Massima
Nell’eventualità in cui non si dovessero ritenere sussistenti le condizioni per una valutazione di adeguatezza e proporzionalità (assorbenti) della già irrogata sanzione conseguente alla sopravvenuta condanna definitiva in sede penale, deve rilevarsi che è demandato allo stesso giudice di merito riconsiderare tutti gli aspetti della complessiva vicenda (con particolare riferimento a quelli soggettivi ed oggettivi, al superamento del grado di lesione degli interessi giuridici protetti e all’entità del danno causato) per un intervento “proporzionalmente” riduttivo della misura delle sanzioni pecuniarie e personali applicate
Sanzioni amministrative para-penali e divieto di bis in idem
Con l’unico motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 649 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello escluso la natura penale della sanzione applicata dalla Prefettura benché questa comportasse un notevole grado di severità, non potendosi qualificare modesta una sanzione di 42.000,00 Euro irrogata quando il trasgressore era uno studente universitario. Richiama il principio del ne bis in idem come affermato dalla giurisprudenza CEDU del 4.3.2014 (Caso Grande Stevens). Osserva in particolare che il grado di severità va valutato sia oggettivamene che soggettivamente sulla scorta dei principi elaborati dalla Corte EDU per stabilire quando una sanzione amministrativa assume carattere penale.
Il ricorso è infondato.
Tornano all’esame della Corte le questioni relative al rispetto del ne bis in idem come interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in casi di cosiddetto “doppio binario” sanzionatorio, cioè in casi nei quali la legislazione nazionale prevede un doppio livello di tutela, penale e amministrativo. L’intervento di questa sezione è stato prevalentemente sollecitato in materia di sanzioni inflitte dalla Consob e dalla Banca d’Italia, mentre nel caso in esame si verte in tema di sanzioni amministrative irrogate per violazioni della legge sul diritto di autore (L. n. 633 del 1941) unitamente ad una sanzione penale applicata per il reato di cui all’art. 174 ter della legge citata.
La sovrapposizione dell’ambito applicativo di ciascun delitto con il corrispondente illecito amministrativo è contemplata dallo stesso legislatore in varie norme di legge, tra cui, solo per fare qualche esempio, possono menzionarsi il D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 187-bis e 187-ter (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: “salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato “, oppure, per restare nel caso in esame dalla L. n. 633 del 1941, art. 174 bis “Ferme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria…”: in tal modo, si stabilisce, da un punto di vista sostanziale, il cumulo dei due tipi di sanzioni. Ma gli esempi potrebbero continuare anche in altri settori, come ad esempio in materia assicurativa o tributaria).
Come è noto, il tema del ne bis idem (inteso come divieto di perseguire o giudicare una persona per un secondo illecito nella misura in cui alla base di quest’ultimo vi siano i medesimi fatti: v. art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU) è stato oggetto di diversi interventi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La CEDU si è posta il problema di stabilire quando una sanzione amministrativa può definirsi di carattere penale e, con la recente sentenza Edizioni del Roma s.r.l. c. Italia emessa in data 10.10.20 sui ricorsi nn. 68954/13 e 70495/13, ha richiamato la sua giurisprudenza ormai consolidata secondo la quale, per determinare se sussista una “accusa penale”, occorre tenere conto di tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in questione nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità sanzione” (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22). Questi criteri sono, peraltro, alternativi e non cumulativi: affinché si possa considerare che esiste un'”accusa in materia penale” ai sensi dell’art. 6 § 1, è sufficiente che l’illecito in questione sia, per sua natura, “penale” rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l’interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientra in linea generale nell’ambito della “materia penale”. Ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ciascun criterio non permette di giungere a una conclusione chiara in merito alla sussistenza di un'”accusa in materia penale” (Jussila c. Finlandia (GC), n. 73053/01, §§ 30-31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti).
Come già osservato da questa Corte (cfr. Sez. 2 Sentenza n. 33426 del 17/12/2019 Rv.656318 in tema di condotta illecita di manipolazione del mercato), la Corte Europea, pur lasciando formalmente al giudice nazionale l’ultima parola in merito, ha osservato che la condanna definitiva in sede penale potrebbe rendere di per sé sproporzionato il proseguimento di un procedimento amministrativo sanzionatorio (per ulteriori opportuni riferimenti v. CEDU, sez. II, 16 aprile 2019, Bjarni Armannsson c. Islanda e CEDU, sez. V, 6 giugno 2019, Nodet c. Francia). Seguendo questo ragionamento, quindi, qualora la sanzione penale irrogata e divenuta definitiva si dovesse ritenere già proporzionata ai reati commessi in ordine agli stessi fatti su cui è stato intrapreso anche il procedimento sanzionatorio amministrativo, andrebbe applicato il principio del “divieto del ne bis in idem”, in virtù della circostanza che qualsiasi aggravamento in sede sanzionatoria “amministrativa” (ma la cui “pena” è sostanzialmente equiparabile a quella propriamente penale) rappresenterebbe una violazione di tale divieto, proprio per effetto del mancato rispetto del criterio della proporzione afflittiva tra cumulo sanzionatorio e fatti commessi. Diversamente, ovvero nell’eventualità in cui non si dovessero ritenere sussistenti le condizioni per una valutazione di adeguatezza e proporzionalità (assorbenti) della già irrogata sanzione conseguente alla sopravvenuta condanna definitiva in sede penale, deve rilevarsi che è demandato allo stesso giudice di merito riconsiderare tutti gli aspetti della complessiva vicenda (con particolare riferimento a quelli soggettivi ed oggettivi, al superamento del grado di lesione degli interessi giuridici protetti e all’entità del danno causato) per un intervento “proporzionalmente” riduttivo della misura delle sanzioni pecuniarie e personali applicate.
Con la sentenza n. 43/2018 la Corte Costituzionale è tornata sul tema del ne bis in idem ed ha richiamato il principio della “sufficiently dose connection in substance and time”, valorizzato dalla pronuncia della Grande Camera CEDU A e B c/ Norvegia (ricorsi nn. 24130/11 e 29758/11) che, ove sussistente tra i due procedimenti amministrativo e penale, rende il doppio binario conforme alla Convenzione EDU e segnata mente all’art. 4 Prot. 7. Secondo la Corte Costituzionale, “il mutamento del significato della normativa interposta, sopravvenuto all’ordinanza di rimessione per effetto di una pronuncia della grande camera della Corte di Strasburgo che esprime il diritto vivente Europeo, comporta la restituzione degli atti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale (ordinanza n. 150 del 2012). Se, infatti, il giudice a quo ritenesse che il giudizio penale è legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale, non vi sarebbe necessità ai fini del giudizio principale di introdurre nell’ordinamento, incidendo sull’art. 649 c.p.p., alcuna regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto”.
A questo panorama giurisprudenziale costituzionale ed Eurocomunitario deve aggiungersi l’orientamento di questa Corte, formatosi, come si accennava, prevalentemente in fattispecie riguardanti sanzioni irrogate dalla Consob e dalla Banca d’Italia. Questa Sezione ha infatti già chiarito, con le sentenze nn. 8855/17, 1621/18, 8805/18, 8806/18 e 27365/18 e – più di recente -con la sentenza n. 8046 del 2019 – che tanto le sanzioni di cui all’art. 190 T.U.F., quanto quelle, più afflittive, cui all’art. 191 T.U.F., non sono equiparabili alle sanzioni previste per la manipolazione del mercato ex art. 187 ter T.U.F. (la cui natura sostanzialmente penale è stata affermata dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens) e, ciò, in ragione della “diversa tipologia, severità, nonché incidenza patrimoniale e personale, di queste ultime rispetto alle prime, dovendosi a tal fine tenere conto anche dell’assenza di sanzioni accessorie e della mancata previsione di una confisca obbligatoria (elementi presenti nella fattispecie scrutinata dalla Corte EDU)” (così, in particolare, Cass. 8805/18, pag. 19, § 6.2, in fine).
Applicando tali regole nel caso di specie, deve concludersi per la correttezza della soluzione adottata dalla Corte d’Appello di Cagliari. È bene subito precisare che il giudice penale aveva applicato per i reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis e ter (detenzione abusiva di CD a scopo commerciale) una pena di quattro mesi di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa. La sentenza di patteggiamento è intervenuta nel dicembre 2004 (cfr. memoria a pag. 5 e ricorso pag. 3). Secondo il disposto della L. n. 633 del 1941, art. 174 bis “Ferme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a Euro 103,00. Se il prezzo non è facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da Euro 103,00 a Euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto“.
Come si vede, il massimo edittale della sanzione è pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera oppure a Euro 1.032,00 (ed ai fini dell’applicazione del criterio della gravità della sanzione, deve aversi riguardo alla misura della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta (Grande Stevens, § 98; Cass., Sez.2, Sentenza n. 8046 del 2019). A ciò aggiungasi che nessuna sanzione accessoria o confisca è prevista dalla norma in esame (174 bis). E certamente occorre considerare l’entità della sanzione in rapporto ad una singola violazione. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata che ha escluso la natura di sanzione penale alla violazione de qua per la modestia degli importi e tale conclusione si rivela corretta anche considerando le notevoli ripercussioni negative in danno dei legittimi offerenti il medesimo prodotto e il pregiudizio subito dagli autori dell’opera abusivamente duplicata. Pertanto, il ricorso va rigettato con inevitabile addebito di spese.
L’esito del giudizio comporta l’obbligo di versamento dell’ulteriore contributo unificato se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
Cass. civ., II, sent., 31.08.2021, n. 23679