Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza 14 febbraio 2023, n. 4591
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice contabile o amministrativo, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete. Siffatta ipotesi non ricorre quando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se l’abbia desunta non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, potendo tale operazione ermeneutica, tutt’al più, dar luogo ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale.
Si rileva, inoltre, come il vizio di eccesso di potere giurisdizionale non sia configurabile per “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Preliminarmente vanno disattese le richieste di rinvio articolate con la memoria ex art. 380.bis.1 cod. proc. civ.
1.1. Quanto all’istanza in relazione alla pendenza della decisione della Corte di giustizia sull’ordinanza n. 743/2022 del TAR Puglia, la richiesta è inammissibilmente generica neppure essendo specificata la pertinenza della questione ivi sollevata rispetto al presente giudizio, né essendo stato riprodotto il relativo provvedimento, solo tardivamente depositato.
In ogni caso, ove la questione risulti riferibile alla compatibilità della disciplina nazionale alle direttive unionali (in ispecie, alla direttiva n. 2006/123, cd. direttiva Bolkestein), la problematica risulta non attuale, estranea e neppure pertinente al presente giudizio posto che lo stesso Consiglio di Stato ha esplicitamente escluso la ricorrenza delle condizioni per l’applicazione della disciplina nazionale, concludendo che «non v’è ragione di domandarsi nel presente giudizio se la disposizione sia coerente ai principi dell’Unione europea».
1.2. Va altresì escluso che sussistano i presupposti per il rinvio della trattazione alla pubblica udienza posto che la questione attiene a profili, in punto di giurisdizione, su cui è dato rinvenire un’ampia e consolidata giurisprudenza di queste Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 14437 del 2018), neppure vertendosi in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass. S.U., n. 8093 del 2020).
- L’unico motivo di ricorso, precisa la Corte, denuncia eccesso di potere giurisdizionale per superamento dei limiti esterni della giurisdizione, avendo il Consiglio di Stato superato la sfera riservata alla discrezionalità del legislatore, nonché per aver deciso la controversia in violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., prescindendo dalle deduzioni ed eccezioni delle parti senza attivare il contraddittorio processuale, realizzando così un diniego di giustizia.
2.1. Sotto il primo profilo sostiene la parte ricorrente che il Consiglio di Stato, nel limitare l’applicabilità dell’art. 1, comma 683, della legge n. 145/2018 alle sole “concessioni di lunga durata”, ha introdotto un requisito non previsto da alcuna norma. Non condivisibile è poi l’assunto, fatto proprio dalla sentenza impugnata, per cui il riferimento al d.l. n. 194/2009 operato dall’art. 1, comma 683, della legge n. 145/2018, debba intendersi limitato alle concessioni di “lunga durata” di cui all’art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009 invece che a tutte le concessioni comunque in atto, posto che le prime sarebbero state di per sé operative alla data del 1° gennaio 2019 in forza della proroga al 31 dicembre 2020.
Rileva, in particolare, che l’intento del legislatore del 2018 era quello di protrarre il rapporto di tutte le concessioni vigenti alla data di entrata in vigore del d.l. n. 194/2009 a prescindere dalla loro natura di breve o lunga durata e dalle modalità, in concreto, di proroga, mentre la diversa interpretazione del Consiglio di Stato oblitera la distinzione tra i commi 682 e 683 dell’art. 1 cit. 2.2. Sotto il secondo profilo lamenta che la sentenza abbia risolto la controversia – relativa ad una attività vincolata e, quindi, con estensione della cognizione all’intero rapporto ed ai relativi presupposti costitutivi, la cui allegazione è onere delle parti – in relazione alla natura non di lunga durata della concessione, derivandone la non applicabilità dell’estensione temporale prevista dal comma 683 cit., senza preventivamente attivare il contraddittorio con le parti in violazione dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm.
- Il controricorrente contesta l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso.
Il Consiglio di Stato si è limitato ad interpretare le norme su cui era incardinato il giudizio ed oggetto delle deduzioni di entrambe le parti ed ha statuito sulla base dei fatti allegati e provati dalle parti, senza nessun rilievo officioso e/o a sorpresa.
- Il motivo è inammissibile per entrambi i profili dedotti.
- Quanto al primo profilo, va osservato che in tema di sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice contabile o amministrativo, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete (così Cass. S.U., n. 36593 del 2021, Cass. S.U., n. 22711 del 2019, Cass. S.U., n. 32175 del 2018).
Questa ipotesi non ricorre quando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se l’abbia desunta non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, potendo tale operazione ermeneutica, tutt’al più, dar luogo ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (così ancora Cass. S.U., n. 22711 del 2019, Cass. S.U., n. 22784 del 2012).
5.1. Invero, il percorso argomentativo perseguito dal Consiglio di Stato si articola sul complesso delle norme con cui sono state introdotte le diverse proroghe delle concessioni e si fonda su elementi logici, sistematici e letterali.
5.2. In primo luogo, osserva la Corte, la circostanza che l’art. 1, comma 683, richiami il d.l. n. 194 del 2009 senza ulteriori precisazioni («le concessioni di cui al comma 682, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge 31 dicembre 2009, n. 194,»; a sua volta il comma 682 dispone «Le concessioni disciplinate dal comma 1 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge») non può, per ciò solo, escludere che la rilevanza del richiamo sia intesa dal giudice in riferimento al carattere e alla natura delle concessioni come regolate dalla normativa richiamata anziché alla mera data di entrata in vigore della stessa.
Coerente e logica, dunque, è l’opzione esegetica del Consiglio di Stato per cui l’indicazione del dettato normativo non poteva equivalere alla sola indicazione della data «perché se ciò avesse voluto fare, sarebbe bastato indicare la data del 30 dicembre 2009 senza alcun richiamo al decreto legge n. 194 del 2009», e ciò, tanto più, che proprio il decreto legge n. 194/2009, come pure esplicitato dal giudice amministrativo, all’art. 1, comma 18, si riferiva alla proroga – fino al 2020 – del termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della disciplina (e rilasciate a seguito di una procedura amministrativa attivata prima del 31 dicembre 2009) in scadenza entro il 31 dicembre 2018.
E, del resto, quanto alla natura (“di lunga durata”) delle suddette concessioni, l’art. 01, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993 n. 400, convertito con modifiche dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo ratione temporis vigente nel 2009, prevedeva «Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. …». In tal senso, neppure può ritenersi opaco il riferimento al 2012 per la scadenza delle concessioni in essere e soggette a proroga, contenuto nella sentenza impugnata, posto che proprio il suddetto comma era stato abrogato dall’art. 11 della legge 15 dicembre 2011, n. 217, in vigore dal 17 gennaio 2012.
5.3. La ricostruzione compiuta dal Consiglio di Stato, inoltre, si àncora ad una evidente prospettiva sistematica, mirata a non ampliare l’ambito dei provvedimenti concessori destinati ad essere beneficiari di proroga: solo quelli in essere e solo quelli già oggetto di proroga sono destinatari delle ulteriori misure di estensione temporale. Una tale impostazione, e, quindi, la riconducibilità della statuizione del Consiglio di Stato ad una attività esegetica – nell’alveo delle interpretazioni possibili –, trova anche riscontro nell’interpretazione operata dalla Corte costituzionale dell’art. 1, comma 18, legge n. 194/2009 con la sentenza n. 213 del 18 luglio 2011.
Nel valutare la legittimità costituzionale di alcune disposizioni regionali in tema di proroga automatica di concessioni demaniali, la Corte ha precisato che detta disposizione ha «carattere transitorio, in attesa della revisione della legislazione in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art. 37, secondo comma, cod. nav.
La finalità del legislatore è stata, dunque, quella di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia, da definire in sede di Conferenza Stato-Regioni». Il logico corollario, pertanto, era nel senso che la proroga ivi prevista si riferiva solo alle concessioni nuove e in corso e non a quelle scadute. In coerente sviluppo, dunque, è la prospettiva del Consiglio di Stato con riguardo alla portata del successivo intervento del 2018.
5.4. Non si ravvisa pertanto lo sconfinamento lamentato: il giudice non ha affatto travalicato i limiti esterni della giurisdizione amministrativa, ma ha esercitato, nel definire i presupposti e i limiti di applicabilità della proroga delle concessioni demaniali marittime nella controversia promossa dal sig. Zonno, l’attività ermeneutica che gli compete come suo proprium, applicando la norma esistente e non una norma da lui creata.
Né rileva, soggiunge la Corte, che tale attività interpretativa possa aver dato luogo – nella prospettazione della parte ricorrente – ad un provvedimento abnorme o anomalo, ovvero abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento. Infatti, in questi ultimi casi può profilarsi, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione e il presunto errore di interpretazione rimane confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa a prescindere dalla sua gravità, visto che l’interpretazione delle norme costituisce il proprium distintivo dell’attività giurisdizionale (v. da ultimo Cass. S.U., n. 29900/2022, Cass. S.U., n. 36899/2021, Cass. S.U., n. 27770/2020).
- La doglianza è inammissibile anche con riguardo al secondo profilo, con cui vien denunciato, in realtà, un error in procedendo, dunque fuori dal perimetro del giudizio di legittimità per motivi attinenti alla giurisdizione, che resta fermo, come su rilevato, alla verifica dell’eventuale violazione dei limiti esterni della giurisdizione.
6.1. Il ricorrente cita la sentenza di questa Corte n. 4297/2013, secondo la quale la «violazione o falsa applicazione di norme processuali, può tradursi in eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile con ricorso per cassazione, soltanto nei casi in cui l’error in procedendo abbia comportato un radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia». Occorre tuttavia osservare che, in tempi più recenti e dopo il dialogo sul punto con la Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), la posizione delle Sezioni Unite in merito ai ben circoscritti limiti della verifica consentita alla Corte di cassazione in punto di giurisdizione sui provvedimenti dei giudici speciali è bene espressa da Cass. n. 8311 del 2019, e successive conformi, secondo la quale «L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i cd. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento, tale vizio non è configurabile per “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.»
- Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese, regolate per soccombenza, sono liquidate come in dispositivo.