Cass. pen., II, ud. dep. 08.02.2022, n. 4436
MASSIMA
Il reato previsto dall’art. 707 c.p. (possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli) richiede per la sua configurabilità il ricorrere del dato oggettivo del possesso, ovvero dell’immediata disponibilità, di determinati oggetti (idonei a forzare o aprire serrature) e del dato soggettivo riferito allo status dell’agente (l’esser già stato condannato in via definitiva per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni per la prevenzione di delitti contro il patrimonio).
Incombe in capo all’imputato l’obbligo di dare una seria giustificazione della destinazione attuale e lecita degli strumenti rinvenuti presso di lui. L’onere probatorio riguardante la sussistenza di circostanze di tempo e di luogo, oltre che quelle concernenti la destinazione degli strumenti, idonee a render lecita la loro disponibilità, può essere assolto con modalità differenziate, atteso che non sono previsti limiti di natura temporale per fornire la giustificazione richiesta dalla norma ed essendo comunque riservata al giudice di merito la valutazione della relativa prova, comunque fornita, anche in ipotesi di tardiva discolpa.
L’accertamento della responsabilità presuppone la verifica circa l’attuale destinazione dello strumento, verifica che deve divenire maggiormente penetrante quanto più l’oggetto incriminato non presenti in sé caratteristiche di evidente destinazione allo scopo dell’apertura o della forzatura delle serrature. Tale verifica, ove possibile già attraverso gli elementi probatori acquisiti, deve essere compiuta anche d’ufficio dal giudice, il quale dovrà procedere ad un vaglio accurato sia dell’attitudine funzionale degli strumenti ad aprire o a sforzare serrature sia delle modalità e delle circostanze di tempo e di luogo con cui gli stessi sono detenuti. In particolare, quanto meno univoca ed esclusiva risulti la destinazione dello strumento allo scasso – come nel caso in cui si discuta di oggetti di uso comune, suscettibili di impieghi diversi e leciti – tanto più significative dovranno risultare le modalità e le circostanze spazio-temporali della detenzione, nella direzione dell’esistenza di un attuale e concreto pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è fondato.
Le questioni che il ricorrente pone con i due motivi di ricorso sono strettamente connesse tra loro perché delineano il perimetro degli elementi costituivi della fattispecie incriminatrice, la ripartizione degli oneri di prova dei fatti rilevanti per la dimostrazione di quegli elementi e delle condizioni che rendono il fatto penalmente irrilevante, le modalità di acquisizione di tali prove.
Il reato previsto dall’art. 707 c.p., richiede per la sua configurabilità il ricorrere del dato oggettivo del possesso, ovvero dell’immediata disponibilità, di determinati oggetti (idonei a forzare o aprire serrature) e del dato soggettivo riferito allo status dell’agente (l’esser già stato condannato in via definitiva per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni per la prevenzione di delitti contro il patrimonio); la circostanza che la relazione con gli oggetti indicati possa risultare giustificata in relazione ad usi leciti degli strumenti rappresenta una condizione, per così dire, negativa della fattispecie poiché, ove dimostrata, esclude la rilevanza penale del fatto.
Considerando in questa prospettiva la struttura della fattispecie tipica, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che “in tema di possesso ingiustificato di arnesi atti allo scasso, previsto dall’art. 707 c.p., è sufficiente ai fini della configurabilità del reato il suddetto possesso o la loro immediata disponibilità, incombendo all’imputato l’obbligo di dare una seria giustificazione della destinazione attuale e lecita degli strumenti rinvenuti presso di lui” (Sez. 2, n. 52523 del 03/11/2016, Chicchi, Rv. 268410 – 01; Sez. 5, n. 1304 del 14/11/1985, dep. 1986, Ferloni, Rv. 171854 – 01; Sez. 5, n. 8315 del 06/06/1984, Battocchio, Rv. 166010 – 01; Sez. 6, n. 927 del 19/04/1969, Baumgartner, Rv. 112150 – 01). Si tratta di principio che non viola i parametri costituzionali fissati dagli artt. 24 e 27 Cost., poiché non introduce una non consentita inversione dell’onere della prova dal momento che “anche la giustificazione è, essa stessa, un mezzo di difesa offerto dalla legge, al quale l’interessato può liberamente rinunciare qualora ritenga che, ai fini difensivi, sia preferibile il silenzio”, fermo restando che spetta comunque “al giudice di valutare aliunde il fatto, sulla scorta di prove (documentali, testimoniali ecc.), che potrebbero essere fornite e addotte sia da chi si è rifiutato di fornire la giustificazione verbale, sia dalla sua difesa tecnica (che resta piena, incondizionata ed autonoma) o che potrebbero essere introdotte od ammesse ex officio” (Corte Cost. n. 236 del 30/10/1975; nello stesso senso, relativamente alla clausola di esclusione della rilevanza penale collegata alla sussistenza di un “giustificato motivo”, Corte Cost. n. 5 del 13/1/2004).
Fissato tale principio, va osservato che l’onere probatorio riguardante la sussistenza di circostanze di tempo e di luogo, oltre che quelle concernenti la destinazione degli strumenti, idonee a render lecita la loro disponibilità, può essere assolto con modalità differenziate, atteso che non sono previsti limiti di natura temporale per fornire la giustificazione richiesta dalla norma (non essendovi un obbligo da assolvere solo al momento della sorpresa in flagranza, diversamente limitando in modo ingiustificato l’esercizio delle facoltà difensive) ed essendo comunque riservata al giudice di merito la valutazione della relativa prova, comunque fornita, anche in ipotesi di tardiva discolpa (Sez. 2, n. 6929 del 14/06/1996, Sandri, Rv. 205411 – 01).
Ma ciò che più rileva, per assicurare una lettura costituzionalmente coerente della disposizione incriminatrice, è la necessità che l’accertamento della responsabilità sia frutto della verifica circa l’attuale destinazione dello strumento, verifica che deve divenire maggiormente penetrante quanto più l’oggetto incriminato non presenti in sé caratteristiche di evidente destinazione allo scopo dell’apertura o della forzatura delle serrature, al fine di render effettivo il riscontro circa il pericolo concreto e attuale contro il patrimonio che testimonia la determinatezza della fattispecie incriminatrice oltre il mero dato del possesso (Corte Cost. n. 225 del 20/6/2008).
Dunque, tale verifica, ove possibile già attraverso gli elementi probatori acquisiti, deve essere compita anche d’ufficio dal giudice per “evitare che – a fronte della descrizione, per certi versi, non particolarmente perspicua del fatto represso – la norma incriminatrice venga a colpire anche fatti concretamente privi di ogni connotato di pericolosità. A tal fine, il giudice dovrà procedere ad un vaglio accurato sia dell’attitudine funzionale degli strumenti ad aprire o a sforzare serrature; sia delle modalità e delle circostanze di tempo e di luogo con cui gli stessi sono detenuti. In particolare, quanto meno univoca ed esclusiva risulti la destinazione dello strumento allo scasso – come nel caso in cui si discuta di oggetti di uso comune, suscettibili di impieghi diversi e leciti – tanto più significative dovranno risultare le modalità e le circostanze spazio-temporali della detenzione, nella direzione dell’esistenza di un attuale e concreto pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio (sentenza n. 265 del 2005)” (Corte Cost. 225/2008 cit.)
Risultano, pertanto, fondati i rilievi del ricorrente in punto di errata applicazione delle norme di diritto, che si sono manifestate nell’omessa considerazione delle circostanze di fatto emerse nel processo e da cui si traevano elementi di prova sulla destinazione lecita della disponibilità dello strumento rinvenuto: dagli atti allegati al ricorso, infatti, e dallo stesso tenore della sentenza impugnata emergono sia la condizione personale dell’imputato, soggetto privo di fissa dimora, sia la fattualità riguardante il momento del controllo, che convergono nella ragionevole ricostruzione della detenzione del coltello multiuso per soddisfare esigenze della vita quotidiana e della necessità di portare con sé (in difetto di un luogo fisico stabilmente destinato alla propria abitazione) quello strumento.
- La sentenza impugnata deve pertanto esser annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.