Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15 gennaio 2025 n. 267
PRINCIPIO DI DIRITTO
[E’] ancora vigente l’obbligo di comunicazione dei dati reddituali e patrimoniali quale si ricava dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, in via del tutto autonoma dall’art. 14, comma 1-bis del medesimo decreto legislativo (dichiarato costituzionalmente illegittimo), e dall’articolo 13, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 (richiamato dall’art. 1, comma 7, lett. a), del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, come convertito dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, il quale ha stabilito che resta fermo «per tutti i titolari di incarichi dirigenziali l’obbligo di comunicazione dei dati patrimoniali e reddituali» di cui al citato art. 13, comma 3, del codice di comportamento dei dipendenti pubblici).
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
Con l’appello in trattazione, la Federazione Nazionale Dirigenti Enti Locali, struttura regionale del Veneto, chiede la riforma della sentenza 29 giugno 2022, n. 1119, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha respinto il ricorso proposto dalla stessa associazione sindacale per l’annullamento della nota del 3 dicembre 2020 con la quale il Comune di Vicenza aveva richiesto a tutti i propri dirigenti di comunicare i dati riguardanti la loro situazione patrimoniale e reddituale. In tale nota veniva precisato che tali dati sarebbero stati pubblicati “esclusivamente per i direttori di area e il direttore generale”, mentre le dichiarazioni patrimoniali e reddituali relative agli altri dirigenti – comunque da presentare ai sensi dell’art. 13, comma 3, del d.P.R. n. 62 del 2013 (recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici) e dell’art. 11, comma 2, del codice di comportamento del Comune di Vicenza – non sarebbero state pubblicate «ai sensi di quanto disposto dalla sentenza della Corte costituzionale 20/2019 e della deliberazione ANAC n. 586 del 26 giugno 2009».
Il T.a.r. ha respinto il ricorso sull’assunto che, dopo la citata pronuncia della Corte costituzionale, l’obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali e reddituali è rimasto per i soli dirigenti nominati ai sensi dell’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, non invece per tutti gli altri incarichi dirigenziali, per i quali è rimasto comunque l’obbligo di comunicazione di tali dati patrimoniali, secondo quanto previsto anche dai citati codici di comportamento dei dipendenti pubblici. La comunicazione riguarda tutti i dati reddituali e patrimoniali percepiti annualmente dal dirigente, e non solo a quelli a carico della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 1, comma 7, lett. a), del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, come convertito dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, e dall’art. 13, comma 3, del D.P.R. n. 62 del 2013. La misura tiene conto del bilanciamento con il diritto alla riservatezza del dirigente in quanto, anche nel caso di istanza di accesso civico generalizzato, la tutela della posizione giuridica dell’interessato sarebbe rimessa all’Amministrazione Comunale, essendo quest’ultima tenuta a valutare, ai fini dell’eventuale ostensione, la sussistenza dei limiti e delle esclusioni di cui all’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013.
Come correttamente evidenziato dal primo giudice, la sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui prevedeva che le pubbliche amministrazioni dovessero pubblicare i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo «anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)».
La Corte [Costituzionale], pertanto, non ha ritenuto illegittima la previsione dell’obbligo di comunicare la situazione [reddituale e] patrimoniale del dirigente (anche se non sia stato nominato per uno degli incarichi di cui all’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), limitandosi a colpire l’imposizione dell’obbligo di pubblicazione indiscriminata dei dati reddituali e patrimoniali per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, ritenuto non conforme al principio di ragionevolezza e di proporzionalità.
Pertanto, correttamente il primo giudice ha ritenuto (anche sulla scorta delle osservazioni formulate dalla Corte e sopra riferite) ancora vigente l’obbligo di comunicazione dei dati reddituali e patrimoniali quale si ricava dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, in via del tutto autonoma dall’art. 14, comma 1-bis del medesimo decreto legislativo (dichiarato costituzionalmente illegittimo), e dall’articolo 13, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 (richiamato dall’art. 1, comma 7, lett. a), del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, come convertito dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, il quale ha stabilito che resta fermo «per tutti i titolari di incarichi dirigenziali l’obbligo di comunicazione dei dati patrimoniali e reddituali» di cui al citato art. 13, comma 3, del codice di comportamento dei dipendenti pubblici).
Dichiarazione da presentare non solo all’atto della assunzione ma da rinnovare di anno in anno.
Così come non può ritenersi una estensione eccessiva (e quindi contraria al principio di proporzionalità) la previsione secondo cui l’oggetto della suddetta dichiarazione del dirigente pubblico deve racchiudere anche i redditi percepiti da altre amministrazioni o da privati, posto che la conoscenza della provenienza dei redditi, e in specie di quelli provenienti da soggetti diversi dall’amministrazione presso il quale presta servizio il dirigente (lettera d) e lettera e) dell’art. 14, comma 1 cit.), è pienamente funzionale allo scopo principale perseguito dalla norma che impone gli obblighi dichiarativi e di pubblicazione, ossia (come precisato nella citata sentenza della Corte costituzionale) il contrasto alla corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione.
Non sussiste nemmeno il rischio, paventato dall’appellante, circa la possibilità che la mera detenzione dei dati comunicati dai dirigenti possa sostanzialmente equivalere alla pubblicazione, quando venga utilizzato lo strumento dell’accesso civico. Va osservato sul punto che l’art 5, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 […] va ricollegato alle altre disposizioni che pongono limiti all’esercizio del diritto di accesso civico e in particolare alle norme che escludono l’accesso quando la legge impone il divieto di divulgazione […]
In conclusione, l’appello va respinto.
Le spese giudiziali vanno compensate tra le parti in ragione della novità e complessità delle questioni esaminate.