Cass. civ., sez. I, ordinanza 4 ottobre 2021, n. 26869
PRINCIPIO DI DIRITTO
Nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 287 del 1990, articolo 33, comma 2, per il risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali, nell’ipotesi in cui il procedimento avanti all’AGCOM si sia concluso con una decisione con impegni assunti dall’impresa a norma dell’articolo 14-ter della stessa Legge a proposito della posizione rivestita sul mercato e della sussistenza di un comportamento implicante abuso di posizione dominante, il giudice del merito, considerate le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria (e in particolare dalla sentenza 23 novembre 2017, causa C-547/16, della Corte di giustizia), non è in alcun modo limitato nelle sue valutazioni e deve anzi porre a fondamento del proprio accertamento anche gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria svolta; in particolare deve tener conto della valutazione preliminare della Commissione e degli elementi desumibili dalla comunicazione delle afferenti risultanze, onde considerarle quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale della condotta contestata, nel contesto di tutte le emergenze, anche di diverso tenore, acquisite in giudizio.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
I – L’unico motivo di ricorso è formulato come “violazione o falsa applicazione di legge (..) in relazione della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 14-ter, in relazione alla sentenza non definitiva (..) e alla sentenza definitiva (..), per avere il giudice (..) proposto una interpretazione della norma non conforme ai principi dell’ordinamento nazionale e dell’Unione Europea, attribuendo erroneamente efficacia probatoria alla decisione con impegni adottata all’esito del procedimento davanti all’AGCM”. La ricorrente sostiene che la corte d’appello, anziché procedere a un accertamento ex novo, avrebbe preteso di attribuire agli impegni assunti da Toscana Energia nel corso dell’istruttoria davanti all’autorità garante la funzione di un vero e proprio accertamento, “quasi provvisto di efficacia di giudicato”, in ordine all’esistenza dell’abuso di posizione dominante.
- – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
III. – In ordine della L. n. 287 del 1990, art. 14-ter, questa Corte ha reso il principio per cui “nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33, comma 2, per il risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali, nell’ipotesi in cui il procedimento avanti all’AGCOM si sia concluso con una decisione con impegni assunti dall’impresa a norma dell’art. 14 ter L. cit., in ordine alla sua posizione rivestita sul mercato ed alla sussistenza di un comportamento implicante un abuso di posizione dominante, il giudice di merito può porre a fondamento del proprio accertamento gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria svolta e, segnatamente, quelli desumibili dalla comunicazione delle sue potendo essere contrastati da emergenze di diverso tenore” (Cass. n. 5381-20). Tale principio contraddice l’affermazione preliminare della ricorrente, secondo la quale invece, chiudendosi il procedimento dinanzi all’AGCM con decisione con impegni senza accertamento dell’infrazione, di nessuna rilevanza sarebbero le risultanze di quel procedimento.
III. – Reputa la Corte che il citato principio debba essere confermato con la precisione che segue, tratta dal confronto con la più recente giurisprudenza comunitaria. È infatti di sicura rilevanza la circostanza che la ricorrente, richiamando la sentenza della Corte di giustizia 29 giugno 2010 (causa C-441/07, Alrosa), abbia inteso focalizzare l’attenzione sulle forme attuative delle previsioni comunitarie in tema di concorrenza, onde trarne un condizionamento nell’esegesi della norma interna.
- – Ora la sentenza richiamata da Toscana Energia (C. giust. 29 giugno 2010, Alrosa) ha ben vero affermato che l’istituto degli impegni costituisce “un nuovo meccanismo (…) volto a garantire l’applicazione efficace delle norme sulla concorrenza previste dal Trattato CE mediante l’adozione di decisioni che rendono obbligatori gli impegni proposti dalle parti e giudicati appropriati dalla Commissione al fine di fornire una soluzione più rapida ai problemi di concorrenza da essa identificati, invece di avviare l’iter per la constatazione formale di un’infrazione”. E ciò per il fatto che l’art. 9 dell’afferente Regolamento (CE) n. 1 del 2003 (concernente l’applicazione delle regole di concorrenza ex artt. 81e 82 del TFUE) è alfine ispirato “a considerazioni di economia processuale”. Tale impostazione certamente postula che la decisione di accettazione degli impegni da parte dell’AGCM chiuda il procedimento senza accertare se vi sia stata o continui a esserci una violazione del diritto della concorrenza. Essa però non comporta affatto che delle risultanze di quel procedimento non debba tenersi conto nel giudizio di danni. Ché anzi, proprio nella citata sentenza Alrosa, la Corte di giustizia ha precisato che le disposizioni di cui agli artt. 7 e 9 del Regolamento citato “perseguono (…) due obiettivi diversi che mirano, l’uno, a porre fine all’infrazione constatata e, l’altro, a rispondere alle preoccupazioni della Commissione risultanti dalla sua valutazione preliminare” (punto 46).
- – Il senso dell’affermazione risulta ben decifrabile per il tramite della più recente sentenza della stessa Corte di giustizia 23 novembre 2017 (causa C-547/16, Gasorba), nella quale è stato per l’appunto stabilito che i giudici nazionali non possono ignorare le decisioni con impegni, in quanto esse rivestono in ogni caso carattere decisorio. In questa ottica è stato anche precisato che sia il principio di leale cooperazione, di cui all’art. 4, par. 3, TUFE, sia l’obiettivo di un’efficace e uniforme applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione impongono al giudice nazionale “di tener conto della valutazione preliminare della Commissione e di considerarla quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale” della condotta contestata (sentenza ult. cit., punto 29).
- – La conseguenza da trarre è che, giuridicamente, non può affermarsi – come la ricorrente ha fatto – che il giudice del merito sia condizionato in senso solo negativo dalla decisione con impegni, e cioè che egli sia in qualche misura tenuto a non attribuire rilevanza di sorta agli impegni assunti dal monopolista quali elementi probatori dell’avvenuto illecito. A integrazione dell’insegnamento di Cass. n. 5381-20, va invece enunciato il seguente principio: “nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 33,comma 2, per il risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali, nell’ipotesi in cui il procedimento avanti all’AGCOM si sia concluso con una decisione con impegni assunti dall’impresa a norma dell’art. 14-ter della stessa Legge a proposito della posizione rivestita sul mercato e della sussistenza di un comportamento implicante abuso di posizione dominante, il giudice del merito, considerate le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria (e in particolare dalla sentenza 23 novembre 2017, causa C-547/16, della Corte di giustizia), non è in alcun modo limitato nelle sue valutazioni e deve anzi porre a fondamento del proprio accertamento anche gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria svolta; in particolare deve tener conto della valutazione preliminare della Commissione e degli elementi desumibili dalla comunicazione delle afferenti risultanze, onde considerarle quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale della condotta contestata, nel contesto di tutte le emergenze, anche di diverso tenore, acquisite in giudizio”.
VII. – Va aggiunto che non è vero che la corte d’appello di Firenze, per valutare l’esistenza dell’illecito di Toscana Energia, si sia nel caso concreto basata sulla sola assunzione di impegni, in forza di un accertamento “quasi provvisto” (secondo la peculiare espressione della ricorrente) di un’efficacia di giudicato. La corte d’appello ha semplicemente valutato le risultanze del procedimento, per l’appunto alla stregua di elementi di prova, nel contesto di una più complessiva considerazione dipanata dalle ammissioni della medesima Toscana Energia nelle comunicazioni intercorse con l’attrice; le quali comunicazioni sono state ritenute esse stesse indice dell’abuso “concretizzato nell’impedire in sostanza alla Pace Strade l’attività di posa di metanodotti in aree private (..) e nel condizionare il necessario collaudo e collegamento delle opere alla rete pubblica (..) all’esecuzione dell’impianto da parte sua”. In questo senso la decisione è nel complesso allineata al principio sopra esposto, e la tesi sostenuta nel ricorso, secondo la quale sarebbe mancato un riscontro effettivo (ex novo) dell’illecito concorrenziale, oltre che infondata nel presupposto giuridico, si risolve in una petizione inammissibile, essendo in contrasto con gli accertamenti di fatto desunti dai provvedimenti impugnati.
VIII. – Le spese seguono la soccombenza.