Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, sentenza 21 febbraio 2022, n. 5861
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- I ricorsi sono inammissibili; essi devono essere esaminati unitariamente per la comunanza delle censure.
4.1. A fronte dei rilievi esposti dai ricorrenti, appare opportuno rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Pertanto, precisa la Corte, il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei casi in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell’uno e nell’altro caso quando tali prove siano in sè determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata.
Il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio, perché ciò è estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente (in tal senso anche Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015 – dep. 24/03/2015, Miccichè, Rv. 262948).
4.2. Va quindi rilevato che, nonostante l’evocazione di vizi per i quali è previsto il ricorso per cassazione, i ricorsi propongono essenzialmente censure in fatto opponendo al giudizio della Corte di Assise di Appello una diversa valutazione dei fatti accertati, quando non addirittura la negazione di circostanze che i giudici di merito hanno ritenuto dimostrati. Sicché, alla prospettazione di motivi non consentiti si aggiunge la aspecificità dei rilievi che non si confrontano con l’ampio, dettagliato impianto argomentativo della sentenza impugnata.
La Corte distrettuale ha ricostruito la vicenda che occupa nei seguenti termini (consonanti a quelli ritenuti dal primo giudice). Intorno alle 03:30 del mattino il P. ed il V. lasciavano la discoteca Tocqueville per dirigersi l’uno alla propria abitazione e l’altro al luogo di lavoro, secondo quanto affermato dagli stessi imputati con dichiarazione che la Corte ha voluto fare propria in funzione di conferma della complessiva ricostruzione pur sulla premessa prospettata dagli imputati. I due avevano lasciato l’amico L.F. nella discoteca con l’intesa che questi, che vi era giunto con l’auto del V., avrebbe cercato un passaggio da altri. Il P. era salito sulla propria autovettura con B.A., mentre il V. si era posto alla guida della sua autovettura, rimanendo da solo. Il percorso e le condotte di guida tenute dai due risultano monitorate da videocamere ma solo per alcuni tratti del percorso fatto. Una prima ripresa coglie il loro ingresso nel tunnel (OMISSIS) alle 03:37.13 e poi la manovra di sorpasso fatto dal P., che lo aveva presegnalato con gli abbaglianti; le due vetture fuoriescono dal tunnel alle 03:37.32, percorrendo quindi 300 mt. in circa 19 centesimi di secondo. Dopo essere usciti dal tunnel, i due veicoli non vengono più ripresi sino a quando altra telecamera li avvista all’intersezione (OMISSIS); si è alle 03:38.11.
Ma sulla scorta della testimonianza del B., prosegue la Corte, i giudici hanno accertato che era stato eseguito un altro sorpasso, questa volta nella via costeggiante la stazione dopo il semaforo, da parte del V.. Nella citata intersezione la prima auto ad entrare nel raggio della telecamera è la Passat condotta dal V., che inizia una manovra di inversione ad U con un ampio raggio di curva e a velocità non troppo elevata. Qualche secondo dopo nel filmato compare la BMW che effettua la medesima inversione ad U ma con un arco di curvatura molto più stretto e portandosi addirittura sulla carreggiata destinata al senso di marcia contrario, inoltre tagliando la strada al V. per superarlo. L’inversione ad U era funzionale al ritorno presso la discoteca Tocqueville. Secondo il racconto degli imputati, ciò era stato determinato dalla volontà di sincerarsi che il L. avesse trovato il passaggio per rientrare a casa perchè nel corso di una conversazione telefonica piuttosto disturbata la questione non era risultata chiara. Ripartendo dalla discoteca (OMISSIS) i due nuovamente percorrevano la medesima strada mantenendo una forte velocità.
Alle 03:42.40 le telecamere del tunnel (OMISSIS) ne osservano l’ingresso e poi l’uscita appena 9 centesimi di secondo dopo. La BMW precedeva la Passat di pochi metri circolando dapprima sostanzialmente al centro delle due corsie, tallonata dal V.. Poi la BMW si spostava lievemente verso destra mentre la Passat rimaneva in mezzo alla semicarreggiata a pochi metri di distanza. Nel giro di qualche secondo la BMW si riportava nuovamente a cavaliere delle due corsie e la Passat restava ancora indietro. All’uscita del tunnel, quando la strada diventava a quattro corsie, la BMW si portava a sinistra imboccando la terza corsia da destra; questo punto la Passat arrivava praticamente alla sua altezza procedendo sulla seconda corsia da destra. La velocità di entrambe le autovetture era all’incirca di 98 km/h. Un quarto sorpasso, è ancora B. la fonte, avvenne proprio all’uscita del tunnel durante la svolta per immettersi in (OMISSIS). Quella velocità era mantenuta anche nell’approssimarsi all’area di incrocio dove dovevano svoltare a sinistra per immettersi in (OMISSIS). Nell’impostare tale manovra la Passat, che in precedenza si era affiancata alla BMW, restava qualche metro indietro e iniziava la svolta con un raggio di curva più stretto. Pochi metri più avanti il P. andava ad impattare con la Fiat Panda del R..
4.3. Secondo le difese i fatti che dimostrerebbero l’assenza di una gara sono rappresentati dalla dinamica del primo sorpasso, che appare ordinaria, e dal ritorno alla discoteca, che deporrebbe a favore della tesi che non c’era gara in corso. Si tratta di affermazioni meramente assertive, che non valgono a dimostrare la ricorrenza di vizi del ragionamento e che non considerano il complessivo tessuto argomentativo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è configurabile una gara di velocità, vietata dall’art. 9 ter C.d.S., quando due o più conducenti di veicoli, anche senza preventivo accordo e per effetto di una tacita e reciproca volontà di voler competere l’uno con l’altro, pongono in essere una contesa, consistente nel tentativo di superarsi, ingaggiando una competizione da cui deriva un vicendevole condizionamento delle modalità di guida (Sez. 4, n. 52876 del 30/11/2016 – dep. 14/12/2016, Gugliandolo, Rv. 26879401).
Nel caso che occupa, osserva la Corte, i giudici hanno posto in evidenza, quale fondamento del loro convincimento della avvenuta gara, il fatto che vennero eseguiti cinque sorpassi, secondo il computo della Corte distrettuale, svolti in un brevissimo arco di tempo, a velocità sostenuta, con un ripetuto sostituirsi dei veicoli nelle posizioni di marcia, lungo un percorso di circa due chilometri. I giudici hanno puntualmente analizzato il comportamento dei conducenti; quello che seguiva – lo ha scritto già il Tribunale – quando trovava strada libera ne approfittava per superare l’altro mediante manovre spericolate.
Proprio le modalità della marcia, in uno alla rapidità delle manovre e dell’intero svolgimento sono stati indicati come fattori che permettono di escludere si sia trattato di semplici, ancorché plurimi, sorpassi o di mere trasgressioni dei limiti di velocità. A tali conclusioni sono giunti anche prendendo in considerazione le dichiarazioni del teste B., che hanno analizzato anche in relazione al loro divenire, motivatamente ritenendo che quelle rese in prima battuta – recanti elementi a sfavore degli imputati – fossero maggiormente attendibili di quelle successive. A fronte di un simile impianto argomentativo i ricorrenti ridefiniscono le premesse fattuali ed offrono valutazioni alternative delle stesse. Il che non è consentito in sede di legittimità.
4.4. Quanto al nesso causale del gareggiare con l’evento tipico e al principio posto da questa sezione con la pronuncia n. 16610/16, è certamente da ribadire che, per poter essere ascritte ai sensi dell’art. 9-ter C.d.S., la morte e/o le lesioni devono conseguire alla partecipazione alla gara e non ad una diversa ed aggiuntiva ma causalmente assorbente violazione di regole per la sicura circolazione stradale. Ma nel caso che occupa, i giudici sostengono con motivazione in alcun modo manifestamente illogica che la morte e le lesioni descritte nelle imputazioni sono derivate proprio dalla gara.
In effetti, osserva la Corte, il dato che rileva è che l’evento si è determinato proprio nel corso della gara e non quando essa era cessata o sospesa, così da rendere distinta e non correlata una ulteriore violazione del codice della strada (nel caso, il mantenere una velocità non consentita). Trattando dell’argomento la Corte di appello ha efficacemente rimarcato che nel caso di specie “le infrazioni al Codice della strada compiute sono strumentali alla gara”. Affermazione che, nutrita di puntuali riferimenti fattuali, dimostra anche l’infondatezza del rilievo difensivo che imputa alla Corte di appello di aver ritenuto commessa la sola violazione del divieto di gara; si è frainteso il senso di quanto scritto dai giudici territoriali quanto al gareggiare come unico addebito ascritto agli imputati: si intendeva quale condotta avente rilievo causale rispetto all’evento verificatosi.
4.5. Con specifico riferimento alla posizione del V., va in primo luogo osservato che la principale censura investe le modalità della motivazione, di contro legittimamente costruita attraverso l’adesivo richiamo a quanto già esposto dal primo giudice (si ricorderà che trattasi di cd. doppia conforme), senza omettere l’analisi e la replica in merito ai rilievi portati con gli appelli.
Quanto ai contenuti, conclude la Corte, la critica alla motivazione muove in ogni caso dalla negazione dell’assunto principale del giudice impugnato, ovvero la insussistenza di una gara ingaggiata con il P.. Di talché essa cade con la dimostrazione della incensurabilità della sentenza impugnata sul principale caposaldo.
- Segue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di tremila Euro ciascuno alla Cassa delle Ammende.