è stata ritenuta provata la sussistenza di una associazione che commerciava ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, in relazione alla quale era emerso il ruolo di organizzatore di C.E., quello di fedelissimi collaboratori della S.V. e di N.I. nonché “quello di M.A. quale stabile acquirente di consistenti quantitativi di eroina, e poi anche di cocaina, da smerciare non certo al minuto nel mercato pugliese”.
- Dal complesso delle sentenze che hanno costituito l’oggetto della valutazione del giudice dell’esecuzione, risulta, dunque, che:
– M.A. faceva parte con compiti direttivi e organizzativi di una associazione a delinquere a Taranto, dedita al traffico di sostanze stupefacenti, per un periodo addirittura con il compito di sovrintendere alla generalità degli affari illeciti;
– nel medesimo periodo faceva capo anche ad un’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, operante prevalentemente a Roma, dalla quale acquistava stabilmente e periodicamente cospicui quantitativi di eroina e cocaina “da smerciare non certo al minuto nel mercato pugliese”.
Che – come afferma la sentenza del g.i.p. del Tribunale di Roma – lo stupefacente acquistato a Roma e consegnato a M.A. a Taranto non fosse destinato al commercio al minuto, significa evidentemente che era invece destinato al suo smercio all’ingrosso.
E se è cosi, significa, al tempo stesso, che la sua distribuzione sul mercato tarantino necessitava di una struttura dotata di uomini e mezzi, la quale si incaricasse della organizzazione e del coordinamento dello spaccio, potendo contare su una già sperimentata capacità operativa e su un certo controllo del territorio.
In questa prospettiva, sarebbe stato del tutto ragionevole e nient’affatto arbitrario collegare la già esistente associazione tarantina all’attività di procacciamento dello stupefacente che M.A. svolse in direzione di Roma.
Si intende dire che, acclarate indiscutibilmente la omogeneità della tipologia dei reati e la contiguità temporale della loro commissione, la partecipazione dell’imputato a due diverse associazioni a delinquere poteva considerarsi espressione della graduale progressività del suo iniziale impegno criminoso, nel senso che, impiantato nei suoi luoghi di appartenenza un traffico associativo di stupefacenti, era necessario, poi, prevedere di assicurarsi l’accesso a stabili canali di approvvigionamento della sostanza, anche mediante l’adesione ad altri sodalizi criminali, in funzione essenzialmente del procacciamento della sostanza stessa.
Insomma, la successiva partecipazione di M.A. ad altra associazione, con la conseguente commissione di più reati-fine, aveva l’attitudine ad apparire sorretta dallo stesso scopo della prima associazione per agevolarne la operatività.
Peraltro, la medesimezza del disegno criminoso poteva considerarsi avvalorata o quantomeno non avversata dalla concreta natura dei due sodalizi in questione, dal momento che quello romano facente capo a C.E. non era né coincidente o concorrente con quello di Taranto, né, per converso, del tutto alieno rispetto ad esso: sicché ben avrebbe potuto ipotizzarsi la sussistenza di un piano unitario che, magari previa deliberazione solo a grandi linee delle singole violazioni di legge, contemplava comunque la evenienza di un apporto esterno all’associazione tarantina mediante la commissione di un altro reato associativo da parte di uno dei suoi dirigenti.
- Ciò posto, la Corte d’Appello di Lecce, tuttavia, non ha ravvisato elementi sintomatici di una comune programmazione dei reati per i quali è intervenuta condanna della Corte d’Appello di Roma rispetto ai reati oggetto delle altre due sentenze.
In particolare, può non infondatamente sintetizzarsi che, secondo il provvedimento impugnato, non sia possibile affermare che la sostanza stupefacente fosse acquistata da M.A. a Roma per conto dell’associazione di Taranto per due ordini di ragioni.
Da un lato, si è osservato che il coimputato collaborante C.E. non aveva fatto esplicito riferimento a gruppi criminali pugliesi quali destinatari finali della sostanza acquistata dall’imputato (si era limitato a riferire di sapere che l’imputato fosse il nipote del capo dell’associazione di Taranto).
Si tratta, però, di argomentazione in definitiva inconferente, giacché nel caso di specie la identità del disegno criminoso (ovvero, la corrispondenza tra un eventuale disegno programmato e le condotte oggettive conseguentemente poste in essere) doveva sussistere, non tra due associazioni intese come enti e nemmeno intese come gli individui che le componevano, bensì in capo a M.A.; la circostanza che C.E. non conoscesse la precisa collocazione della droga che gli vendeva, perciò, non sarebbe rilevante ai fini dell’eventuale disconoscimento della continuazione, e ciò a voler tacere del fatto che comunque l’albanese era consapevole dei legami di parentela del ricorrente con il capo dell’associazione di Taranto e della immissione della sostanza stupefacente sul mercato pugliese.
Dall’altro lato, il provvedimento impugnato sottolinea che era emerso piuttosto, in uno dei processi leccesi, che proprio in quel periodo M.A. avesse avuto motivi di contrasto con la sua associazione di appartenenza, dall’interno della quale gli veniva appunto contestato di agire in autonomia nel settore del traffico di stupefacenti.
Senonché, dalla sentenza richiamata emerge innanzitutto (in particolare, dalle intercettazioni) che le critiche principali a M.A. erano motivate dal fatto che costui avesse autonomamente contrattato ed acquistato una partita di marijuana, provvedendo anche a piazzarla sul mercato. Non si può trattare, pertanto, della droga arrivata a Taranto dal canale romano, che consisteva invece, come si è detto, in eroina e cocaina, sostanze di diversa natura.
E anche nel prosieguo della sentenza in questione, risulta non tanto che M.A. non avvisasse i consociati dei nuovi approvvigionamenti di droga, quanto che costoro lamentassero una insufficiente rendicontazione dei relativi guadagni e una loro altrettanto insufficiente spartizione.
Dunque, da questi elementi evidenziati dal giudice dell’esecuzione non è possibile trarre la obbligata conclusione che il ricorrente acquistasse lo stupefacente a Roma per traffici da lui gestiti in completa autonomia e in modo del tutto sganciato dalla associazione criminosa a cui faceva riferimento (e tanto meno con persone diverse dai suoi sodali abituali).
- Alla luce di quanto fin qui considerato, dunque, il parziale diniego dell’applicazione della disciplina del reato continuato, pur in presenza di indici assai significativi come la omogeneità della tipologia dei reati e la contiguità temporale degli stessi, avrebbe necessitato di una verifica più stringente degli elementi sulla base dei quali è stata infine esclusa l’identità del disegno criminoso.
Ne consegue, quindi, che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione per un nuovo esame della richiesta alla luce dei criteri già affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che sono stati sopra richiamati.