Corte di Cassazione, I Sezione Civile, ordinanza 22 aprile 2024, n. 10711
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il primo motivo di ricorso è così rubricato: «Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del r.d. n. 1736/33, in riferimento agli artt. 1176, comma 2, e 1992 c.c. e all’art. 115 c.p.c.». Invocandosi, sul punto, i principi enunciati da Cass., SU, n. 12477 del 2018, si contestano le argomentazioni utilizzate dalla corte lagunare per giustificare la ivi ritenuta sussistenza della responsabilità di P. s.p.a.. Si assume, tra l’altro, che «se è pur vero che era onere di Poste dimostrare di aver agito con diligenza, una volta provata l’esimente, era onere di Unipol dimostrare il contrario, evidenziando la presenza di contraffazioni visibili ictu oculi sul titolo o sui documenti».
- Allo scrutinio di questa doglianza giova premettere che: i) è incontroverso che l’odierna vicenda ha riguardato cinque assegni di traenza non trasferibili (emessi da Banca (OMISSIS) s.p.a. e da Banca (OMISSIS) s.p.a., incaricatane da U. s.p.a. con cui aveva sottoscritto una convenzione di assegno) che erano stati negoziati da P. s.p.a. pagandoli a persone diverse dai rispettivi legittimi beneficiari; ii) l’art. 43, comma 2, del r.d. n. 1736 del 1933 (cd. legge assegni) sancisce che “Colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”.
2.1. Rileva il Collegio, poi, che le Sezioni Unite di questa Corte, intervenute per dirimere un contrasto insorto tra le sezioni semplici in ordine alla interpretazione di detta norma, con le sentenze del 21 maggio 2018, n. 12477 e 12478, hanno ribadito o pronunciato i seguenti principi di diritto: a) la menzionata norma si applica anche all’assegno circolare, all’assegno bancario libero della Banca d’Italia ed all’assegno di traenza (usualmente utilizzato, in luogo del bonifico bancario, per il pagamento di un soggetto che non sia titolare di un conto corrente o di cui non si conoscono le coordinate bancarie) munito della clausola di intrasferibilità; b) l’espressione «colui che paga», adoperata dall’art. 43, comma 2, l.ass., si riferisce non solo alla banca trattaria (o all’emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice, che è l’unica concretamente in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno e sull’identità del soggetto che, girandolo per l’incasso, lo immette nel circuito di pagamento; c) ha natura contrattuale la responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata; d) specificamente: «ai sensi dell’art. 43, comma 2, legge assegni (r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c.» (cfr. Cass., SU, n. 12477 del 2018).
2.1.1. A sostegno di tale conclusione, è stata richiamata la precedente sentenza delle stesse Sezioni Unite che, risolvendo il contrasto di giurisprudenza riguardante la responsabilità della banca, ne aveva escluso la natura extracontrattuale, ravvisandovi, invece, un’ipotesi di responsabilità contrattuale cd. da contatto sociale, fondata sull’obbligo professionale di protezione (preesistente, specifico e volontariamente assunto), posto a carico della banca nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso (cfr. Cass., SU, n. 14712 del 2007). Nel ribadire tale principio, la nuova pronuncia ne ha evidenziato l’incompatibilità con la natura oggettiva della responsabilità, predicabile soltanto in riferimento a fattispecie d’illecito extracontrattuale, precisando che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, la banca è tenuta a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, cod. civ., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve. È stato chiarito, inoltre, che lo scopo della clausola di intrasferibilità consiste non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma anche e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo: ed a conferma di tale assunto è stato richiamato l’art. 73 del r.d. n. 1736 del 1933, il quale esclude l’ammortamento dell’assegno non trasferibile proprio perché lo stesso non può essere azionato da un portatore di buona fede, conferendo nel contempo al prenditore, ma solo come conseguenza indiretta, la maggior sicurezza di poterne ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente.
2.2. Alla stregua di tali dicta (peraltro ribaditi dalla successiva giurisprudenza di legittimità. Cfr. pure nelle rispettive motivazioni, ex aliis, Cass. n. 25581 del 2018; Cass. n. 34107 del 2019; Cass., SU, n. 9769 del 2020; Cass. n. 9842 del 2021; Cass. nn. 15638, 15643, 15651, 15818, 16781 e 16782 del 2022; Cass. nn. 12861 e 35755 del 2023; Cass. n 4146 del 2024, tutte rese in controversie assolutamente analoghe a quella odierna), che il Collegio condivide pienamente (ed alle cui ulteriori argomentazioni giustificative può qui farsi rinvio ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.), la censura in esame si rivela complessivamente inammissibile.
2.2.1. Essa, invero, mostra di non aver colto appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella misura in cui quest’ultima, muovendo dal rilievo, affatto corretto, che «La regola della cd. responsabilità da “contatto sociale” prevede una presunzione di colpa a carico del debitore inadempiente perché utilizza i criteri della responsabilità contrattuale», ha puntualizzato, poi, che «L’appellante avrebbe dunque dovuto specificare quali circostanze di fatto emerse nel giudizio di primo grado dimostrassero che il controllo dei documenti fosse avvenuto con la diligenza richiedibile a un operatore professionale».
2.2.2. La corte distrettuale, in particolare, ha ritenuto non assolto da P. s.p.a. l’onere della prova su di essa gravante perché ha considerato insufficiente la mera circostanza che i documenti d’identificazione esibiti fossero falsi, atteso che «Esistono falsi grossolani ed esistono regole cautelari – ricordate dalla difesa dell’appellato – volte a ridurre il rischio di raggiri attraverso una tecnica truffaldina già nota, anche all’epoca di fatti oggetto del presente processo, a P. s.p.a.». L’appellante, dunque, al fine di dimostrare la propria assenza di colpa ex art. 1176 comma 2, cod. civ., avrebbe dovuto allegare e dimostrare l’esistenza di circostanze tali da consentire di escludere che la alterazione dei documenti di identificazione presentati agli sportelli dove gli assegni de quibus furono negoziati fosse rilevabile ictu oculi, in base alla diligenza media riferibile ai dipendenti addetti a quegli sportelli, stante la natura dell’attività esercitata e l’obbligo di verifica visiva e tattile di quanto esibitogli, benché gli stessi non fossero tenuti a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né a mostrare le qualità di un esperto grafologo.
2.2.3. Non resta, dunque, che prendere atto dell’accertamento di merito effettuato dalla corte suddetta, rispetto al quale le argomentazioni della censura, sul punto – oltre a rivelarsi erronee, per quanto è appena detto, laddove pretendono di far gravare su U. s.p.a. l’onere di dimostrare «la presenza di contraffazioni visibili ictu oculi sul titolo o sui documenti» – appaiono sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame al fine di ritenere sussistente il lamentato inadempimento. Il giudizio di legittimità, tuttavia, non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257 e 9429 del 2024).
- Il secondo motivo di ricorso denuncia «Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: Violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 100 e 105 del d.P.R. n. 655/82 e del d.m. 26.2.2004 (Carta della qualità del servizio pubblico postale) nonché dell’allegato A (Condizioni generali di servizio per l’espletamento del servizio universale postale di P.) della delibera AGICOM n. 385/13/CONS, in riferimento all’art. 1227, comma 1, c.c. e degli artt. 43 L.A. e 40-41 c.p.». Si censura la decisione impugnata quanto all’esclusione del concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227, comma 1, cod. civ., rispetto alla verificazione del fatto dannoso, in relazione al tenuto comportamento di U. s.p.a. consistito nella spedizione per forma ordinaria dell’assegno pur munito di clausola di intrasferibilità.
3.1. Questa doglianza si rivela fondata.
3.1.1. Invero, l’assunto del giudice di appello che ha escluso la configurabilità del concorso di colpa della danneggiata, ex art. 1227, comma 1, cod. civ., malgrado l’avvenuta, incauta spedizione, da parte sua, del titolo suddetto tramite la posta ordinaria noncurante che lo stesso arrivasse nelle mani del creditore, non è coerente con quanto affermato da Cass., SU, n. 9769 del 2020, secondo cui «La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore» (cfr., in senso conforme, tra le altre, le successive Cass. n. 25873 del 2020; Cass. n. 34201 del 2021; Cass. n. 15638 del 2022; Cass. nn. 27579 e 25886 del 2023). Sul punto, allora, la sentenza impugnata deve essere cassata al fine di consentire al giudice di rinvio di procedere ad un nuovo esame del corrispondente motivo di appello di P. s.p.a. alla luce dell’appena riportato principio.
- In conclusione, dunque, l’odierno ricorso deve essere accolto limitatamente al suo secondo motivo, dichiarandosene inammissibile il primo. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, rinviandosi la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.