Massima
La Pubblica Amministrazione è tenuta ad accertare – massime nelle fattispecie di procedimento ad istanza del privato – se l’interesse di quest’ultimo sia o meno compatibile con l’interesse pubblico; ciò non già sine die, quanto piuttosto secondo una sequenza cronologica prefissata dal legislatore che – tra le altre cose – annovera un termine finale al cui spirare affiora una vera e propria responsabilità dell’Amministrazione medesima; essa si atteggia diversamente a seconda della relativa riconducibilità ad un atto lecito, quantunque dannoso, ovvero ad un vero e proprio illecito: nel primo caso la conseguenza (automatica) è – per talune fattispecie – un indennizzo collegato al mero ritardo procedimentale, mentre nel secondo scatta l’obbligo di risarcire al privato istante il danno che sia conseguenza immediata e diretta di un ritardo procedimentale doloso o quanto meno colposo della PA; fatta salva, in quest’ultima evenienza (come, in qualche modo, anche nella prima), la necessità di verificare la natura aquiliana, ovvero “contrattuale”, della ridetta, pertinente responsabilità pubblica, con quanto e consegue in tema di onere della prova.
Crono-articolo
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.267, nuovo codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), che qualifica il ritardo quale peculiare forma di inadempimento dell’obbligazione, implicante la nascita in capo al creditore del diritto al risarcimento del danno: ai sensi dell’art.1218 infatti il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, configurando dunque il ritardo come ipotesi qualificata di inesatta esecuzione, ratione temporis, della prestazione dovuta al creditore, con onere della prova liberatoria (non imputabilità del ritardo) a carico del debitore. Più specificamente poi, ai sensi del successivo art.1224 nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro (c.d. obbligazioni pecuniarie), sono dovuti da debitore – muovendo dal giorno della mora e, dunque, per tutto il ritardo maturato rispetto alla scadenza del termine di pagamento – gli interessi legali anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno (risarcimento forfetario e predeterminato); se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori (e, dunque, da ritardo) sono poi dovuti nella stessa misura, mentre al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento che tuttavia non è dovuto se è stata convenuta tra le parti la misura degli interessi moratori. Importante poi anche il successivo art.1457 alla cui stregua se il termine fissato per la prestazione di una delle parti in seno ad un contratto deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine (e, dunque, nonostante il ritardo), deve darne notizia all’altra parte entro 3 giorni; in mancanza, il contratto si intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.
1948
Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede una riserve di legge in tema di organizzazione dei pubblici uffici, in modo da assicurare l’imparzialità ed il buon andamento (art.97) della Pubblica Amministrazione, la quale a rigore non può dunque concludere procedimenti (con connessa erogazione (o mancata erogazione) di beni e servizi ai privati istanti) rispettando i termini per taluno e non rispettandoli per talaltro. Su un piano più generale importante anche l’art. 28, alla cui stregua i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, ed in caso di responsabilità civile, essa (a differenza di quella penale ed amministrativa) si estende allo Stato e agli enti pubblici di appartenenza.
1997
Il 15 marzo esce la legge n.59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, il cui art.17, comma 1, lettera f) delega appunto il Governo a prevedere forme di indennizzo automatico e forfettario per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento e di mancata o ritardata adozione del provvedimento: si tratta di una forma indennitaria che dunque assume a proprio presupposto il mero fatto dell’inadempimento dell’obbligo di provvedere, e dunque in sostanza il “mero ritardo” della PA, senza che venga conferito alcun peso alla valutazione sostanziale di maggiore o minore fondatezza della pretesa spiccata dal soggetto privato, e dunque di minore o maggiore compatibilità del relativo interesse con quello pubblico. Una delega che non verrà attuata, forse anche per i dubbi ermeneutici e di medesima impostazione sistematica che essa solleva: il termine “indennizzo” fa peraltro pensare ad una responsabilità della PA per atto lecito, nel quale si compendierebbe appunto il mero ritardo, circostanza che, nondimeno, anche in dottrina non trova tutti d’accordo.
2004
Il 6 luglio esce la nota sentenza della Corte costituzionale n.204, che riconosce la legittimità di una previsione di giurisdizione esclusiva in capo al GA solo al cospetto della spendita di un potere in capo alla Pubblica Amministrazione. Si tratta di una pronuncia che innescherà, in una prima fase, il dubbio (poi superato) che il risarcimento del danno derivante da silenzio della PA o da ritardo perpetrato da quest’ultima, configurandosi essi quali meri comportamenti (e non già quali atti o provvedimenti), non possa dare la stura a controversie appannaggio del GA, quanto piuttosto del GO.
2005
Il 7 marzo esce l’ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato n.875 che, nel rimettere all’Adunanza Plenaria delle importanti questioni interpretative in tema di danno da ritardo, elabora una propria tripartizione per quanto riguarda tale pregiudizio (da ritardo appunto), onde si configura un danno da tardiva adozione di un provvedimento legittimo sfavorevole per il privato (che dunque ha atteso per sentirsi legittimamente dire di no dalla PA); in questa ipotesi si parla di “danno da mero ritardo”, in quanto ad essere leso è un interesse meramente procedimentale del privato istante, avente ad oggetto la tempestiva conclusione del procedimento ex art.2 della legge 241.90, senza in alcun modo considerare l’effettiva lesione del proprio interesse sostanziale al conseguimento del bene della vita (che gli è stato del resto legittimamente negato); un danno da tardiva adozione di un provvedimento legittimo favorevole per il privato (che dunque ha atteso per sentirsi dire legittimamente di si dalla PA); un danno, infine, da mancata adozione di alcun provvedimento pur richiesto al privato, e dunque un danno scaturigine del “silenzio” e dell’inerzia della PA. Per il Collegio, il danno da ritardo va più in specie ricostruito come conseguenza della violazione dell’interesse del privato istante al rispetto dei tempi di definizione della pertinente istanza siccome prescritti dalla legge nel relativo bacino procedimentale, e ciò muovendo dalla natura “contrattuale” della responsabilità della PA, da ricondursi ad un contatto amministrativo qualificato, onde l’affidamento riposto dal privato istante nella certezza dei tempi dell’azione amministrativa appare – nella realtà economica contemporanea e secondo la moderna concezione del c.d. rapporto amministrativo – un interesse meritevole di tutela di per sé considerato, non apparendo al Collegio sufficiente relegare simile tutela alla previsione ed alla concreta azionabilità di strumenti processuali di tipo propulsivo, i quali presuppongono la sola ottica (in qualche modo “reale”) del conseguimento dell’utilità finale,e che tuttavia si palesano nel medesimo tempo assai meno appaganti con riguardo all’interesse (“obbligatorio”) del privato istante a vedere definita con cronologica certezza la propria posizione con riguardo alla specifica istanza di volta in volta spiccata nei confronti della PA e, in caso contrario, a vedersi risarcita la lesione dell’interesse a tale cronologica certezza sotteso. Il Consiglio di Stato rimette tuttavia all’Adunanza Plenaria la questione afferente al concreto atteggiarsi del danno da ritardo e, in specie, alla configurabilità di un danno da mero ritardo della PA, che abbia procrastinato il procedimento oltre i termini legalmente prescritti.
Il 31 marzo esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.6745 alla cui stregua sia le controversie risarcitorie scaturite da c.d. silenzio della PA, sia quelle conseguenti ad un ritardo procedimentale, devono assumersi avere ad oggetto l’esercizio – o, più precisamente, il mancato esercizio – di poteri autoritativi pubblici, funzionali al perseguimento dell’interesse pubblico, certamente rientranti nell’ambito della giurisdizione del GA.
Il 15 settembre esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.7, alla cui stregua deve assumersi non risarcibile il danno da c.d. “mero ritardo” della PA nella conclusione del procedimento. Per il Collegio il danno da ritardo è risarcibile solo allorché affiori la spettanza in capo al privato di un provvedimento favorevole, e del connesso bene della vita che vi è sotteso, mentre all’opposto laddove il provvedimento “ritardato” sia sfavorevole non si configura nessun diritto autonomo al risarcimento del danno, e ciò atteso come il sistema di tutela degli interessi pretensivi – nelle ipotesi in cui si fa affidamento sulle statuizioni del giudice per la relativa realizzazione – consenta il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l’interesse pretensivo considerato, incapace di trovare realizzazione con l’atto (favorevole), in congiunzione con l’interesse pubblico, assuma a proprio oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata adozione o il ritardo nella adozione di un provvedimento vantaggioso per l’interessato (suscettibile di appagare un c.d. bene della vita dell’interessato medesimo). Per il Collegio, più in specie, va escluso che il tempo stesso della sequenza procedimentale, autonomamente considerato, possa essere assunto quale bene della vita tutelabile in via risarcitoria laddove leso dal ritardo, e ciò perché – con riguardo a ciascun procedimento – affiora un solo bene della vita che si identifica in quello di cui all’istanza del privato rimasta inevasa ovvero evasa con ritardo dalla competente Amministrazione, sicché si ha danno da ritardo solo se si accerta la spettanza del ridetto (unico) bene della vita, ottenibile giusta provvedimento vantaggioso adottato dalla PA procedente. Sotto il profilo processuale, la Plenaria conferma quanto già affermato in marzo dalle SSUU della Cassazione, onde sia le controversie risarcitorie scaturite da c.d. silenzio della PA, sia quelle conseguenti ad un ritardo procedimentale, devono assumersi avere ad oggetto l’esercizio – o, più precisamente, il mancato esercizio – di poteri autoritativi pubblici, funzionali al perseguimento dell’interesse pubblico, certamente rientranti nell’ambito della giurisdizione del GA
2007
Il 22 febbraio esce la sentenza della III sezione del Tar Puglia, Lecce, n.623, che si occupa della fattispecie in cui la PA adotti, tardivamente, un provvedimento legittimo favorevole al privato, che dunque ha dovuto attendere per sentirsi accogliere l’istanza a suo tempo presentata alla PA medesima. Per il Tar in queste ipotesi, laddove il privato invochi il danno da ritardato rilascio del provvedimento a lui favorevole, il GA non deve limitarsi a meramente accertare l’illegittimità formale del provvedimento dal punto di vista della violazione del termine procedimentale, ma deve piuttosto acclarare se vi sia colpa – apparato della PA e dunque rimproverabilità del ritardo per condotta pubblica inescusabile, magari scusata invece dallo stesso contegno del privato istante. Come chiosa infatti la dottrina, occorre tenere presente il rapporto di collaborazione che sovente avvince la PA e il privato, onde il termine potrebbe essere dalla seconda superato non già per anomalie dell’azione pubblica, quanto piuttosto per esigenze obiettive, ovvero perché magari il privato istante, che conosce la complessità della fattispecie, nello svolgere anche informalmente opera di persuasione finalizzata all’accoglibilità della propria istanza, finisce con l’indurre la PA competente ad una maggiore ponderazione predecisionale.
Il 25 ottobre viene presentato in Senato il c.d. disegno di legge Nicolais, (dal nome dell’allora Ministro per le riforme e le innovazioni nella PA), che diviene Atto Senato n.1859 e che prevede, tra le altre cose, una risarcibilità del danno da ritardo “indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”: la previsione sembra dunque ammettere la risarcibilità di un danno c.d. “da mero ritardo”.
Il 31 ottobre esce la sentenza della III sezione del Tar Campania n.10329 alla cui stregua – in tema di imputabilità delle cause del ritardo – la PA non può addurre a giustificazione del proprio obbligo di provvedere rimasto inadempiuto (inerzia, silenzio) un fatto interno alla propria organizzazione, al punto da farlo assurgere addirittura a causa di forza maggiore, ossia ad una vis maior cui resisti non potest in grado di far venire meno il proprio dovere istituzionale di provvedere sull’istanza del privato. D’altronde, prosegue il Tar, anche secondo il diritto comune per “causa non imputabile” ex art.1218 c.c. idonea come tale ad esonerare il debitore dalla responsabilità per inadempimento deve intendersi quell’impedimento assolutamente imprevedibile ed estraneo alla sfera del debitore medesimo, e dunque tale che egli non avrebbe potuto in alcun modo prevederlo e controllarlo, mentre ogni altro evento tale da rendere più oneroso o difficoltoso l’adempimento non potrebbe, in ogni caso, esentare il debitore medesimo da responsabilità facendo venir meno l’inadempimento colpevole.
2009
Il 12 giugno esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.4005 che assume risarcibile il danno da mero ritardo perpetrato dalla PA: si tratta di una pronuncia importante che viene pubblicata qualche giorno prima del varo della legge n.69.09 la quale, nel novellare la legge 241.90 intoducendovi l’art.2.bis, parrà (almeno secondo una parte della dottrina) ammettere ormai proprio il risarcimento del danno prodotto da un “mero ritardo” nell’adozione di un provvedimento ex parte publica, quand’anche sfavorevole per il privato istante e dunque sganciato dalla spettanza del bene della vita dal medesimo privato istante anelato nel bacino procedimentale nel quale il ritardo si è consumato.
Il 18 giugno viene varata la legge n.69, recante disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’ nonche’ in materia di processo civile, il cui art.7, comma 1, lettera c) inserisce nella legge 241.90 un articolo 2.bis rubricato “conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”, alla cui stregua (comma 1) le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono (genericamente e in modo, almeno all’apparenza, onnicomprensivo) tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e (comma 2) le pertinenti controversie sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con prescrizione del pertinente diritto al risarcimento del danno fissata in 5 anni. La norma sembra prevedere la risarcibilità anche del danno da “mero ritardo”, prodottosi in conseguenza della mancata adozione nei termini di un provvedimento della PA quale che sia, e dunque anche sfavorevole per il privato in termini di concreta spettanza dell’anelato bene della vita.
Il 31 agosto esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia n.2031 onde, da una prima lettura del nuovo art.2.bis della legge 241.90, potrebbe pur affermarsi non priva di fondamento una interpretazione della ridetta norma nel senso della ormai ammissibile risarcibilità del c.d. danno da mero ritardo, come tale sganciato dalla concreta spettanza in capo al privato istante dell’utilità finale cui egli anela.
2010
Il 2 luglio viene varato il decreto legislativo n.104, nuovo codice del processo amministrativo, il cui art.30 supera la c.d. pregiudiziale amministrativa sia con riguardo all’annullamento dell’atto (pregiudiziale, appunto, rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni prodotti dall’atto stesso), sia con riguardo alla illegittimità del “silenzio” dell’Amministrazione (rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni prodotti dal ritardo ex parte publica che da quel “silenzio” è scaturito). Importante anche l’art.117 che prevede un rito speciale attivabile dal privato in caso di inerzia della PA e, dunque, avverso il c.d. silenzio: attraverso tale forma di tutela, il privato può ottenere dalla PA l’adozione di un provvedimento espresso che, nondimeno, giunge in ritardo rispetto alla scadenza del termine procedimentale, e che può dunque dare la stura ad un danno “da mero ritardo” laddove si tratti di provvedimento (legittimo) sfavorevole, ovvero di un danno da ritardo nel conseguimento del provvedimento favorevole (e del connesso bene della vita che vi si riannette) laddove si tratti di un provvedimento (legittimo) favorevole, circostanza quest’ultima che, a seconda delle opzioni abbracciate, può essere da sola sufficiente per affermare una responsabilità della PA, ovvero può costituire il presupposto per predicare tale responsabilità pubblica, con il concorso di altri indefettibili elementi collegati alle concrete ragioni del ritardo (che potrebbero essere giustificate, ovvero all’opposto costituire il prodotto di un dolo o di una colpa da parte di chi ha agito per l’Amministrazione). L’art. 4, comma 1, n. 14) dell’Allegato 4 del codice abroga poi il comma 2 dell’art. 2-bis della legge 241.90, riaffermando la giurisdizione esclusiva del GA sui danni da ritardo all’art.133, comma 1, lettera a) n.1, che devolve appunto alla giurisdizione esclusiva del GA le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo, senza che tuttavia l’art.30 del medesimo codice riproduca anche il termine di prescrizione quinquennale per la domanda di risarcimento dei danni cagionati dal ritardo, già previsto dall’ormai integralmente abrogato art.2.bis, comma 2, della legge 241.90; piuttosto, il comma 3 del ridetto art.30 c.p.a. prevede che la domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo, mentre ex professo il successivo comma 4 statuisce che per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 (e dunque il termine di 120 giorni) non decorre fintanto che perduri l’inadempimento, iniziando piuttosto a decorrere solo dopo 1 anno dalla scadenza del termine per provvedere, onde solo dopo 1 anno da quando è scaduto per la PA il termine procedimentale decorre il termine di 120 giorni per far valere il risarcimento dell’eventuale, comprovato danno da ritardo da parte del privato.
2011
Il 24 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1796 alla cui stregua la condanna della PA al risarcimento del danno subito dal privato per omesso esercizio di un potere autoritativo nei termini prefissati dalla legge presuppone il riconoscimento del diritto del ricorrente al bene della vita inutilmente richiesto, e la relativa valutazione sulla pertinente spettanza, nelle materie in cui la PA dispone di una ampia discrezionalità amministrativa, e non solo tecnica, non può essere affidata ad un giudizio, necessariamente prognostico, del GA, presupponendo piuttosto che la PA, riesercitato il potere ad essa affidato, abbia riconosciuto al privato il bene della vita medesimo; onde atteso che per poter accedere alla risarcibilità la lesione deve incidere sul bene della vita finale che funge da sostrato materiale dell’interesse legittimo, non è possibile configurare una tutela risarcitoria degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali fatta salva l’applicazione, quando del caso, dell’art.2.bis della legge 241.90.
Il 15 dicembre esce la sentenza del IV sezione del Consiglio di Stato n. 6609 che, inserendosi nel solco dell’orientamento maggioritario, nega la configurabilità nel sistema (anche dopo l’avvento dell’art.2.bis della legge 241.90) di un danno c.d. “da mero ritardo”, che prescinda dunque dalla concreta spettanza del bene della vita in capo al privato istante ed interlocutore procedimentale della PA.
2012
Il 23 febbraio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.1015 alla cui stregua, in caso di procedimento che veda coinvolte diverse Pubbliche Amministrazioni, il danno da ritardo può ricomprendere anche gli effetti (pregiudizievoli) che il ritardo abbia prodotto sull’esito di procedimenti che siano collegati a quello in cui esso è specificamente maturato.
*Il 9 marzo esce la sentenza del Tar Umbria n.80 che, inserendosi nel solco dell’orientamento maggioritario, nega la configurabilità nel sistema (anche dopo l’avvento dell’art.2.bis della legge 241.90) di un danno c.d. “da mero ritardo”, che prescinda dunque dalla concreta spettanza del bene della vita in capo al privato istante ed interlocutore procedimentale della PA.
Il 14 maggio esce la sentenza della I sezione del Tar Calabria n.450 onde, laddove manchi una pronuncia della PA, seppure tardiva, di natura positiva o negativa per il privato istante, il giudizio prognostico sul bene della vita e, per conseguenza, sull’entità del danno lamentato dal privato che abbia agito per ottenere il risarcimento del danno, diventa particolarmente complessa in fattispecie di attività discrezionale; in tal caso infatti il GA deve valutare gli elementi che, in base ad una semplice ed evidente presunzione, con una mera operazione probabilistica, avrebbero condotto all’assunzione di un provvedimento favorevole se la PA avesse rispettato il termine o se si fosse comunque determinata, evitando tuttavia di sconfinare in considerazioni di opportunità (riservate come tali alla PA medesima).
Il 22 giugno viene varato il decreto legge n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese, il cui art.18, comma 5, prescrive – in tema di concessione di benefici economici – che a decorrere dal 1° gennaio 2013, per le concessioni di vantaggi economici successivi all’entrata in vigore del decreto-legge ridetto, la pubblicazione via internet ai sensi appunto dell’art. 18 (c.d. amministrazione aperta) costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante concessioni ed attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell’anno solare, siccome previste dal comma 1, la relativa eventuale omissione o incompletezza dovendo essere rilevata d’ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l’indebita concessione o attribuzione del beneficio economico. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione e’ altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro vi abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell’Amministrazione, ai sensi dell’articolo 30 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
Il 7 agosto viene varata la legge n.134 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.83.
2013
Il 26 febbraio esce la sentenza del Tar Basilicata n.83, alla cui stregua, onde ammettere configurabile la responsabilità della PA per danno da ritardo e la conseguente insorgenza di un pregiudizio per il privato istante, anche la valutazione dell’elemento soggettivo non può essere affidata al semplice dato obiettivo del ritardo con il quale il provvedimento finale è stato adottato, e dunque al solo procrastinarsi del procedimento oltre il termine fissato dalla legge, dovendo essere piuttosto dimostrato che la PA abbia agito con dolo o colpa grave.
Il 7 marzo esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.1406, alla cui stregua – secondo l’orientamento minoritario – va affermato che l’art.2.bis della legge 241.90 (siccome introdotto nel 2009) presuppone anche il tempo essere un bene della vita per il cittadino, dovendosi dunque assumere sulla base di tale disposizione che il ritardo nella conclusione in un procedimento configura un costo sempre e in ogni caso, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione dei piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. Da ciò discende che il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo ed il mancato rispetto di tempi certi nella gestione della sequenza procedimentale configurano (potenzialmente) un danno “ingiusto” atteggiandosi, sul crinale economico, ad illegittimo “costo” che incide sulle prospettive, le aspettative e le scelte degli interlocutori privati, condizionandone la vita e l’attività ed incidendo negativamente sulla convenienza economica delle scelte ab ovo divisate; ciò tanto laddove il bene preteso dal privato risulti alfine dovuto, quanto anche nel caso in cui risulti alfine negato, sol che si consideri come l’incertezza sull’esito procedimentale che si protragga oltre i confini previsti dalla legge per la relativa conclusione è idonea ad impedire, o comunque a rendere più complessa, la predisposizione di programmi o scelte diverse o alternative.
Il 14 marzo viene varato il decreto legislativo n.33, recante riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle PPAA, il cui art.53, comma 1, lettera t) abroga l’art.18 del decreto legge n.83 del 2012, ribadendo tuttavia contestualmente all’art.26, comma 3, che – in tema di concessione di benefici economici – la pubblicazione via internet ai sensi appunto dell’art. 26 (obblighi di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati) costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante concessioni ed attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell’anno solare previste dal comma 1, la relativa eventuale omissione o incompletezza dovendo essere rilevata d’ufficio dagli organi dirigenziali e di controllo, sotto la propria diretta responsabilità amministrativa, patrimoniale e contabile per l’indebita concessione o attribuzione del beneficio economico. La mancata, incompleta o ritardata pubblicazione e’ altresì rilevabile dal destinatario della prevista concessione o attribuzione e da chiunque altro abbia interesse, anche ai fini del risarcimento del danno da ritardo da parte dell’Amministrazione, ai sensi dell’articolo 30 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
Il 21 giugno viene varato il decreto legge n.69, il cui articolo 28, comma 9, aggiunge un comma 1.bis all’art. 2.bis della legge 241.90 alla cui stregua, fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo dovendo essere detratte dall’eventuale risarcimento. Il successivo comma 10 dell’articolo 28 del decreto legge in parola prevede tuttavia – quanto a concreto ambito applicativo – che ogni disposizione del ridetto articolo 28 (e dunque anche il comma 9 sul danno da mero ritardo) si applicano, in via sperimentale e dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto medesimo, ai procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa iniziati successivamente alla detta data di entrata in vigore. Stando al successivo comma 12, decorsi 18 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e sulla base del monitoraggio relativo alla relativa applicazione, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, viene stabilita la conferma, la rimodulazione, anche con riguardo ai procedimenti amministrativi esclusi, o la cessazione delle disposizioni del medesimo articolo 28, nonché eventualmente il termine a decorrere dal quale le disposizioni ivi contenute sono applicate, anche gradualmente, ai procedimenti amministrativi diversi da quelli individuati al comma 10. Poiché la nuova disposizione fa riferimento al “mero ritardo”, il correlato indennizzo viene corrisposto a prescindere dall’esistenza di un pregiudizio, palesandosi preordinato a compensare appunto il (solo) mero ritardo della PA, assunto come comportamento omissivo e tuttavia non illecito nel contesto di un bacino procedimentale il cui termine è ormai spirato. Secondo il nuovo assetto normativo, il comma 1 dell’art.2.bis fa riferimento expressis verbis al danno ingiusto cagionato in conseguenza della inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, onde il danno eventualmente inferto al privato istante assume tale ritardo come indefettibile e specifico presupposto causale, mentre il successivo comma 1.bis si applica indipendentemente dalla causazione di un danno, per effetto del semplice ritardo (assunto come atto lecito dannoso della PA), con scomputo dell’eventuale indennizzo (già percepito) dalla posta risarcitoria laddove il privato agisca (anche) a titolo risarcitorio nei confronti della PA cui il ritardo vada per avventura addebitato a titolo di illecito. Dal punto di vista quantitativo, il privato istante può chiedere a titolo di indennizzo per il “mero ritardo” una somma pari a 30 Euro per ogni giorno, per l’appunto, di mero ritardo, per un totale comunque non superiore a 2000 Euro complessivi, a decorrere dal giorno di scadenza del termine procedimentale; in termini procedurali (comma 2), al fine di ottenere l’indennizzo, l’istante e’ tenuto ad azionare il potere sostitutivo previsto dall’art. 2, comma 9-bis, della legge n. 241 del 1990 nel termine decadenziale di 7 giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, in tal caso i soggetti privati che esercitano pubblici poteri di cui all’articolo 1, comma 1-ter, della medesima legge essendo tenuti all’uopo ad individuare il responsabile del potere sostitutivo. Stando al successivo comma 3, (solo) nel caso in cui anche il titolare del potere sostitutivo non adotti il divisato provvedimento nel termine o non liquidi l’indennizzo maturato a tale data, l’istante può proporre ricorso ai sensi dell’articolo 117 del codice del processo amministrativo (ricorso avverso il silenzio della PA) oppure, ricorrendone i presupposti, dell’articolo 118 dello stesso codice (ricorso per decreto ingiuntivo, al fine di vedersi liquidato l’indennizzo); peraltro (comma 4) nel giudizio di cui all’articolo 117 c.p.a. (avverso il silenzio della PA), l’istante privato può proporre – congiuntamente al ricorso avverso il silenzio – domanda per ottenere l’indennizzo, ed in tal caso anche tale domanda e’ trattata con rito camerale e decisa con sentenza in forma semplificata. Ai sensi del successivo comma 6, se il ricorso e’ dichiarato inammissibile o e’ respinto in relazione all’inammissibilità o alla manifesta infondatezza dell’istanza che ha dato avvio al procedimento, il giudice, con pronuncia immediatamente esecutiva, condanna il ricorrente a pagare in favore del resistente (la PA) una somma da 2 volte a 4 volte il contributo unificato, disposizione intesa a scongiurare liti temerarie. Ai sensi dei successivi comma 7 e 8, mentre ex post la pronuncia di condanna a carico dell’amministrazione e’ comunicata, a cura della Segreteria del giudice che l’ha pronunciata,alla Corte dei conti al fine del controllo di gestione sulla pubblica amministrazione, al Procuratore regionale della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza, nonché al titolare dell’azione disciplinare verso i dipendenti pubblici interessati dal procedimento amministrativo (ancorché non si tratti di sentenza in giudicato, e dunque anche nel caso di semplice sentenza di primo grado soggetta ad appello, a differenza di quanto accade nelle fattispecie di ricorso avverso il silenzio della PA senza richiesta di indennizzo per ritardo, che devono essere trasmesse telematicamente alla Corte dei Conti solo se in giudicato, ex art.2, comma 8, della legge 241.90, siccome novellato dal decreto legge n.5.12); ex ante, nella comunicazione di avvio del procedimento e nelle informazioni sul procedimento pubblicate ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, e’ fatta menzione del diritto all’indennizzo, nonché delle modalità e dei termini per conseguirlo ed e’ altresì indicato il soggetto cui e’ attribuito il potere sostitutivo e i termini a questo assegnati per la conclusione del procedimento. Quello stesso giorno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3405, alla cui stregua, onde ammettere configurabile la responsabilità della PA per danno da ritardo e la conseguente insorgenza di un pregiudizio per il privato istante, anche la valutazione dell’elemento soggettivo non può essere affidata al semplice dato obiettivo del ritardo con il quale il provvedimento finale è stato adottato, e dunque al solo procrastinarsi del procedimento oltre il termine fissato dalla legge, dovendo essere piuttosto dimostrato che la PA abbia agito con dolo o colpa grave.
Il 9 agosto viene varata la legge n.98 che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge n.69. La legge novella l’art.28 del decreto legge ridetto disciplinando la richiesta di indennizzo nel particolare caso in cui al procedimento del cui ritardo si tratta intervengano più Amministrazioni. Inoltre, per il privato istante il termine perentorio per azionare il potere sostitutivo, pregiudiziale al fine di adire il GA per ottenerne la pertinente tutela, viene elevato da 7 a 20 giorni.
*Il 21 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4228, alla cui stregua, onde ammettere configurabile la responsabilità della PA per danno da ritardo e la conseguente insorgenza di un pregiudizio per il privato istante, anche la valutazione dell’elemento soggettivo non può essere affidata al semplice dato obiettivo del ritardo con il quale il provvedimento finale è stato adottato, e dunque al solo procrastinarsi del procedimento oltre il termine fissato dalla legge, dovendo essere piuttosto dimostrato che la PA abbia agito con dolo o colpa grave.
*Il 4 settembre esce la sentenza del IV sezione del Consiglio di Stato n. 4452 che, inserendosi nel solco dell’orientamento maggioritario, nega la configurabilità nel sistema (anche dopo l’avvento dell’art.2.bis della legge 241.90) di un danno c.d. “da mero ritardo”, che prescinda dunque dalla concreta spettanza del bene della vita in capo al privato istante ed interlocutore procedimentale della PA. Peraltro, onde ammettere configurabile la responsabilità della PA per danno da ritardo e la conseguente insorgenza di un pregiudizio per il privato istante, anche la valutazione dell’elemento soggettivo non può essere affidata al semplice dato obiettivo del ritardo con il quale il provvedimento finale è stato adottato, e dunque al solo procrastinarsi del procedimento oltre il termine fissato dalla legge, dovendo essere piuttosto dimostrato che la PA abbia agito con dolo o colpa grave.
2014
Il 9 gennaio viene varata la Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione pubblica, dettante linee guida per l’applicazione dell’indennizzo da ritardo nella conclusione dei procedimenti ad istanza di parte. In quella medesima data viene varata anche la Direttiva del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione recante, del pari, linee guida sull’applicazione dell’art. 28 del D.L. n. 69 del 2013, nella parte in cui ha introdotto l’indennizzo per danno da ritardo nella conclusione dei procedimenti ad istanza di parte.
Il 31 gennaio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.468 alla cui stregua la fattispecie risarcitoria del danno da ritardo nel provvedere da parte della P.A. trova specifica disciplina nell’art 2 bis della legge n. 241 del 1990, a tenor del quale le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1 ter della legge medesima, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento; si tratta per il Collegio di disposizione che tutela in sé il bene della vita inerente alla certezza, quanto al fattore tempo, dei rapporti giuridici che vedono come parte la P.A., stante la ricaduta che il ritardo a provvedere può avere sullo svolgimento di attività ed iniziative economiche condizionate alla valutazione positiva della P.A., ovvero alla rimozione di limiti di rilievo pubblico al relativo espletamento. Il risarcimento di tale danno da ritardo riceve qualificazione, sul piano oggettivo, dall’inosservanza del termine ordinamentale per la conclusione del procedimento; sul crinale soggettivo, il ritardo deve essere ascrivibile ad un’inosservanza dolosa o colposa dei termini di legge o di regolamento stabiliti per l’adozione dell’atto terminale del pertinente procedimento. Per il Collegio non può tuttavia essere riconosciuto un danno da ritardo nel rilascio di una autorizzazione (nella specie, una autorizzazione regionale all’attivazione di un ambulatorio PET-TAC, negata) nel caso in cui: a) il diniego di rilascio sia giustificato dal succedersi nel tempo di diverse normative generali sul piano programmatorio e pianificatorio, di guisa che non emergono gli estremi di una condotta colpevole dell’Amministrazione competente ed il ritardo derivi dall’esito del giudizio di primo grado, conforme alla scelta provvedimentale dell’Amministrazione di segno negativo, come tale impeditivo di ogni determinazione favorevole sulla domanda della ditta ricorrente fino alla definizione del giudizio di appello; b) non vi sia stata, a seguito della sentenza di appello di accoglimento del ricorso, violazione del termine a provvedere per il rilascio del titolo autorizzatorio.
Il 28 febbraio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.943, che assume confortabile la domanda di risarcimento del danno da ritardo per il fatto che il provvedimento di aggiudicazione di una gara sia intervenuto a distanza di tempo (nella specie, dopo 1 anno) dall’avvio del pertinente procedimento, ove ciò sia dipeso dalla stazione appaltante, essendo decorso un lasso di tempo giustificato solo in parte dalla ricerca di una soluzione più economica. Nel caso di specie, in applicazione dell’art. 28, comma 1, della L. 9 agosto 2013, n. 98, il Collegio assume come l’indennizzo per il mero ritardo – pari ad una somma di 30 euro per ogni giorno di ritardo – non possa comunque complessivamente essere superiore a 2.000 euro.
Il 2 aprile esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.3643, alla cui stregua il danno da ritardo, quale pregiudizio derivante dal mancato esercizio nei termini di legge di un determinato potere autoritativo, implica lesione di interessi legittimi pretensivi, la cui cognizione deve intendersi affidata alla giurisdizione esclusiva del GA.
*Il 30 aprile esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.2279, alla cui stregua – secondo l’orientamento minoritario – va affermato che l’art.2.bis della legge 241.90 (siccome introdotto nel 2009) presuppone anche il tempo essere un bene della vita per il cittadino, dovendosi dunque assumere sulla base di tale disposizione che il ritardo nella conclusione in un procedimento configura un costo sempre e in ogni caso, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione dei piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. Da ciò discende che il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo ed il mancato rispetto di tempi certi nella gestione della sequenza procedimentale configurano (potenzialmente) un danno “ingiusto” atteggiandosi, sul crinale economico, ad illegittimo “costo” che incide sulle prospettive, le aspettative e le scelte degli interlocutori privati, condizionandone la vita e l’attività ed incidendo negativamente sulla convenienza economica delle scelte ab ovo divisate; ciò tanto laddove il bene preteso dal privato risulti alfine dovuto, quanto anche nel caso in cui risulti alfine negato, sol che si consideri come l’incertezza sull’esito procedimentale che si protragga oltre i confini previsti dalla legge per la relativa conclusione è idonea ad impedire, o comunque a rendere più complessa, la predisposizione di programmi o scelte diverse o alternative.
Il 22 maggio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2638 alla cui stregua l’introduzione nel 2013 dell’indennizzo per mero ritardo di cui all’art.2 bis, comma 1.bis, della legge 241.90 ha confermato la natura strettamente risarcitoria del danno da ritardo previsto dal precedente comma 1, che dunque – quale illecito – non “copre” il danno da mero ritardo, riconducibile ad un atto lecito dannoso e ristorabile ormai giusta indennizzo ai sensi del comma 1.bis.
*Il 10 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.2964, alla cui stregua il danno da ritardo, quale pregiudizio derivante dal mancato esercizio nei termini di legge di un determinato potere autoritativo, implica lesione di interessi legittimi pretensivi, la cui cognizione deve intendersi affidata alla giurisdizione esclusiva del GA. Sul crinale sostanziale poi, inserendosi nel solco dell’orientamento maggioritario, il Collegio nega la configurabilità nel sistema (anche dopo l’avvento dell’art.2.bis della legge 241.90) di un danno c.d. “da mero ritardo”, che prescinda dunque dalla concreta spettanza del bene della vita in capo al privato istante ed interlocutore procedimentale della PA.
Il 30 dicembre esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia, n.1703, secondo la quale alla categoria del danno da ritardo in cui è incorsa la P.A. nell’esercizio dell’attività amministrativa e, in particolare, nel rilascio di un provvedimento amministrativo, possono essere ricondotte sostanzialmente 3 ipotesi, ovvero: 1) l’adozione tardiva di un provvedimento legittimo, ma sfavorevole per il privato interessato; 2) l’adozione tardiva di un provvedimento (legittimo) favorevole; 3) la mera inerzia, ossia la mancata adozione tout court del provvedimento divisato. Fatta questa premessa sistematica, per il Tar va assunta confortabile la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti di un Comune da una società operante nel settore degli impianti pubblicitari allorché l’Ente locale – in disparte la circostanza che non ha ancora adottato il Nuovo Piano Generale degli Impianti – abbia comunque omesso di esaminare tempestivamente numerose domande presentate dalla società stessa di autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari nel territorio comunale e non abbia terminato la relativa istruttoria nei termini di legge, rilasciando le relative autorizzazioni con grave ritardo rispetto alla data di presentazione della domanda e soltanto a seguito di due ordinanze cautelari del G.A. e della apposita nomina del commissario ad acta, in tal caso la domanda risarcitoria dovendosi assumere fondata atteso come, per un verso, con l’avvenuto rilascio delle autorizzazioni da parte del commissario ad acta sia stato inconfutabilmente ritenuto spettante alla società interessata il bene della vita effettivamente anelato, e per l’altro, come sussista la violazione dei fondamentali principi cui deve essere conformata l’attività amministrativa ex art. 97 Cost. (quali l’imparzialità e il buon andamento, oltre che dei pertinenti corollari di economicità, speditezza, efficienza, buona fede e della tutela dell’affidamento); tale illegittima condotta non può – per il Tar – che ascriversi, quanto meno, a grave negligenza o imperizia degli uffici dell’Amministrazione comunale complessivamente considerati (e dunque all’Ente locale come apparato).
2015
Il 12 gennaio esce la sentenza della I sezione del Tar Lombardia n.94 alla cui stregua va riconosciuta la configurabilità del danno da ritardo “mero” ex art. 2.bis della legge 241.90 (siccome introdotto nel 2009), dovendo essere valorizzato il fattore “tempo” come bene autonomo, ed essendosi peraltro al cospetto di una fattispecie di responsabilità c.d. “contrattuale” della PA.
Il 5 febbraio esce la sentenza della III sezione del Tar Lazio n.2142 alla cui stregua l’introduzione nel 2013 dell’indennizzo per mero ritardo di cui all’art.2 bis, comma 1.bis, della legge 241.90 ha confermato la natura strettamente risarcitoria del danno da ritardo previsto dal precedente comma 1, che dunque – quale illecito – non “copre” il danno da mero ritardo, riconducibile ad un atto lecito dannoso e ristorabile ormai giusta indennizzo ai sensi del comma 1.bis. Per il Tar l’art.2.bis espressamente ammette al risarcimento il solo danno qualificato come “ingiusto”, ovvero quello che si verifica allorché la dolosa o colposa inerzia della PA – ed il conseguente ritardo – pregiudichi un interesse sostanziale di effettiva pertinenza del privato, connesso dunque alla spettanza del pertinente bene della vita.
*Il 14 aprile esce la sentenza della II sezione del Tar Campania, Salerno, n.811 alla cui stregua l’introduzione nel 2013 dell’indennizzo per mero ritardo di cui all’art.2 bis, comma 1.bis, della legge 241.90 ha confermato la natura strettamente risarcitoria del danno da ritardo previsto dal precedente comma 1, che dunque – quale illecito – non “copre” il danno da mero ritardo, riconducibile ad un atto lecito dannoso e ristorabile ormai giusta indennizzo ai sensi del comma 1.bis.
*Il 13 maggio esce la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n.2410, alla cui stregua, onde ammettere configurabile la responsabilità della PA per danno da ritardo e la conseguente insorgenza di un pregiudizio per il privato istante, anche la valutazione dell’elemento soggettivo non può essere affidata al semplice dato obiettivo del ritardo con il quale il provvedimento finale è stato adottato, e dunque al solo procrastinarsi del procedimento oltre il termine fissato dalla legge, dovendo essere piuttosto dimostrato che la PA abbia agito con dolo o colpa grave.
*Il 17 giugno esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.3047, alla cui stregua, onde ammettere configurabile la responsabilità della PA per danno da ritardo e la conseguente insorgenza di un pregiudizio per il privato istante, anche la valutazione dell’elemento soggettivo non può essere affidata al semplice dato obiettivo del ritardo con il quale il provvedimento finale è stato adottato, e dunque al solo procrastinarsi del procedimento oltre il termine fissato dalla legge, dovendo essere piuttosto dimostrato che la PA abbia agito con dolo o colpa grave.
Il 10 luglio esce la sentenza della III sezione del Tar Sicilia n.1687 alla cui stregua occorre muovere dal presupposto che va negato il risarcimento del danno da ritardo laddove difetti la prova concreta di tutti i relativi presupposti, tra i quali vanno in primo luogo annoverate le condizioni per la concreta adozione dei provvedimenti omessi, oltre che l’ammontare del preteso danno (tanta a titolo di danno emergente che di lucro cessante, giusta produzione di fatture quietanzate, conteggi comparativi e così via), ed infine di un preciso nesso causale tra ritardo e danno. Con riguardo a quest’ultimo elemento (prova del nesso causale), il Collegio nega tutela risarcitoria al vincitore di un concorso laddove, a procedura conclusa, sia stato poi annullato il bando perché fondato su disposizione normativa non più applicabile (e dunque emanato in ritardo): per il Tar in simili fattispecie va assunto insussistente il nesso causale tra ritardo della PA e danno lagnato dal ricorrente e ciò alla stregua del principio di c.d. “regolarità causale” onde devono assumersi risarcibili i soli danni che costituiscano conseguenze normalmente prevedibili del fatto illecito (o dell’inadempimento).
Il 20 novembre esce la sentenza della II sezione del Tar Liguria n. 933 che, inserendosi nel solco dell’orientamento maggioritario, nega la configurabilità nel sistema (anche dopo l’avvento dell’art.2.bis della legge 241.90) di un danno c.d. “da mero ritardo”, che prescinda dunque dalla concreta spettanza del bene della vita in capo al privato istante ed interlocutore procedimentale della PA. Per il Collegio il rilascio del provvedimento oltre il termine finale procedimentale (e dunque in ritardo) causa al destinatario un danno risarcibile solo subordinatamente al fatto che tale danno sia provato nell’an e nel quantum, e che il ritardo sia imputabile alla PA quanto meno a titolo di colpa.
2016
L’8 gennaio esce la sentenza della II sezione del Tar Liguria n.4 alla cui stregua il risarcimento dei danni per il ritardo dell’Amministrazione nell’adozione di un provvedimento dovuto – come evidenziato dalla giurisprudenza – può essere richiesto esclusivamente nelle ipotesi in cui sia stato previamente accertato e dichiarato dal Giudice il silenzio inadempimento dell’amministrazione (TAR Sicilia Palermo III 5 giugno 2015 n. 1316). E’ stato altresì affermato, rammenta il Tar, che in tema di presupposti per il risarcimento del danno da ritardo, al fine del necessario accertamento della colposità dell’inerzia la cui dimostrazione incombe sul danneggiato, non è sufficiente la sola violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, poiché tale violazione di per sé non dimostra l’imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità della fattispecie o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’amministrazione escludere la sussistenza della colpa. Il comportamento dell’Amministrazione, inoltre, deve essere valutato unitamente alla condotta dell’istante, il quale riveste il ruolo di parte essenziale e attiva del procedimento e in tale veste dispone di poteri idonei a incidere sulla tempistica e sull’esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giustiziali riconosciutigli dall’ordinamento giuridico, tra cui il rito del silenzio che deve essere attivato con tempestività rilevando altrimenti, ai fini dell’art. 1227 c.c. (art. 30 c.p.a.) in ordine all’accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile (TAR Sicilia Palermo II 26 maggio 2015 n. 1243). In sostanza, per il Tar la previsione di cui all’art. 30 c.p.a. (con particolare riguardo al concorso colposo del privato “creditore” del provvedimento) deve ritenersi valevole anche per la responsabilità da ritardo della pubblica amministrazione; ne consegue che per ottenere il risarcimento del danno da ritardo occorre una iniziativa del danneggiato volta a fare risaltare l’inerzia dell’amministrazione. Tale ordine di idee è conforme ai principi solidaristici che informano l’ordinamento e che impongono di attivarsi nel limite di un apprezzabile sacrificio al fine di evitare che la situazione produttiva del danno si aggravi con il passare del tempo. Detto in altre parole, per il Tar non è lecito che l’asserito danneggiato rimanga inerte per poi giovarsi dell’inerzia della p.a. a fini risarcitori, occorrendo piuttosto, affinché il danno possa essere risarcibile, un’iniziativa del danneggiato che metta in mora l’amministrazione e ciò soprattutto quando, come nel caso di specie, faccia difetto una espressa previsione di un termine finale.
Il 22 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5621, onde – in caso di domanda di risarcimento dei danni per tardivo rilascio di una autorizzazione amministrativa, rilascio erogato dopo l’annullamento di un provvedimento di diniego intervenuto a distanza di anni dall’originaria istanza – seppure la prova del dolo o della colpa della PA, della quale è onerato il danneggiato, non possa desumersi dalla sola illegittimità del provvedimento, positivo o negativo, concretamente rilasciato, non possono nondimeno essere assunti sufficienti ad escludere la configurabilità dell’elemento soggettivo – quanto meno a titolo di responsabilità colposa – né l’avvenuto annullamento di atti regolamentari generali dello stesso ente disciplinanti la materia oggetto dell’autorizzazione, atteso l’obbligo della PA di organizzare la propria attività per assicurare il tempestivo esame delle legittime aspettative dei privati, né la sussistenza di un controverso elemento impeditivo al rilascio dell’autorizzazione, ove il diniego, fondato esclusivamente su quest’ultimo, sia stato giudicato illegittimo dal GA. Per la Corte va dunque cassata con rinvio una decisione che abbia riconosciuto giustificabile un ritardo di 17 anni nell’adozione di un provvedimento di autorizzazione all’apertura di una autoscuola a causa di precedenti dinieghi, poi dichiarati illegittimi, motivati da un precedente penale del privato istante, che aveva fatto assumere insussistente il requisito della buona condotta.
Il 23 marzo esce la sentenza della II sezione del Tar Puglia-Lecce, n.549, onde alla categoria concettuale dal danno da ritardo della P.A. (che trova oggi un addentellato normativo nell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990) sono riconducibili 3 distinte ipotesi: a) l’adozione tardiva di un provvedimento legittimo sfavorevole per il privato interessato; b) l’adozione tardiva di un provvedimento legittimo favorevole per il privato interessato; c) la mera inerzia e cioè la mancata adozione del provvedimento in parola. Tanto premesso, e scendendo alla fattispecie sottoposta al relativo vaglio, il Tar accoglie la domanda di risarcimento del danno spiccata nei confronti della P.A. e scaturigine del ritardo con il quale un Comune ha dapprima immotivatamente sospeso e successivamente portato a termine con grave ed ingiustificato ritardo (5 anni dall’avvio) – quantunque con esito favorevole – il procedimento amministrativo avente ad oggetto una istanza presentata dal proprietario di un terreno e tendente ad ottenere il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di un impianto di distribuzione carburanti con annesso punto di ristoro.
IL 25 marzo esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 1239 alla cui stregua anche se i termini per la conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente) non hanno natura di termini perentori, bensì piuttosto di termini ordinatori – stante come l’inosservanza dei medesimi non comporti alcuna causa inficiante la validità della procedura né veruna conseguente illegittimità dei relativi atti, non recando seco alcuna decadenza dell’Amministrazione dal potere di provvedere, seppure tardivamente – nondimeno la violazione dei ridetti termini implica effetti di altro genere ed in particolare talune responsabilità disciplinari, penali, contabili nonché risarcitorie per danni da ritardo, laddove siano presenti tutti i relativi presupposti. Per il Consiglio peraltro il solo ritardo nell’adozione di un atto amministrativo è da assumersi elemento sufficiente per configurare un danno “ingiusto”, con conseguente obbligo di risarcimento ex parte publica, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell’amministrato, allorché tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario ovvero comunque sussistano fondate ragioni per ritenere che l’interessato avrebbe dovuto ottenere tale provvedimento favorevole; l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno da ritardo della P.A. non possono peraltro, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, dovendo piuttosto il soggetto danneggiato, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della pertinente domanda, dovendosi più in specie verificare la sussistenza tanto dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del relativo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), tanto di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante), onde il mero “superamento” del termine fissato ex lege (o per via regolamentare) alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo senza tuttavia integrare “piena prova del danno” da ritardo medesimo. Per il Collegio, con riguardo alla specifica fattispecie sottopostagli, possono assumersi sussistenti i presupposti per il risarcimento del danno da ritardo nel caso di esito favorevole del procedimento di una procedura di VIA con l’emissione del provvedimento finale, che ha consentito al privato l’ottenimento del bene della vita, ovvero l’ampliamento dell’attività economica da esso gestita, accompagnato da una palese ed oggettiva inosservanza dei termini procedimentali non giustificata da rilievi da parte dell’Amministrazione, in sede procedimentale, ovvero in sede giudiziale, di difficoltà oggettive di tipo tecnico o organizzativo rispetto al concreto affare trattato, in simili evenienze dovendo considerarsi raggiunta la prova dell’elemento soggettivo della pertinente fattispecie risarcitoria.
Il 12 aprile esce la sentenza della sezione II ter del Tar Lazio n.4329 che muove dalla considerazione onde la previsione dell’art. 2 bis della L. 241/1990 – ai sensi del quale la P.A. è tenuta al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento – non costituisce una fattispecie autonoma di illecito, ma è piuttosto da ricondursi al più ampio genus dell’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 c.c., di cui condivide gli elementi costitutivi della responsabilità, col precipitato onde l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo e ciò in quanto, diversamente opinando, la disposizione in questione varrebbe a configurare una sanzione per il ritardo, non un diritto al risarcimento. Per il Collegio poi, al fine di assumere sussistente il danno da ritardo della P.A., il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del relativo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante pubblico), palesandosi in particolare necessaria la dimostrazione della sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità, non potendo ritenersi sussistente la responsabilità della P.A. in applicazione di un mero automatismo (anche quale mera presunzione) in base al solo dato oggettivo della illegittimità del provvedimento adottato o dell’illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi dell’adozione del provvedimento finale. Il Collegio considera come il procedimento amministrativo sia soggetto ad un termine naturale e ragionevole di conclusione variamente fissato nei regolamenti applicabili a ciascuna fattispecie, o, in mancanza, regolato in via residuale dalla legge e la cui inosservanza, laddove comporti un danno ingiusto a carico dell’istante, obbliga la P.A. al pertinente risarcimento, confrontandosi in giurisprudenza sul punto diversi orientamenti, tra i quali uno è volto a considerare l’interesse alla tempestiva conclusione del procedimento come un bene giuridico a sé stante, che tutela il fattore tempo come elemento del patrimonio del privato (il quale ha dunque diritto ad una risposta in tempi ragionevoli da parte della P.A., quale che sia il relativo contenuto di merito, ovvero sia per istanze fondate che per istanze infondate); ed un altro secondo cui il risarcimento del danno da ritardo è dovuto – al cospetto di specifici presupposti – solo in caso di fondatezza della pertinente pretesa. In entrambi i casi nondimeno, per il Tar non appare configurabile un mero automatismo tra illegittimità del silenzio e presupposto soggettivo della tutela aquiliana, in quanto diversamente opinando si trasformerebbe il risarcimento (quale misura ripristinatoria di una situazione giuridica lesa) in una forma esclusiva di sanzione, quest’ultima muovendo da presupposti del tutto diversi, specie in punto di quantificazione della misura del dovuto, che dovrebbe essere predeterminato per legge o comunque determinabile sulla base della legge stessa. Scendendo alla fattispecie concreta scandagliata, per il Tar non può essere accolta la domanda – spiccata nei confronti della P.A. dai vincitori di un concorso pubblico – e volta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale gli stessi sono stati assunti alle dipendenze dell’Amministrazione medesima, nel caso in cui tale ritardo sia stato determinato dalla scelta della P.A. di attendere l’esito del contenzioso promosso dagli istanti avverso i provvedimenti di autotutela adottati dall’Amministrazione in merito alla medesima procedura concorsuale; in relazione a tale scelta, infatti, sotto il profilo della responsabilità della P.A., non è sicuramente ascrivibile una colpa od una negligenza all’apparato amministrativo, configurandosi uno di quei naturali imprevisti che possono determinare un rallentamento della conclusione del procedimento amministrativo. La scelta della P.A. di proseguire o non proseguire il procedimento in presenza di un contenzioso pendente – chiosa il Tar – ancorché sulla base di atti o provvedimenti impugnati e non sospesi è, secondo comune esperienza, una scelta da compiersi caso per caso e secondo ragionevolezza, soppesando i diversi interessi in conflitto, non essendo dunque censurabile, in termini di colpevolezza, ai fini del risarcimento del danno da ritardo, la decisione di attendere l’esito di un giudizio che incide sul procedimento in corso, laddove da tale procedimento scaturisca l’assunzione all’impiego dei vincitori, o comunque l’instaurarsi di un rapporto durevole di collaborazione con la P.A., posto che l’eventuale soccombenza potrebbe determinare, nel caso di avvenuta instaurazione del rapporto durante la pendenza del giudizio, delicate conseguenze funzionali ed economiche al venir meno, con effetto retroattivo, del titolo stesso del rapporto.
Il 21 aprile esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.1584 alla cui stregua il danno da ritardo della PA deve assumersi avere connotati “aquiliani”; come tale, esso non può essere presunto o ipotetico, dovendo essere piuttosto rigorosamente provato da chi lo invoca in tutti i relativi elementi costitutivi ex art.2967 c.c., in combinato disposto con l’art.2043 c.c.
2017
Il 12 gennaio esce la sentenza della I sezione del Tar Campania, Salerno, n.87, che assume accoglibile la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti di un Comune e derivante dal ritardo, grave ed ingiustificato, con il quale è stato portato a termine (nella specie, dopo 10 anni dal pertinente avvio), il procedimento amministrativo avente ad oggetto una istanza, presentata dal proprietario di un manufatto abitativo e tendente ad ottenere il rilascio del permesso di costruire per l’ampliamento del medesimo manufatto; in materia di risarcimento dei danni – chiosa il Tar – spetta a colui che assume di essere danneggiato fornire, e in modo rigoroso, la prova dell’esistenza del pregiudizio denunciato, specie se di natura patrimoniale, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento, dato che non si riscontra alcuna asimmetria informativa tra Amministrazione e privato ma, anzi, opera il principio della c.d. vicinanza della prova, che determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito, in generale, dall’art. 2697 comma 1, c.c.; né è ammessa per il Tar la valutazione equitativa, prevista dall’art. 1226 c.c., perché essa presuppone che risulti comunque comprovata l’esistenza di un danno risarcibile, fatta salva la presenza di situazioni di impossibilità (o di estrema difficoltà) di presentare una puntuale prova solo sul preciso ammontare del danno subito.
Il 7 febbraio esce la sentenza della VII sezione del Tar Campania n.770 alla cui stregua il riconoscimento della responsabilità della PA per tardivo esercizio della funzione amministrativa – danno da ritardo – richiede, oltre alla constatazione della perpetrata violazione dei termini procedimentali, anche l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo della PA medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione in parola e che sia data prova dal privato istante del danno subito dal ritardo.
Il 17 luglio esce la sentenza della II sezione del Tar Campania, Salerno, n.1223, che accoglie la domanda spiccata da un imprenditore commerciale nei confronti di un Comune ed intesa ad ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza del ritardo con il quale è stato concluso il procedimento avente ad oggetto la richiesta di un permesso di costruire per l’ampliamento di un fabbricato a destinazione commerciale, nel caso in cui: a) l’istanza tendente ad ottenere il rilascio dell’atto di assenso edificatorio sia divenuta improcedibile a causa della entrata in vigore del D.p.r. 7 settembre 2010 n. 160, secondo cui, a decorrere dal 30 settembre 2011, non è più possibile avvalersi del Suap per l’autorizzazione all’apertura delle medie e grandi strutture commerciali; b) la parte istante abbia dato idonea dimostrazione che la medesima istanza sarebbe stata accolta se il procedimento si fosse concluso tempestivamente.
2018
Il 2 gennaio esce la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n.12, che premette come la regola del ne bis in idem, applicabile anche al processo amministrativo, presupponga l’identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell’azione proposta, e quindi che nei suddetti giudizi sia chiesto l’annullamento degli stessi provvedimenti, o al più di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione, onde al fine di reputare sussistente la violazione del principio del ne bis in idem è necessario rilevare l’identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell’azione risarcitoria proposta. Sulla base di tali presupposti, per il Collegio la parte che, in sede di decisione giurisdizionale, non abbia ottenuto dal giudice adito il risarcimento del danno richiesto non può riproporre con un giudizio di ottemperanza il petitum che gli era stato espressamente negato dalla sentenza ottemperanda, ostandovi non solo il ridetto principio del ne bis in idem, ma anche i confini propri del giudizio di ottemperanza medesimo. Sul crinale sostanziale, per il Collegio l’’intervenuto riconoscimento, da parte della PA di aver pronunciato in ritardo su alcune istanze non comporta, per ciò solo, l’affermazione della relativa responsabilità per “danno ingiusto” risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovendosi per esso intendere non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue per il Collegio la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico. Più in specie, per il Consiglio la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo deve essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito aquiliano, con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo scolpito in generale all’art. 2697, comma 1, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento. Il principio di cui all’art. 1227 comma 2 c.c., pur se non espressamente richiamato dall’art. 30 comma 3, c.p.a., per orientamento costante viene reputato dal Collegio come pacificamente applicabile nel processo amministrativo – onde l’omessa attivazione da parte dell’interessato degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della riduzione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza, in una logica che vede l’omessa attivazione dei rimedi di tutela (nella specie ad esempio tramite riproposizione dei vizi erroneamente assorbiti ovvero attivazione del rimedio dell’ottemperanza) non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.
Il 19 giugno esce la sentenza del TRGA di Trento n.141 che ritiene di poter accogliere la domanda di risarcimento del danno subito da una società in conseguenza del ritardo con il quale la locale Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura ha provveduto ad iscriverla nel registro delle imprese nel caso in cui, a causa di tale ritardo, alla medesima società non sia stato concesso un contributo pubblico; in tal caso, infatti, sussiste per il Tar il nesso di causalità diretta, e comunque efficiente, fra la violazione della tempistica stabilita dalla legge per la suddetta iscrizione in CCIAA ed il danno reclamato dalla impresa istante, atteso che se la ridetta domanda di iscrizione nel registro delle imprese fosse stata evasa dalla Camera di commercio nel termine di 5 giorni dalla data di presentazione, l’iscrizione sarebbe stata tempestiva, e dunque la PA incaricata di vagliare l’ammissibilità della domanda di contributo non avrebbe potuto adottare il provvedimento di diniego.
Il 10 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5834 alla cui stregua il risarcimento del danno da ritardo relativo ad un interesse legittimo pretensivo non può essere assunto avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita ed è da intendersi subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse; ciò in quanto – chiosa il Collegio – l’entrata in vigore dell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990 non ha elevato a bene della vita, suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno, l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa in modo avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale, al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato. Per il Collegio il riconoscimento della responsabilità dell’Amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato. Entrando in medias res, per il Collegio in caso di revoca dell’aggiudicazione da parte della stazione appaltante, va presunta la restituzione all’aggiudicatario della cauzione provvisoria (ed eventualmente anche di quella definitiva, ove versata), che deve essere richiesta e le cui pertinenti voci non possono dunque essere conteggiate in sede di risarcimento del danno, neppure a titolo di responsabilità precontrattuale: peraltro, la possibilità che all’aggiudicazione provvisoria della gara non faccia seguito quella definitiva è da assumersi evento del tutto fisiologico, che esclude qualsivoglia affidamento tutelabile; onde la revoca (come pure l’annullamento) dell’aggiudicazione provvisoria non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto endoprocedimentale che si inserisce nell’ambito del procedimento di scelta del contraente come momento necessario, ma non decisivo, solamente l’aggiudicazione definitiva attribuendo in modo stabile il bene della vita ed essendo pertanto idonea ad ingenerare un affidamento in capo all’aggiudicatario, sì da imporre l’instaurazione del contraddittorio procedimentale; né l’eventuale lungo tempo trascorso tra l’aggiudicazione provvisoria e la revoca della stessa, nonché dell’intera gara, può mutare la natura giuridica di atto provvisorio, ad effetti instabili, dell’aggiudicazione, atteso che il termine di 30 giorni stabilito dall’art. 12 del d.lgs. n. 163 del 2006 comporta solamente che l’aggiudicazione si consideri, nel silenzio dell’Amministrazione, approvata, ma non che essa determini l’aggiudicazione definitiva, la quale resta sempre sottoposta alla verifica del possesso dei pertinenti requisiti in capo all’aggiudicataria. Sempre per il Collegio, la responsabilità precontrattuale può coesistere con un provvedimento legittimo, ponendosi in funzione del comportamento scorretto, melius contrario ai canoni della buona fede e correttezza; ciò tuttavia non toglie che sia onere della parte provare, anche in via presuntiva, ma sulla base di allegazioni di fatto certe e precise, il pregiudizio subito, nei limiti dell’interesse negativo, e cioè il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale) ed il danno conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), nonché i relativi rapporti di causalità tra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’Amministrazione. In questa importante sentenza il Consiglio di Stato tratta tanto della responsabilità della PA per ritardo procedimentale, quanto di quella precontrattuale, accomunandole giusta predicata appartenenza di entrambe al genus della responsabilità aquiliana, con tutto quanto ne deriva in termini di elementi costitutivi dell’illecito, di onere della prova di tali elementi, nonché delle voci di pertinente danno.
Questioni intriganti
Cosa si intende per danno “da ritardo”?
- si tratta di una fattispecie detta anche danno “da silenzio”;
- si compendia, in sostanza, nella lesione di un interesse legittimo di tipo pretensivo perpetrata da un’Amministrazione pubblica;
- la PA si configura dunque come colpevole del ritardo nell’adozione di un provvedimento chiestole dal privato istante, che da tale ritardo lamenta un danno;
- il privato istante che chiede il c.d. danno da ritardo fa valere dunque una responsabilità della PA che, a seconda della prospettiva, può identificarsi quale: d.1) responsabilità aquiliana ex art.2043c.; d.2) responsabilità “contrattuale”, o meglio da violazione di obbligo precostituito, ex art.1218 c.c.;
- le possibili fattispecie di danno da ritardo isolate dalla dottrina sono 3, ovvero: e.1) annullamento di un provvedimento sfavorevole illegittimo e ritardata adozione di un provvedimento legittimo favorevole; si tratta in realtà non tanto di responsabilità da ritardo, quanto da provvedimento, il cui annullamento in quanto sfavorevole ma illegittimo implica ritardo nell’adozione del pertinente provvedimento legittimo; e.2) danno prodotto da provvedimento legittimo favorevole ma tardivo (e che dunque si è fatto attendere, pur palesandosi alfine favorevole al privato istante); qui il provvedimento finale è legittimo favorevole, e dunque la responsabilità va ricondotta al ritardo, e non al provvedimento (che è appunto legittimo); e.3) danno prodotto da provvedimento legittimo sfavorevole, ma tardivo (e che dunque si è fatto attendere per palesarsi sfavorevole al privato istante); anche qui il provvedimento finale è legittimo ma sfavorevole, e dunque la responsabilità va ricondotta al ritardo, e non al provvedimento (che è appunto legittimo, seppure sfavorevole all’istante);
- dal punto di vista processuale, si sono in passato posti 2 problemi: f.1) a quale giudice, GA o GO, va chiesto il pertinente risarcimento del danno; f.2) se la regola della pregiudiziale debba valere non solo per il caso in cui la richiesta di risarcimento danni sia subordinata all’annullamento dell’atto, ma anche all’annullamento (o comunque all’accertamento della illegittimità del) “silenzio” della PA dal quale il ritardo è scaturito; la regola della pregiudiziale è stata tuttavia superata dall’art.30 del c.p.a. del 2010;
In cosa consiste il danno da “mero ritardo”.
- il presupposto di questo tipo di danno è ovviamente il ritardo della PA nella conclusione del procedimento, giusta adozione del pertinente provvedimento;
- il danno da “mero” ritardo presuppone il solo ritardo in sé considerato;
- si prescinde dunque in primo luogo, ed in ottica sostanziale, dalla effettiva spettanza del bene della vita al privato istante, potendo dunque questi invocare il risarcimento dei danni anche laddove tale bene non gli spetti o, detto altrimenti, anche laddove il proprio interesse sia alfine assunto dalla PA legittimamente incompatibile con l’interesse pubblico;
- si prescinde poi, sul crinale formale, dalla stessa effettiva adozione del provvedimento finale e dal relativo contenuto, onde il privato può invocare il risarcimento del danno anche laddove la PA non adotti mai il provvedimento ad essa dalla legge demandato, ed anche laddove lo adotti con un contenuto non perfettamente conforme alla relativa pretesa, a valle di una valutazione della compatibilità del proprio interesse con quello pubblico;
- in passato, prima dell’introduzione dell’art.2.bis della legge 241.90 (giusta decreto legislativo 69.09), si sono registrate in dottrina posizioni di approfondimento progressivo, onde: e.1) dapprima il solo fatto del ritardo, genericamente inteso, fonda la responsabilità della PA, anche lasciando da parte qualsivoglia indagine in ordine alla spettanza in capo al privato istante della utilità finale anelata, o bene della vita; e.2) dipoi, più specificamente, il fatto che la regola violata dalla PA abbia natura procedimentale non esclude il fatto che essa stessa (la regola procedimentale) sottenda un bene della vita (autonomamente) riconoscibile in capo al privato istante, e dunque un interesse dalla medesima protetto, sicché occorre non confondere la natura procedimentale della regola violata ex parte publica con gli interessi che tale regola (procedimentale) presidia; nelle gare, nei concorsi, e più in generale in ogni procedimento amministrativo, la disciplina del pertinente termine è orientata a fornire una certezza temporale al privato istante, il che caratterizza ogni aspetto della relativa partecipazione al procedimento, giacché egli per parteciparvi vi impegna risorse, rinuncia ad altre opportunità (massime se imprenditore commerciale) e talvolta si avvale di circostanze favorevoli, durante la partecipazione, che non possono assumersi avere una durata indefinita, affiorando dunque diversi interessi sostanziali – diversi da quello sotteso al bene della vita “principale” del singolo procedimento considerato – che meritano anch’essi, laddove lesi (giusta ritardo imputabile alla PA) una tutela risarcitoria; in questa più profonda prospettiva, ogni violazione di obbligo procedimentale – ivi compreso quello di rispettare il termine fissato per il singolo procedimento – può implicare (e normalmente implica) la lesione di interessi sostanziali “altri” e diversi da quello che ha a diretto oggetto il bene della vita “proprio” del singolo procedimento, e ciò in quanto si realizza tra PA e privato un contatto qualificato capace di svincolare la tutela risarcitoria dal giudizio sulla spettanza del bene della vita “finale” (o comunque sulle chance di conseguire tale bene) secondo un meccanismo analogo a quello che nel diritto civile fonda i c.d. obblighi di protezione (senza prestazione), con conseguente riconduzione della responsabilità della PA alla tipologia “contrattuale da contatto” piuttosto che a quella aquiliana;
- dopo l’introduzione dell’art.2.bis della legge 241.90 (giusta decreto legislativo 69.09), si sono registrate in dottrina sostanzialmente due posizioni: f.1) una prima prospettiva ermeneutica muove dalla circostanza onde la risarcibilità del danno da ritardo è stata riconosciuta dal legislatore in modo esplicito e senza condizioni; l’art.7 del decreto legislativo 09, che inserisce nella legge 241.90 l’art.2.bis, reca la significativa rubrica “certezza nei tempi di conclusione del procedimento”, e dunque sembra innovare il sistema: più in specie, il legislatore pone a base del potenziale danno solo il ritardo della PA, senza che il relativo risarcimento sia condizionato alla spettanza effettiva del bene della vita cui l’istante anela, spettanza che il GA non è dunque tenuto ad accertare al fine di verificare la natura dannosa del ritardo medesimo; ciò implica che può ormai produrre danno anche solo il mero ritardo della PA nell’adozione del provvedimento, quand’anche negativo, e dunque anche il “mero ritardo”; secondo questa opzione ermeneutica peraltro la responsabilità della PA per il ritardo nell’adozione del provvedimento ha natura “contrattuale”, campeggiando nella pertinente fattispecie un autonomo diritto soggettivo del privato alla tempestiva conclusione del procedimento, circostanza capace di giustificare l’attribuzione al GA di una giurisdizione esclusiva, stante appunto l’intreccio tra diritti soggettivi e interessi legittimi che connota la materia (il ritardo provvedimentale e gli eventuali danni che vi si ricollegano) affidata appunto alla giurisdizione esclusiva del GA; in altri termini, il legislatore del 2009 ha inteso significativamente innovare il sistema connotando il fattore “tempo procedimentale” quale autonomo interesse protetto in guisa di diritto soggettivo, dovendosi allora assumere risarcibile anche il danno da c.d. “mero ritardo”, e dunque anche il danno scaturigine del ritardo nell’adozione da parte della PA di un provvedimento negativo legittimo; f.2) una seconda prospettiva alla cui stregua nulla è mutato in tema di non risarcibilità del danno c.d. da mero ritardo, conformemente all’indirizzo tradizionale contrario appunto ad assumere tale risarcibilità; ciò tenendo conto del fatto – sul crinale dell’interpretazione c.d. “storica” – che l’art.2.bis non ha riproposto la previsione di cui al disegno di legge Nicolais (Atto Senato 1859) che, nel prevedere una norma di tenore analogo a quello del neo introdotto art.2.bis della legge 241.90, assumeva nondimeno esplicitamente risarcibile il danno da ritardo “indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”, con inciso che non essendo stato riproposto expressis verbis in tali termini dalla novella del 2009 (ancorché l’originario disegno di legge – Atto Camera 1441 – riproponesse quel medesimo testo, poi modificato nella versione alfine approvata), viene interpretato da questa opzione ermeneutica quale freccia nell’arco della tesi onde l’art.2.bis non prevede appunto la ristorabilità del danno da c.d. “mero ritardo”, rivelandosi peraltro “neutra” la previsione della giurisdizione esclusiva del GA, tesa esclusivamente a confermare appunto la giurisdizione di tale giudice al cospetto di fattispecie di spendita in ogni caso di potere pubblico;
Cosa distingue il danno da ritardo dal danno c.d. “da disturbo”?
- entrambi hanno a presupposto una inerzia della PA fuori asse rispetto al quadro ordinamentale vigente;
- il danno da ritardo si risolve nella lesione di un interesse pretensivo del privato, che a causa dell’inerzia pubblica non si vede erogato il provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica nel termine divisato per la conclusione del procedimento; il privato non ottiene nei termini quello che dovrebbe (o vorrebbe) ottenere;
- il danno da disturbo si risolve nella lesione di un interesse oppositivo del privato, che a causa dell’inerzia pubblica vede procrastinarsi oltre il normale ed il tollerabile gli effetti di un provvedimento (o di un procedimento) che conculca le proprie facoltà di godimento in quanto proprietario di un determinato bene; il privato ha già, ma non può pienamente godere di quello che ha.
Cosa distingue – in tema di ritardo – l’indennizzo dal risarcimento del danno?
- l’indennizzo (previsto, a partire dal 2013, dall’2.bis, comma 1.bis, della legge 241.90, in combinato disposto con l’art.28 del decreto legge n.69.13, peraltro limitatamente ad alcuni settori procedimentali, e segnatamente in tema di avvio ed esercizio di attività di impresa) fa da contraltare ad un atto lecito dannoso della PA, ed è connesso alla mera scadenza del termine procedimentale, ristorando dunque il “mero ritardo”, in modo tutt’affatto sganciato dalla spettanza del bene della vita in capo al privato istante (e dunque dalla compatibilità o meno del relativo interesse con quello pubblico), senza per giunta che campeggino peculiari oneri di allegazione e prova né sul crinale oggettivo né su quello soggettivo (dolo o colpa della PA);
- il risarcimento del danno (previsto dall’2.bis, comma 1, della legge 241.90 a partire dal 2009, in modo generalizzato e dunque in relazione ad ogni procedimento amministrativo) si giustappone ad un illecito della PA, consistente nel fatto che – pur spettando al privato istante (il cui interesse è acclarato alfine compatibile con l’interesse pubblico) l’anelato bene della vita – tale bene gli viene erogato in ritardo per essere concluso in ritardo il pertinente procedimento ex parte publica; il danno che ne consegue va allegato e provato sia in termini di pregiudizio emergente che di lucro cessante, così come va provato il dolo o quanto meno la colpa della PA sul versante soggettivo; quanto eventualmente già ottenuto a titolo di indennizzo per “mero ritardo” va poi scomputato dall’ammontare riconosciuto a titolo risarcitorio.