Corte di Cassazione penale, Sez. V, sentenza 10 giugno 2024, n. 23288
PRINCIPIO DI DIRITTO
Gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, che rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.
Dovendo, piuttosto, consistere in circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio dei menzionati eventi alla luce della finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica; della consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza con cui il tribunale di Caltanissetta, in data 14.9.2021, aveva condannato A.A. alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione al fatto di bancarotta fraudolenta documentale in rubrica ascrittogli, in qualità di amministratore unico della “SCALIA Srl”, dichiarata fallita dal tribunale di Caltanissetta in data 30.9.2013.
- Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, lamentando:
1) violazione di legge in punto di sussistenza dell’elemento psicologico del reato per cui si procede, posto che il A.A. non ha avuto contezza della necessità di depositare la documentazione contabile, in quanto la Guardia di Finanza e il curatore fallimentare non hanno ottemperato all’obbligo di notificazione previsto ex lege, difettando, pertanto, in capo al prevenuto, la coscienza e volontà di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita, sicché la sua condotta è qualificabile in termini di colpa e non di dolo;
2) assenza di motivazione sulla sussistenza del dolo specifico, difettando, peraltro, la prova che, con la sua condotta, il A.A. abbia conseguito un ingiusto profitto ovvero abbia arrecato un pregiudizio ai creditori;
3) travisamento della prova, in punto di affermazione della irreperibilità del A.A., non essendo stato dimostrato che quest’ultimo si sia volontariamente sottratto ai controlli al fine di non consegnare la documentazione contabile agli organi della procedura, risultando, piuttosto, che il ricorrente ha collaborato con gli agenti della polizia municipale, ammettendo con essi, in data 29.8.2013, lo stato di insolvenza della società;
4) travisamento della prova, con riferimento all’avvenuto furto delle scritture contabili, regolarmente denunciato dal A.A. il 3.7.2012, in epoca precedente alla dichiarazione di fallimento, senza che sia possibile affermare la non rispondenza al vero di quanto denunciato;
5) vizio di motivazione, in quanto la corte di appello, da un lato, considera non pertinente la doglianza difensiva volta a contestare la ritenuta irreperibilità del A.A.; dall’altro, afferma che tale irreperibilità sia sintomatica dell’esistenza del dolo;
6) violazione di legge sulla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio.
- Il ricorso è fondato, con particolare riferimento alle censure relative all’elemento soggettivo del reato, in esse assorbito ogni ulteriore rilievo, e va accolto nei seguenti termini.
- Premesso che risulta incontestato il mancato rinvenimento della documentazione contabile della società fallita, che non è stata rinvenuta dal curatore fallimentare, né consegnata dall’imputato agli organi della procedura fallimentare, come sarebbe stato suo specifico dovere, a prescindere da ogni sollecitazione in tal senso da parte dei suddetti organi, va osservato che, come affermato con costante orientamento dalla giurisprudenza di legittimità, integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, Rv. 279179).
In una serie di recenti e condivisibili arresti si è, inoltre, precisato, che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), L. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr. Cass., Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Rv. 269904; Cass., Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; Cass., Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Per integrare tale forma di bancarotta (ed. bancarotta fraudolenta documentale specifica), non si richiede, dunque, un effettivo pregiudizio delle ragioni del ceto creditorio, ma solo che la condotta del soggetto attivo del reato sia sostenuta dalla finalità di arrecare pregiudizio ai creditori (ovvero di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto).
Al riguardo deve osservarsi che gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, che rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.
Dovendo, piuttosto, consistere in circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio dei menzionati eventi alla luce della finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica; della consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica.
Appare, pertanto, evidente che tra le suddette circostanze assume un rilievo fondamentale la condotta del fallito nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell’impresa (cfr., in questo senso, Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, Rv. 283983; Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Tale profilo risulta non sufficientemente meditato nella motivazione della sentenza dì secondo grado. La corte territoriale, infatti, ha correttamente dato atto della mancata consegna e del mancato rinvenimento delle scritture contabili della società fallita, ma ha dedotto la configurabilità del dolo specifico in capo al A.A. attribuendo valore prevalente all’oggettiva mancanza delle scritture contabili, senza svolgere alcuna ulteriore effettiva indagine che consenta di ricondurre, al di là di ogni ragionevole dubbio, tale dato oggettivo a una specifica scelta dolosa dell’amministratore.
La corte territoriale, invero, desume la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, dal mancato adempimento dell’obbligo di consegna della documentazione contabile, dato da solo insufficiente a dimostrare il dolo specifico del prevenuto, potendo dipendere da ragioni diverse dalla finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, come, ad esempio, da una semplice trascuratezza, nonché dalla circostanza che il A.A. non era stato reperito presso la sede della società fallita tutte le volte in cui il curatore vi aveva fatto accesso, rendendo di fatto impossibile il reperimento di alcuna documentazione contabile o fiscale nella suddetta sede, che risultava già chiusa prima che intervenisse la dichiarazione di fallimento (cfr. pp. 1-2; 5-6).
Il dato della ” irreperibilità” dell’amministratore dopo la dichiarazione di fallimento, tuttavia, non assume valore decisivo. Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di questa Corte, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216, comma primo, n. 2, legge fall., non può essere dedotto dalla circostanza che l’imprenditore si sia reso irreperibile dopo il fallimento, costituendo detta condotta un “posterius” rispetto al fatto-reato (cfr. Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Rv. 276910).
Più di recente si è evidenziato, in un condivisibile arresto, come, in tema di bancarotta fraudolenta documentale cd. “specifica”, lo scopo di recare pregiudizio ai creditori possa essere desunto anche dall’irreperibilità dell’amministratore, a condizione che ad essa si accompagnino ulteriori indici di fraudolenza, quali il passivo rilevante e la distrazione dei beni aziendali (cfr. Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, Rv. 283983).
La corte territoriale non ha fatto buon governo di tali principi, in quanto, da un lato, come si è detto, ha valorizzato circostanze di fatto insufficienti a dare contezza della configurabilità in capo all’imputato della coscienza e volontà di agire allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori; dall’altro, ha omesso di accertare la sussistenza di ulteriori indici di fraudolenza desumibili dal concreto svolgersi della vita economica dell’ impresa, sino alla dichiarazione di fallimento, apparendo, al riguardo, generico, perché non collegato, nel percorso motivazionale, a una verifica delle condizioni economiche della società fallita, come emerse anche a seguito della dichiarazione di fallimento, il riferimento alle dichiarazioni rese dal A.A. agli agenti di polizia municipale il 29.8.2013, con cui l’imputato aveva riconosciuto che la “propria impresa non avrebbe potuto estinguere i debiti contratti per mancanza di liquidità” (cfr. p. 6).
Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Caltanissetta, affinché provveda a colmare le evidenziate lacune motivazionali, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati.