<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>M</strong><strong>assima </strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le c.d. Autorità indipendenti pongono in essere comportamenti, atti e provvedimenti che coinvolgono a vario titolo una vasta platea di soggetti, taluni direttamente coinvolti nel relativo “</em>fare<em>”, altri (più o meno) indirettamente lambiti – con possibili profili di pregiudizio – massime dal loro “</em>non fare<em>”; esse presidiano settori giuridico-economici delicati, oltre che connotati da elevato tecnicismo, con conseguente necessità di mettere a fuoco chi può contestarne l’operato, dinanzi a quale Autorità e a quale Giudice e, non ultimo, con quale possibile penetrazione di pertinente scandaglio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, secondo il cui art.95 il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri (comma 1); i Ministri, a propria volta, sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri (comma 2); particolarmente importante il comma 3, onde la legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri: una norma che non sembra concepire Amministrazioni non piramidalmente incardinate nel Governo e, come tali, “<em>atipiche</em>” in quanto sottratte al c.d. circuito democratico (Governo con la fiducia delle Camere). Importante sullo specifico crinale della tutela giurisdizionale l’art.103, che qualifica la giurisdizione amministrativa in senso “<em>soggettivo</em>” (potendo il GA essere adito a tutela di interessi legittimi e, in particolari materie previste dalla legge, di diritti soggettivi, e giammai ad “<em>oggettiva</em>” tutela di interessi pubblici) e l’art.113 della Carta alla cui stregua è sempre ammessa proprio la ridetta tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione, senza che tale tutela possa essere esclusa o limitata a determinati mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti: si tratta di una disposizione assai importante nell’ottica della via via sempre più convintamente ammessa natura amministrativa delle <em>Authorities</em>, con conseguente non sottraibilità dei relativi atti alle garanzie che la Costituzione all’uopo predispone per i privati.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 maggio viene varata la legge n.168, recante istituzione del Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica, il cui art.6 comma 10 prevede che il competente Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'Università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito; gli organi competenti dell'Università coinvolta possono non conformarsi ai rilievi di legittimità con deliberazione adottata dalla maggioranza dei tre quinti dei relativi componenti, ovvero ai rilievi di merito con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta; in tal caso il Ministro può significativamente ricorrere contro l'atto emanato dal rettore, in sede di giurisdizione amministrativa per i soli vizi di legittimità. Quando poi la maggioranza qualificata non sia stata raggiunta, le norme contestate non possono essere emanate.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre viene varata la legge n.287, che – nel recare norme a tutela della concorrenza e del mercato - istituisce l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi AGCM); il relativo art.33 devolve alla giurisdizione esclusiva del GA le controversie aventi ad oggetto i relativi provvedimenti, salva la giurisdizione del GO – e precisamente della Corte d’Appello di Roma – per le questioni di nullità degli accordi anticoncorrenziali, ivi comprese le relative implicazioni risarcitorie. Importante anche l’art.31 che fa rinvio alle disposizioni della legge 689.81, con conseguente necessità di un coordinamento stante la previsione – in tale provvedimento normativo – della giurisdizione esclusiva del GO in tema di irrogazione di sanzioni amministrative in generale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.52 che si occupa della giurisdizione in tema di sanzioni irrogate dall’AGCM. Per il Collegio, le soluzioni che si prospettano sono – in via alternativa – sostanzialmente due: se si fa riferimento infatti al criterio della <em>lex posterior</em>, prevale in ogni caso la giurisdizione amministrativa, e dunque quella del GA, anche sulle sanzioni irrogate dalla AGCM (essendo la legge 287.90 posteriore alla legge 689.81); se invece si fa riferimento al criterio della <em>lex specialis</em>, mentre sui poteri di vigilanza va affermata la giurisdizione del GA, per i poteri sanzionatori dell’AGCM va piuttosto affermata la giurisdizione del GO, prevalendo quale <em>lex specialis</em> – quand’anche anteriore – la legge 689.81 sulla successiva (e generale) legge 287.90. Al fine di scegliere la migliore soluzione dal punto di vista ermeneutico, le SSUU mettono a confronto le due norme rilevanti nel caso di specie in seno alla legge 287.90, ovvero l’art.33 – alla cui stregua “<em>i ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati sulla base delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV della presente legge rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo</em>” – ed il precedente art.31 – alla cui stregua “<em>per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981 n.689</em>”, con previsione generalizzata di giurisdizione del GO sulle sanzioni amministrative (c.d. ordinanze ingiunzioni) – e, muovendo dal fine di garantire la massima concentrazione dei giudizi nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del GA, concludono nel senso onde la cognizione sulle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti sanzionatori adottati dall’AGCM deve essere riconosciuta, ai sensi del combinato disposto dei ridetti articoli 31 e 33 della legge 287.90, alla giurisdizione esclusiva del GA, il richiamo fatto dall’art.31 alle disposizioni della legge 689.81 dovendosi intendere riferito alla disciplina di taluni aspetti sostanziali dell’illecito o della procedura di irrogazione della sanzione e della conseguente riscossione, e non anche per l’appunto alla <em>potestas iudicandi</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 novembre viene varata la legge n.481 recante norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità ed istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità. Secondo il relativo art.2, comma 1, sono istituite le Autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità, competenti, rispettivamente, per l'energia elettrica e il gas e per le telecomunicazioni; ai sensi del successivo comma 25, i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti delle ridette Autorità rientrano nella giurisdizione esclusiva del GA e sono proposti davanti al TAR ove ha sede l’Autorità medesima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 dicembre viene varata la legge n.675 in tema di tutela della riservatezza che – per le controversie tra le parti coinvolte nel trattamento dei dati personali, comprese quelle aventi ad oggetto i provvedimenti del Garante della privacy – prevede (art.29) la giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 luglio viene varata la legge n.249, recante istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo, secondo il cui art.1, comma 26, i ricorsi avverso i pertinenti provvedimenti rientrano nella giurisdizione esclusiva del GA, con competenza in primo grado attribuita in via esclusiva ed inderogabile al TAR Lazio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 dicembre viene varato il decreto legislativo n.446, recante “<em>Istituzione dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonche' riordino della disciplina dei tributi locali</em>”, il cui art.52 - nel disciplinare una potestà regolamentare generale delle Provincie e dei Comuni in materia impositiva – afferma al comma 4 che il Ministero delle finanze può impugnare tali regolamenti (degli Enti locali) sulle entrate tributarie per vizi di legittimità avanti gli organi di giustizia amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 31 marzo viene varato il decreto legislativo n.80, il cui art.33 devolve alla giurisdizione esclusiva del GA tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi comprese quelle afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge n.481 del 1995.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 maggio esce il parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n.988 che assume sottoponibili al ricorso straordinario al Capo dello Stato gli atti dell’AGCM, stante la natura amministrativa riconoscibile tanto all’Autorità che agli atti da essa posti in essere.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 aprile 1999 esce la fondamentale sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.601, che per la prima volta ammette la possibilità per il GA di scandagliare la c.d. discrezionalità tecnica della PA, riconoscendo come essa compendi qualcosa di diverso dal merito amministrativo e sia dunque sindacabile <em>ab intrinseco</em>, potendo essere valutata dal GA la correttezza del criterio tecnico applicato e del procedimento applicativo seguito che, laddove non già semplicemente opinabile quanto, piuttosto e più gravemente, inattendibile, ridondi in vizio di legittimità del provvedimento adottato dall’Amministrazione tecnicamente qualificata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 febbraio esce la legge n.28, recante disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica. Di particolare rilievo l’art.10, comma 10, alla cui stregua i provvedimenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui all’articolo stesso possono essere impugnati dinanzi al Tar Lazio entro 30 giorni dalla comunicazione degli stessi, e dunque in un termine di proposizione dimidiato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 luglio viene varata la legge n.205, il cui art.4 innesta nella legge 1034.71 istitutiva dei TAR un nuovo art.23 bis e, con esso un rito particolare accelerato per tutta una serie di controversie, tra le quali quelle (comma 1, lettera d) concernenti i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti. In queste fattispecie il dispositivo della sentenza, tanto di primo che di secondo grado, viene sempre pubblicato a valle dell’udienza di discussione. L’art.16 poi, novellando l’art.44 del T.U. sulle leggi sul Consiglio di Stato e dunque il R.D. 1054.24, integra i poteri istruttori del GA ammettendo la consulenza tecnica d’ufficio (CTU), disposta dal GA medesimo in veste di terzo e non dunque dall’Amministrazione-parte (come nel caso delle c.d. verificazioni).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.3132, che si occupa della delicata fattispecie risarcitoria in tema di omessa vigilanza della Consob sul mercato mobiliare e di connessi danni subiti dai risparmiatori. Mentre non vi sono mai stati dubbi sulla configurabilità di una responsabilità della Consob nei confronti dei soggetti sottoposti alla relativa vigilanza e da essa direttamente lesi, la Corte giunge ora a configurare una responsabilità anche omissiva della ridetta Autorità, e dunque afferente ai danni subiti da consumatori, risparmiatori ed utenti (da assumersi quali soggetti che l’ordinamento tutela giusta istituzione di appositi organismi di vigilanza) per illegittime omissioni perpetrate o comunque per carenza dei doverosi controlli imputabili per l’appunto alla Consob. Per la Corte, va ammessa ipotizzabile una responsabilità della ridetta Autorità per i danni subiti dai risparmiatori che siano stati coinvolti in operazioni di sottoscrizione di titoli azionari con riguardo alle quali essa sia stata acclarata non aver esercitato i propri poteri di vigilanza, rimanendo sullo sfondo la questione della natura giuridica della situazione soggettiva vantata da tali risparmiatori, più vicina al diritto all’integrità del patrimonio che all’interesse legittimo, stante in relazione a quest’ultimo la difficoltà di isolare una posizione differenziata rispetto a quella, generica, alla legittimità dell’azione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo viene varato il decreto legislativo n.165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, il cui art.3, comma 1 – in deroga a quanto stabilito dall’art.2, comma 2 e 3, onde i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici sono normalmente regolati per via contrattuale e disciplinati dal codice civile – lascia disciplinati dai rispettivi ordinamenti (pubblicistici) – assieme a Magistrati, Avvocati e Procuratori dello Stato e così via - i dipendenti che svolgono la loro attività nelle materie del credito e del risparmio, con particolare riguardo dunque alla Banca d’Italia e alla Consob, nonché i dipendenti di AGCM. La norma sembra escludere dalla contrattualizzazione il solo statuto lavoristico in senso stretto del personale di tali Autorità, sottratto dunque all’egida precettiva del nuovo Testo Unico, che rimane tuttavia soggetto ad altri compendi precettivi scolpiti nel decreto in parola, quali la distinzione tra funzioni di indirizzo e controllo, da un lato, e funzioni di gestione dall’altro; la c.d. responsabilità dirigenziale; le incompatibilità; le previsioni del c.d. “<em>codice etico</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">L’11 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.9383, onde la competenza giurisdizionale a conoscere delle opposizioni ex art.196 del decreto legislativo 58.98 avverso le sanzioni inflitte dalla Consob ai promotori finanziari, anche di tipo interdittivo, spetta al GO, sol che si consideri come tali sanzioni, non diversamente da quelle pecuniarie, debbono essere applicate sulla base della gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva, e dunque sulla base di criteri che non possono assumersi espressione di discrezionalità amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2199 alla cui stregua, pur potendo il GA sindacare le valutazioni tecniche operate da un’Autorità indipendente, viene abbracciata la tesi del c.d. sindacato debole onde il giudice può solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della relativa motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della pertinente deliberazione, ma non può anche sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità, da intendersi ad essa riservate.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7341 alla cui stregua l’ordinamento non conosce un <em>tertium genus</em> tra Amministrazione e Giurisdizione, poteri ai quali la Costituzione riserva rispettivamente, per distinguerne e disciplinarne le attività, gli articoli 97 e 111 Cost. Non si configura dunque nel sistema costituzionale una figura di paragiurisdizionalità a se stante, distinta dalle due predette. La pronuncia – che decide un ricorso in cui è coinvolto il Garante per la protezione dei dati personali (c.d. Garante <em>privacy</em>) - costituisce una (implicita) freccia nell’arco di chi ammette l’esperibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso gli atti delle <em>Autorithies</em>, da assumersi come Autorità amministrative e non già come “<em>para-giudici</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 ottobre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.5156 alla cui stregua, pur potendo il GA sindacare le valutazioni tecniche operate da un’Autorità indipendente, viene abbracciata la tesi del c.d. sindacato debole onde il giudice può solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della relativa motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della pertinente deliberazione, ma non può anche sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità, da intendersi ad essa riservate.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.17475 che, in una vertenza in materia di polizze assicurative intentata contro l’Isvap, esclude che soggetti terzi rispetto a coloro che sono coinvolti nel procedimento amministrativo dell’Autorità vigilante (nel caso di specie, una impresa di assicurazione) possano assumersi legittimati a ricorrere avverso gli atti e i provvedimenti dell’Autorità medesima; più in specie il soggetto assicurato, per la Corte, non può assumersi titolare di un interesse differenziato al corretto esercizio dell’attività di vigilanza da parte dell’Isvap rispetto alla propria impresa di assicurazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">*L’11 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.1992, onde la competenza giurisdizionale a conoscere delle opposizioni ex art.196 del decreto legislativo 58.98 avverso le sanzioni inflitte dalla Consob ai promotori finanziari, anche di tipo interdittivo, spetta al GO, sol che si consideri come tali sanzioni, non diversamente da quelle pecuniarie, debbono essere applicate sulla base della gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva, e dunque sulla base di criteri che non possono assumersi espressione di discrezionalità amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 giugno viene varato il decreto legislativo n.196 in tema di tutela della riservatezza che – per le controversie tra le parti coinvolte nel trattamento dei dati personali, comprese quelle aventi ad oggetto i provvedimenti del Garante della privacy – ribadisce la giurisdizione appartenere al GO.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.11632, alla cui stregua il fatto che alle c.d. Autorità indipendenti sia riconosciuta una speciale posizione (per l’appunto) di indipendenza nell’ordinamento giuridico (massime nella relativa declinazione pubblicistica) non vale ad attribuire a queste ultime, e per di più in via esclusiva, l’esercizio di una funzione giurisdizionale spettante – nel vigente sistema costituzionale – ai soli giudici ordinari e speciali. I principi costituzionali della pienezza della tutela giurisdizionale e del diritto di difesa escludono altresì, per il Collegio, che possa configurarsi una riserva di amministrazione, sia pure a favore di Autorità indipendenti; del resto, chiosa ancora la Corte, il sindacato giurisdizionale sugli atti di tali Autorità, ivi compresi quelli resi a seguito di procedimenti contenziosi e definiti “<em>paragiurisdizionali</em>”, si registra come generalmente ammesso dalla giurisprudenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.926, che si pone su una posizione di superamento della dicotomia tra sindacato “<em>debole</em>” e sindacato “<em>forte</em>” spiegato dal GA sui provvedimenti delle Autorità indipendenti connotati da discrezionalità tecnica. Per il Collegio non rileva tanto qualificare il controllo giurisdizionale in parola come “<em>debole</em>” o come “<em>forte</em>”, quanto l’esercizio di un sindacato tendente ad un modello comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie che vedono attribuito al giudice il compito non già di esercitare un potere in materia di <em>antitrust</em>, quanto piuttosto di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all’Autorità <em>antitrust</em> sia stato correttamente dalla medesima esercitato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3865 che si occupa della legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità indipendente da parte di soggetti “<em>controinteressati</em>” e, come tali, non direttamente incisi dal provvedimento finale adottato dall’Autorità medesima. Più in specie, con questa importante pronuncia il Consiglio supera la tesi restrittiva fino ad ora invalsa onde sono legittimati ad impugnare gli atti dell’Autorità i soli soggetti che siano direttamente incisi dai relativi provvedimenti, e non anche i soggetti “<em>controinteressati</em>” rispetto all’azione di controllo dell’Autorità medesima, con particolare riguardo agli imprenditori concorrenti (operanti nel medesimo settore di attività) e ciò in quanto l’Autorità spiegherebbe una attività preordinata a tutelare l’interesse pubblico alla libertà di iniziativa economica, onde tutti i soggetti non direttamente coinvolti nell’attività medesima né destinatari diretti del pertinente provvedimento sarebbero titolari di un interesse di mero fatto dalla natura indifferenziata rispetto all’interesse pubblico in parola; questa opzione ermeneutica si appunta sulla scissione tra partecipazione procedimentale, da un lato, e legittimazione processuale, dall’altro, onde essere legittimati a partecipare al procedimento non implica necessariamente, di riflesso, la legittimazione processuale, sicché è ben possibile in questo prisma ermeneutico che i terzi “<em>controinteressati</em>” partecipino ai procedimenti dell’Autorità e financo diano ad essi avvio giusta denuncia senza che ciò rechi necessariamente seco la legittimazione ad impugnare il provvedimento nel quale tale procedimento esita.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio abbraccia invece – innovativamente - la tesi più ampliativa, assumendo l’opposta (e più restrittiva) opzione ermeneutica in frizione con il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale di cui all’art.24 e 113 Cost., oltre che in contrasto con i principi sovranazionali di pertinenza, allargando dunque la legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità e riconoscendola anche in capo ai terzi “<em>controinteressati</em>”, ai cui interessi viene riconosciuta tanto rilevanza procedimentale quanto rilievo processuale in termini appunto di legittimazione “<em>ampliata</em>” ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità ridetta. Per il Collegio in particolare gli operatori economici nel medesimo settore di attività dell’impresa (di volta in volta) controllata vantano, a propria volta, un interesse differenziato rispetto a quello del <em>quisque de populo</em>, vulnerabile in via personale, immediata e diretta da una eventuale violazione delle norme sulla concorrenza, con conseguente profilarsi di un interesse diretto, concreto ed attuale (e, dunque, di una legittimazione) ad impugnare i provvedimenti resi dall’Autorità nei confronti dell’operatore vigilato, a questo favorevoli ed assunti appunto viziati da illegittimità per non corretta spendita del pertinente potere da parte dell’Autorità in parola.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.204 che, nell’assumere legittima la devoluzione di controversie alla giurisdizione esclusiva del GA solo in presenza di un potere pubblico, riscrive l’art.33, comma 1, del decreto legislativo 80.98, lasciando devolute per l’appunto alla giurisdizione esclusiva del GA tutte le controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla PA o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 241.90, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni, sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 481.95. La Corte salva dunque, in qualche modo, la giurisdizione esclusiva del GA sui provvedimenti espressione di potere amministrativo riconducibili alle <em>Authorities</em>. Importante anche la caducazione dell’art.33, comma 2, lettera e), nella parte in cui riserva al GO le controversie “<em>meramente risarcitorie</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 22 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.13703, onde la competenza giurisdizionale a conoscere delle opposizioni ex art.196 del decreto legislativo 58.98 avverso le sanzioni inflitte dalla Consob ai promotori finanziari, anche di tipo interdittivo, spetta al GO, sol che si consideri come tali sanzioni, non diversamente da quelle pecuniarie, debbono essere applicate sulla base della gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva, e dunque sulla base di criteri che non possono assumersi espressione di discrezionalità amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.1362 che si occupa dell’art.33 del decreto legislativo 80.98, laddove prevede la giurisdizione esclusiva del GA per le controversie in materia di vigilanza (nel caso di specie, sulla intermediazione finanziaria), chiedendosi se tale giurisdizione esclusiva del GA possa estendersi anche ai provvedimenti sanzionatori delle Autorità indipendenti (nel caso di specie, la Consob) o se questi ultimi, quale espressione di un potere “<em>para-penale</em>” di tipo punitivo-sanzionatorio, non siano piuttosto appannaggio della giurisdizione esclusiva del GO ai sensi della legge 689.81. Per la Corte, anche sulla scorta di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 204.04, le controversie che abbiano ad oggetto il legittimo esercizio della potestà sanzionatoria da parte delle Autorità devono assumersi appannaggio del GO. Per la Corte, più in specie, anche dopo l’entrata in vigore della legge 205.00, le controversie relative all’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate (in sede di vigilanza) per la violazione delle norme relative alla disciplina dell’attività di intermediazione finanziaria devono assumersi devolute appunto alla giurisdizione del GO.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.280 che si occupa della legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità indipendente da parte di soggetti “<em>controinteressati</em>” e, come tali, non direttamente incisi dal provvedimento finale adottato dall’Autorità medesima. Più in specie, il Consiglio ribadisce il superamento della tesi restrittiva fino ad ora invalsa onde sono legittimati ad impugnare gli atti dell’Autorità i soli soggetti che siano direttamente incisi dai relativi provvedimenti, e non anche i soggetti “<em>controinteressati</em>” rispetto all’azione di controllo dell’Autorità medesima, con particolare riguardo ai consumatori, massime se raccolti in associazioni, e ciò in quanto l’Autorità spiegherebbe una attività preordinata a tutelare l’interesse pubblico alla libertà di iniziativa economica, onde tutti i soggetti non direttamente coinvolti nell’attività medesima né destinatari diretti del pertinente provvedimento sarebbero titolari di un interesse di mero fatto dalla natura indifferenziata rispetto all’interesse pubblico in parola; questa opzione ermeneutica si appunta sulla scissione tra partecipazione procedimentale, da un lato, e legittimazione processuale, dall’altro, onde essere legittimati a partecipare al procedimento non implica necessariamente, di riflesso, la legittimazione processuale, sicché è ben possibile che i terzi “<em>controinteressati</em>” partecipino ai procedimenti dell’Autorità e financo diano ad essi avvio giusta denuncia senza che ciò rechi necessariamente seco la legittimazione ad impugnare il provvedimento nel quale tale procedimento esita.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio abbraccia invece – innovativamente ribadendola - la tesi più ampliativa, assumendo l’opposta e più restrittiva opzione ermeneutica in frizione con il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale di cui all’art.24 e 113 Cost., oltre che in contrasto con i principi sovranazionali di pertinenza, allargando la legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità e riconoscendola anche in capo ai terzi “<em>controinteressati</em>”, ai cui interessi viene riconosciuta tanto rilevanza procedimentale quanto rilievo processuale in termini appunto di legittimazione “<em>ampliata</em>” ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità ridetta. Per il Collegio in particolare le associazioni di consumatori vengono assunte portatrici di un interesse qualificato e differenziato alla corretta informazione economica ed alla conseguente libertà di autodeterminazione nelle scelte di acquisto, interesse vulnerato in particolare dalle pratiche c.d. di pubblicità ingannevole, onde al potere di vigilanza dell’Autorità in tema di pubblicità ingannevole ed ai relativi provvedimenti si giustappongono i controinteressati <em>sub specie</em> di consumatori e, massime, collettivi laddove organizzati in associazioni.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 febbraio esce l’importante sentenza delle SSUU della Cassazione n.2207 che, mutando orientamento rispetto al contrario precedente della I sezione del 2002, ammette la tutela dei “<em>terzi</em>” avverso gli atti di una Autorità assumendo come, con riguardo al caso di specie, la legge 287.90 (istitutiva dell’AGCM) non sia stata emanata a presidio dei soli imprenditori, quanto piuttosto di tutti i soggetti protagonisti del mercato di riferimento, e dunque anche dei consumatori, come palesa in particolare l’art.4 della legge ridetta che – laddove attribuisce all’Autorità il potere di autorizzare un’intesa potenzialmente lesiva della concorrenza – addita anche il “<em>beneficio del consumatore</em>” tra i parametri che l’Autorità medesima deve avere presenti allorché esercita il pertinente potere. Proprio muovendo da questo presupposto, per la Corte al cospetto di una intesa illecita perché anticoncorrenziale si producono effetti pregiudizievoli capaci di propagarsi fino all’ultimo anello della filiera che compendia il mercato di riferimento, e dunque fino al consumatore finale che può risultarne pregiudicato nel diritto alla libera scelta tra prodotti equivalenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1113, che decide su un ricorso avverso un provvedimento con il quale la AGCM ha autorizzato una operazione di concentrazione societaria, ricorso spiccato da altra società operante nel mercato di riferimento secondo la quale si sarebbe al cospetto di un atto anticoncorrenziale. Il Consiglio riconosce dunque la tutela del terzo e la relativa legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell’AGCM (pur senza essere il destinatario di tali provvedimenti) sulla scorta della considerazione onde le imprese concorrenti ed operanti nel medesimo settore economico non si trovano sullo stesso piano degli altri appartenenti alla collettività (<em>quisque de populo</em>), non essendo portatori di un interesse indifferenziato alla concorrenza nel mercato di riferimento. Tali imprese vantano piuttosto, per il Collegio, un interesse personale ed individuale al rispetto della normativa <em>antitrust</em>, in quanto dalle determinazioni dell’Autorità, pur dirette ad altri, possono derivare uno svantaggio (al cospetto di deliberazioni di natura autorizzatoria) o un vantaggio (come nelle fattispecie di procedimenti inibitori o sanzionatori) entrambi chiaramente riferibili alla rispettiva sfera individuale. Una spia della rilevanza anche sul crinale processuale (e, dunque, della legittimazione a ricorrere) di tali imprese concorrenti il Collegio ritrae dalla legittimazione riconoscibile in capo alle imprese medesime a partecipare al procedimento funzionale all’adozione del provvedimento gravato; una legittimazione procedimentale che affiora da talune specifiche disposizioni quali l’art.12, comma 1, della legge 287.90, onde chiunque vi abbia interesse può addurre elementi portandoli a conoscenza dell’AGCM; l’art.14, comma 1 e 2, della medesima legge 287.90, alla cui stregua l’Autorità notifica l’apertura dell’istruttoria “<em>alle imprese e agli enti interessati</em>”, e – in ogni momento dell’istruttoria medesima – può richiedere alle imprese, enti o persone che ne siano in possesso di fornire informazioni o esibire documenti utili ai fini dell’istruttoria in parola; l’art.6, comma 4, del D.p.R. 217.98 (regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell'AGCM), laddove prescrive l’obbligo di comunicare l’avvio dell’istruttoria non già solo ad imprese ed enti interessati dal procedimento ma anche ai soggetti che, ai sensi dell’art.12, comma 1, della legge 287.90, quali titolari di un interesse diretto, immediato ed attuale, hanno presentato denunce o istanze utili all’avvio dell’istruttoria medesima, dovendo peraltro tali soggetti essere anche sentiti ai sensi dell’art.14, comma 5 e 6, del medesimo D.p.R.; l’art.7 ancora del D.p.R. 217.98, laddove ammette all’istruttoria coloro che siano portatori di interessi pubblici o privati, nonché le associazioni rappresentative dei consumatori, cui possa derivare un pregiudizio diretto, immediato ed attuale dalle infrazioni oggetto dell’istruttoria stessa o dai provvedimenti che al relativo esito vengano adottati dall’Autorità. Tanto dunque gli operatori economici concorrenti (operanti nel medesimo settore di riferimento) quanto i consumatori vanno per il Consiglio assunti quali “<em>terzi</em>” portatori di una posizione giuridica soggettiva autonoma, differenziata e sufficientemente qualificata alla correttezza dell’operato dell’Autorità con la conseguenza onde, in caso di lesione personale, attuale e concreta di tale posizione differenziata e qualificata, gli stessi vanno intesi legittimati ad impugnare i provvedimenti adottati dall’Autorità medesima.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 21 marzo esce la sentenza della Sezione VI del Consiglio di Stato n.1128 alla cui stregua le Autorità non espressamente contemplate nell’art.3 del decreto legislativo 165.01 (Banca d’Italia, Consob e AGCM) restano interamente assoggettate, in materia di personale, al ridetto Testo Unico, dovendo essere interpretato restrittivamente il ridetto art.3, che eccezionalmente esclude le richiamate, specifiche Autorità dal pertinente usbergo precettivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 aprile esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.8882, avente ad oggetto un provvedimento dell’AGCM con il quale la predetta Autorità, una volta accertato – a titolo di infrazione - che numerose società di assicurazioni avevano realizzato una intesa orizzontale compendiante una pratica concordata di vendita congiunta di polizze CVT e RCA e avevano posto in essere un sistematico scambio tra loro di informazioni commerciali sensibili, ha inibito la continuazione di tali attività con contestuale irrogazione di una sanzione pecuniaria. Per la Corte in primo luogo l’art.1 della legge 287.90 - alla cui stregua “<em>le disposizioni della presente legge in attuazione dell’art.41 Cost. a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica si applicano alle intese, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono</em>” nell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria - compendia una disposizione che fa riferimento esclusivamente al riparto di competenze amministrative, e non giurisdizionali. La disposizione ridetta, per la Corte, non pone un criterio discriminante ai fini del riparto di giurisdizione (segnatamente, tra giudice interno e giudice comunitario), dacché tanto la Commissione europea quanto l’AGCM non sono organi giurisdizionali, onde non si pone, come pretenderebbe nel caso di specie il ricorrente, un problema di riparto di giurisdizione tra giudice interno e giudice sovranazionale. Il Collegio si occupa poi della presunta incostituzionalità dell’art.33, comma 1, della legge 287.90 – per presunto contrasto con gli articoli 103 e 111 Cost. – laddove tale norma devolve alla giurisdizione esclusiva del GA la <em>potestas iudicandi</em> in materia di ricorsi avverso i provvedimenti della AGCM. Per la Corte, la pertinente questione è manifestamente infondata dacché – come peraltro già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 204.04 – la giurisdizione esclusiva del GA deve ammettersi costituzionalmente legittima sempreché le controversie che vi rientrano partecipino della medesima natura delle controversie appannaggio della giurisdizione generale di legittimità, laddove dunque l’Amministrazione (anche indipendente) agisca con spendita di un potere autoritativo. Quella della concorrenza è per il Collegio una materia peculiare, e tuttavia nell’ambito coperto dalla legge 287.90 non soltanto la PA agisce come autorità, ma i provvedimenti da essa adottati, qualora non fosse stata prevista una giurisdizione esclusiva, rientrerebbero pur sempre nella giurisdizione generale di legittimità del GA, proprio perché adottati in una materia definita, quale è quella della concorrenza, e connotata non già da una generica rilevanza pubblicistica, bensì dall’intreccio di situazioni giuridiche soggettive qualificabili come interessi legittimi e come diritti soggettivi, nella quale la PA opera appunto come autorità, esercitando poteri discrezionali che le sono attribuiti per la cura degli interessi pubblici ad essa demandati. Stesso ragionamento e medesime conclusioni possono operarsi con riguardo ai provvedimenti sanzionatori adottati dall’AGCM, non potendo rilevare il rinvio operato dall’art.31 della legge 287.90 alle disposizioni della legge 689.81 e, con esse, alla giurisdizione esclusiva del GO in materia di irrogazione di sanzioni amministrative (ordinanza-ingiunzioni), tale rinvio dovendosi intendere limitato alle sole norme che siano compatibili con le disposizioni della legge 287.90, e dunque con esclusione delle disposizioni concernenti la giurisdizione (che per i provvedimenti sanzionatori dell’AGCM è del GA). Il Collegio si pronuncia anche in termini di intensità del sindacato del giudice sulle valutazioni tecniche delle Autorità, abbracciando la tesi del c.d. sindacato debole, onde il GA non può sostituirsi all’Autorità nella individuazione del concetto (giuridico indeterminato) di “<em>mercato rilevante</em>”, potendone solo in via estrinseca verificare la correttezza; né può il giudice sostituire il parametro normativo violato rispetto a quello all’uopo individuato dall’Autorità, ovvero modificare l’impostazione dell’indagine e le conclusioni provvedimentali ritratte, dovendo solo verificarne la legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 giugno esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.13446 che autorevolmente ribadisce come le Autorità non espressamente contemplate nell’art.3 del decreto legislativo 165.01 (Banca d’Italia, Consob e AGCM) restino interamente assoggettate, in materia di personale, al ridetto Testo Unico, dovendo essere interpretato restrittivamente il ridetto art.3, che eccezionalmente esclude le richiamate, specifiche Autorità dal pertinente usbergo precettivo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 luglio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.15916 alla cui stregua le azioni risarcitorie spiccate nei confronti di Autorità indipendenti per omessa vigilanza sono appannaggio del GO; per la Corte, rispetto ai soggetti abilitati operanti nei settori di volta in volta “<em>regolati</em>” dalle singole Autorità, tali Autorità esercitano taluni poteri (il cui dispiego garantisce che i relativi comportamenti siano “<em>trasparenti e corretti</em>”, a valle di una gestione “<em>sana e prudente</em>”: articoli 5 e 91 del decreto legislativo 58.98), cui si giustappongono interessi legittimi dei medesimi soggetti; discorso diverso va fatto invece con riguardo, ad esempio, ai risparmiatori giustapposti alla Consob; quest’ultima non esercita infatti alcun potere nei confronti dei risparmiatori in parola, ma è piuttosto tenuta a tutelarne gli interessi, vantando essi autentiche posizioni di diritto soggettivo che – laddove lese a cagione di una omessa vigilanza – possono essere tutelate in via risarcitoria dinanzi al GO. In sostanza, non configurandosi interessi legittimi dei risparmiatori ma piuttosto diritti soggettivi, difetta per la Corte il presupposto affinché possa operare l’art.33 del decreto legislativo 80.98, come “<em>riformulato</em>” dalla Corte costituzionale con la sentenza 204.04. Peraltro, in fattispecie di omessa vigilanza l’azione di danni viene spiccata dai risparmiatori con riguardo al dispiego di un “<em>comportamento</em>” illecito della PA, con l’obiettivo di ottenere il risarcimento dei pertinenti danni. Né potrebbe rilevare in senso contrario l’espunzione dall’art.33 del decreto legislativo 80.98 della lettera e), afferente alle “<em>controversie meramente risarcitorie</em>” già appannaggio del GO; tale espunzione non comporta per il Collegio che le controversie meramente risarcitorie appartengano ormai alla giurisdizione esclusiva del GA, legandosi piuttosto alla elisione da parte della Corte costituzionale, con la sentenza n.204.04, della generalizzata attribuzione al GA di tutta una indeterminata serie di controversie in materia di pubblici servizi; una volta fatta chiarezza da parte della Consulta su quali materie possano essere attribuite alla giurisdizione esclusiva del GA (quelle connotate da un potere) e quali no, per la Corte era ormai ultroneo quel riferimento alle controversie meramente risarcitorie che aveva prima un senso proprio perché ritagliante un limite alla indifferenziata giurisdizione esclusiva del GA in tema di pubblici servizi; ormai “<em>controversie meramente risarcitorie</em>” sono, per la Corte, quelle dove un potere autoritativo non si configura, e che dunque appartengono al GO senza che occorra una specifica indicazione in tal senso; tra le quali vanno annoverate proprio quelle in materia di omessa vigilanza della Consob sul mercato mobiliare.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 19 dicembre esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.27893 che autorevolmente ribadisce come le Autorità non espressamente contemplate nell’art.3 del decreto legislativo 165.01 (Banca d’Italia, Consob e AGCM) restino interamente assoggettate, in materia di personale, al ridetto Testo Unico, dovendo essere interpretato restrittivamente il ridetto art.3, che eccezionalmente esclude le richiamate, specifiche Autorità dal pertinente usbergo precettivo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio viene varato il decreto legge n.223, meglio noto come Decreto Bersani, il cui art.14, in sede di integrazione dei poteri dell’AGCM, innesta nella legge 287.90 – tra gli altri – un art.14 ter alla cui stregua fino alla decisione di cui all'articolo 15 che accerta la violazione degli articoli 2 o 3 o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far cessare l'infrazione. L'Autorità, qualora ritenga tali impegni idonei a far cessare l'infrazione, può renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l'illecito (comma 1); sempre l'Autorità, in caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori ai sensi del comma 1, può irrogare un sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato (comma 2), potendo d'ufficio riaprire il procedimento se: <em>a)</em> si modifica la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione; <em>b)</em> le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti; c) la decisione si fonda su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete inesatte o fuorvianti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto viene varata la legge n.246 che converte con modificazioni il d.l. n.223</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.10200 che si inserisce nel solco della giurisprudenza ormai favorevole ad ammettere la legittimazione dei “<em>terzi</em>” ad impugnare atti e provvedimenti di una Autorità indipendente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 09 febbraio esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.515 che si inserisce nel solco della giurisprudenza ormai favorevole ad ammettere la legittimazione dei “<em>terzi</em>” ad impugnare atti e provvedimenti di una Autorità indipendente.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6469, che si occupa del provvedimento con cui l’AGCM – dopo aver qualificato come intese restrittive della concorrenza, come tali vietate dall’art.2 della legge 287.90, le condotte di due società operanti nel settore dei giochi e delle scommesse ed orientate a precludere a terzi operatori del settore l’accesso al mercato di riferimento giusta ripartizione del medesimo e tutela delle posizioni ormai acquisitevi – ha inibito alle due società interessate la prosecuzione dell’intesa con contestuale irrogazione di una sanzione pecuniaria. Per il Collegio tale provvedimento va parzialmente annullato, con contestuale rideterminazione dell’ammontare della sanzione; importante, in specie, l’affermazione afferente la piena sindacabilità da parte del GA del provvedimento medesimo, con abbandono della distinzione tra sindacato “<em>debole</em>” e sindacato “<em>forte</em>”: in tema di valutazioni tecniche, anche quando riferite ai c.d. “<em>concetti giuridici indeterminati</em>”, la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, dovendo piuttosto consentire al giudice un controllo di tipo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’Autorità indipendente. In sostanza, per il Consiglio di Stato il sindacato del GA – al fine di garantire il principio di effettività della tutela giurisdizionale – deve atteggiarsi a pieno e peculiarmente penetrante anche laddove abbia ad oggetto provvedimenti di Autorità indipendenti, spingendosi fino al controllo dell’analisi tecnica posta in essere dall’Autorità medesima, che può atteggiarsi ad analisi economica ovvero di altra natura, comunque tecnicamente qualificata. Il GA ha dunque il potere di fornire la corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati a la relativa applicazione (o meno) alla fattispecie pertinente, potendo all’uopo anche rivalutare le scelte tecniche già compiute in proposito dall’Autorità il cui atto viene scandagliato e, a valle, rideterminare in via diretta le sanzioni siccome irrogate dall’Autorità medesima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.597 alla cui stregua il sindacato riconoscibile al GA sui provvedimenti delle Autorità indipendenti è di tipo forte, pieno ed effettivo, orientato ad un prototipo di tutela comune ed omogeneo a livello comunitario, dove campeggia (appunto) il principio di effettività della tutela giurisdizionale, da coniugarsi con la specificità di ciascuna singola controversia che il GA è chiamato a decidere, potendo questi verificare senza alcun limite o vincolo se il potere (anche tecnicamente qualificato) attribuito all’Autorità sia stato correttamente esercitato.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.7063 onde non può assumersi riconoscibile al Consiglio di Stato un controllo c.d. di tipo “<em>forte</em>” sulle valutazioni tecniche opinabili, e dunque l’esercizio da parte del GA di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’Amministrazione, fermo restando anche sulle valutazioni tecniche il controllo (estrinseco) di ragionevolezza, logicità e coerenza. Le SSUU abbracciano dunque la tesi del c.d. sindacato “<em>debole</em>” sulle valutazioni tecniche delle Autorità indipendenti, negando al GA l’opposto sindacato “<em>forte</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 maggio esce la sentenza della Sezione III ter del Tar Lazio n.4869 onde, posto che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica integra e completa il sistema di tutela del cittadino nei confronti della PA e che il pertinente procedimento assicura alle parti garanzie di imparzialità e di indipendenza, non si rinvengono ragioni per escludere l’ammissibilità del rimedio nei riguardi degli atti amministrativi adottati dalle Autorità indipendenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 luglio esce la sentenza della I sezione del Tar Lazio n.7549 alla cui stregua, pur potendo il GA sindacare le valutazioni tecniche operate da un’Autorità indipendente, viene abbracciata la tesi del c.d. sindacato debole onde il giudice può solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della relativa motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della pertinente deliberazione, ma non può anche sostituire proprie valutazioni di merito a quelle effettuate dall’Autorità, da intendersi ad essa riservate.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno viene varata la legge n.69 che - tra le altre cose - nel novellare l’art.14 del D.p.R. 1199.71, rende vincolante il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1215 alla cui stregua – per quanto di interesse <em>ratione materiae</em> – la <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=1015">L. 7 agosto 1990, n. 241</a> è legge generale sul procedimento amministrativo non già nei termini di una codificazione dell’atto e del procedimento, ma piuttosto come individuazione di principi fondamentali cui la successiva normazione, di rango primario e secondario deve uniformarsi.</p> <p style="text-align: justify;">Pertanto, chiosa il Collegio, i principi generali, in tema di partecipazione procedimentale – i quali hanno lo scopo di assicurare, secondo le norme previste dagli speciali ordinamenti di settore, l’acquisizione corretta ed imparziale degli interessi privati coinvolti nell’esercizio del pubblico potere – si pongono come canoni interpretativi della disciplina di settore, non già nel senso di un’interpretazione meramente letterale della legge speciale, ma piuttosto come ricerca del significato che meglio soddisfi le esigenze conoscitive e partecipative tutelate in via generale dal legislatore.</p> <p style="text-align: justify;">Ne discende per il Collegio che, sebbene i provvedimenti determinativi delle tariffe adottati dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas rientrino nella clausola di esclusione dell’art. 13 <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=1015">L. n. 241 del 1990</a>, l’Autorità è comunque tenuta al rispetto delle forme di partecipazione procedimentale previste dalla normativa di settore vigente. Si tratta del c.d. diritto al contraddittorio procedimentale in tema di atti di regolazione che ha trovato la propria sistemazione proprio sul piano giurisprudenziale; nella specie, il diritto alla partecipazione procedimentale, per il Collegio, è stato effettivamente rispettato, in quanto l’AEEG ha previamente approvato e sottoposto al mercato il documento di consultazione; né la presunta inversione procedimentale può aver condizionato il godimento e la fruizione dei diritti di partecipazione.</p> <p style="text-align: justify;">Se è vero infatti – chiosa ancora la Sezione - che ai procedimenti regolatori condotti dalle Autorità indipendenti (ivi compresa l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas) non si applicano le generali regole dell’azione amministrativa che escludono dall’obbligo di motivazione e dall’ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione l’attività della P.A. diretta all’emanazione di atti normativi ed amministrativi generali (art. 3 e 13, <a href="http://www.lexitalia.it/uploads1/webdata_pro.pl?_cgifunction=form&_layout=legislazione1&keyval=legislazione.legislazione_id=1015">L. n. 241 del 1990</a>), deve tuttavia ritenersi che, per l’assenza di responsabilità e di soggezione di dette Autorità nei confronti del Governo, l’indipendenza e la neutralità delle Autorità possa trovare un fondamento dal basso, a condizione che siano assicurate le garanzie del giusto procedimento e che il controllo avvenga poi in sede giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 aprile esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.6185 alla cui stregua va ammesso pienamente legittimo un sindacato “<em>forte</em>” e dunque assai penetrante del GA sugli atti dell’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, codice del processo amministrativo, secondo il cui art.14, comma 1, sono devolute funzionalmente alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma (presupponendo dunque la giurisdizione del GA), le controversie indicate dall'articolo 135 (oltre che le altre controversie indicate dalla legge): si tratta, più in specie, delle controversie indicate nell’art.135, comma 1, lettera b) - e dunque aventi ad oggetto i provvedimenti dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato e quelli dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – e, più in generale, delle controversie indicate nell’art.135, comma 1, lettera c).</p> <p style="text-align: justify;">Queste ultime si compendiano nelle controversie di cui all'articolo 133, comma 1, lettera l) quale materia di giurisdizione esclusiva del GA, e dunque in quelle aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati (questi ultimi restano appannaggio del GO), adottati dalla Banca d'Italia, dalla Commissione nazionale per le società e la borsa, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e dalle altre Autorità istituite ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità della pubblica amministrazione, dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, comprese le controversie relative ai ricorsi avverso gli atti che applicano le sanzioni ai sensi dell'articolo 326 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.</p> <p style="text-align: justify;">Fanno tuttavia eccezione – ferma la giurisdizione esclusiva del GA, e sul solo crinale della competenza - le controversie di cui all'articolo 14, comma 2 c.p.a., coinvolgenti atti dell’Autorità dell’energia elettrica e del gas, ed affidate alla competenza inderogabile del Tar Lombardia.</p> <p style="text-align: justify;">Sono invece “<em>funzionalmente</em>” di competenza del Tar Lazio le controversie di cui all'articolo 104, comma 2, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385), e dunque quelle in cui una capogruppo sia sottoposta ad amministrazione straordinaria o a liquidazione coatta amministrativa, laddove per i ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi concernenti o comunque connessi alle procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa della capogruppo e delle società del gruppo e' appunto competente il Tar con sede a Roma.</p> <p style="text-align: justify;">In materia di giurisdizione, importante l’art.134, comma 1, lett. c) alla cui stregua la cognizione del GA è estesa al merito con riferimento, tra le altre, alle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta, per l’appunto, alla giurisdizione del GA, ivi comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti; da rammentare anche l’art.133, comma 1, lettera c), alla cui stregua rientrano nella giurisdizione esclusiva del GA le controversie in materia di pubblici servizi, quelle afferenti all’affidamento di un pubblico servizio, quelle concernenti la vigilanza ed il controllo nei confronti del gestore di tale pubblico servizio, nonché quelle afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare. In sostanza, le controversie in materia di “<em>vigilanza</em>” restano dunque affidate alla giurisdizione esclusiva del GA, ponendo il problema di quale sia la giurisdizione in fattispecie risarcitorie per danni prodotti da omessa vigilanza, ad esempio di Banca d’Italia o di Consob.</p> <p style="text-align: justify;">L’art.119 del codice ripropone poi il disposto dell’art.23 bis della legge 1034.71 (come introdotto dalla legge 205.00) e, dunque, un rito speciale – tra le altre – per le controversie afferenti ad atti delle Autorità amministrative indipendenti, con esclusione dei provvedimenti relativi al rapporto di servizio tra la singola Autorità e i propri dipendenti. Il dispositivo della sentenza sia del Tar che del Consiglio di Stato in sede di appello non deve più essere sempre pubblicato a valle dell’udienza di discussione, ma solo se una delle parti lo richieda espressamente nel corso della ridetta udienza, con dichiarazione messa a verbale, circostanza nella quale esso va pubblicato nei 7 giorni dalla decisione della causa.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 23 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.6681 che ribadisce quanto già affermato dalle SSUU con la pronuncia 15916.05 in tema di azioni risarcitorie spiccate nei confronti di Autorità indipendenti (nel caso di specie, ancora una volta la Consob) per omessa vigilanza, da assumersi appannaggio del GO. Per la Corte, rispetto ai soggetti abilitati operanti nei settori di volta in volta “<em>regolati</em>” dalle singole Autorità, tali Autorità esercitano sui predetti soggetti taluni poteri (il cui dispiego garantisce che i relativi comportamenti siano “<em>trasparenti e corretti</em>”, a valle di una gestione “<em>sana e prudente</em>”: articoli 5 e 91 del decreto legislativo 58.98), ai quali si giustappongono interessi legittimi dei medesimi; discorso diverso va fatto con riguardo, ad esempio, ai risparmiatori rispetto alla Consob: quest’ultima non esercita infatti alcun potere nei confronti dei risparmiatori, ma è piuttosto tenuta a tutelarne gli interessi, vantando essi autentiche posizioni di diritto soggettivo che – laddove lese a cagione di una omessa vigilanza – possono essere tutelate in via risarcitoria dinanzi al GO. In sostanza, non configurandosi interessi legittimi dei risparmiatori ma piuttosto diritti soggettivi, difetta per la Corte il presupposto affinché possa operare l’art.33 del decreto legislativo 80.98, come “<em>riformulato</em>” dalla Corte costituzionale con la sentenza 204.04. Peraltro, in fattispecie di omessa vigilanza l’azione di danni viene spiccata dai risparmiatori con riguardo al dispiego di un “<em>comportamento</em>” illecito della PA, con l’obiettivo di ottenere il risarcimento dei pertinenti danni. Né può rilevare in senso contrario l’espunzione dall’art.33 del decreto legislativo 80.98 della lettera e), afferente alle “<em>controversie meramente risarcitorie</em>” già appannaggio del GO; tale espunzione non comporta per il Collegio che le controversie meramente risarcitorie appartengono ormai alla giurisdizione esclusiva del GA, ma si riconnette alla elisione da parte della Corte costituzionale, con la sentenza n.204.04, della generalizzata attribuzione al GA di tutta una indeterminata serie di controversie in materia di pubblici servizi; una volta fatta chiarezza da parte della Consulta su quali materie possano essere attribuite alla giurisdizione esclusiva del GA (quelle connotate da un potere) e quali no, per la Corte era ormai ultroneo quel riferimento alle controversie meramente risarcitorie che aveva prima un senso proprio perché ritagliante un limite alla indifferenziata giurisdizione esclusiva del GA in tema di pubblici servizi; ormai “<em>controversie meramente risarcitorie</em>” sono, per la Corte, quelle dove un potere autoritativo non si configura, e che dunque appartengono al GO senza che occorra una specifica indicazione in tal senso, tra le quali vanno annoverate proprio quelle in materia di omessa vigilanza della Consob sul mercato mobiliare.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 marzo esce l’ordinanza della I sezione della Corte d’Appello di Torino che solleva questione di costituzionalità delle norme che – in materia di sanzioni irrogate dalla CONSOB – devolvono le relative controversie alla giurisdizione esclusiva del GA, sottraendole dunque alla competenza funzionale della medesima Corte d’Appello, quale Giudice ordinario. Si tratta in particolare dell’art.133, comma 1, lettera l), del c.p.a.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 giugno esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3751 che, in tema di pubblicità ingannevole, conclude nel senso già esplicitato in giurisprudenza con riferimento alla materia dell’<em>antitrust</em>, onde le associazioni di consumatori debbono intendersi legittimate ad impugnare i provvedimenti c.d. “<em>assolutori</em>” dell’AGCM. La legge 287.90 e, più in generale, la normativa <em>antitrust</em> non si atteggia – per il Collegio – a compendio normativo appannaggio “<em>garantista</em>” dei soli imprenditori, essendo piuttosto rivolta ai soggetti del mercato e dunque a chiunque abbia un interesse (di rilievo anche processuale) al mantenimento del carattere competitivo del ridetto mercato, potendo allegare uno specifico pregiudizio laddove tale carattere competitivo del mercato si affievolisca o si rompa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 luglio esce la sentenza del Consiglio di Stato n.4393, che si occupa delle ipotesi in cui l’AGCM rigetti gli impegni delle imprese che rischiano una sanzione, con prosecuzione dell’istruttoria orientata all’eventuale, pertinente sanzione in parola. In questa fattispecie è dubbio se l’atto infraprocedimentale di rigetto degli impegni da parte dell’Autorità possa assumersi direttamente ed immediatamente impugnabile ovvero se occorra attendere, a fini di impugnativa, l’atto finale della serie procedimentale, e segnatamente l’eventuale sanzione, tenuto conto di come il “<em>rigetto degli impegni</em>” si collochi in una fase ancora poco avanzata dell’istruttoria procedimentale, laddove non si è ancora edotti del se l’esito del procedimento sarà o meno una sanzione per l’impresa che soggiace all’istruttoria medesima. Proprio muovendo da questo presupposto, per il Collegio va esclusa la diretta impugnabilità del rigetto degli impegni da parte di AGCM dacché, una volta adottato questo atto infraprocedimentale, esso non produce alcun definitivo pregiudizio nei confronti dei relativi destinatari; non si verifica infatti alcun arresto procedimentale, né l’istruttoria può assumersi pregiudicata nel relativo esito (negativo) in senso irretrattabile per l’impresa che ne risulti coinvolta, né comunque affiora alcun conculcamento della posizione giuridica vantata dalla ridetta impresa. Se è pur vero, chiosa il Collegio, che non mancano atti infra-procedimentali immediatamente impugnabili, come nel caso degli atti di natura vincolata che, per l’appunto, “<em>vincolano</em>” la determinazione finale in senso negativo e sono dunque direttamente ed immediatamente lesivi della sfera del relativo destinatario, ovvero degli atti interlocutori che producono un arresto procedimentale tale da vulnerare l’anelito del soggetto privato (coinvolto) ad una rapida conclusione della sequenza con conseguente soddisfacimento dell’interesse pretensivo fatto valere, simili evenienze non affiorano al cospetto del c.d. atto di rigetto degli impegni da parte dell’AGCM, dacché da un lato non si produce alcun arresto procedimentale effettivamente inteso; dall’altro, si è al cospetto di un tratto procedimentale – quello che si conclude appunto con il rigetto degli impegni – il cui esito (negativo per l’impresa) non vincola in alcun modo, dal punto di vista della certezza, gli esiti dell’istruttoria sui profili anticoncorrenziali della condotta tenuta dall’impresa stessa, onde non è detto che il procedimento si concluderà con una sanzione per l’impresa stessa; in sostanza, non è certo che al rigetto degli impegni segua ineluttabilmente la sanzione, non spiegando alcun rilievo il mero dato statistico relativo ai rapporti fra rigetto degli impegni e sanzione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 novembre viene varato il decreto legislativo n.195, primo correttivo al codice del processo amministrativo, il cui art.1, comma 1, lettera II, modifica tra gli altri l’art.133, comma 1, lettera l) del c.p.a.; la norma attribuisce alla giurisdizione esclusiva del GA anche le controversie sugli atti degli Organismi di cui agli articoli 112-bis, 113 e 128-duodecies del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, testo unico in materia bancaria.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 dicembre viene varato il decreto legge n.201, il cui art.35, comma 1, inserisce nella legge 287.90 un articolo 21 bis onde l’AGCM è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi Amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato (comma 1) e, se ritiene che una PA abbia adottato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro 60 giorni (si assume in dottrina, dal momento in cui ha avuto conoscenza del ridetto atto, indipendentemente dalla forma e dalle relative modalità temporali, con conseguente incertezza in termini di stabilità massime degli atti regolamentari impugnabili), un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate: laddove la PA destinataria non si conformi al parere nei 60 giorni successivi alla relativa comunicazione, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi 30 giorni (comma 2), con applicazione ai giudizi instaurati della disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, ed in particolare l’art.119 del c.p.a. sul c.d. rito accelerato: parte della dottrina assume la legittimazione dell’Autorità a spiccare tutte le azioni previste dal c.p.a., e non già solo quella tradizionale caducatoria, mentre dubbi vengono sollevati in ordine alla proponibilità della domanda cautelare, stante il termine di 60 giorni che AGCM deve doverosamente lasciare all’Amministrazione “<em>intimata</em>” al fine di consentirle di verificare se conformarsi o meno al parere. Secondo una interpretazione dottrinale restrittiva, il fatto che l’AGCM possa - eccezionalmente - impugnare gli atti di “<em>amministrazioni pubbliche</em>” non coinvolgerebbe anche gli atti di imprese pubbliche e di organismi di diritto pubblico che non possono essere assunti “<em>pubbliche amministrazioni</em>”, pur essendovi equiparabili a determinati e specifici fini. Quanto invece al parere, la dottrina lo equipara nella sostanza ad un atto di diffida, con conseguente difformità – in termini di pertinente natura giuridica – rispetto ai pareri che l’Autorità rende su richiesta di altre Amministrazioni ovvero d’ufficio ex art.22 della legge 287.90.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 dicembre viene varata la legge n.214 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.201.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 gennaio viene varato il decreto legge n.1 che introduce con l’art.5, comma 1 un nuovo art.37 bis al c.d. codice del consumo (decreto legislativo 206.05), attribuendo all’AGCM il potere di dichiarare determinate clausole contrattuali vessatorie. Dal punto di vista della tutela giurisdizionale, contro gli atti dell'Autorità, adottati in applicazione di tale nuovo articolo e' competente il GA, facendosi tuttavia salva la giurisdizione del GO sulla validità delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 marzo viene varata la legge n.27 che converte, con modificazioni, il decreto legge n.1. In particolare, l’art.36 del decreto legge viene riformulato, con l’istituzione della Autorità di regolazione dei trasporti; viene contestualmente riformato l’art.37 del decreto legge 201.11, attribuendo a tale Autorità di regolazione dei trasporti la legittimazione ad impugnare dinanzi al Tar Lazio gli atti di Comuni e Regioni, con particolare riguardo al servizio di taxi, adottati in violazione dei principi individuati nel contesto letterale del medesimo art.37.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2521 alla cui stregua gli atti delle Autorità indipendenti, in coerenza con il principio della separazione dei poteri, sono suscettibili di sindacato giurisdizionale da parte del GA nei soli casi in cui l’Autorità abbia effettuato valutazioni ponentesi in contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica, non potendo assumersi sufficiente che la determinazione assunta sia meramente opinabile (e dovendo dunque atteggiarsi ad inattendibile).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della Corte costituzionale n. 162 che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 133, comma 1, lettera l) del c.p.a., nonché degli articoli 135, comma 1, lettera c), e 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio, sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB). La Corte dichiara altresì incostituzionale l’art.4, comma 1, numero 19 dell’allegato 4 al c.p.a., nella parte in cui abroga l’art.187 septies, comma 4, del decreto legislativo n.58.98 (TUF, testo unico in materia di intermediazione finanziaria); proprio il fatto che la Corte dichiari costituzionalmente illegittima l’abrogazione di tale norma la fa rivivere, producendo l’effetto di ri-attribuire alla Corte d’Appello (e, dunque, al GO) la competenza funzionale in materia di sanzioni inflitte dalla CONSOB. Per la Corte, la delega di cui all’art.44 della legge 69.09, da qualificarsi come delega per il riordino ed il riassetto normativo, ha abilitato il legislatore delegato ad intervenire, oltre che sul processo amministrativo, sulle azioni e le funzioni del giudice amministrativo anche rispetto alle altre giurisdizioni ed in riferimento alla giurisdizione estesa al merito, e tuttavia sempre nell’ambito del riordino della normativa vigente; circostanza che implica senza meno una capacità innovativa del Governo delegato all’esercizio della funzione legislativa, e tuttavia secondo una interpretazione restrittiva, rigorosamente funzionale al perseguimento delle finalità espresse dal legislatore delegante. Attraverso l’attribuzione delle controversie relative alle sanzioni inflitte dalla Consob alla giurisdizione esclusiva del GA (con competenza funzionale del Tar Lazio, sede di Roma, e con cognizione estesa al merito), il Governo delegato non ha invece tenuto conto della giurisprudenza delle SSUU della Cassazione, siccome formatasi specificamente sul punto, avendo tale Organo nomofilattico sempre precisato che la competenza giurisdizionale a conoscere delle opposizioni ex art.196 del decreto legislativo 58.98 avvero le sanzioni inflitte dalla Consob ai promotori finanziari, anche di tipo interdittivo, spetta al GO, sol che si consideri come tali sanzioni, non diversamente da quelle pecuniarie, debbono essere applicate sulla base della gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva, e dunque sulla base di criteri che non possono assumersi espressione di discrezionalità amministrativa. Per la Consulta la menzionata giurisprudenza delle SSUU della Cassazione, laddove esclude che l’irrogazione di sanzioni da parte della Consob sia espressione di discrezionalità amministrativa, unitamente alla considerazione onde tali sanzioni possono avere sia consistenza pecuniaria sia tenore interdittivo – giungendo financo ad incidere sulla possibilità che il soggetto sanzionato continui ad esercitare la pertinente attività – impedisce di giustificare, sul crinale della legittimità costituzionale, l’intervento del Governo delegato che, incidendo profondamente sul precedente assetto, si è discostato in modo consistente da quegli indirizzi giurisprudenziali consolidati che invece avrebbero dovuto orientarne l’intervento, secondo quanto prescritto da quella che si è atteggiata a delega di mero riordino.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 settembre viene varato il decreto legislativo n.160, secondo correttivo al codice del processo amministrativo, il cui art.1, comma 1, lettera t, modifica tra gli altri l’art.133, comma 1, lettera l) del c.p.a. e - a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.162 - esclude le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB) dal novero di quelle appartenenti alla giurisdizione esclusiva del GA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce la sentenza della Corte costituzionale n.20 che risponde ad un ricorso della Regione Veneto onde sarebbe incostituzionale l’art.35 del decreto legge 201.11, laddove introduce nella legge 287.90 l’art.21 bis in tema di poteri dell’AGCM di impugnare atti di altre Amministrazioni, perché inteso a surrettiziamente introdurre da un lato la figura del PM nel processo amministrativo così entrando in frizione con la natura soggettiva (anche) della giurisdizione amministrativa, e dall’altro scolpendo una nuova modalità di controllo sugli atti delle Regioni, in violazione della legge costituzionale n.3 del 2011 che ha abrogato appunto i controlli sugli atti regionali siccome originariamente previsti dall’art.125 Cost. Per la Corte in realtà si è al cospetto di una ipotesi di legittimazione processuale che trova una cornice ben definita, cristallizzata dalla materia della “<em>concorrenza</em>”, che appartiene alla legislazione esclusiva dello Stato. Non si è poi al cospetto di un nuovo e generalizzato controllo di legittimità, essendosi il legislatore limitato a prevedere un potere di iniziativa che ha lo scopo di contribuire ad una più completa ed esaustiva tutela della concorrenza e del mercato, peraltro di certo non generalizzato sol che si consideri come esso sia operante soltanto con riguardo agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. La Corte in sostanza esclude che si sia in presenza di una nuova forma di giurisdizione di tipo oggettivo, per abbracciare la tesi – compatibile con la Costituzione – della natura “<em>soggettiva</em>” della giurisdizione di cui all’art.21.bis della legge 287.90, siccome innescata da AGCM.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce la sentenza della Sezione III ter del Tar Lazio n.2720 che si occupa dell’art.21 bis della legge 287.90, assumendola, con sforzo di “<em>soggettivizzazione</em>”, quale norma intesa a riconoscere – assai più che un potere di agire avverso gli atti delle altre Amministrazioni in senso “<em>oggettivo</em>”, e dunque nell’interesse generale della legge (affermazione che renderebbe difficile parlare di un interesse legittimo) – piuttosto uno strumento inteso a garantire l’attuazione dell’interesse pubblico, e tuttavia in ogni caso particolare e differenziato, orientato alla migliore attuazione del valore della “<em>concorrenza</em>” istituzionalmente affidato all’Autorità. Ciò anche in possibile rapporto di contrapposizione o diversità con gli ulteriori interessi, pubblici o privati, di altri soggetti operanti sul mercato di riferimento, quale interesse comunque leso dalla mera violazione delle norme a tutela della libertà di concorrenza, e come tale direttamente soddisfatto dal ripristino della legalità violata siccome operato dall’adito GA. In sostanza, proprio la peculiarità della dimensione ontologica della “<em>concorrenza</em>” quale bene della vita specifico, in una con la primazia della relativa rilevanza nel quadro dei valori costituzionali e sovranazionali, impone per il Collegio che la “<em>giustiziabilità</em>” dell’interesse al libero mercato sia garantita anche quando la violazione delle norme sulla concorrenza non lasci affiorare una lesione concreta di interessi di operatori privati, non configurandosi dunque situazioni giuridiche soggettive private capaci di legittimare l’attivazione da parte di soggetti diversi (da AGCM) di strumenti di reazione ordinamentale. La dottrina di commento ha peraltro fatto notare come la nozione di bene della vita non possa essere estesa fino a renderla coincidente in senso generico con quella di interesse pubblico affidato alla competenza di AGCM, dacché è considerato bene della vita normalmente una utilità sostanziale concreta, protetta da una norma, che il titolare della sovrastante situazione giuridica soggettiva mira a conservare o ad acquisire, che è misurabile e che è risarcibile in caso di relativa lesione.</p> <p style="text-align: justify;">Per il Tar l’art.21 bis lungi dall'introdurre un’ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo, in cui l'azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, evenienza che porrebbe problemi di compatibilità specie con l'art. 103 Cost. (secondo il quale gli organi della giustizia amministrativa hanno giurisdizione in materia di interessi legittimi e, nei soli casi previsti dalla legge, di diritti soggettivi), delinea piuttosto un ordinario potere di azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche individuali qualificate e differenziate, benché soggettivamente riferite ad una autorità pubblica. Il Tar si pronuncia poi anche sulla natura del parere di cui al comma 2 dell’art.21 bis, che non può assumersi (come pure fa una tesi minoritaria) quale esercizio di un potere diverso, ulteriore ed in qualche modo sganciato dalla possibile, successiva iniziativa giurisdizionale di AGCM, costituendo piuttosto una indefettibile condizione di procedibilità della ridetta azione giudiziaria ed atteggiandosi a diffida ad esercitare l’autotutela al fine di eliminare i vizi rilevati dall’Autorità nel contesto letterale del proprio parere, circostanza in grado di eliminare la necessità di agire innanzi al GA. Per il Tar il legislatore ha inteso garantire un contraddittorio preventivo di AGCM con la PA che ha adottato l’atto tacciato di frizione con i principi concorrenziali, al precipuo scopo di stimolare in essa un adeguamento spontaneo, seppure <em>ex post</em>, ai ridetti principi violati, con l’ulteriore precipitato onde il ricorso al Tar si atteggia a sussidiario.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 giugno esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.3482 alla cui stregua l’art.1, comma 2, del decreto legislativo 165.01 in materia di impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, nel quale è confluito il decreto legislativo 29.93, non include in via generalizzata – e salve le espresse eccezioni di cui al successivo art.3 - le Autorità indipendenti tra le Amministrazioni destinatarie della privatizzazione del rapporto di impiego dei dipendenti, con la conseguenza onde le eventuali controversie in materia restano affidate alla giurisdizione del GA. L’art.133, comma 1, lettera l) del c.p.a., chiosa ancora il Collegio, non potrebbe tuttavia essere interpretato nel senso di escludere in maniera generalizzata dalla giurisdizione del GA le controversie inerenti ai rapporti di impiego alle dipendenze di dette Autorità indipendenti, non contenendo una abrogazione implicita delle norme settoriali eccezionali disciplinanti il rapporto di impiego alle dipendenze di talune Autorità, come quella nel caso di specie appellante (AGCM, che rientra tra quelle eccezionalmente escluse dall’usbergo precettivo del decreto legislativo 165.01); onde rientra nella giurisdizione del GA (e non del GO) la controversia avente ad oggetto la sanzione disciplinare inflitta ad un dipendente di detta Autorità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza delle SSUU n.1013 che, condividendo quanto già affermato nel 2008 in termini di inammissibilità del c.d. sindacato “<em>forte</em>”, chiosano nel senso onde la inestensibilità al merito del sindacato del GA sugli atti delle Autorità reca seco come il GA non possa sostituire un proprio provvedimento a quello già adottato dall’Autorità ridetta; nondimeno, non si tratta di un sindacato limitato ai soli profili giuridico-formali dell’atto amministrativo scandagliato, con conseguente, recisa esclusione di qualsivoglia verifica in ordine ai presupposti di fatto del singolo provvedimento. Per il Collegio, il sindacato di legittimità del GA sugli atti di AGCM implica piuttosto una diretta verifica dei fatti che l’Autorità ha posto a fondamento dell’atto gravato, con estensione anche ai pertinenti profili tecnici il cui scandaglio si riveli necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento. Nondimeno, allorché con riguardo a tali profili tecnici siano coinvolte valutazioni e apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità - come accade allorché, in materia di intese restrittive della concorrenza, occorra definire la nozione di “<em>mercato rilevante</em>” – il sindacato del GA si dispiega giusta controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento innanzi a lui impugnato, con scandaglio limitato alla verifica che il ridetto provvedimento non abbia debordato dai richiamati margini di opinabilità (per attingere la inattendibilità); ciò in quanto il GA non può sostituire il proprio apprezzamento tecnico a quello già operato dall’<em>Authority,</em> laddove appunto essa si sia mantenuta all’interno del recinto dell’opinabilità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.3202 onde l’opposizione avverso il provvedimento di sospensione cautelare di un promotore finanziario sottoposto a procedimento penale, assunto dalla Consob ex art.55, comma 2, del decreto legislativo 58.98, appartiene alla giurisdizione del GA, atteso come l’adozione del provvedimento cautelare sia frutto di una valutazione dell’interesse generale del mercato finanziario, demandata alla discrezionalità amministrativa e finalizzata ad evitare il rischio che lo <em>strepitus fori</em> derivante dal coinvolgimento del promotore in vicende penali possa compromettere la fiducia del pubblico degli investitori nella correttezza degli operatori di quel mercato. La relativa adozione – diversamente dalla misura assunta ex art.55, comma 1, del medesimo decreto legislativo 58.98 – non è strumentale all’esercizio del potere sanzionatorio spettante in via amministrativa alla Consob, ma rientra nel generale potere di vigilanza di quest’ultima sul mercato finanziario, con conseguente applicazione dell’art.133, comma 1, lettera c), c.p.a.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*L’8 aprile esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1673, che si pronuncia anche in termini di intensità del sindacato del giudice sulle valutazioni tecniche delle Autorità, abbracciando la tesi del c.d. sindacato debole, onde il GA non può sostituirsi all’Autorità nella individuazione del concetto (giuridico indeterminato) di “<em>mercato rilevante</em>”, potendone solo in via estrinseca verificare la correttezza; né può il giudice sostituire il parametro normativo violato rispetto a quello all’uopo individuato dall’Autorità, ovvero modificare l’impostazione dell’indagine e le conclusioni provvedimentali ritratte, dovendo solo verificarne la legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.94 che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 133, comma 1, lettera l), dell’art.134 comma 1, lett.c) e dell’art.135, comma 1, lett.c) del c.p.a., per violazione dell’art.76 Cost., nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio, sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia. Le motivazioni rese dalla Corte sono analoghe a quelle già spese, in tema di sanzioni irrogate dalla Consob, con la sentenza 162 del 2012.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.2246 che si occupa dell’art.21 bis della legge 287.90 e della legittimazione di AGCM, ivi prevista, di impugnare gli atti (specie regolamentari) di altre Pubbliche Amministrazioni. Per il Collegio tale disposizione, anche in considerazione della sostanziale unicità ed unitarietà del bene giuridico protetto (libertà della concorrenza e del mercato), sia pur nelle differenti prospettive di cui ai commi 1 (impugnazione giurisdizionale) e 2 (parere pre-contenzioso), non prevede due distinte (alternative e “<em>sdoppiate</em>”) forme di tutela del predetto bene giuridico, l'una con accesso diretto ed immediato al giudice e l'altra mediata alla fase precontenziosa, non riscontrandosi a favore di tale ricostruzione (propugnata dall'appellante) alcun argomento, né di ordine letterale, né di carattere logico – sistematico, essendo invero del ragionevole che il legislatore, dopo aver fissato al primo comma il principio della legittimazione straordinaria dell'Autorità ad agire nei confronti degli atti amministrativi generali, regolamenti e provvedimenti violativi delle norme a tutela della concorrenza e a tutela del mercato, abbia poi, al secondo comma, stabilito le modalità di concreto esercizio di tale legittimazione straordinaria, con ciò volendo evitare che una norma, astrattamente concepita quale (ulteriore) strumento per la ripresa e lo sviluppo economico, potesse dar luogo in concreto a nuove e diverse situazioni di confusione e contraddittorietà dell'azione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">E' in tal senso per il Collegio priva di autonoma rilevanza la circostanza, su cui pure indugia l'appellante, che il terzo comma dell'articolo in esame faccia riferimento, ai fini di stabilire la disciplina processuale da applicare, ai soli giudizi instaurati ai sensi del comma 1, da ciò non potendo desumersi l'esistenza di altri giudizi (instaurati ai sensi del comma 2, successivamente cioè all'espletamento della fase pre-contenziosa): infatti il riferimento operato dal legislatore del comma 3 ai giudizi di cui al comma 1, lungi dall'essere equivoco o fonte di dubbi, è del tutto coerente e ragionevole, anche sotto il profilo dell'interpretazione letterale, solo nel comma 1 prevedendosi infatti la legittimazione straordinaria dell'Autorità ed il potere di quest'ultima di introdurre giudizi, di cui non vi è invece alcuna menzione nel comma 2. Né alla predetta ricostruzione dell'unicità dei giudizi instaurabili dall'Autorità può opporsi che in tal modo, dovendo cioè gli stessi essere necessariamente preceduti dalla fase pre-contenziosa, potrebbero verificarsi in concreto e nell'immediato proprio quegli effetti negativi ed eventualmente irreversibili, derivanti dalla efficacia di regolamenti, atti generali e provvedimenti emessi in violazione delle norme poste a tutela della concorrenza e del mercato, che la stessa norma intenderebbe invece scongiurare: è sufficiente rilevare al riguardo che, ferma restando la generale disciplina delineata dal secondo comma dell'art. 21 bis, non vi è alcuna ragione logico – sistematica che possa ragionevolmente escludere, ricorrendone i presupposti, la richiesta da parte dell'Autorità delle misure cautelari <em>ante causam</em> di cui all'art. 61 c.p.a.</p> <p style="text-align: justify;">Per completezza – chiosa ancora il Collegio - occorre infine segnalare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 20 del 14 febbraio 2013, nel dichiarare inammissibili le questioni di illegittimità costituzionale dell'art. 21 bis della legge n. 287 del 1990 promosse in via principale dalla Regione Veneto - in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 113, primo comma, 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, alla legge costituzionale n. 3 del 2001 ed al principio di leale collaborazione - ha osservato che detta norma, piuttosto che introdurre un "<em>nuovo e generalizzato controllo di legittimità</em>" in capo all'Autorità nei confronti degli atti delle pubbliche amministrazioni, ha soltanto integrato "<em>...i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all'Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 287 del 1990</em>", prevedendo "<em>...un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato ...e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza del mercato</em>", precisando quindi che<strong> </strong>tale potere "<em>...si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso</em><strong>". </strong></p> <p style="text-align: justify;">Trova pertanto autorevole conforto, per il Collegio, la tesi della eccezionalità della <em>legittimatio ad causam</em> riconosciuta all'Autorità in funzione del bene giuridico tutelato e l'unicità e unitarietà dell'azione giudiziaria dalla stessa proposta, ancorché preceduta da una necessaria fase pre–contenziosa che si pone in piena coerenza con i canoni sovranazionali e che il legislatore ha concepito quale ragionevole strumento deflattivo del contenzioso, guardando con disfavore a situazioni nelle quali due soggetti entrambi pubblici si rivolgano direttamente al GA senza tentare un bonario componimento delle rispettive, divergenti prese di posizione nell’interesse pubblico da ciascuna di esse perseguito. Una volta che AGCM abbia reso il parere contenente i rilievi sulla attività anticoncorrenziale della PA con la quale di volta in volta interloquisce, quest’ultima può assumere delle determinazioni di ottemperanza ai predetti rilievi che si atteggiano a provvedimenti di “<em>autotutela</em>”, ma che per la dottrina più illuminata hanno natura tutt’affatto peculiare, l’autotutela distinguendosi per il netto profilo discrezionale che la contraddistingue, mentre nel caso di specie l’attività di secondo grado eventualmente posta in essere dall’Amministrazione che interloquisce con AGCM (e che ha violato in canoni concorrenziali) ha natura vincolata, parlandosi da taluno financo di c.d. “<em>ritiro vincolato</em>”</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 maggio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.2299 onde, con riguardo al diritto <em>antitrust</em>, il principio di effettività e compiutezza della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e di interesse legittimo consente l’esercizio delle azioni di nullità (contro gli atti o comunque le intese anticoncorrenziali di cui agli articoli 2 e seguenti della legge 287.90) e le azioni di risarcimento dei danni da illecito anticoncorrenziale dinanzi all’AGO ai sensi dell’art.33, comma 2, della legge 287.90, restando nondimeno ferma – ai sensi dell’articolo 113, comma 1 e 3, Cost. – la separata proponibilità dell’azione di annullamento dinanzi al GA contro gli atti autoritativi dell’AGCM che costituiscano esercizio del potere e che siano censurati <em>sub specie</em> di eccesso di potere e di violazione di legge per inosservanza della disciplina, interna e sovranazionale, in materia di concorrenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*L’11 settembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.4629 alla cui stregua gli atti delle Autorità indipendenti, in coerenza con il principio della separazione dei poteri, sono suscettibili di sindacato giurisdizionale da parte del GA nei soli casi in cui l’Autorità abbia effettuato valutazioni ponentesi in contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica, non potendo assumersi sufficiente che la determinazione assunta sia meramente opinabile (e dovendo dunque atteggiarsi ad inattendibile).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 10 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6050, che si pronuncia anche in termini di intensità del sindacato del giudice sulle valutazioni tecniche delle Autorità, abbracciando la tesi del c.d. sindacato debole, onde il GA non può sostituirsi all’Autorità nella individuazione del concetto (giuridico indeterminato) di “<em>mercato rilevante</em>”, potendone solo in via estrinseca verificarne la correttezza; né può il giudice sostituire il parametro normativo violato rispetto a quello all’uopo individuato dall’Autorità, ovvero modificare l’impostazione dell’indagine e le conclusioni provvedimentali ritratte, dovendo solo verificarne la legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 10 dicembre esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.6041, che ribadisce come gli atti delle Autorità indipendenti, in coerenza con il principio della separazione dei poteri, sono suscettibili di sindacato giurisdizionale da parte del GA nei soli casi in cui l’Autorità abbia effettuato valutazioni ponentesi in contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica, non potendo assumersi sufficiente che la determinazione assunta sia meramente opinabile (e dovendo dunque atteggiarsi ad inattendibile). Non è dunque consentito al GA, sulla scorta del principio di rilievo costituzionale della separazione dei poteri, sostituire valutazioni proprie a quelle già operate dalla competente Autorità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 marzo esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1596 alla cui stregua, venuta meno la giurisdizione esclusiva del GA in tema di sanzioni irrogate, rispettivamente, da Consob e Banca d’Italia, a seguito delle pertinenti decisioni della Corte costituzionale, non può nondimeno predicarsi ormai una giurisdizione esclusiva del GO, riaffiorando il consueto criterio di riparto della <em>potestas iudicandi</em> tra i due plessi giurisdizionali siccome fondato sulla natura della situazione giuridica soggettiva lesa. La giurisdizione resta allora del GA laddove ad essere contestato sia un atto amministrativo o regolamentare che l’Autorità abbia adottato nell’esercizio del proprio potere discrezionale e che si collochi a monte del procedimento sanzionatorio dettando le regole di svolgimento della pertinente sequenza procedimentale: per il Collegio si è in simili casi al cospetto della spendita di un potere autoritativo di natura regolamentare, che non può che essere appannaggio giurisdizionale del GA secondo gli ordinari criteri di riparto. Né potrebbe rilevare in senso contrario la circostanza onde il regolamento impugnato potrebbe essere fatto oggetto di disapplicazione da parte del GO che sia stato adito in sede di impugnativa della sanzione amministrativa a valle, essendo compatibile con i principi di riparto della giurisdizione e del tutto fisiologico, per il Collegio, il fatto che possa concorrere a monte la giurisdizione caducatoria del GA sull’atto amministrativo o regolamentare ed a valle il potere di disapplicazione da parte del GO che sia stato adito in sede di impugnazione della sanzione. Il Collegio chiarisce in proposito come non si sia al cospetto di una inammissibile forma di “<em>doppia tutela</em>” nei confronti del medesimo atto, né della surrettizia riproposizione di un criterio di riparto da decenni abbandonato ed imperniato sul c.d. <em>petitum</em> formale, quanto piuttosto della naturale convivenza, nell’ambito della materia procedimentale sanzionatoria, di posizioni di interesse legittimo dinanzi agli atti presupposti, da un alto, e di posizione di diritto soggettivo rispetto agli atti sanzionatori conclusivi del procedimento (da quegli atti presupposti regolato), dall’altro. Laddove dunque la fonte diretta della lesione, ed il conseguente oggetto del giudizio, si compendi nel provvedimento sanzionatorio impugnato, la giurisdizione non può che essere del GO, cui spetta la <em>potestas iudicandi</em> anche in ordine alla possibile disapplicazione di atti amministrativi che quegli sia chiamato a scandagliare in via principale; nel diverso caso in cui invece la fonte diretta della lesione lamentata, ed il conseguente oggetto del giudizio, si compendino nell’atto amministrativo o regolamentare a monte, la giurisdizione spetta al GA che scandaglia tale atto o regolamento in via principale ed al quale è riservato il potere di annullarlo (con effetti <em>erga omnes)</em>.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 maggio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.2273 la quale, nel rispondere alla argomentazione sollevata dalla RAI in una controversia coinvolgente l’Autorità Garante della Comunicazioni ed alla cui stregua col ricorso straordinario non si potrebbero instaurare controversie concernenti provvedimenti dell’AGCom, afferma la giurisprudenza avere da tempo affermato - muovendo dai requisiti di generalità ed alternatività del rimedio giustiziale rispetto all’azione giurisdizionale - che nessun dubbio può sussistere in ordine all’esperibilità del rimedio del ricorso straordinario avverso le delibere delle Autorità indipendenti (cfr. TAR Lazio, III-ter, n. 4869/2008; Cons. Stato, I, n. 953/2007, n. 2609/2006, n. 12042/2005, n. 2360/2004; Comm. spec., n. 988/1998). Tale conclusione per il Collegio va condivisa, anche tenuto conto che l’art. 69, comma 2, lettere a) e b), della legge 69/2009, abrogando la previsione dell’art. 14, comma 2, del d.P.R. 1199/1971, sulla possibilità per il Governo di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, ha precluso ogni possibile ingerenza politica sull’attività svolta dalle Autorità indipendenti; e che, oggi, dall’art. 7, comma 8, cod. proc. amm., può evincersi la generale ammissibilità del ricorso straordinario in tutte le materie devolute alla giurisdizione amministrativa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 maggio esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.10095 onde va riconosciuta la giurisdizione del GA sulla pretesa azionata in via cautelare dai titolari delle azioni di una società quotata nei confronti della Consob al fine di ottenere non il risarcimento del danno subito, quanto piuttosto la condanna della Consob medesima ad esercitare i poteri di vigilanza che il sistema le attribuisce al fine di assicurare la correttezza e la trasparenza dei mercati, con lo scopo di ridurre od elidere il rischio di possibili danni futuri. La pronuncia sembra porsi in consapevole discontinuità rispetto ai precedenti in tema di azione di danni per omessa vigilanza Consob e giurisdizione, massime laddove afferma che anche laddove si volesse ipotizzare la configurabilità di una qualche posizione di diritto soggettivo facente capo agli attori nel caso di specie, la cui tutela essi invochino in sede giurisdizionale, la questione ricadrebbe in ogni caso in una ipotesi di giurisdizione esclusiva del GA, quale prevista dall’art.133, comma 1, lettera c) del c.p.a., trattandosi incontestabilmente di una controversia relativa alla vigilanza sul mercato mobiliare.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 maggio esce la sentenza della sezione III ter del Tar Lazio n.7546 alla cui stregua il termine di 30 giorni che l’AGCM ha a disposizione ex art.21 bis della legge 287.90 per impugnare gli atti di altre Amministrazioni decorre dallo spirare di quello complessivamente assegnato con apposito parere all’Amministrazione “<em>inadempiente</em>” non già per rispondere al parere medesimo, quanto piuttosto per conformarsi alle relative indicazioni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 gennaio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.323 che, scandagliando l’art.21 bis della legge 287.90, assume l’indispensabilità dell’esperimento della fase di interlocuzione (giusta parere all’uopo) con l’Amministrazione emanante l’atto che AGCM potrebbe impugnare, e ciò a pena di una pronuncia di inammissibilità del successivo ricorso.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio escono le sentenze gemelle della VI sezione del Consiglio di Stato n.743 e 744 che decidono il c.d. caso <em>Mastercard</em>. Il Collegio afferma di non condividere la ricostruzione dei fatti siccome operata, nel caso di specie, dall’AGCM e concernente la presunta violazione dell’art.101 TFUE, palesando in questo modo di potere e di dovere verificare direttamente i fatti posti dall’Autorità a fondamento dei propri provvedimenti e potendo dunque sindacare la legittimità dell’individuazione – da parte dell’Autorità – del parametro normativo di riferimento nel singolo caso di specie e del concreto raffronto con i fatti in ipotesi accertati. Le valutazioni tecniche nondimeno, ed il giudizio tecnico finale siccome espresso dall’Autorità, possono essere censurati solo <em>ab estrinseco</em> e giusta controllo di ragionevolezza, laddove logicità e coerenza tecnica affiorino come inattendibili.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">*Il 9 agosto esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.3552 alla cui stregua va ammesso pienamente legittimo un sindacato “<em>forte</em>” e dunque assai penetrante del GA sugli atti dell’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 ottobre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.19678 alla cui stregua rientrano nella giurisdizione esclusiva del GA ai sensi dell’art.133, comma 1, lettera l) del c.p.a. anche le controversie afferenti ai provvedimenti adottati dall’Autorità Garante delle Comunicazioni in materia di spese per il relativo funzionamento, siccome finanziate dal mercato di competenza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 19 gennaio viene varato il decreto legislativo n.3 - recante attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea (c.d. <em>private enforcement</em>) – il cui art.7, con riguardo ai provvedimenti dell’AGCM in tema di accertamento di violazioni al diritto della concorrenza, statuisce che ai fini dell'azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell'autore, la violazione del diritto della concorrenza siccome constatata da una decisione dell’AGCM di cui all'articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ove non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, ovvero accertata da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato; la norma soggiunge significativamente come il sindacato del giudice del ricorso comporti la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estenda anche ai profili tecnici - con esclusione tuttavia di quelli che presentino un “<em>oggettivo margine di opinabilità</em>” - il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima; quanto previsto al primo periodo (in termini di definitivo accertamento operato dall’Autorità) riguarda peraltro la natura della violazione e la relativa portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non anche il nesso di causalità e l'esistenza del danno. La disposizione è importante massime laddove normativamente vieta il sindacato del GA su profili tecnici che presentino un “<em>oggettivo margine di opinabilità</em>”, lasciando tuttavia ancora qualche dubbio sull’effettiva consistenza del potere di scandaglio del GA, il cui sindacato intrinseco viene ammesso giusta richiamo “<em>estensivo</em>” ai profili tecnici della valutazione operata dall’Autorità, il principio di effettività della tutela giurisdizionale e la giurisprudenza della Corte EDU sospingendo tuttavia la dottrina a criticare la norma laddove contingenta tale sindacato intrinseco senza renderlo pieno (stante il ridetto limite dell’oggettivo margine di opinabilità). Senza contare come il provvedimento normativo in parola riguardi i soli atti dell’AGCM, e non già anche quelli delle altre <em>Authorities</em>, con conseguente difetto di coordinamento normativo in ottica di sistema.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.8116 onde la controversia avente ad oggetto l’opposizione avverso la cartella di pagamento per sanzioni amministrative comminate dall’AGCM appartiene alla giurisdizione del GO atteso che, con riferimento ai ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi pronunciati dalla ridetta Autorità, la giurisdizione esclusiva del GA di cui all’art.33, comma 1, della legge 287.90 è da assumersi limitata – conformemente all’art.103 Cost. ed alle indicazioni di cui alla sentenza della Corte costituzionale 204.04 – ai soli casi in cui sia in discussione un atto che sia espressione di una funzione pubblica e sia adottato nell’ambito di un rapporto giuridico caratterizzato non dalla posizione di parità dei soggetti (secondo lo schema diritti-doveri), ma da una relazione asimmetrica, sintetizzata nella formula potere-soggezione. Onde, per la Corte qualora non sia contestato il provvedimento irrogativo della sanzione, e quindi il preteso illegittimo esercizio di pubblici poteri, ma il semplice diritto a riscuotere la sanzione in parola a mezzo notifica di cartella esattoriale, preordinata all’espropriazione forzata, la tutela giudiziaria resta affidata ai rimedi dell’opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi di cui agli articoli 615 e seguenti del c.p.c.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile viene varato il decreto legge n.50 che introduce nel codice dei contratti pubblici 50.16, all’art.211, i comma 1.bis, 1.ter e 1.quater, alla cui stregua in primo luogo l'ANAC viene legittimata ad agire in giudizio per l'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, laddove ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; sempre l'ANAC poi, laddove ritenga che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del codice dei contratti pubblici, emette, entro 60 giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati, parere che viene trasmesso alla stazione appaltante la quale è tenuta a conformarvisi entro il termine assegnato dall'ANAC, comunque non superiore a 60 giorni dalla trasmissione ridetta: in difetto l'ANAC può spiccare ricorso, entro i successivi 30 giorni, innanzi al GA, con applicazione del rito di cui all'articolo 120 del codice del processo amministrativo. Importante rilevare come ANAC possa impugnare non già ogni genere di atto amministrativo, quanto piuttosto solo quelli relativi a contratti di più rilevante impatto, e dunque a quegli affidamenti contrattuali che presentino peculiare significatività tanto sul crinale della quantità che della qualità.</p> <p style="text-align: justify;">Viene poi affidato all'ANAC un potere regolamentare onde essa, con proprio regolamento appunto, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti delle stazioni appaltanti (bandi o provvedimenti di altra natura) in relazione ai quali esercita i ridetti poteri di impugnazione di cui ai comma 1-bis e 1-ter. Parte della dottrina parla, con riguardo a tale potere di impugnazione affidato all’ANAC, di un nuovo caso di giurisdizione di tipo oggettivo in cui si giunge dinanzi al GA non per la tutela di situazioni giuridiche soggettive individuali, quanto piuttosto per la salvaguardia del generale interesse alla legittimità dell’azione amministrativa di cui viene a farsi portatrice la pertinente Autorità in una materia delicata quale è quella dei contratti pubblici; una sorta di personificazione pubblicistica dell’interesse diffuso alla regolarità degli appalti e alla lotta alla corruzione (sul modello dell’azione prevista, in materia di concorrenza, dall’art.21.bis della legge 287.90 e che vede come protagonista la AGCM).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 giugno viene varata la legge n.96 che converte con modificazioni il decreto legge n.50.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 dicembre esce la sentenza della I sezione del Tar Toscana n.1521 che si occupa pregiudizialmente dell’asserita illegittimità costituzionale (ventilata da parte ricorrente) dell’art. 21 bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287, riferita all’eventualità che si aderisca all’orientamento che qualifica l’art. 21 bis come disposizione diretta a configurare l’esistenza di una forma “<em>oggettiva</em>” di giurisdizione amministrativa; ne conseguirebbe il contrasto di detta disposizione con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, nell’ambito dei quali il processo amministrativo è configurato come presidio a tutela dei diritti e degli interessi dei singoli e, non, come strumento di attuazione dell’interesse generale alla legalità dell’azione amministrativa; il contrasto con la Costituzione risulterebbe poi confermato dall’assenza di un termine diretto a disporre la decorrenza dei 60 giorni entro i quali l’Autorità può formulare il proprio parere motivato, circostanza che avrebbe l’effetto di incidere sulla stabilità dei provvedimenti (massime regolamentari) che potrebbero essere impugnati per un tempo sostanzialmente indefinito. Per il Tar nondimeno, al fine di dimostrare l’inesistenza dei presupposti per rimettere alla Corte Costituzionale il giudizio di legittimità sull’art. 21 bis è necessario premettere la ratio della disposizione appena richiamata, che va individuata sulla base di quanto previsto dal primo comma, laddove risulta evidente la volontà del Legislatore di attribuire all'AGCM la legittimazione “<em>ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato</em>”; il 2° comma dell’art. 21 bis prevede poi che, nell’ipotesi in cui la stessa Autorità ritenga che un’Amministrazione abbia adottato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza, essa ha la facoltà di inviare all’Amministrazione, entro 60 giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate; se l’Amministrazione non si conforma nei 60 giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi 30 giorni. E’ necessario per il Tar evidenziare che la pertinente censura di presunta illegittimità costituzionale è stata già affrontata da precedenti pronunce che, pur senza riferirsi espressamente all’assenza di un preciso <em>dies a quo</em> al quale ancorare i 60 giorni entro i quali è possibile l’emanazione del parere/invito, hanno ricostruito i caratteri fondamentali della legittimazione ad agire attribuita all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. In dette pronunce è stata smentita la tesi diretta a evidenziare l’esistenza di un’ipotesi di giurisdizione oggettiva, affermando che l’art. 21 bis “<em>...lungi dall'introdurre un’ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo, in cui l'azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, che porrebbe problemi di compatibilità specie con l'art. 103 Cost. (secondo il quale gli organi della giustizia amministrativa hanno giurisdizione in materia di interessi legittimi e, nei soli casi previsti dalla legge, di diritti soggettivi), delinea piuttosto un ordinario potere di azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche individuali qualificate e differenziate, benché soggettivamente riferite ad una autorità pubblica</em> (Tar Lazio, Sez. III bis, sent. n. 2720 del 2013)”. Sussistono infatti, anche per il Tar Toscana, i presupposti per ricondurre l’art. 21 bis ad una lettura costituzionalmente orientata e, ciò, sia in considerazione del tenore della disposizione che individua con precisione i poteri dell’AGCM sia, ancora, in considerazione del fatto che le norme sulla libertà di concorrenza disciplinano fattispecie nelle quali si muovono interessi individuali, concreti e qualificati che, quindi, fondano situazioni giuridiche soggettive in capo a tutti coloro che agiscono sul mercato, dovendosi considerare che la struttura sostanzialmente bifasica dell’art. 21 bis consente di individuare una prima fase a carattere consultivo, che concerne l’emissione del parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate e una seconda fase in sede giurisdizionale; nell’ambito di una tale struttura l’instaurazione del ricorso è configurata come un rimedio solo eventuale e, comunque, successivo all’esercizio di un potere prettamente amministrativo e, ciò, in considerazione del fatto che il ricorso potrebbe anche non essere nel concreto spiccato, nell’eventualità in cui la stessa Amministrazione abbia ritenuto di procedere in autotutela o, ancora, nell’ipotesi in cui l’AGCM consideri esaustivi i chiarimenti e le osservazioni proposte dall’Amministrazione. Ciò premesso, è evidente per il Collegio che la mancanza di una previsione legislativa, suscettibile di individuare un <em>dies a quo</em> al quale ancorare la decorrenza del termine di 60 giorni entro il quale l’Autorità può invitare l’Amministrazione ad emanare un parere siccome previsto dall’art. 21 bis, non assume un carattere dirimente e decisivo al fine di rilevare l’esistenza di un contrasto con gli artt. 2, 14, 103 e 113 della Costituzione, dovendosi considerare come l’esigenza di stabilità di rapporti giuridici trovi un’adeguata tutela e garanzia alla luce di alcuni orientamenti giurisprudenziali che consentono di attenuare quegli elementi che sarebbero suscettibili di differenziare l’interesse legittimo azionato. A tal fine è opportuno per il Collegio ricordare in primo luogo come sia stata sancita l’indispensabilità dell’esperimento della fase di interlocuzione con l’Amministrazione emanante e, ciò, a pena di una pronuncia di inammissibilità del successivo ricorso (in questo senso si veda Consiglio di Stato Sez. IV, del 28 gennaio 2016, n. 323). Ulteriori pronunce hanno poi affermato che il termine di 60 giorni per l’emanazione del parere dell’AGCM concerne un'attività che ha in sé natura amministrativa e non di iniziativa processuale, con la conseguenza che non sussistono le condizioni per estendere ad esso i principi dettati dal Codice del processo amministrativo per l'esercizio dell'azione in giudizio (Corte Costituzionale n. 20 del 14 febbraio 2013; T.A.R. Lazio Roma Sez. II, del 6 maggio 2013, n. 4451); ne consegue che il termine di 60 giorni non può iniziare a decorrere dalla mera pubblicazione del provvedimento, ma che al contrario il relativo <em>dies a quo</em> deve essere individuato in modo tale che la relativa durata sia effettivamente utilizzabile per l'esercizio del potere di iniziativa al quale accede (Cons. Stato Sez. V, del 09 marzo 2015, n. 1171). In conformità a detta interpretazione alcune pronunce di primo grado hanno sancito che il momento della “<em>conoscenza</em>” può essere individuato nella comunicazione all'AGCM del provvedimento contestato e, ciò, peraltro a patto che la stessa abbia il requisito della specificità, ovvero che contenga chiaramente gli elementi rilevanti dell'atto che dovrebbe divenire oggetto del parere (T.A.R. Calabria, Catanzaro del 29 giugno 2016, n. 1373); è evidente, infatti, che prescindere dall’effettiva conoscenza da parte dell’AGCM dei provvedimenti contestati avrebbe l’effetto di circoscrivere, se non di paralizzare, l’azione di quest’ultima, incidendo così sulla reale applicabilità dell’istituto e, ciò, in conflitto con la <em>ratio legis</em> della disposizione così come sopra ricordata. Un contributo alla stabilità dei rapporti giuridici è dato per il Collegio, seppur indirettamente, anche dall’art. 21 nonies della L. n. 241/90, nel momento in cui richiede, come presupposto per l’esercizio dell’autotutela, l’esistenza di un interesse pubblico all’annullamento e il mancato decorso del termine massimo dei 18 mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti incriminati: un’eventuale provvedimento di autotutela adottato dall’Amministrazione dovrà dunque essere assunto entro il termine ragionevole dei 18 mesi e, ancora, dovrà risultare motivato con riferimento all’esistenza di un interesse pubblico, idoneo a giustificare lo stesso annullamento; al contrario, nell’ipotesi in cui detti presupposti non siano ritenuti esistenti, l’Amministrazione sollecitata dall’AGCM dovrà necessariamente darne atto nel successivo parere e, ciò, con una motivazione che non potrà che avere effetti nella fase in cui la stessa AGCM dovrà valutare se proporre ricorso avverso gli atti adottati in violazione dei principi della concorrenza. Alla luce di quanto sopra riferito, per il Tar l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 21 bis deve essere respinta; l’avvenuta qualificazione soggettiva dell’interesse all’annullamento dei provvedimenti adottati in violazione dei principi di concorrenza, e nel contempo l’esigenza di correlare l’azione dell’Autorità al perseguimento di un fine di tutela collettivo, consente poi al Collegio di ritenere infondata anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per asserita mancanza di un interesse all’annullamento delle delibere emanate (nel caso di specie) dall’Università di Firenze.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 gennaio esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.371 alla cui stregua la previsione dell’art.119 c.p.a. - onde sono dimidiati tutti i termini processuali escluso tra gli altri quello di notifica del ricorso principale, dei motivi aggiunti e del ricorso incidentale ha sottesa la ratio di garantire, anche in presenza di esigenze acceleratorie del processo in relazione a peculiari fattispecie, la congruità e l’adeguatezza del termine per l’introduzione del giudizio avanti al G.A., al fine di non pregiudicare o quanto meno rendere difficoltoso il diritto alla tutela giurisdizionale costituzionalmente garantito- esplica implicito effetto abrogativo di ogni contraria prescrizione, indipendentemente da ogni espresso richiamo, ivi compresa quella di dimidiazione - nei casi previsti dall’art.10, comma 10, della legge 28.00 (in tema di parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) - del termine per ricorrere avverso i provvedimenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ivi previsti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 aprile esce l’importante pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.4, alla cui stregua da un lato l’operatore del settore che non ha presentato domanda di partecipazione alla gara non può assumersi legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei relativi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione; dall’altro anche con riferimento al vigente quadro legislativo (art.120, comma 5, del c.p.a.), deve assumersi trovare persistente applicazione l’orientamento secondo il quale le clausole non escludenti del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (e dunque assieme all’aggiudicazione a terzi), considerato come la postergazione della tutela avverso le ridette clausole non escludenti del bando al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione - secondo quanto peraltro già stabilito dalla <a href="http://www.lexitalia.it/private/cds/cdsadplen_2003-1.htm">decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003</a> - non si ponga certamente in frizione con il principio di concorrenza di matrice europea, giammai obliterandolo, ma piuttosto adattandolo alla realtà dell’incedere del procedimento nella relativa connessione con i tempi del processo.</p> <p style="text-align: justify;">Della pronuncia appare particolarmente importante <em>ratione materiae</em> il punto 19.3.4. e seguenti della motivazione in diritto, laddove per il Collegio una approfondita riflessione si impone in punto di disamina del disposto di cui all’art. 211 del d.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 sia nel testo originario interpolato dal d.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, che in quello vigente, siccome novellato dal d.L. 24 aprile 2017, n. 50. Il riferimento è all’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione previsto dall’art. 211, comma 2 del d. Lgs. 50/2016 e, dopo la relativa abrogazione, alla legittimazione dell’ANAC all’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora l’Autorità ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Si tratta invero – precisa il Collegio - del conferimento all’ANAC di una legittimazione processuale straordinaria al pari di quanto disposto da altre previsioni normative (si rammentano in proposito gli artt. 14 comma 7, 62, 110 comma 1, 121 comma 6 e 157 comma 2 del d. Lgs. n. 58 del 1998 con cui la Banca d’Italia e la Consob sono state legittimate ad impugnare le deliberazioni delle società vigilate adottate in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria; l’art. 52, comma 4 del d. lgs. n. 446 del 1997 che ha riconosciuto al Ministero delle Finanze il potere di impugnare per qualsiasi vizio di legittimità i regolamenti comunali in materia di entrate tributarie; l’art. 6 comma 10 della l. n. 168 del 1989, che ha attribuito al Ministro dell’Università e della Ricerca il potere di diretta impugnazione degli Statuti dei singoli Atenei che non si adeguino ai rilievi di legittimità dallo stesso formulati; l’art. 21 bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287 in tema di poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, l’art. 37 del d.L 6 dicembre 2011, n.201 in tema di poteri attribuiti all’ Autorita’ di regolazione dei trasporti e l’art. 70 del decreto legislativo del 18 agosto 2000 n. 267 che attribuisce al Prefetto la legittimazione a far valere, in via giurisdizionale, la decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale).</p> <p style="text-align: justify;">Orbene, chiosa ancora il Collegio, che la “<em>concorrenza per il mercato</em>” compendi un interesse di rango costituzionale ed europeo è circostanza nota, e non stupisce pertanto che il legislatore abbia sentito l’esigenza di attribuire all’Autorità di vigilanza in materia poteri “<em>propri</em>” da esercitare in sede giurisdizionale: la commissione speciale del Consiglio di Stato chiamata a rendere il parere sullo schema del decreto legislativo (Consiglio di Stato comm. spec., 28/12/2016, n. 2777) soffermandosi sull’ormai abrogato istituto di cui al comma 2 del citato art. 211 ( le c.d. “<em>raccomandazioni vincolanti</em>”) ha fatto riferimento ad un “<em>rafforzamento dei poteri dell’ANAC mediante l’attribuzione, in particolare, di un potere finalizzato all’emissione di raccomandazioni vincolanti nei confronti delle stazioni appaltanti, per l’annullamento in autotutela di atti della procedura di gara illegittimi</em>”(considerazioni, queste, certamente estensibili alla disposizione oggi vigente di cui al comma 1 bis del citato articolo 211). Nondimeno, appare necessario al Collegio sottolineare l’inassimilabilità della ratio della innovazione legislativa suddetta alle “<em>esigenze</em>” che militerebbero a sostegno dell’obbligo di immediata impugnazione delle clausole non escludenti del bando di gara, la legittimazione dall’ANAC venendo esercitata a presidio dell’interesse pubblico alla concorrenza in senso complessivo (di qui, anche, la limitazione ai “<em>contratti di rilevante impatto</em>” contenuta nella citata disposizione) e postulando un interesse “<em>certo</em>” e prioritario (quello alla rimozione del bando); il partecipante alla gara, invece, ha un interesse del tutto distinto da quello pubblicistico: ha l’interesse primario ed immediato ad aggiudicarsi la gara medesima; è quindi ravvisabile un interesse dell’offerente a proseguire la gara, funzionale ad ottenere il bene della vita cui esso aspira, rappresentato dall’aggiudicazione; soltanto laddove l’aggiudicazione divenga impossibile assume rilievo l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara; ma non è certo che - nella fase embrionale della procedura (chè è questa la fase in cui egli dovrebbe proporre l’impugnazione avverso il bando) - l’interesse all’aggiudicazione venga con certezza frustrato. L’Autorità agisce dunque nell’interesse della legge; il partecipante alla gara, invece nel proprio esclusivo e soggettivo interesse che, ripete ancora il Collegio, primariamente è quello di aggiudicarsi la gara, e solo subordinatamente quello della riedizione della gara medesima che non sia alfine riuscito ad aggiudicarsi. Non sembra pertanto all’Adunanza plenaria che la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 si muova nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse (non, come si è prima chiarito, dell’operatore del settore, ma neppure del partecipante alla procedura) a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: tale norma ha piuttosto subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 26 aprile esce il parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, n.1119 avente ad oggetto lo schema di Regolamento sull’esercizio dei poteri dell’Autorità Nazionale Anticorruzione di cui all’art. 211, commi 1 bis e 1 ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016, e dunque sulla legittimazione dell’Autorità ad impugnare i bandi di gara e sul potere di emettere pareri motivati nei quali l’ANAC indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati, con possibilità di ricorso in caso di scostamento dai ridetti pareri da parte della stazione appaltante.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la delibera ANAC recante Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi 1-bis e 1-ter del decreto legislativo n.50 del 2016, che disciplina la legittimazione dell’Autorità all’impugnazione degli atti amministrativi con c.d. “<em>ricorso diretto</em>” (art.211, comma 1.bis: atti relativi a contratti di rilevante impatto) e con “<em>ricorso previo parere motivato</em>” (art.211, comma 1.ter: gravi violazioni in materia di contratti pubblici, parere motivato dell’Autorità e, in caso di esito negativo, ricorso al GA).</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 settembre esce la sentenza della Corte di Giustizia UE, II sezione, in cause riunite C-54/17 e C-55/17, <em>Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Wind Tre S.p.A., Vodafone Italia S.p.a.</em> alla cui stregua la competenza in materia di pratiche commerciali scorrette è attribuita all’autorità identificata da ciascuno Stato Membro ai sensi della Dir. 2005/29/CE; in Italia, tale competenza è attribuita all’AGCM; prevale su questa competenza solo l’eventuale applicazione di una normativa speciale - di derivazione UE - che si ponga in contrasto (inteso come vero e proprio conflitto tra norme) con la disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette. Le norme stabilite dalla Dir. 2002/22/CE “<em>Servizio Universale</em>” in materia di comunicazioni elettroniche – precisa la Corte - non sono considerate in contrasto con gli obblighi normativi sulle pratiche commerciali scorrette e, quindi, non possono prevalere su di essi, con il precipitato onde la competenza deve assumersi dell’AGCM. Più in generale, decidendo su un rinvio pregiudiziale proveniente dal Consiglio di Stato, la Corte risponde alla domanda su chi sia l’Autorità competente tra l’AGCM e le autorità di regolazione settoriale in presenza di una violazione delle norme a tutela del consumatore in un settore regolato, affermando appunto che - per quanto riguarda l’applicazione della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette (Dir. 2005/29/CE), tale Autorità competente, anche nei settori regolati, è l’AGCM.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 luglio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 4990 che affronta ancora una volta il problema dell’intensità del sindacato del Giudice Amministrativo sugli atti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.</p> <p style="text-align: justify;">È noto che, nel processo amministrativo, l’accertamento del fatto produttivo di effetti giuridici descritto dalla norma mediante elementi che rinviano a nozioni scientifiche e tecniche controvertibili o non scientificamente verificabili ha data luogo ad un articolato dibattito.</p> <p style="text-align: justify;">Mentre gli studiosi del diritto civile e penale non hanno mai dubitato del fatto che la “decodificazione” dei concetti giuridici indeterminati spetti al giudice, cui è deputata la responsabilità istituzionale di estrapolare la norma dalla disposizione, nel diritto amministrativo si è per lungo tempo pensato ad essi come ad un ambito di valutazioni riservate alla pubblica amministrazione, non attingibile integralmente dal sindacato giurisdizionale, se non attraverso i dettami della c.d. “discrezionalità tecnica”. Nella sua primigenia formulazione, il principale corollario di tale concetto ‒ che, peraltro, non ha mai raggiunto una definizione ed uno statuto univoco ed, anzi, ha dato luogo in passato a sofisticate categorizzazioni ‒ era quello di delimitare il controllo giudiziale sulle valutazioni complesse all’interno di una prospettiva critica del tutto estrinseca ed esterna rispetto alla fattispecie concreta.</p> <p style="text-align: justify;">Il fondamento di tale netta presa di posizione ‒ indubbiamente influenzata dalla primigenia struttura cassatoria del processo amministrativo che, contando su di un ridottissimo ventaglio di strumenti istruttori, non poteva che incentrare l’indagine probatoria sulle sole modalità mediante le quali era stata compiuta l’istruttoria nel procedimento amministrativo ‒ ha ricevuto nel corso degli anni varie giustificazioni teoriche, e segnatamente: il carattere ancillare dell’apprezzamento tecnico rispetto alla valutazione sull’assetto di interessi pubblici, ovvero la sua riconducibilità al «merito» (la cui area veniva così estesa al di là delle scelte coinvolgenti la considerazione dell’interesse pubblico); la «logica» del sistema pubblico, secondo cui la scelta di valore insita nella valutazione tecnica complessa, proprio per la sua complessità e per gli interessi che coinvolge, deve essere riservata all’ente rappresentativo «dell’insieme del corpo sociale» più facilmente influenzabile e controllabile dai cittadini; i meccanismi di produzione degli effetti giuridici sostanziali, ordinati (anche in caso di discrezionalità tecnica) lungo la sequenza “norma-potere-effetto”.</p> <p style="text-align: justify;">La crescente insoddisfazione nei confronti della distanza venutasi così a creare tra il giudice ed i fatti controversi, sono alla base della successiva evoluzione, normativa e giurisprudenziale, che ha notevolmente ristretto i margini operativi della c.d. discrezionalità tecnica. La propensione del giudice amministrativo a spingersi “oltre” la rappresentazione dei fatti forniti dal procedimento è senza dubbio riconducibile alla nuova configurazione dell’oggetto e della funzione del processo amministrativo, ispirato al canone della effettività della tutela. Il nuovo codice di rito ha inteso superare in radice la realtà originaria di un processo in cui la fase istruttoria verteva prettamente su prove precostituite ‒ ovvero su documenti che non si formavano innanzi al giudice nel processo in contraddittorio tra le parti, ma prima del processo, nel momento stesso in cui il potere veniva tradotto in atto ‒, dotando il giudice di tutti i mezzi di prova necessari a realizzare un sistema rimediale “aperto” e conformato al bisogno differenziato di tutela dell’interesse evocato in giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Sullo specifico versante delle sanzioni antitrust, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha arricchito il dibattito di nuove implicazioni.</p> <p style="text-align: justify;">È noto che, per quanto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non prenda in espressa considerazione il diritto amministrativo ‒ risultando quest’ultimo per lo più associato ad autonomi diritti oggetto di copertura convenzionale ‒ la Corte di Strasburgo ha ricavato dalla garanzia generale procedurale di cui all’art. 6 principi di immediata rilevanza in ordine al concreto dispiegarsi dell’azione amministrativa, superandosi l’iniziale convinzione secondo cui la norma appena considerata, in quanto riferita a «criminal charge» e «civil rights and obligations», non trovasse applicazione in riferimento alle pretese di diritto amministrativo.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la giurisprudenza della Corte Europea, il «fair trial» non ha ad oggetto unicamente il processo, ma anche il procedimento, amministrativo, e segnatamente: per «tribunale» deve intendersi qualunque autorità che, pur attraverso un procedimento non formalmente qualificato processo nell’ordinamento interno, adotti atti modificativi della realtà giuridica, incidenti significativamente nella sfera soggettiva di un soggetto privato, anche se tale funzione viene esercitata al di fuori di una organizzazione giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Sennonché, proprio a partire da questa concezione originale di “giusto procedimento”, è emersa la rilevanza centrale, nelle controversie sull’esercizio del potere sanzionatorio, del concetto di «full jurisdiction». Secondo i giudici di Strasburgo la decisione amministrativa incidente su civil rights and obligations, per quanto adottata senza il rispetto di tutti i requisiti prescritti dal principio del «fail trail», può nondimeno essere considerata adottata conformemente alla Convenzione, laddove le garanzie procedurali ivi previste siano comunque riscontrabili nella sede di controllo della decisione stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Perché ciò avvenga è necessario, tuttavia, che l’organo che procede al sindacato sulla decisione pubblica possa effettivamente ed efficacemente influire su di essa «both on the facts and the law». La giurisdizione «piena» è dunque il potere del giudice di riformare in qualsiasi punto, in fatto come in diritto, la decisione impugnata resa dall’autorità amministrativa. La Corte europea ha pure precisato che soltanto in particolari casi ‒ concernenti scelte amministrative caratterizzate da «<em>wide policy aims</em>»o che necessitino di specifiche competenze tecniche ‒ il sindacato giurisdizionale può considerarsi sufficiente senza che sia richiesta una valutazione sostitutoria sui fatti e sul merito della decisione, sempreché la decisione stessa sia stata adottata dall’organo amministrativo attraverso una quasi judicial procedure «that sufficiently complies with Article 6» o in ogni caso nel rispetto di specifiche garanzie procedurali, in particolare per quanto concerne il contraddittorio tra le parti.</p> <p style="text-align: justify;">Proprio l’esigenza di assicurare un controllo di «full jurisdiction» sulle sanzioni irrogate dall’Autorità antitrust ‒ la cui natura “penale” in senso convenzionale è indubbia, tenuto conto che l’accertamento di antitrust infringement determina, oltre all’irrogazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e alla condanna al risarcimento del danno eventualmente cagionato, anche un significativo danno reputazionale ‒ ha spinto i giudici a connotare il processo amministrativo in termini di gravame «appellatorio» piuttosto che «cassatorio» di legittimità.</p> <p style="text-align: justify;">L’approdo finale della giurisprudenza ‒ superate alcune incomprensioni lessicali legate all’inziale distinzione tra sindacato “debole” e “forte” ‒ è stato quello di ammettere una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione: l’unico limite in cui si sostanzia l’intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l’Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all’esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto.</p> <p style="text-align: justify;">Questa tipologia di sindacato ‒ che può definirsi di “attendibilità tecnica” e “non sostitutivo” ‒ ha indubbiamente avuto il merito di allontanare definitivamente il processo amministrativo dal paradigma del contenzioso amministrativo, improntato non al metodo istruttorio di fondare il proprio accertamento sul raffronto tra la realtà e la rappresentazione che di essa fa l’amministrazione, bensì muovendosi all’interno della rappresentazione della realtà descritta nel provvedimento.</p> <p style="text-align: justify;">Su queste stesse basi, la giurisdizione di merito sulle sanzioni pecuniarie, per quanto prefigurata in termini ampi dall’art. 134, comma 1, lettera c), c.p.a., è stata interpretata dal Consiglio di Stato come riferita soltanto alla quantificazione della sanzione e non agli accertamenti complessi dell’illecito antitrust.</p> <p style="text-align: justify;">Va pure precisato che analoga impostazione è stata avallata dalla Corte di cassazione, la quale ha precisato che, nei confronti di provvedimenti emessi da autorità amministrative, il giudice amministrativo «non può esercitare un controllo c.d. di tipo forte sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell’esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto a sovrapporre la propria valutazione a quella dell'amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile un controllo di ragionevolezza, logicità, coerenza» (Cass., sez. un., 20 gennaio 2014, n. 1013).</p> <p style="text-align: justify;">Ebbene, secondo il Consiglio di Stato, il quadro così tratteggiato merita oggi una attenta riconsiderazione, anche alla luce di un recente intervento normativo.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2014/104/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 (relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea) ‒ al fine dichiarato di garantire che «chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un’impresa o un'associazione di imprese possa esercitare in maniera efficace il diritto di chiedere a tale impresa o associazione il pieno risarcimento di tale danno» ‒ ha previsto che «[g]li Stati membri provvedono affinché una violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione definitiva di un'autorità nazionale garante della concorrenza o di un giudice del ricorso sia ritenuta definitivamente accertata ai fini dell’azione per il risarcimento del danno proposta dinanzi ai loro giudici nazionali ai sensi dell'articolo 101 o 102 TFUE o ai sensi del diritto nazionale della concorrenza».</p> <p style="text-align: justify;">In attuazione della direttiva, l’art. 7, primo comma, del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, non solo ha introdotto nel nostro ordinamento una disposizione che ricalca quanto previsto dal predetto articolo 9 ‒ stabilendo che «[a]i fini dell’azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell’autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all’articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato», e precisando altresì che tal vincolo di accertamento «riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non il nesso di causalità e l’esistenza del danno» ‒, ma ha anche inserito, al secondo periodo, il seguente nuovo precetto: «il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima».</p> <p style="text-align: justify;">Ebbene, tale disposizione ‒ la quale, letta “a contrario”, sembrerebbe addirittura implicare che il sindacato del giudice del ricorso non si estenda ai profili tecnici che presentano «un oggettivo margine di opinabilità» ‒ deve essere interpretata in senso costituzionalmente conforme agli artt. 24 e 113, e 117, primo comma, della Costituzione (quest’ultimo parametro in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo). Nonostante l’evidente imprecisione linguistica, il precetto riveste una mera funzione didascalica: quella cioè di richiamare il giudice amministrativo al dovere di accertamento «diretto» di tutti i fatti rilevanti ai fini del decidere, senza in alcun modo esentarlo (per quanto la formula impiegata sia involuta) dal contemporaneo dovere di accertamento «critico» degli elementi valutativi lasciati indeterminati dalla fattispecie sanzionatoria. È del resto implausibile che il legislatore abbia voluto, con una espressione così incerta ed apodittica, revocare in dubbio il modello processuale inveratosi da tempo e faticosamente nel diritto vivente.</p> <p style="text-align: justify;">Tale interpretazione della disposizione è l’unica conforme al principio della tutela piena ed effettiva «secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo» (art. 1 del c.p.a.). Il principio del rimedio effettivo (frutto della convergenza sinergica della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo con le previsioni della Carta costituzionale) ha reso infatti recessiva l’idea che la garanzia delle posizioni sostanziali possano restringersi al mero accesso a un giudice ed a una procedura regolata dalla legge, implicando invece anche la possibilità di ottenere un provvedimento di tutela adeguato e omogeneo al bisogno di protezione di chi agisce.</p> <p style="text-align: justify;">Occorre invece chiedersi, nella direzione esattamente opposta, se ‒ anche alla luce del nuovo assetto del public and private enforcement, in cui (come si è visto) la violazione del diritto antitrust constatata da una decisione definitiva di un’autorità nazionale garante della concorrenza, rimasta inoppugnata o confermata dal giudice amministrativo, è divenuta incontestabile nel giudizio per il risarcimento del danno proposta dinanzi al giudice civile ‒ il descritto sindacato “non sostitutivo” di ragionevolezza e proporzionalità sull’illecito antitrust sia ancora coerente con la fisionomia che il processo amministrativo ha nel frattempo assunto informandosi all’anzidetto principio di effettività.</p> <p style="text-align: justify;">Osserva il Collegio che il controllo giurisdizionale “non sostitutivo” trova indubbio fondamento all’interno di un specifico contesto ordinamentale: quello in cui il legislatore, non essendo in grado di governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto, si limita a predisporre soltanto i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato. In queste ipotesi, in cui l’interesse legittimo non è altro che la proiezione sul versante soggettivo dei congegni limitativi e conformativi del potere che a tale interesse si oppone, la sentenza (il più delle volte) non si pone quale fonte diretta del «rapporto amministrativo» in sostituzione dell’atto amministrativo, semplicemente perché non può contenere l’accertamento sostanziale dei presupposti per ottenere il risultato della vita. In tali casi, l’attività integrativa del precetto corrisponde ad un tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso ai pubblici poteri di delineare in itinere l’interesse pubblico concreto che l’atto mira a soddisfare. Per questi motivi, al giudice amministrativo resta precluso il giudizio di valore politico consistente nella conveniente ed opportuna scelta allocativa, distributiva e gestionale delle risorse pubbliche. L’intangibilità del nucleo “intimo” della decisione discrezionale consegue alla stessa mancanza di un parametro giuridico di valutazione, essendosi al cospetto di attività, sì giuridicamente rilevante, ma non disciplinata da norme di diritto oggettivo (in tal senso, va letto l’art. 31, comma 3, c.p.a.).</p> <p style="text-align: justify;">Ben diverso è il caso in cui l’ordinamento generale pone esso stesso una regola sostantiva che determina a priori ed in astratto ciò che spetta ad ognuno dei soggetti coinvolti, ai cui interessi viene dunque assicurata, entro questi limiti, soddisfazione. In tali casi, nulla si oppone a che sia il giudice a “definire” la fattispecie sostanziale.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso oggi in discussione, gli elementi descrittivi del divieto di intesa anticompetitiva, anche quelli valutativi e complessi, sono presi in considerazione dalla norma attributiva del potere, nella dimensione oggettiva di “fatto storico” accertabile in via diretta dal giudice, e non di fatto “mediato” dall’apprezzamento dell’Autorità. Per questi motivi, il giudice non deve limitarsi a verificare se l’opzione prescelta da quest’ultima rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili che possono essere date a quel problema alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto, bensì deve procedere ad una compiuta e diretta disamina della fattispecie. Lo dimostra il fatto che, nelle azioni risarcitorie c.d. stand alone (ossia non precedute da una decisione dell’Autorità), il giudice civile ‒ sia pure ai fini risarcitori ‒ è chiamato a verificare direttamente ed in prima persona i presupposti dell’illecito, senza che occorra alcuna intermediazione di potere pubblico.</p> <p style="text-align: justify;">La sussunzione delle circostanze di fatto nel perimetro di estensione logica e semantica dei concetti giuridici indeterminati (ad esempio, quella del “mercato rilevante”) è una attività intellettiva ricompresa nell’interpretazione dei presupposti della fattispecie normativa, in quanto il tratto “libero” dell’apprezzamento tecnico si limita qui a riflettere esclusivamente l’opinabilità propria di talune valutazioni economiche. Ne consegue che la tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve consentire al giudice un controllo penetrante attraverso la piena e diretta verifica della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità (per quanto, in senso epistemologico, controvertibile). Al sindacato (non sostitutivo) di “attendibilità” va dunque sostituito un sindacato pieno di “maggiore attendibilità”.</p> <p style="text-align: justify;">Per le ragioni appena esposte, non pare corretto impostare il discorso sul grado di intensità del controllo giurisdizionale sugli atti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in termini di possibilità o meno di sindacato sostitutivo del giudice. Non operano infatti i limiti cognitivi insiti nella tecnica del sindacato sull’esercizio del potere, quando il giudice è pienamente abilitato a pervenire all’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale invocata (nella specie, l’accertamento della realizzazione o meno dell’intesa illecita punita con una pesante sanzione pecuniaria).</p> <p style="text-align: justify;">Anche i giudici dell’Unione europea hanno precisato che, nel controllo giurisdizionale sulle sanzioni antitrust, nessun ostacolo alla pienezza del sindacato può discendere dal «potere discrezionale di cui dispone la Commissione, in forza del ruolo assegnatole, in materia di politica della concorrenza, dai Trattati UE e FUE [...]» (Corte di Giustizia, 11 settembre 2014, in causa C-382/12, punto 156).</p> <p style="text-align: justify;">Tale assunto trova una ulteriore conferma, sia nella distinzione tra le funzioni di regolazione e quelle di vigilanza, sia nella natura del potere sanzionatorio.</p> <p style="text-align: justify;">La regolazione economica dei mercati, attraverso l’identificazione dei soggetti legittimati, dei beni negoziabili e dei contratti stipulabili, è funzione che concorre a “definire”, talvolta finanche anche a “creare”, il fatto economico (si pensi ai mercati c.d. virtuali).</p> <p style="text-align: justify;">Il modello antitrust è invece una forma di garanzia amministrativa che presidia le “condizioni di contesto” ‒ prefigurate dal legislatore ‒ all’interno delle quali i rapporti interprivati possono legittimamente esplicarsi, non attingendo il livello di politicità della regolazione economica. La vigilanza della condotta delle imprese presenti sul mercato, pur comportando limitazioni alla libertà di “lottare” per assicurarsi una posizione di supremazia sul mercato, realizza pur sempre una funzione “arbitrale” tra interessi privati contrapposti, volta fondamentalmente all’accertamento della corretta applicazione delle norme di legge.</p> <p style="text-align: justify;">Più in generale le sanzioni amministrative in senso stretto ‒ quelle che costituiscono reazione dell’ordinamento alla violazione di un precetto, ed a cui è estranea qualunque finalità ripristinatoria o risarcitoria ‒ sono inflitte nell’esercizio di un potere ontologicamente diverso dalla discrezionalità amministrativa che presuppone una ponderazione di interessi. Sul piano funzionale, si tratta infatti di un potere equivalente a quello del giudice penale, sia pure con la peculiarità di essere irrogata dall’amministrazione e, per questo motivo, capace di incidere esclusivamente su beni diversi dalla libertà personale (a cagione della riserva costituzionale di giurisdizione). Nel caso della funzione amministrativa in senso proprio, il provvedimento amministrativo, anche quando è fonte, per il suo destinatario, di conseguenze pregiudizievoli o afflittive, queste non sono mai lo scopo o la causa dell’esercizio del potere, bensì la conseguenza soltanto “indiretta” di un atto che ha come obiettivo principale la cura di un interesse pubblico determinato.</p> <p style="text-align: justify;">Il Collegio deve porsi, a questo punto, il problema di verificare se la nuova modalità (più intensa) di sindacato, esercitata dal giudice amministrativo non possa essere ritenuta lesiva dei limiti esterni della giurisdizione, alla luce di alcune pronunce della Corte di Cassazione che ‒ spingendosi sostanzialmente a valutare le stesse modalità di rilevazione dei vizi delle valutazioni tecniche o delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione ‒ hanno affermato che «non è consentito al Consiglio di Stato un controllo c.d. di tipo “forte” sulle valutazioni tecniche opinabili, id est l’esercizio, da parte del giudice, di un potere sostitutivo, spinto fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell'Amministrazione, fermo restando anche sulle valutazioni tecniche il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza» (cfr. la citata sentenza della Cassazione civile, sezioni unite, 20 gennaio 2014 n. 1013).</p> <p style="text-align: justify;">La sentenza n. 6 del 2018 della Corte Costituzionale ‒ proseguendo nella direzione già tracciata dalle sentenze n. 204 del 2004 e n. 77 del 2007 ‒ ha affermato che: «[l]’“eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri, non ammette soluzioni intermedie, come quella pure proposta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”». La Consulta ha, in questi termini, ritenuto non conforme a Costituzione l’interpretazione “evolutiva” e “dinamica” del concetto di giurisdizione, che consentirebbe alla Corte di Cassazione di sindacare non solo le norme che individuano «i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale», ma anche quelle che stabiliscono «le forme di tutela» attraverso cui la giurisdizione si estrinseca.</p> <p style="text-align: justify;">Dalla giurisprudenza costituzionale sembra evincersi che, attraverso l’eccesso di potere giurisdizionale, non sia possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione le caratteristiche strutturali e gli effetti del sindacato di legittimità compiuto dal Consiglio di Stato, privando quest’ultimo della prerogativa ‒ costituzionalmente tutelata ‒ di definire il regime degli atti amministrativi (anche nei suoi confini con il merito). L’eccesso di potere giurisdizionale ai danni dell’Amministrazione sembrerebbe quindi configurabile solo in caso di superamento dei limiti dell’attività integrativa del giudice amministrativo, qualora si risolva nella enucleazione di criteri extralegali di integrazione del diritto positivo (preordinati alla valutazione dell’operato della pubblica amministrazione) del tutto incompatibili con le direttrici di valore espresse dall’ordinamento generale.</p> <p style="text-align: justify;">Su queste basi ‒ nel doveroso rispetto delle prerogative della Corte di Cassazione ed in una prospettiva di leale collaborazione istituzionale ‒ ritiene il Collegio che uno “sconfinamento” dai limiti esterni della giurisdizione amministrativa non sia predicabile quando ‒ come accade nel caso in discussione ‒ si tratti semplicemente di fissare il significato della fattispecie normativa sanzionatoria ad opera del giudice chiamato alla sua interpretazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2020</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 gennaio esce la sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE nella causa C-274/14 che ritorna sul concetto di indipendenza dell’organo giudicante.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di «indipendenza» comporta due aspetti. Il primo aspetto, di ordine esterno, esige che l’organismo in questione eserciti le proprie funzioni in piena autonomia, senza soggiacere a vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni di qualsivoglia origine, in modo da essere tutelato dinanzi agli interventi o alle pressioni esterne suscettibili di compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e di influenzare le decisioni di questi.</p> <p style="text-align: justify;">Sempre per quanto riguarda l’aspetto esterno della nozione di «indipendenza», occorre ricordare che l’inamovibilità dei membri dell’organo di cui trattasi costituisce una garanzia inerente all’indipendenza dei giudici, in quanto mira a proteggere la persona di coloro che hanno il compito di giudicare.</p> <p style="text-align: justify;">Il principio di inamovibilità, del quale va sottolineata l’importanza capitale, esige, in particolare, che i giudici possano continuare a esercitare le proprie funzioni finché non abbiano raggiunto l’età obbligatoria per il collocamento a riposo o fino alla scadenza del loro mandato, qualora quest’ultimo abbia una durata determinata. Pur non essendo assoluto, questo principio può conoscere eccezioni solo a condizione che ciò sia giustificato da motivi legittimi e imperativi, nel rispetto del principio di proporzionalità. In concreto, si ammette comunemente che i giudici possono essere rimossi ove siano inidonei a continuare ad esercitare le loro funzioni a motivo di un’incapacità o di una grave violazione, rispettando a tal fine procedure appropriate.</p> <p style="text-align: justify;">Più in particolare, la garanzia di inamovibilità dei membri di un organo giurisdizionale esige che i casi di rimozione dei membri di tale organo siano determinati da una normativa particolare, mediante disposizioni legislative espresse che forniscano garanzie ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme generali del diritto amministrativo e del diritto del lavoro applicabili in caso di rimozione abusiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il secondo aspetto della nozione di «indipendenza», di ordine interno, si ricollega alla nozione di «imparzialità» e riguarda l’equidistanza rispetto alle parti della controversia ed ai loro rispettivi interessi in rapporto all’oggetto di quest’ultima. Questo aspetto impone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione della controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica.</p> <p style="text-align: justify;">Così, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, la nozione di «indipendenza», che inerisce alla funzione giurisdizionale, implica innanzitutto che l’organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione impugnata con un ricorso.</p> <p style="text-align: justify;">Tali garanzie di indipendenza e di imparzialità implicano l’esistenza di disposizioni, segnatamente relative alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni, nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di rimozione dei suoi membri, che consentano di fugare, negli amministrati, qualsiasi legittimo dubbio in merito alla impenetrabilità di detto organo dinanzi a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi in conflitto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che questioni ha posto e come si connota il c.d. rito accelerato in materia di impugnazione dei “<em>provvedimenti</em>” delle Autorità indipendenti?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="1034"> <li>una questione ha interessato i regolamenti delle Autorità, essendo in proposito affiorate 2 tesi: a.1) ai regolamenti si applica tale rito accelerato, inizialmente previsto dall’art.23 bis della legge 1034.71: anche i regolamenti sono infatti “<em>provvedimenti</em>” riconducibili all’Autorità, seppure a connotazione “<em>normativa</em>”; peraltro a ragionare diversamente potrebbero affiorare criticità nei casi, tutt’altro che infrequenti, in cui venga impugnato tanto il regolamento dell’Autorità “<em>a monte</em>” quanto il successivo provvedimento adottato “<em>a valle</em>”, con assoggettamento dei due ricorsi a riti diversi (il primo ordinario ed il secondo accelerato), seppure nel contesto di un medesimo giudizio; si tratta della tesi maggioritaria, alfine abbracciata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che si impernia sulla natura omogenea degli interessi che sottendono i provvedimenti <em>de quibus</em> e sulla necessità che anche per i regolamenti si giunga ad una sollecita definizione dei pertinenti giudizi; la tesi sembra essere stata abbracciata anche dal legislatore che, all’art.133, comma 1, lettera l) ha innovativamente fatto riferimento – affidandoli alla giurisdizione esclusiva del GA – a “<em>tutti</em>” i provvedimenti delle Autorità, con ciò sembrando alla dottrina includere ormai anche <em>quoad ritum</em>, per l’appunto, i regolamenti; a.2) ai regolamenti in parola non si applica il rito accelerato, dacché l’art.23 bis fa riferimento ai “<em>provvedimenti</em>” delle Autorità, onde esso coinvolge l’impugnazione di provvedimenti formalmente e sostanzialmente amministrativi, e non anche i regolamenti che, pur formalmente amministrativi, sono in realtà atti sostanzialmente normativi, con conseguente, relativa impugnabilità secondo il rito ordinario; anche la nuova formulazione di cui all’art.133 c.p.a. si riferisce del resto, in tema di giurisdizione, a “<em>tutti i provvedimenti</em>”, escludendo dunque dal relativo novero i regolamenti; si tratta della tesi recessiva, che ha meno seguito in dottrina e giurisprudenza;</li> <li>dal punto di vista delle relative caratteristiche che lo peculiarizzano, si tratta di un rito speciale “<em>accelerato</em>” – applicabile sia al cospetto di giurisdizione esclusiva che di giurisdizione ordinaria di legittimità - che vede dimezzati tutti i termini processuali, esclusi quelli per la notifica del ricorso introduttivo, dei motivi aggiunti, del ricorso incidentale e dell’appello avverso le ordinanze cautelari del Tar (quest’ultimo resta di 30 giorni dalla notifica e di 60 dalla pubblicazione della gravanda ordinanza); da notare come questi ultimi atti si notificano nel termine ordinario, ma si depositano nel termine dimidiato di 15 giorni (e non già in quello ordinario di 30); sono del pari dimidiati i termini successivi e segnatamente quello per la fissazione della camera di consiglio cautelare (giudice) e quelli di deposito di documenti, memorie e repliche (parti); il dispositivo della sentenza del Tar in primo grado e del Consiglio di Stato in appello viene pubblicato solo se una delle parti lo richieda espressamente nell’udienza di discussione con dichiarazione messa a verbale, entro 7 giorni dalla decisione della causa.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problemi pongono in particolare i provvedimenti adottati dall’ANAC?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una Autorità che ha visto via via ampliarsi i compiti riconosciutile dalla legge e, con essi, gli interessi pubblici da perseguire;</li> <li>affiora pertanto una certa eterogeneità degli atti dalla medesima Autorità di volta in volta adottati;</li> <li>si tratta in primo luogo di una Autorità nazionale anticorruzione, ex art.13 del decreto legislativo 150.09, 1 della legge 190.12 e 19 del d.l.90.14: per i pertinenti atti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 133 e 134 c.p.a., sussiste la giurisdizione di legittimità del GA (con applicazione del rito accelerato ex art.119 c.p.a.), salva sempre la espressa giurisdizione del GO;</li> <li>si tratta anche di una Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, ex art.19 del d.l.90.14 e 213 del decreto legislativo 50.16: per i pertinenti atti, sempre ai sensi del combinato disposto degli articoli 133 e 134 c.p.a., sussiste la giurisdizione esclusiva del GA (ancora una volta con applicazione del rito accelerato ex art.119 c.p.a.).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della legittimazione a ricorrere e dell’interesse a ricorrere quali condizioni di ammissibilità del ricorso avverso gli atti delle Autorità indipendenti?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la legittimazione a ricorrere certamente spetta all’impresa o comunque al soggetto che ha posto in essere l’operazione sottoposta a controllo da parte dell’Autorità, e che è dunque destinatario del pertinente provvedimento venendone direttamente inciso;</li> <li>dubbi si pongono invece – massime in relazione alla normativa <em>antitrust</em> ed a quella che disciplina la c.d. “<em>pubblicità ingannevole</em>” - per soggetti diversi e, più precisamente: b.1) per i consumatori, individualmente o a mezzo associazioni categoriali; b.2) per imprese “<em>altre</em>” che lamentino l’inadeguatezza delle misure in concreto adottate dall’Autorità nel singolo caso di specie;</li> <li>si tratta in particolare delle fattispecie in cui un provvedimento dell’Autorità sia favorevole o comunque “<em>assolutorio</em>” per il soggetto (normalmente, imprenditoriale) sottoposto a controllo – il cui comportamento posto in essere o il cui accordo concluso viene assunto dall’Autorità (in modo esplicito o anche solo implicito) lecito – ma che viene ad un tempo assunto pregiudizievole da parte di altri soggetti (consumatori o imprenditori concorrenti nel mercato di riferimento) che assumono la foggia di controinteressati rispetto al contegno o all’accordo approvato o comunque consentito dall’Autorità;</li> <li>è l’ipotesi della concentrazione o dell’intesa assunta non illecita dall’Autorità, che tuttavia viene percepita lesiva da parte di imprese concorrenti nell’ambito del medesimo mercato, ovvero da parte di consumatori, singoli o associati, con conseguente lagnato <em>vulnus</em> riconducibile alla mancata (o non sufficiente) stigmatizzazione di condotte o comunque di accordi anticoncorrenziali;</li> <li>se da un lato dunque, nella fase <em>ex ante</em> del procedimento, consistenti garanzie (anche partecipative) sono riconosciute tanto ai diretti interessati dai controlli dell’Autorità quanto ai pertinenti controinteressati, consumatori od imprenditori concorrenti, sul crinale <em>ex post</em> della legittimazione al ricorso si giustappongono due tesi: e.1) la tesi più remota e restrittiva, ormai superata, onde sono legittimati ad impugnare gli atti dell’Autorità i soli soggetti che siano direttamente incisi dai relativi provvedimenti, e non anche i soggetti “<em>controinteressati</em>” rispetto all’azione di controllo dell’Autorità medesima (consumatori ed imprenditori concorrenti); ciò in quanto l’Autorità spiega una attività che è preordinata a tutelare l’interesse pubblico alla libertà di iniziativa economica, con riguardo al quale tutti i soggetti non direttamente coinvolti dall’attività medesima e destinatari diretti del pertinente provvedimento sono titolari di un interesse di mero fatto che ha natura indifferenziata rispetto all’interesse pubblico in parola; peraltro, questa opzione ermeneutica si appunta sulla scissione tra partecipazione procedimentale, da un lato, e legittimazione processuale, dall’altro, onde essere legittimati a partecipare al procedimento non implica necessariamente, di riflesso, la legittimazione processuale, palesandosi ben possibile che i terzi “<em>controinteressati</em>” partecipino ai procedimenti dell’Autorità e financo diano ad essi avvio giusta denuncia senza che ciò rechi necessariamente seco la legittimazione ad impugnare il provvedimento nel quale tale procedimento esita; e.2) la tesi più recente e più ampliativa, assumendo l’opposta opzione ermeneutica in frizione con il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale di cui all’art.24 e 113 Cost., oltre che in contrasto con i principi sovranazionali di pertinenza, tende invece ad allargare la legittimazione ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità riconoscendola anche in capo ai terzi “<em>controinteressati</em>” (consumatori e imprenditori concorrenti), ai cui interessi viene riconosciuta tanto rilevanza procedimentale quanto rilievo processuale in termini appunto di legittimazione “<em>ampliata</em>” ad impugnare i provvedimenti dell’Autorità ridetta; da un lato le associazioni di consumatori vengono assunte portatrici di un interesse qualificato e differenziato alla corretta informazione economica ed alla conseguente libertà di autodeterminazione nelle scelte di acquisto, interesse vulnerato in particolare dalle pratiche c.d. di pubblicità ingannevole, onde al potere di vigilanza dell’Autorità in tema di pubblicità ingannevole ed ai relativi provvedimenti si giustappongono i controinteressati <em>sub specie</em> di consumatori, massime, se collettivi ed organizzati in associazioni; dall’altro gli operatori economici operanti nel medesimo settore di attività dell’impresa controllata vantano, a propria volta, un interesse differenziato rispetto a quello del <em>quisque de populo</em>, vulnerabile in via personale, immediata e diretta da una eventuale violazione delle norme sulla concorrenza, con conseguente profilarsi di un interesse diretto, concreto ed attuale (e, dunque, di una legittimazione) ad impugnare i provvedimenti “<em>assolutori</em>” resi dall’Autorità nei confronti dell’operatore vigilato ed assunti viziati da illegittimità per non corretta spendita del pertinente potere da parte dell’Autorità in parola;</li> <li>per quanto concerne l’interesse a ricorrere, un problema si pone con riguardo all’atto di rigetto degli impegni ex art.14, comma 1, della legge 287.90 che, atteggiandosi ad atto infra-procedimentale, è impugnabile in via immediata e diretta solo laddove assunto del pari “<em>immediatamente</em>” lesivo della posizione del ricorrente, circostanza normalmente esclusa dalla tesi maggioritaria, che lo assume dunque impugnabile solo con l’atto finale del pertinente procedimento.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della c.d. discrezionalità tecnica delle <em>Authorities</em> e del pertinente sindacato del GA?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>le Autorità indipendenti sono normalmente attributarie della c.d. “<em>discrezionalità tecnica</em>”, che tuttavia non attiene ad alcuna scelta (e dunque non è autentica discrezionalità) risolvendosi piuttosto in un “<em>giudizio</em>” di natura, per l’appunto, tecnica e strettamente avvinto al settore di vigilanza che la singola Autorità presidia;</li> <li>gli atti espressione di questa “<em>discrezionalità tecnica</em>” sono assunti ormai sindacabili dal GA, ma è discussa l’intensità di tale possibile scandaglio e dunque la consistenza di “<em>penetrabilità giurisdizionale</em>” nel provvedimento amministrativo dell’Autorità siccome affidata al ridetto GA;</li> <li>esercitare, da parte dell’Autorità, una “<em>discrezionalità tecnica</em>” significa far riferimento a norme che esprimono concetti giuridici indeterminati, i quali ultimi vanno di volta in volta concretizzati giusta utilizzo di nozioni tecnico-scientifiche a disposizione dell’Autorità medesima (tipici esempi sono quelli di “<em>intesa restrittiva della concorrenza</em>”, di “<em>abuso di posizione dominante</em>” o, ancora, di “<em>mercato rilevante</em>”;</li> <li>a tal fine, l’Autorità in primo luogo accerta i fatti siccome sostanziatisi nella singola fattispecie ad essa sottoposta; solo a quel punto può in qualche modo contestualizzare la norma, verificando se i concetti giuridici indeterminati in essa espressi possano attagliarsi all’ipotesi scandagliata o, in altri termini, se i relativi elementi costitutivi, qualificati in orbita tecnico-scientifica, si attagliano ai fatti siccome accertati;</li> <li>solo a valle di questa complessa operazione l’Autorità adotta (o non adotta) il provvedimento legalmente previsto;</li> <li>quando il tutto approda al GA, si pone la questione di capire se quest’ultimo: f.1) possa a propria volta “<em>intrinsecamente</em>” accertare in via autonoma (salvo vedere fino a quel punto) i fatti rilevanti e verificare le norme tecnico-scientifiche applicate dall’Autorità, giungendo eventualmente a dare una propria interpretazione del concetto giuridico indeterminato financo sostitutiva rispetto a quella resa dall’Autorità medesima; f.2) o debba piuttosto “<em>estrinsecamente</em>” acclarare la tenuta logica dell’iter seguito dall’Autorità, senza potersi sostituire ad essa nelle pertinenti valutazioni tecnico-scientifiche (tesi più remota, ormai superata);</li> <li>acclarata a partire dal 1999 la sindacabilità in generale della c.d. discrezionalità tecnica, con particolare riguardo alle Autorità indipendenti si è posto il successivo problema della sussistenza di eventuali limiti a tale sindacabilità per il giudice amministrativo, affiorando via via la distinzione – in termini di intensità dello scandaglio – tra controllo intrinseco “<em>debole</em>” e “<em>forte</em>”;</li> <li>il controllo e, con esso, il sindacato giurisdizionale di tipo “<em>debole</em>” nega che il GA abbia il potere di sostituirsi all’Autorità e dunque di sovrapporre il proprio giudizio tecnico “<em>opinabile</em>” (e non già, più macroscopicamente, inattendibile) o comunque il prototipo di interpretazione e concreto inveramento del concetto indeterminato, normativamente descritto, siccome riconducibile alla ridetta Autorità; stando a questa opzione, il GA può in astratto avvalersi dell’ausilio di un consulente tecnico di ufficio, potendo tuttavia chiedere al ridetto consulente solo di accertare il profilo tecnico di un ben individuato presupposto del fatto rilevante o, più genericamente ottenerne un sostegno orientato ad ampliare la conoscenza che il giudice ha giusta contributi tecnico-scientifici specialistici concernenti settori del sapere che siano caratterizzati da una obiettiva difficoltà, seppure sempre con quesiti di tipo circoscritto e ben delimitato; il CTU fornisce dunque – in questo prisma ermeneutico - un apporto tecnico di tipo atomistico, ma non può fornire un ausilio di tipo globale essendo inammissibile che egli ripercorra integralmente il compendio delle complesse valutazioni tecniche che spettano all’Autorità e che possono essere scandagliate in sede giurisdizionale solo nei ridetti limiti; si tratta di una opzione ermeneutica alla quale è sotteso il principio di separazione dei poteri, siccome costituzionalmente scolpito;</li> <li>il controllo e, con esso, il sindacato giurisdizionale di tipo “<em>forte</em>” attribuisce invece al GA il potere di sostituirsi all’Autorità e di ripetere – avvalendosi se del caso di un CTU – la pertinente valutazione tecnica, sovrapponendo eventualmente il proprio differente risultato tecnico a quello già raggiunto dall’Autorità con l’atto impugnato; secondo questa tesi, il provvedimento giurisdizionale sostituisce dunque quello “<em>tecnico-amministrativo</em>” dell’Autorità; affermare la predicabilità di un sindacato “<em>forte</em>” significa peraltro, come il più contiene il meno, superare la stessa dicotomia tra sindacato “<em>forte</em>” e sindacato “<em>debole</em>”, soluzione predicata da parte della giurisprudenza nel nome del principio di effettività della tutela giurisdizionale anche laddove invocata nei confronti di provvedimenti riconducibili ad Autorità tecnicamente qualificate.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali problemi pone la legittimazione di AGCM ad impugnare gli atti di altre Amministrazioni di cui all’art.21 bis della legge 287.90?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>una prima questione riguarda la natura del parere di cui al comma 2, onde: a.1) secondo una prima lettura, recessiva e minoritaria, esso sarebbe espressione (sostanziale) di un potere di AGCM autonomo e diverso rispetto a quello (processuale) alla cui stregua la stessa è legittimata ad impugnare innanzi al GA gli atti delle Amministrazioni che si pongano in frizione con i principi concorrenziali; a.2) secondo un’altra opzione ermeneutica, maggioritaria, il parere precontenzioso di AGCM si inserisce, con foggia di diffida, nel percorso che, previo contraddittorio con l’Amministrazione che ha adottato il provvedimento o emanato l’atto anticoncorrenziale, può esitare – in caso di mancata, peculiare “<em>autotutela</em>” vincolata dell’Amministrazione stessa e dunque in difetto di “<em>ritiro vincolato</em>” del predetto atto o provvedimento – nel processo innanzi al GA su iniziativa della stessa Autorità;</li> <li>dal punto di vista soggettivo, è poi dubbio se AGCM sia legittimata ad impugnare anche gli atti di altre Autorità indipendenti che, nell’ipotesi affermativa, verrebbero in qualche modo obbligate ad ottemperare a quel dovere di leale collaborazione che già spontaneamente dovrebbe contraddistinguerle, a presidio dell’interesse pubblico la cui tutela è a ciascuna di esse demandata;</li> <li>sul crinale oggettivo, possono essere impugnati da AGCM - oltre ai canonici provvedimenti – anche atti amministrativi generali e regolamenti delle altre Amministrazioni, in quest’ultimo caso – si assume – pur in difetto di concreta ed immediata lesività degli stessi, a differenza di quanto normalmente accade in materia appunto di impugnativa di questo genere di atti c.d. “<em>generali</em>”.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che natura va riconosciuta alla particolare legittimazione di AGCM ad impugnare gli atti di altre Amministrazioni?</strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="287"> <li>poiché l’Autorità è un soggetto amministrativo autonomo, indipendente e neutrale, il potere attribuitole dall’art.21 bis della legge 287.90 compendia una fattispecie di giurisdizione “<em>oggettiva</em>”, che come tale trova abbrivio dall’iniziativa di un soggetto giuridico che, pur presidiando il valore della “<em>concorrenza</em>”, non ha legittimazione ad agire in senso tecnico (non essendo titolare di una situazione giuridica soggettiva qualificata e differenziata) né interesse ad agire del pari in senso tecnico (non vantando l’aspettativa ad una utilità propria in conseguenza dell’eventuale esito favorevole del processo, siccome innescato), atteggiandosi in modo simile ad un PM nel processo penale e dunque con poteri di iniziativa riannodabili alla tutela di interessi generali, e non già di interessi propri (tesi minoritaria); si tratta di una presa di posizione che tuttavia sembra entrare in frizione con l’art.103 Cost., che annovera anche la giurisdizione amministrativa tra quelle di tipo soggettivo, potendo essere adito il GA non già per la tutela di interessi pubblici, quanto piuttosto per la tutela di interessi legittimi e, in particolari materia previste dalla legge, di diritti soggettivi;</li> <li>AGCM è da intendersi quale rappresentante processuale di interessi diffusi e collettivi che hanno trovato giuridica rilevanza, onde nessun superamento del c.d. processo di parti si è realizzato in ambito di giurisdizione amministrativa, essendosi solo potenziati i poteri dell’Autorità che è stata legittimata ad invocare dal GA tutela processuale a presidio della “<em>concorrenza</em>”, quest’ultima da intendersi non già come interesse pubblico e generale, quanto piuttosto quale interesse peculiare e differenziato del quale è portatrice l’Autorità stessa nel dispiegamento delle proprie funzioni (tesi maggioritaria); si tratta di una opzione ermeneutica maggiormente in linea con la natura “<em>soggettiva</em>”, e non già oggettiva, della giurisdizione del GA ai sensi dell’art.103 Cost.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre rammentare della c.d. tutela giustiziale avverso gli atti delle <em>Authorities</em>?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un tipo di tutela di natura amministrativa che va a braccetto con la natura, del pari amministrativa (e non giurisdizionale) riconosciuta alle Autorità indipendenti ed agli atti ad esse riconducibili;</li> <li>teoricamente, avverso gli atti amministrativi delle Autorità (amministrative) indipendenti parrebbe ammissibile l’esperimento di ricorsi amministrativi;</li> <li>in concreto, non è tuttavia esperibile il ricorso gerarchico proprio, dacché quest’ultimo presuppone un rapporto di gerarchia che non è predicabile con riguardo ad Autorità che, proprio perché “<em>indipendenti</em>”, non hanno superiori gerarchici di veruna foggia;</li> <li>sempre in concreto, non sono poi esperibili né il ricorso in opposizione né il ricorso gerarchico improprio, che sono rimedi giustiziali “<em>tipici</em>”, come tali presupponenti una espressa previsione legislativa che per le Autorità indipendenti fa difetto;</li> <li>discorso diverso riguarda invece il ricorso straordinario al Capo dello Stato, con riguardo al quale si registrano tesi giustapposte: e.1) tesi dottrinale: il ricorso straordinario al capo dello Stato non può ammettersi, in primo luogo a cagione dell’”<em>indipendenza</em>” che connota le Autorità, che sarebbe nettamente inficiata dalla possibilità di sottoporne gli atti al Governo (massime prima che il parere del Consiglio di Stato divenisse vincolante, potendo allora il Consiglio dei Ministri financo disattenderlo e, con ciò, scrutinare direttamente l’atto dell’<em>Authority</em>), o comunque di farli soggiacere ad interferenze del Governo nella fase di istruzione e decisione del ricorso straordinario medesimo; si oppone peraltro alla esperibilità del ricorso straordinario anche chi, pur riconoscendo la natura “<em>amministrativa</em>” delle Autorità, pone l’accento sulla peculiare connotazione sostanzialmente giustiziale dei relativi atti, che come tali non potrebbero essere per l’appunto soggetti al ricorso straordinario in parola; e.2) tesi giurisprudenziale: il ricorso straordinario al Capo dello Stato può ammettersi, massime dopo la riconosciuta natura vincolante del parere del Consiglio di Stato, in considerazione della ormai acclarata foggia amministrativa di tali Autorità e degli atti ad esse riconducibili; e.3) tesi dottrinale “<em>mista</em>” o a geometria variabile: le Autorità indipendenti non possono essere ricondotte ad una categoria generale onnicomprensiva, onde occorre giungere di volta in volta a soluzione diverse in relazione al grado di indipendenza della singola Autorità dal Governo, nonché a seconda della specifica natura degli atti adottati (se più propriamente amministrativi o più “<em>atipicamente paragiurisdizionali</em>”).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p>