Guida alla lettura. Con la pronuncia sopra indicata, il Consiglio di Giustizia ammnistrativa per la Regione siciliana sottopone allo scrutinio dell’Adunanza plenaria del Consiglio due questioni di particolare rilievo: la prima [senza dubbio più importante rispetto alla seconda, in considerazione della valenza sistematica] riguarda l’impugnabilità (o no) delle cosiddette “interdittive antimafia” da parte degli amministratori della società destinatarie dei ridetti provvedimenti, la quale presuppone in via preliminare l’esegesi del concetto di legittimazione attiva; la seconda concerne, invece, l’estensione dell’effetto devolutivo dell’appello nell’ipotesi in cui il ricorso di primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da diversi ricorrenti.
Testo rilevante della decisione
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado i ricorrenti hanno impugnato la certificazione interdittiva, emessa dalla Prefettura di Agrigento nei confronti della -OMISSIS-, della quale i ricorrenti sono soci, lamentando la perdita della gestione dell’azienda, nella quale avevano investito ingenti capitali, nonché la preclusione all’esercizio della carica di Presidente del Consiglio di amministrazione, così come di tutti gli altri consiglieri di amministrazione che erano espressione delle società ricorrenti, detentrici dei pacchetti azionari della società.
Con la sentenza appellata il T.A.R. Sicilia adito ha respinto: la richiesta di riunione del ricorso alle cause RG nn. -OMISSIS-; l’eccezione, sollevata dalla difesa dell’Assemblea territoriale idrica AG9 di Agrigento, di difetto di giurisdizione per essere la controversia devoluta alla cognizione del Tribunale Superiore delle Acque, ai sensi dell’art. 143, co. 1, lett. a), del r.d. n. 1775/1931; ha ritenuto il ricorso inammissibile per carenza di legittimazione attiva in capo ai ricorrenti.
Con il ricorso in appello la sentenza viene censurata nella parte in cui il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Per il Collegio giudicante il presente ricorso deve essere deferito all’esame dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., stante il contrasto giurisprudenziale in atto in ordine al punto di diritto sottoposto all’esame del Collegio: impugnabilità dell’interdittiva antimafia solo dall’impresa destinataria, come ritenuto dal giudice in primo grado, in quanto soggetto di diritto che ne patisce gli effetti diretti, ovvero anche da parte di amministratori e soci.
Secondo il Consiglio di Giustizia amministrativa sulla specifica questione dei soggetti legittimati ad impugnare le informative prefettizie non si registra unanimità nella giurisprudenza del Consiglio di Stato.
La decisione della III Sez. n. -OMISSIS- del 22 gennaio 2019 ha stabilito che il ricorso proposto da soggetti diversi dall’impresa destinataria dell’interdittiva è inammissibile per carenza di legittimazione attiva, in quanto il decreto prefettizio può essere impugnato solo dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla sua posizione giuridica di interesse legittimo.
Negli stessi termini le decisioni, sempre della Sez. III, 14.10.2020 n. 6205, 16.5.2018 n. 2895, 11.5.2018 n. 2829 e n. 2824; si ascrive al medesimo orientamento la decisione n. 4657/2015 relativa al difetto di legittimazione di mandataria di ATI seconda classificata ad interloquire su interdittiva relativa alla prima classificata.
Nel senso invece della legittimazione dell’amministratore della società attinta da informativa a impugnare in proprio, per proprio interesse morale, si è espressa sempre la Sez. III con decisione 4.4.2017 n. 1559, relativa a ricorso proposto da ex amministratori della società, o loro parenti, menzionati nell’interdittiva quali soggetti partecipi degli elementi indiziari da cui viene desunto il pericolo di condizionamento di stampo mafioso, ritenendosi la sussistenza della legittimazione al ricorso, in ragione della lesione concreta ed attuale della situazione professionale e patrimoniale dei soggetti che abbiano dovuto rinunciare all’incarico di amministratori della società, nonché sotto il profilo della potenziale lesione dell’onore e reputazione personale dei soggetti sui quali nel provvedimento venga ipotizzato un condizionamento mafioso.
Una certa apertura pare evincersi anche dalla decisione del Consiglio di Stato sez. III, 7.4.2021 n. 2793, sebbene nella diversa fattispecie di scioglimento dell’Organo consiliare ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000, ove si ritiene <che l’ammissibilità del ricorso vada riconosciuta alla stregua del più recente e favorevole indirizzo propenso a conferire rilevanza all’interesse, quanto meno morale, a che gli amministratori del disciolto Consiglio, a tutela della loro stessa immagine e reputazione, facciano dichiarare l’erroneità delle affermazioni contenute nel provvedimento impugnato e, quindi, l’inesistenza di forme di pressione e di vicinanza della compagine governativa alla malavita organizzata (Cons. St., sez. III, n. 4074/2020 e 5548/2020).
Né vale obiettare, come pure fa la parte appellata, che la lesione dell’immagine del singolo ex amministratore discende semmai (e a tutto voler concedere) essenzialmente dai “fatti” posti a fondamento della misura dissolutoria, l’accertamento della cui veridicità è oggetto di verifica solo incidentale da parte del giudice amministrativo.
La tesi non persuade in quanto non si può negare che quei fatti assurgono a significanza proprio per il tramite del giudizio valutativo altamente discrezionale che ne rende l’amministrazione, sicché, se la portata del loro disvalore è compendiata ed enucleata essenzialmente nell’atto ex art. 143, è certamente apprezzabile l’interesse demolitorio volto a contrastare l’interpretazione che in detto atto risulta trasposta e cristallizzata>.
La questione che il C.G.A. sottopone all’Adunanza Plenaria è quindi relativa alla possibilità, o meno, di riconoscere, in capo ad ex amministratori e soci di una società attinta da interdittiva antimafia, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, che si pretende direttamente ed immediatamente pregiudicata dall’interdittiva (a causa della sostituzione degli organi di gestione, con perdita, da parte degli ex amministratori, delle cariche ricoperte, e quindi pregiudizio professionale; impossibilità di effettuare scelte imprenditoriali strategiche e quindi compromissione degli investimenti economici profusi nell’azienda, quanto ai soci; con lesione della dignità e reputazione, quanto ai soggetti le cui vicende personali e familiari costituiscano diretto oggetto di motivazione). La questione postula anche la risoluzione del problema della individuazione dei soggetti che patiscano “effetti diretti” dall’adozione di provvedimenti di siffatta natura.
Per il Collegio giudicante, la soluzione più consona è quella propugnata dal secondo orientamento giurisprudenziale, per le ragioni che seguono.
Dall’analisi degli artt. 84 e 91 d.lgs. n. 159/2011, emerge che l’emanazione dei provvedimenti interdittivi costituisce frutto di un procedimento amministrativo connotato da una natura tendenzialmente cautelare e con finalità preventiva dell’infiltrazione mafiosa, al quale, secondo la giurisprudenza, non possono essere estese le garanzie del contraddittorio di cui alla l. n. 241/1990, e ciò nonostante la decisione prefettizia si basi generalmente su accertamenti di fatto complessi, in qualche caso addirittura di tipo indiziario, nell’ambito dei quali ben possono manifestarsi significativi margini di errore.
A tal proposito, il Consiglio rievoca la pregnanza dei principi eurounitari in tema di contraddittorio e diritto di difesa nonché dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost.
Sotto ulteriore profilo, per il C.G.A., occorre considerare che, nonostante la giurisprudenza tradizionalmente affermi una netta demarcazione tra le aree di intervento della repressione penale e della prevenzione amministrativa, nell’ambito della quale si estrinsecano i provvedimenti in questione, è innegabile che gli elementi costitutivi dei presupposti applicativi dell’informazione antimafia siano correlati sovente ad una (libera) valutazione (o addirittura rivalutazione in senso ostativo) di fatti oggetto di procedimenti penali o indagini di polizia; ovvero, ad un giudizio prognostico-probabilistico applicato ad un insieme di fatti ritenuti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, dai quali si perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo il criterio civilistico del “più probabile che non“, con la conseguenza che non trovano nemmeno applicazione le regole della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio necessaria per pervenire alla condanna penale, né la garanzia fondamentale della “presunzione di non colpevolezza” di cui all’art. 27, comma 2, Cost., alla quale è ispirato anche l’art. 6 CEDU.
Ciò, nonostante l’invasività degli effetti delle misure in questione, per pervenire alle quali si attinge normalmente a piene mani da atti di procedimenti penali, senza però che il procedimento in questione, formalmente amministrativo, contempli alcune delle garanzie riconosciute all’indagato e/o all’imputato.
La possibilità di ricorrere consentirebbe – per il Collegio – (a chi si trova definitivamente estromesso da ogni attività economica/professionale) di recuperare, quantomeno a provvedimento emesso, attraverso la tutela giudiziale, parte delle garanzie ordinariamente connesse a provvedimenti di natura gravemente afflittiva.
Nell’ipotesi in cui si seguisse l’orientamento favorevole alla legittimazione degli odierni appellanti, ne conseguirebbe, per il C.G.A., la riforma della decisione di primo grado, che, dichiarato il ricorso inammissibile, non ha esaminato alcuna delle censure avverso l’interdittiva impugnata. In tal caso la devoluzione al giudice d’appello dell’ulteriore segmento della controversia imporrebbe l’analisi di una ulteriore questione.
Conclusivamente, il Collegio sottopone all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:
– se in materia di impugnazione di interdittive antimafia vada, o meno, riconosciuta, in capo ad ex amministratori e soci della società attinta, autonoma legittimazione a ricorrere, avuto riguardo alla situazione giuridica dedotta in giudizio, e se gli stessi vadano ritenuti soggetti che patiscano “effetti diretti” dall’adozione di provvedimenti di siffatta natura;
– in caso di soluzione positiva al primo quesito, se l’effetto devolutivo proprio dell’appello si estenda anche al caso in cui il ricorso in primo grado non sia stato riunito a ricorsi aventi ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento da parte degli stessi ovvero da diversi ricorrenti.