Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 27 marzo 2023, n. 8557
PRINCIPI DI DIRITTO
I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento.
I detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati.
Avverso il piano di riparto del curatore che escluda o includa (in tutto o in parte) il diritto del titolare della nuda prelazione alla distribuzione delle dette somme, il creditore ipotecario o pignoratizio e, rispettivamente, gli altri creditori interessati al riparto del ricavato della vendita del bene possono proporre reclamo a norma dell’art. 110, comma 3, l. fall..
Il reclamo può avere ad oggetto l’esistenza, la validità e l’opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l’an e il quantum del debito garantito.
Tale accertamento non richiede la partecipazione al giudizio del debitore la cui obbligazione è garantita da ipoteca o da pegno e ha un valore endoconcorsuale, essendo, come tale, non opponibile al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, in sede di rivalsa.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- ― Preliminarmente va dato conto dell’eccezione sollevata da Unicredit, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o improcedibilità del ricorso per cassazione del fallimento: ciò avendo riguardo, rispettivamente, al difetto di legittimazione del curatore, siccome non autorizzato dal Giudice delegato alla proposizione dell’impugnazione, e al mancato tempestivo deposito, in questa sede di legittimità, del relativo provvedimento.
L’eccezione va disattesa.
A norma dell’art. 31, comma 2, l. fall., come sostituito dall’art. 27 d.lgs. n. 5/2006, l’autorizzazione del giudice delegato non è richiesta per le controversie in materia di «contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento». Il giudizio promosso da Unicredit avanti al Tribunale è un’opposizione al decreto che ha reso esecutivo lo stato passivo del fallimento di Brai Cost s.p.a.; con la domanda proposta la banca ha precisamente contestato la mancata ammissione, da parte del Giudice delegato, del credito da essa vantato. L’azione proposta non rientra pertanto tra quelle per cui è richiesta l’autorizzazione del giudice delegato (per una fattispecie simile, cfr. Cass. 9 agosto 2017, n. 19748, citata da parte ricorrente, in tema di rivendica tardiva di immobile).
- ― Deve poi dichiararsi inammissibile l’intervento in giudizio di Link Asi, quale cessionaria del credito controverso (quello, cioè, per cui è stata proposta domanda di insinuazione).
Come ripetutamente affermato da questa Corte, il successore a titolo particolare nel diritto controverso può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito (Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 23 marzo 2016, n. 5759; Cass. 11 maggio 2010, n. 11375; Cass. 4 maggio 2007, n. 10215).
- ─ I motivi di ricorso si riassumono come segue.
Col primo mezzo di censura il fallimento ricorrente denuncia la falsa applicazione dell’art. 52 l. fall. e la violazione dell’art. 93 della stessa legge. Sostiene l’istante che l’interpretazione dell’art. 52 proposta dal Tribunale non possa essere condivisa, in quanto mal si coordinerebbe con l’art. 93: norma che, anche a seguito della riforma del 2006, menziona esclusivamente le domande di rivendicazione e di restituzione, «con ciò supportando il convincimento che con la locuzione ‘diritto reale o personale’, in contrapposizione al credito verso il fallito, il legislatore abbia inteso riferirsi ─ contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Terni ─ alle sole domande di rivendicazione o di restituzione e non anche ai diritti reali concessi dal fallito per debiti altrui». Il ricorrente rileva, in tale prospettiva, che la nuova formulazione dell’art. 52 si spiegherebbe, oltre che con la finalità di includere espressamente nella previsione circa il concorso formale le domande di rivendicazione, separazione o restituzione di beni mobili di cui all’art. 103 l. fall., che già prima della riforma erano oggetto dell’accertamento del passivo, quelle, della stessa natura, ma riferite a beni immobili, che erano precedentemente escluse dalla competenza del tribunale fallimentare in forza del testo, poi modificato, dell’art. 24 l. fall..
Il secondo motivo, prosegue la Corte, oppone la falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c.. Si deduce che attesa la pacifica inapplicabilità del principio di non contestazione nell’ambito del procedimento di accertamento del passivo, il Tribunale «non si sarebbe dovuto astenere, come invece ha fatto, dall’effettuare ogni controllo probatorio in ordine alla fondatezza del diritto reale di garanzia vantato».
Col terzo mezzo è lamentata la violazione dei principi che regolano la portata e gli effetti della statuizione di inammissibilità della domanda per difetto di una condizione dell’azione. La censura investe il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale di Terni ha osservato che il Giudice delegato, nel dichiarare inammissibile la domanda proposta da Unicredit, ha incidentalmente accertato che quest’ultima era titolare di un diritto reale di garanzia sui beni immobili indicati nella domanda. Si deduce, in sintesi, che una tale valorizzazione dell’operato del Giudice delegato sarebbe non conforme al diritto, in quanto la pronuncia di inammissibilità della domanda di ammissione al passivo non potrebbe, per sua natura, contenere alcun accertamento nel merito del diritto di cui si chiede l’insinuazione.
Il quarto motivo di ricorso prospetta la nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c. per difetto assoluto di motivazione. Parte ricorrente assume che l’accoglimento della domanda di insinuazione anche in relazione al diritto di credito vantato dall’opponente nei confronti del terzo, Cost s.p.a., pari a euro 1.423.666,46, sarebbe priva di alcun supporto argomentativo.
- ─ Come accennato, la causa è stata rimessa alle Sezioni Unite avendo riguardo al contrasto di giurisprudenza emerso sulla questione posta col primo motivo di ricorso: questione che nell’ordinanza interlocutoria è pure definita di spiccato valore nomofilattico, considerato il numero dei precedenti che se ne sono occupati.
La detta ordinanza interlocutoria reputa in particolare opportuno un approfondimento della tematica enucleando i seguenti quesiti:
– se il terzo titolare di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento, in virtù di una garanzia costituita per un debito altrui, sia legittimato a far valere il proprio diritto con il procedimento di verificazione del passivo previsto dal capo V del titolo II della legge fallimentare, oppure possa ottenerne la soddisfazione mediante l’intervento nella fase di ripartizione del ricavato della vendita del bene gravato;
– se, ai fini della partecipazione al concorso, risulti sufficiente l’accertamento dell’opponibilità della garanzia ai creditori, oppure sia necessaria la verifica dell’esistenza e dell’entità del credito garantito;
– se tale verifica debba aver luogo con la partecipazione del debitore garantito, e con quali modalità;
– se ed in che modo la decisione adottata in sede di opposizione allo stato passivo possa incidere sull’esercizio del diritto alla rivalsa nei confronti del debitore garantito.
- ― La fattispecie di cui si discute, precisa la Corte, rientra nella figura della «responsabilità senza debito», connotata da una dissociazione, nella nozione giuridica di obbligazione, tra la categoria del debito, e quindi del dovere di adempimento cui corrisponde il credito, e quella della responsabilità, che rappresenta lo stato di assoggettamento dei beni del responsabile, che sopravviene in caso d’inadempimento, essendo al creditore attribuito il diritto di agire in executivis sui beni di chi è estraneo al rapporto obbligatorio (cfr., in motivazione, avendo proprio riguardo al caso del datore di ipoteca a garanzia di debito altrui, Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429): l’espressione descrive, cioè, la situazione in cui il terzo non è tenuto all’adempimento del debito, che fa capo ad altri, ma soggiace, nondimeno, all’azione esecutiva del titolare del diritto di prelazione.
Le questioni poste dall’ordinanza interlocutoria si collocano all’interno del sistema del diritto fallimentare di cui al r.d. n. 267/1942. Uno dei perni di tale sistema è costituito dall’art. 51 l. fall.: norma, questa, secondo cui, salve diverse disposizioni di legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per credito maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.
La richiamata disposizione, che pone un divieto di natura obiettiva (essendo riferita ai beni che facciano parte della massa fallimentare in quanto tali, indipendentemente dalla qualità che rivestano coloro che sugli stessi vantino diritti) e che costituisce, in termini generali, un riflesso applicativo del principio della concorsualità di cui al successivo, e altrettanto fondamentale, art. 52 (il concorso dei creditori non potendo trovare evidentemente attuazione ove i beni deputati al soddisfacimento degli stessi continuino ad essere oggetto di azioni esecutive o cautelari individuali in pendenza della procedura), aiuta a comprendere come il dibattito che ha interessato la prelazione vantata dal titolare dell’ipoteca o del pegno su beni acquisiti alla procedura abbia investito non già il tema della possibilità, da parte del detto soggetto, di soddisfarsi, in sede fallimentare, sul bene oggetto della garanzia ― possibilità che va senz’altro riconosciuta, una volta preso atto del divieto posto dal cit. art. 51 e dovendosi ovviamente escludere alcun ingiustificato sacrificio del titolare della garanzia reale ―, quanto, piuttosto, le modalità processuali attraverso cui ciò debba avvenire.
- ― Su quest’ultimo punto la giurisprudenza della Corte, e in particolare della Prima Sezione civile, ha fornito, nell’arco di tempo di quasi sessant’anni, responsi che (pur con occasionali divergenze su temi di secondo piano) possono dirsi sostanzialmente conformi: salva l’eccezione su cui ci si soffermerà.
Risale a Cass. 8 aprile 1965, n. 613 l’insegnamento per cui coloro che hanno sugli immobili compresi nel fallimento diritti di prelazione a garanzia di crediti vantati verso debitori diversi dal fallito possono concorrere alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita di tali immobili insieme con i creditori fallimentari, senza bisogno che i loro crediti siano assoggettati al procedimento di verifica previsto dalla legge fallimentare.
Cass. 8 gennaio 1970, n. 46 si è spinta oltre, escludendo che il titolare del diritto di prelazione sia facoltizzato ad avvalersi dell’insinuazione al passivo; con riferimento a un ricorso in cui era stata lamentata l’illegittimità del provvedimento di ammissione al passivo del creditore di persona diversa dal fallito che vantava una garanzia reale su un immobile appreso dal fallimento, la Corte ha evidenziato che il detto creditore, ove la prelazione sia opponibile alla procedura, può intervenire nell’esecuzione e partecipare alla distribuzione del prezzo ottenuto dalla vendita dell’immobile, ma non ha titolo per essere ammesso al passivo. Nella circostanza è stata rimarcata la distinzione tra i creditori ammessi al passivo e i creditori aventi diritto di prelazione su beni del fallito a garanzia di crediti verso altre persone, considerando tali crediti come passività delle quali il patrimonio del fallito deve essere depurato all’interno del procedimento di liquidazione dell’attivo, prima del progetto di ripartizione del ricavato e dell’erogazione delle somme risultanti da tale liquidazione.
Nel medesimo senso, secondo Cass. 24 novembre 2000, n. 15186, i titolari di diritti di prelazione su beni immobili, compresi nel fallimento, a garanzia di crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non debbono né possono avvalersi del procedimento di verificazione e di formazione dello stato passivo. Nella circostanza è stato precisato che, nondimeno, le ragioni ipotecarie del creditore iscritto debbano essere «verificate» dagli organi del fallimento: ma con la precisazione che l’oggetto di tale accertamento non è il credito che il suddetto creditore vanti verso il suo debitore (persona diversa dal fallito), bensì, e in sedi diverse da quella della formazione dello stato passivo, la garanzia ipotecaria in relazione alla sua validità, attualità, ed opponibilità, oltre che all’insussistenza di condizioni che la rendano revocabile ex artt. 64, 67 l. fall. e 2901 c.c..
Su detta linea si colloca, altresì, la già citata Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429, secondo cui i crediti garantiti da diritti di prelazione su beni immobili compresi nel fallimento, vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono essere oggetto del procedimento di verificazione, in quanto l’art. 52 l. fall. sottopone ogni credito a concorso se il fallito si identifica con il debitore, mentre nella specie, essendo il fallito estraneo al rapporto obbligatorio, il debito corrispondente non può incidere sulla massa passiva. Secondo tale arresto i predetti crediti, anche se esclusi dal concorso formale, sono peraltro assoggettabili a verifica, ai sensi dell’art. 108 ultimo comma, l. fall. (nel testo, ovviamente, all’epoca applicabile), nella fase posticipata della liquidazione del bene gravato. In tal senso, il controllo del giudice delegato investe l’esistenza della prelazione in relazione a tutti gli aspetti che rilevano nella procedura concorsuale: la sua validità ed attualità, vale a dire la regolarità formale del suo titolo fondante, ma anche e soprattutto la sua opponibilità alla massa alla luce dell’ipotizzabile revocabilità, e tanto al fine evidente ed imprescindibile di salvaguardare la par condicio creditorum, in contraddittorio col curatore, che potrà essere autorizzato, laddove ne emergano le condizioni, ad intraprendere le necessarie conseguenti azioni fallimentari.
In sintesi, per l’orientamento descritto, il creditore ipotecario manca di un titolo a intervenire nella fase di ammissione dei crediti, in quanto il suo credito non è verso il fallito; l’ipoteca, però, lascia integro il diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato della vendita del bene, ove questa avvenga a istanza di altri (così, in motivazione, Cass. 24 febbraio 1994, n. 1875): e questo spiega perché il detto soggetto abbia diritto alla distribuzione del prezzo ottenuto dalla vendita dell’immobile, salva la richiamata verifica, da attuarsi nella fase di riparto dell’attivo.
Il tracciato continuo segnato da questa giurisprudenza, in cui si inalveano altre pronunce (Cass. 19 maggio 2009, n. 11545; Cass. 26 luglio 2012, n. 13289, in motivazione), presenta una interruzione in corrispondenza di decisione che, valorizzando alcuni elementi di novità introdotti dalla riforma della legge fallimentare, ha sposato una soluzione contraria rispetto all’orientamento di cui si è fin qui detto.
Per la verità, la Corte, pronunciandosi una prima volta sulla questione che interessa nella vigenza del r.d. n. 267/1942, per come modificato dal d.lgs. n. 5/2006 e dal correttivo operato col d.lgs. n. 169/2007, aveva ribadito l’indirizzo tradizionale: aveva osservato, in particolare, che il riferimento, contenuto nel modificato art. 52, comma 2, l. fall., ai diritti reali suscettibili di accertamento secondo le norme stabilite dal capo V, titolo II, della legge stessa, non poteva concernere i diritti reali di garanzia costituiti dal terzo non debitore (o terzo datore della garanzia), atteso che questi si pongono al di fuori dello stato passivo fallimentare, non essendo il terzo creditore diretto del fallito; aveva inoltre rilevato che, ove anche si volesse estendere la detta disposizione fino a comprendere anche quell’accertamento del diritto verso il terzo datore di ipoteca, si sarebbe dovuto introdurre un anomalo contraddittorio con una ulteriore parte, quella corrispondente al debitore garantito proprio dall’ipoteca data dal terzo (Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540; allo stesso punto di approdo è pervenuta Cass. 10 luglio 2018, n. 18082, con riguardo al diritto di pegno).
In seguito, nell’accennata discontinuità con l’orientamento tradizionale, Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657 ha affermato che i titolari di diritti di ipoteca sui beni immobili compresi nel fallimento e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito devono avvalersi, dopo la riforma, del procedimento di verificazione dello stato passivo. L’enunciato si fonda su argomenti testuali e di sistema.
Sul primo versante la pronuncia ha rilevato: che l’art. 52, comma 2, l. fall. considera, oltre ai crediti «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare» quale oggetto dell’accertamento secondo le forme stabilite; che l’art. 103 l. fall. non è più riferito ai soli beni mobili; che l’art. 108 l. fall. non prevede più l’avviso della vendita ai creditori iscritti, mentre l’art. 92 l. fall. ora contempla un avviso anticipato alla fase iniziale della procedura fallimentare rivolto non soltanto ai creditori, ma anche «ai titolari di diritti reali o personali su beni mobili o immobili di proprietà o in possesso del fallito» (avviso avente ad oggetto la facoltà di partecipare al concorso presentando domanda ai sensi del successivo art. 93, ossia domanda di «ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili»).
Sul secondo versante la Corte ha rimarcato come l’inclusione dell’accertamento del diritto del terzo non creditore, garantito da ipoteca, nella fase di formazione dello stato passivo si faccia preferire sia «per l’affinità di tale accertamento a quella fase», sia perché «consente di superare ogni incertezza quanto alle modalità e ai termini dell’accertamento stesso, collocandolo nell’ambito di un subprocedimento, quale quello di formazione dello stato passivo, che prevede garanzie di partecipazione per tutti i soggetti interessati ed è ispirato a condivise esigenze di tempestività». In dissenso dalla cit. Cass. 9 febbraio 2016, n. 2540, cit., la pronuncia ha escluso, da ultimo, che la verifica del diritto del titolare della garanzia in seno al procedimento di accertamento del passivo postuli l’instaurazione del contraddittorio col debitore, osservando come la posizione obbligatoria di questo non sia incisa da una decisione che riguarderebbe esclusivamente il concorso degli aventi diritto nel fallimento del terzo proprietario del bene ipotecato.
La successiva Cass. 12 luglio 2019, n. 18790 è tornata a porsi nel solco segnato dalla giurisprudenza del passato; lo ha fatto confutando gli argomenti dell’ordinanza n. 2657 del 2019 sulla base dei seguenti rilievi: il mero titolare di prelazione non riveste la qualifica di creditore del fallito; l’art. 103 l. fall. ha esteso il proprio ambito di applicazione ai beni immobili, ma non contiene oggi l’espresso riferimento alla domanda di separazione, che, viceversa, dovrebbe trovare applicazione ove venga in questione il pegno o l’ipoteca gravanti su beni acquisiti alla massa fallimentare; l’art. 92 non impone espressamente al curatore di avvisare il titolare di prelazione sui beni del fallito; abrogato l’art. 108, comma 4, l’avviso di cui all’art. 107, comma 3, ha proprio la funzione di consentire al terzo garantito di avere notizia del fallimento e di intervenire in sede di riparto. La pronuncia si mostra critica anche verso il rilievo svolto da Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657 con riguardo all’estensione del contraddittorio al debitore: viene osservato, al riguardo, che, rispetto all’esigenza di determinare nell’an e nel quantum, la somma da assegnare, in sede di riparto, al terzo titolare della garanzia, l’integrazione del contraddittorio con il debitore non è del tutto irrilevante, in quanto solo attraverso tale meccanismo processuale sarebbe possibile, per il curatore, svolgere le contestazioni concernenti l’esistenza e l’entità del credito oggetto di garanzia; in assenza di tale situazione processuale ― si aggiunge ― il rischio sarebbe quello di ammettere al concorso prima e di soddisfare poi un credito in tutto o in parte inesistente.
Il contrasto non è riproposto dalle successive pronunce: le quali risultano difatti conformi alla linea di pensiero che si è venuta consolidando presso la Corte nel corso degli ultimi decenni; la preclusione ad avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo è stata così di recente riaffermata con riguardo al creditore di soggetto, diverso dal fallito, che vanti un’ipoteca (Cass. 21 gennaio 2021, n. 1067) o un privilegio speciale (Cass. 25 maggio 2022, n. 16939) su beni ricompresi nel fallimento.
- ― Il panorama consegnato dai contributi della dottrina, osserva la Corte, si mostra più frastagliato.
Prima della riforma della legge fallimentare l’insussistenza di un obbligo, da parte dei creditori garantiti da beni del fallito non debitore, di presentare domanda d’insinuazione era stata desunta, da una parte della dottrina, dall’art. 108, comma 4, l. fall., il quale disponeva che l’estratto dell’ordinanza relativa alla vendita degli immobili dovesse essere notificato, oltre che ai creditori ammessi al passivo con prelazione, anche ai creditori ipotecari iscritti, cioè a coloro che non sono creditori del fallito, ma sono garantiti ipotecariamente sui suoi beni; proprio muovendo dal tenore di tale norma si era peraltro precisato che quanti godessero di una prelazione di natura non ipotecaria sui beni del fallito per un debito altrui fossero tenuti alla presentazione della domanda di insinuazione.
Diversi autori si erano poi espressi nel senso che il titolare del diritto di prelazione potesse giovarsi, a sua scelta, dell’uno o dell’altro rimedio e potesse quindi far valere il diritto di prelazione in sede di riparto o, in via alternativa, insinuandosi al passivo.
Altra parte della dottrina aveva ritenuto senz’altro doverosa l’insinuazione per tutti i creditori che vantassero una garanzia reale su beni del fallito. Si era sottolineato, al riguardo, che il problema della possibile partecipazione al concorso del titolare di una nuda prelazione su beni del fallito dovesse considerarsi risolto in base al collegamento normativo esistente tra l’art. 51 e l’art. 52 l. fall.: in tal senso ― si era detto ―, l’assorbimento, nel fallimento, di ogni azione proposta o proponibile con riferimento a beni del fallito doveva implicare che in tale novero rientrasse l’azione promovibile dal creditore di un terzo che vantasse un diritto di prelazione su beni del fallito: azione anch’essa esperibile su tali beni, giusta gli artt. 602 ss. c.p.c. e 2910 c.c.. Una lettura coordinata del primo e del secondo comma dell’art. 52 (relativi, rispettivamente, all’apertura, da parte del fallimento, del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito e alle modalità di accertamento dei crediti, individuate attraverso il rinvio alle modalità del capo V del titolo II della legge fallimentare, salvo diverse disposizioni di legge) aveva poi portato ad enucleare la regola per cui ogni creditore partecipante al concorso e abilitato a soddisfarsi sui beni del fallito dovesse soggiacere, in assenza di prescrizioni contrarie, alla verifica regolata dagli artt. 93 ss. l. fall..
Le ragioni di dissenso rispetto alle decisioni della giurisprudenza di legittimità, orientata ― come si è visto ― ad escludere l’insinuazione del creditore di soggetto diverso dal fallito, ma garantito da bene appreso dal fallimento, avevano trovato altresì espressione nel rilievo per cui all’interno del procedimento di ripartizione dell’attivo fallimentare non sarebbe stato possibile individuare alcun meccanismo di intervento simile a quello dell’esecuzione singolare; si era pure rilevato che il reclamo al tribunale fallimentare contro il provvedimento del giudice delegato (di approvazione del piano di riparto) costituiva uno strumento di tutela a spettro meno ampio di quello offerto dal giudizio ordinario di cognizione che era possibile instaurare, in sede di verifica del passivo, a norma degli artt. 98 e 101 l. fall: si erano pure sottolineate, a tal proposito, le maggiori difficoltà che, in base allo schema procedimentale delineato dal reclamo ex art. 26 l. fall., si sarebbero frapposte al curatore che avesse inteso eccepire l’inefficacia della garanzia.
Questo fronte critico è rimasto compatto all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006 e del successivo d.lgs. n. 169/2007. Tra i percorsi argomentativi propiziati dalla disciplina novellata non si è utilizzato tanto quello basato sulla versione modificata dell’art. 52, comma 2, l. fall. (tema, questo, valorizzato, come si è visto, da Cass. 30 gennaio 2019, n. 2657), e nemmeno si è attribuito un particolare rilievo all’estensione della verifica del passivo ai «diritti reali o personali su beni mobili o immobili di proprietà o in possesso del fallito» di cui all’art. 92, comma 1, della stessa: è stato in effetti da più autori osservato, al riguardo, come i termini del problema, nell’avvicendamento delle discipline, siano rimasti sostanzialmente immutati. Si è invece evidenziata l’inadeguatezza per il garantito, in caso di diniego del diritto al riparto, del solo rimedio del reclamo per violazione di legge ex art. 36 l. fall., contemplato dal novellato art. 110, comma 3, della stessa legge.
Ulteriori ragioni a sostegno della necessità di una verifica della posizione del creditore ipotecario o pignoratizio attraverso l’accertamento del passivo, a norma degli artt. 92 ss. l. fall., sono state poi rinvenute nell’esigenza di assicurare il diritto del garantito ad essere informato del fallimento e della liquidazione del bene, nella necessità di salvaguardare l’interesse di quanti partecipano al riparto dell’attivo a interloquire sui diritti dei concorrenti in un’unica sede giurisdizionale tipica, nelle ragioni di speditezza della procedura e nell’insufficienza delle verifiche effettuate in sede di riparto quanto alla validità e all’efficacia della garanzia, non potendosi trascurare l’esigenza di accertare e di valutare anche l’esistenza e la corretta quantificazione del diritto di credito sottostante.
Una sommaria descrizione dello scenario dottrinale risulterebbe incompleta se non si facesse infine menzione delle posizioni, anche recenti, attestate a presidio dell’indirizzo tradizionale seguito dalla giurisprudenza di legittimità. Significativi, in proposito, i rilievi espressi per dar conto di come, nell’attuale formulazione dell’art. 52 l. fall., non siano compresi i diritti reali di garanzia a favore di crediti verso persone diverse dal fallito su beni del fallimento: diritti che ― si spiega ― non sarebbero peraltro incisi dalla liquidazione concorsuale del bene, che avviene senza che il medesimo sia privato del diritto di garanzia di cui è gravato e che l’interessato è in grado di soddisfare in sede di riparto, un volta notiziato delle operazioni di vendita, come è ora previsto dall’art. 107, comma 3, l. fall..
- ― Reputano le Sezioni Unite che, pur con le precisazioni che saranno formulate, vada data continuità alla giurisprudenza espressa, nei termini pressoché univoci di cui si è detto, dalla Corte.
- ― Si deve anzitutto escludere che sulle questioni qui dibattute spieghi incidenza la disciplina introdotta dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 14/2019).
E’ da ricordare, in proposito, che la rubrica del capo III del titolo V del richiamato testo legislativo è riferito all’«[a]ccertamento del passivo e dei diritti dei terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale» e che l’art. 201 del codice della crisi disciplina, oltre alle domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, le «domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui» (comma 1), disponendo, in conseguenza (al comma 3, lett. b), che il ricorso indichi «l’ammontare del credito per il quale si intende partecipare al riparto se il debitore nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale è terzo datore d’ipoteca». Con tale versione della norma, differente da quella originaria, che era stata inserita nel primo schema del decreto legislativo, si è inteso dar riscontro alla delega legislativa (l. n. 155/2017) che richiedeva, all’art. 7, comma 8, lett. f), di «chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca». In tal modo il testo normativo oggetto di approvazione ha superato l’originario approccio che si era inteso seguire con la prima traduzione in legge del codice della crisi: approccio che era efficacemente riassunto in queste parole nella relazione di accompagnamento a quel disegno legislativo: «non si è ritenuto di esercitare la delega in relazione all’art. 7, comma 8, lett. f) (chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca), in quanto quella esigenza di chiarimenti è venuta meno con il consolidarsi della condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte».
Ora, l’art. 390, comma 2, del codice della crisi prevede che «[l]e procedure di fallimento e le altre procedure di cui al comma 1, pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di cui al medesimo comma sono definite secondo le disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché della legge 27 gennaio 2012, n. 3». La nuova disciplina non ha quindi efficacia retroattiva.
Opera dunque, qui, il principio posto dall’art. 11 preleggi; come rammentato da Cass. Sez. U. 28 gennaio 2021, n. 2061, «ove non sia il legislatore stesso a disporre in via retroattiva ― e ciò può avvenire espressamente (anche tramite norma di interpretazione autentica) ovvero implicitamente (la retroattività essendo anche desumibile, se inequivocabile, in via interpretativa dalla disposizione interessata) ―, un tale potere non è esercitabile dal giudice, neppure per il tramite del procedimento analogico, essendo l’efficacia temporale della fonte disponibile solo per il legislatore e pure per esso in termini tali da non poterne fare uso arbitrario» (sent. cit., in motivazione).
Con riferimento specifico alle disposizioni del codice della crisi è stato del resto escluso che argomenti interpretativi possano trarsi da una disposizione che rifletta scelte legislative nuove e distinte che corrispondono a un inedito dettame della legge delega, «e quindi non tale da poter essere utilmente richiamata col fine di incidere sull’esegesi di inesistenti norme anteriori» (Cass. Sez. U. 24 giugno 2020, n. 12476, in motivazione). Si è enunciato, in particolare, il principio per cui all’interno del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al d.lgs. n. 14 del 2019, non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, possono rinvenirsi norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare «solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro» (Cass. Sez. U. 25 marzo 2021, n. 8504). Ed è appena il caso di sottolineare come, con riguardo al tema che qui interessa, il codice della crisi contenga un dirompente elemento di novità rispetto al r.d. n. 267 del 1942; esso espressamente assoggetta, infatti, alla disciplina dell’ammissione al passivo una domanda volta ad assicurare la «partecipazione al riparto» ai creditori di soggetti terzi che vantino un’ipoteca su beni ricompresi nella procedura: domanda che, proprio per il suo oggetto, la giurisprudenza della Corte di legittimità ha sempre ritenuto dovesse essere fatta valere in sede di distribuzione dell’attivo.
- ― Si mostra, del resto, infruttuosa la ricerca, nell’ordito della legge fallimentare, applicabile ratione temporis, di una norma che imponga, o solo consenta, l’accertamento, nelle forme proprie della verifica del passivo, del diritto al riparto di chi vanti una nuda prelazione sul bene ricompreso nella massa.
Vero è che nella sua nuova formulazione l’art. 52, comma 2, l. fall. prevede che non solo ogni credito, ma anche «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare» vada accertato secondo le norme stabilite dal capo V del titolo II, salvo diverse prescrizioni di legge. Nel detto capo V della legge fallimentare, tuttavia, non si rinvengono prescrizioni che estendano il procedimento di accertamento del passivo alla situazione di soggezione in cui versa il fallito nella fattispecie che qui interessa.
La domanda di ammissione di cui all’art. 93 ha ad oggetto, come si desume dal comma 1 dell’articolo, oltre ai crediti, la restituzione e la rivendicazione di beni mobili e immobili (sostituisce, cioè le azioni personali e reali che si sarebbero potute coltivare, in sede ordinaria, in funzione recuperatoria del bene e che invece risultano precluse, in pendenza della procedura concorsuale per effetto dell’art. 51). Il richiamo alle sole azioni di restituzione e di rivendicazione risulta poi coerentemente presente anche nel comma 3, n. 2) dell’articolo, ove è menzione del petitum della domanda di insinuazione ― domanda che deve contenere «la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o la rivendicazione» ― e nel comma 6, il quale dispone che al ricorso debbano essere allegati i documenti dimostrativi «del diritto del terzo che chiede la restituzione o rivendica il bene».
Allo stesso modo, l’art. 101 l. fall. individua le domande tardive di crediti in quelle, «di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo». E ancora, l’art. 103 contiene una disciplina particolare ― riferita al regime probatorio e alla modificazione della domanda originaria ― che non riguarda le insinuazioni dei crediti, ma che sicuramente non è nemmeno riferibile ai diritti reali di garanzia: si tratta, ancora una volta, di una disciplina riservata ai procedimenti relativi alle domande di rivendicazione e di restituzione.
Da tale quadro, osserva la Corte, è facile desumere che la formulazione dell’art. 52, comma 2, l. fall., che fa riferimento ad «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare» vada posta in relazione alle richiamate azioni di rivendicazione e di restituzione.
L’enfatizzazione del dato testuale in questione sul piano della ricostruzione del sistema (avendo particolarmente riguardo al quomodo dell’esercizio del diritto del titolare di nuda prelazione nella sede fallimentare) rischia del resto di porre in ombra il reale significato che ha avuto la richiamata modifica legislativa. Questa è infatti da mettere in relazione all’eliminazione della regola che escludeva dalla competenza del tribunale fallimentare le azioni reali immobiliari: l’estensione della competenza nell’indicata direzione, la quale ha trovato espressione nella modifica dell’art. 24 l. fall., ha il suo riflesso naturale nella previsione del vigente art. 52, comma 2, che sottopone al concorso tutti i diritti reali: quelli immobiliari come quelli mobiliari, che vi erano inizialmente assoggettati.
Non può nemmeno ipotizzarsi che al creditore titolare di pegno o ipoteca competa una azione di «separazione», simile a quella configurata nella precedente versione dell’art. 103 l. fall.: azione che aveva lo scopo di sottrarre all’esproprio fallimentare beni che non costituivano oggetto della garanzia patrimoniale riservata ai creditori concorsuali (tipica, in tal senso, la fattispecie della cosa data in locazione al fallito e detenuta dalla procedura). Non solo, infatti, come correttamente rilevato da Cass. 12 luglio 2019, n. 18790, l’art. 103 più non contiene l’espresso riferimento alla domanda di separazione: ma deve a ben vedere escludersi che l’ipotesi che qui interessa (quella del diritto reale di garanzia gravante sul bene del fallito, che non sia debitore del creditore munito di ipoteca o di pegno) potesse dirsi regolata, anche in passato, dal meccanismo della richiamata separazione. E ciò in quanto, come è stato notato in passato dalla dottrina, la domanda proponibile dal titolare di nuda prelazione presuppone la vendita del bene ed è rivolta ad attuare il diritto a una collocazione preferenziale sul prezzo di tale bene, mentre la vera e propria domanda di separazione è volta ad impedire che il bene venga venduto (in analogia funzionale, si è giustamente detto, col rimedio dell’opposizione di terzo all’esecuzione di cui all’art. 619 c.p.c.).
- ― Si conferma, così, che, anche a seguito della riforma della legge fallimentare, le ragioni del creditore del terzo che sia titolare della garanzia reale su bene del fallito debba trovare attuazione in sede di distribuzione dell’attivo.
In effetti, oggi, l’art. 107, comma 3, l. fall. prevede, con riguardo ai beni immobili e a quelli iscritti nei pubblici registri, che sia data notizia della vendita a «ciascuno dei creditori ipotecari o comunque muniti di privilegio», così come, in passato, l’art. 108, comma 4, imponeva che un estratto dell’ordinanza che disponeva la vendita fosse notificato dal curatore, oltre che ai creditori ammessi al passivo con diritto di prelazione sull’immobile, ai creditori ipotecari iscritti. L’odierna previsione può ritenersi diretta, tra l’altro, a far salva proprio la posizione dei nominati titolari di nuda prelazione, i quali, non potendo insinuarsi al passivo, secondo quanto si è detto, sono restati estranei, fino a quel momento, alla procedura concorsuale e potrebbero risentire un pregiudizio dall’ulteriore corso della stessa in considerazione degli effetti della purgazione che si riconnettono alla vendita (art. 108, comma 2, l. fall., nel testo riformato, con riferimento ai diritti vantati su beni iscritti nei pubblici registri).
Attraverso l’attività notiziale sopra indicata, dunque, i creditori in questione sono posti nella condizione di intervenire nel procedimento concorsuale e di soddisfarsi, in sede di riparto, sul ricavato della vendita del bene su cui gravava la garanzia reale. Si tratta di una disciplina che presenta affinità con quanto prescritto, per l’esecuzione individuale, dall’art. 498 c.p.c.: norma, questa, che ha uno stretto legame funzionale col successivo art. 499 c.p.c., il quale ammette l’intervento di quanti abbiano un diritto di prelazione risultante da pubblici registri o abbiano un diritto di pegno.
Simmetricamente all’art. 498 c.p.c., l’art. 107, comma 3, l. fall. non prevede alcun avviso nei confronti del creditore pignoratizio. Ciò può comprendersi, visto che il nominato creditore è nelle condizioni di far valere la propria pretesa nella fase di riparto, essendo nel possesso del bene (di regola: diversa è la condizione che si ravvisa nel caso del pegno non possessorio di cui all’art. 1 d.l. n. 59/2016, convertito in l. n. 119/2016, per il quale è però contemplata, dall’art. 1, comma 4, una speciale forma di pubblicità). Il «contatto» tra il titolare del pegno (che non vanti crediti da insinuare al passivo) e l’ufficio fallimentare si stabilisce, in conseguenza, ben prima della distribuzione dell’attivo: esso si realizza allorquando il bene sia appreso dalla curatela o il creditore pignoratizio richieda l’autorizzazione alla vendita al giudice delegato, a norma dell’art. 53, comma 2, l. fall..
E’ qui appena il caso di ricordare, chiosa ancora la Corte, che anche il soddisfacimento del creditore munito di pegno, il quale deve avvenire nell’ambito della procedura concorsuale, è differito al momento del riparto: la somma ricavata dalla vendita rimane vincolata al pagamento preferenziale del creditore pignoratizio e l’acquisizione della cosa gravata dal pegno alla procedura non estingue, ovviamente, la garanzia del detto soggetto (Cass. 27 marzo 1979, n. 1768).
Mette conto solo di aggiungere che il soddisfacimento del creditore munito di pegno deve aver luogo in sede di riparto, nell’osservanza dei concorrenti diritti degli altri creditori, anche nel caso in cui intervenga la succitata autorizzazione del giudice delegato quanto alla diretta vendita del bene. Infatti, la giurisprudenza della Corte ha escluso ― sebbene con specifico riferimento ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione, e cioè all’altra categoria di creditori presi in considerazione dall’art. 53 quali destinatari della richiamata autorizzazione ― che la possibilità di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, implichi che il ricavato di questa sia immediatamente incassato in via autosatisfattiva dal creditore, affermando, al contrario, che il ricavato in questione debba essere distribuito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione (Cass. 6 febbraio 2018, n. 2818; Cass. 18 dicembre 2006, n. 27044).
- ― Il diritto del titolare dell’ipoteca o del pegno su beni del fallito che non sia creditore di quest’ultimo ha quindi l’onere di far valere la propria pretesa in sede concorsuale non già attraverso una (inammissibile) domanda di insinuazione al passivo, ma domandando di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione del bene stesso.
Occorre prendere atto di ciò: il debito del terzo non può incidere sull’intera massa passiva in quanto il fallito non è debitore; il diritto reale di garanzia grava, piuttosto, sulla massa attiva, nel senso che osta a che il ricavato della vendita del bene possa essere ripartito tra i creditori del fallito prima che su di esso trovi soddisfacimento il titolare del detto diritto reale.
E’ questo particolare atteggiarsi della posizione giuridica che fa capo al nudo titolare di ipoteca o di pegno a rendere, del resto, ulteriormente problematica, in base alla legge fallimentare, l’ammissione al passivo del credito di tale soggetto: se è vero che per il codice della crisi detta ammissione è espressamente circoscritta al ricavato della liquidazione del bene ipotecato (cfr. art. 201, comma 1), l’assenza, nel r.d. n. 267/1942, di analoga disposizione normativa (quale naturale conseguenza della mancata inclusione del diritto del suddetto soggetto tra quelli passibili di accertamento in base al capo V del titolo II di quel testo legislativo) non può non tradursi in un elemento di ulteriore incertezza: tale vuoto regolamentare imporrebbe, in definitiva, all’interprete, il compito di definire il diritto al concorso del titolare di nuda garanzia in uno scenario desolatamente privo di riferimenti normativi.
- ― Nel disegno del r.d. n. 267 del 1942 la scelta del legislatore di escludere che l’accertamento del diritto del titolare dell’ipoteca e del pegno su beni del fallito (per debiti che non fanno capo a quest’ultimo) abbia luogo in forme diverse da quelle dell’accertamento del passivo è ― d’altro canto ― tutt’altro che irrazionale.
La garanzia reale di cui si discute accede infatti a un credito vantato nei confronti di un soggetto diverso dal fallito. A differenza dei crediti concorsuali, il credito del titolare di nuda prelazione può essere quindi soddisfatto, in tutto o in parte, in ogni momento dal debitore. Ciò contribuisce a spiegare il senso della collocazione del procedimento di verifica della posizione che qui interessa in una fase successiva a quella dell’accertamento del passivo: poiché il diritto di obbligazione può modificarsi o venir meno in pendenza della procedura fallimentare, il rinviare la detta verifica al momento in cui deve aver luogo il riparto del ricavato della vendita del bene gravato della garanzia rappresenta una soluzione legislativa munita di una sua precisa logica, rispondendo, nell’indicata prospettiva, a un principio di economia di giudizio.
Indipendentemente dalle motivazioni che possono aver ispirato la diversa opzione espressa nel codice della crisi, va dunque osservato come gli esiti di una interpretazione funzionale del dato normativo ricavato dalla legge fallimentare ― in cui gioca il suo ruolo l’indicata ratio ― non divergano da quelli desunti dall’interpretazione testuale, su cui ci si è in precedenza intrattenuti.
- ― La tesi secondo cui il titolare della garanzia reale può solo partecipare alla distribuzione del prezzo ottenuto dalla vendita del bene è poi coerente rispetto a quanto ritenuto da questa Corte con riferimento a un’altra ipotesi di responsabilità senza debito; si è affermato, infatti, che nel caso di vittorioso esperimento, da parte del creditore dell’alienante, dell’azione revocatoria (introdotta e trascritta prima dell’apertura della procedura concorsuale), con riferimento ad immobile ormai acquisito all’attivo fallimentare, il diritto tutelato in revocatoria integri una passività dalla quale il patrimonio del fallito deve essere depurato prima della ripartizione dell’attivo fra i creditori concorsuali: onde l’attore vittorioso in revocatoria, che non è creditore diretto del fallito e non partecipa quindi al concorso formale, può ottenere, in sede di distribuzione del ricavato della vendita fallimentare dell’immobile, la separazione della somma corrispondente al suo credito verso l’alienante, per esserne soddisfatto in via prioritaria rispetto ai creditori concorsuali (Cass. 2 dicembre 2011, n. 25850).
Vale la pena di rimarcare, soggiunge la Corte, che ben diversa risulta essere la situazione che si delinea allorquando l’azione revocatoria sia esperita dopo l’apertura del fallimento dell’accipiens: in tale evenienza il creditore dell’alienante, che non può promuovere l’azione con la finalità di recuperare il bene ceduto, stante l’intangibilità dell’asse fallimentare, deve insinuarsi al passivo del fallimento del cessionario per il valore del bene oggetto dell’atto di disposizione (Cass. Sez. U. 24 giugno 2020, n. 12476, cit.): va osservato, in particolare, che in quest’ultima fattispecie il nominato creditore non è munito di alcun titolo che gli consenta di partecipare al riparto; egli non si trova, cioè, nella situazione in precedenza esaminata e nemmeno in quella, omogenea, che fa capo al titolare di nuda prelazione.
E infatti, il detto creditore non ha ottenuto una sentenza di accoglimento della domanda revocatoria, tale da rendere inefficace nei propri confronti l’atto dispositivo dell’alienante, né vanta un diritto reale di garanzia su bene acquisito alla massa fallimentare. Tale soggetto deve quindi prima ottenere, mercè il positivo accertamento delle condizioni per l’accoglimento della domanda revocatoria, il riconoscimento del proprio diritto a soddisfarsi sull’equivalente monetario del bene alienato. Mentre la garanzia reale sul bene acquisito alla massa attiva conferisce, perlomeno in astratto, il diritto a partecipare al riparto, chi intenda ottenere il controvalore del bene appreso dal fallito con un atto in frode lesivo della propria garanzia patrimoniale si trova in una posizione diversa, perché fa valere un diritto di credito che dipende dal vittorioso esperimento di un’azione costitutiva (quella revocatoria): azione che, dopo l’apertura della procedura concorsuale, deve promuoversi, appunto, con la domanda di ammissione al passivo.
- ― Come ritenuto da Cass. 30 gennaio 2009, n. 2429, cit., la verifica da attuarsi in sede di riparto deve anzitutto riguardare la validità ed attualità, oltre che l’efficacia, avendo particolare riguardo alla non revocabilità, della garanzia reale.
Tale verifica deve considerarsi estesa al credito garantito, e cioè all’esistenza e all’entità di esso (come ipotizzato da Cass. 12 luglio 2019, n. 18790, che pure sembra postulare, per questa evenienza, l’integrazione del contraddittorio col terzo garantito), prospettandosi altrimenti il rischio che il creditore trovi soddisfacimento, in sede concorsuale, per un diritto in quel momento in tutto o in parte insussistente. Una volta escluso che l’accertamento sulla garanzia e sul credito garantito possa aver luogo in sede di verifica dello stato passivo, occorre ricercare un punto di equilibrio onde evitare che il curatore (in sede di predisposizione del progetto di riparto: cfr. infra, par. 16) o il creditore controinteressato che intenda soddisfarsi sul bene gravato di garanzia reale (in sede di reclamo ex art. 110, comma 3, l. fall.: cfr. sempre par. 16) siano privati del potere di far valere fatti impeditivi, estintivi o modificativi del diritto di obbligazione, tali da rendere in tutto o in parte ingiustificata l’attribuzione, al creditore ipotecario o pignoratizio, di quanto ritratto dalla vendita del bene.
Questo potere deve essere fatto salvo anche laddove le questioni circa l’esistenza, validità ed attualità del debito fossero state scrutinate in separato giudizio intercorso tra il creditore e l’obbligato; è utile ricordare, in proposito, che, a norma dell’art. 2870 c.c., il terzo datore di ipoteca, ove non abbia preso parte al giudizio diretto alla condanna del debitore, può opporre al creditore procedente le eccezioni indicate dall’art. 2859 c.c.: e cioè quelle non opposte dal debitore e quelle che spetterebbero a questo dopo la condanna.
- ― A fronte della manifestata volontà, da parte del titolare della nuda prelazione, di trovare soddisfacimento in sede concorsuale, compete anzitutto al curatore farsi carico, allorché elabora il progetto di ripartizione delle somme ricavate, delle richiamate verifiche circa la garanzia reale e il credito garantito. Sotto tale profilo, i poteri spettanti al curatore sono sovrapponibili a quelli contemplati dall’art. 95, comma 1, l. fall. con riguardo al progetto dello stato passivo: e ciò ben si intende, se si considera che la pretesa fatta valere dal titolare della nuda prelazione non è stata oggetto di alcun preventivo accertamento (come accade, invece, per i crediti e i diritti di restituzione e di rivendicazione di beni per i quali è proponibile la domanda di ammissione di cui all’art. 93 l. fall.).
Giusta l’art. 110, comma 3, l. fall. il progetto di ripartizione è poi suscettibile di reclamo a norma dell’art. 36 l. fall..
Come è noto, il reclamo si propone nel termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione dell’avvenuto deposito del piano di riparto: comunicazione di cui sono destinatari «tutti i creditori» (art. 110, comma 2 l. fall.).
Non pare dubbio, in proposito, che tale lata espressione ricomprenda tra i destinatari della comunicazione i creditori di soggetti terzi, titolari di nuda prelazione nei confronti del fallito, che abbiano manifestato la volontà di soddisfarsi nella procedura fallimentare e siano portatori dell’interesse a conoscere il modo in cui saranno distribuite le somme ricavata dalla vendita dei beni già oggetto della garanzia reale. Questa opzione interpretativa, anzitutto suggerita da una lettura coordinata del cit. art. 110, comma 2, con l’art. 107, comma 3 ― che si riferisce, come si è visto, ai creditori ipotecari o muniti di privilegio su beni immobili e su beni iscritti nei pubblici registri, acquisiti al fallimento (senza alcuna distinzione tra creditori concorsuali e non concorsuali) ―, è pure imposta dall’esigenza di leggere la disposizione in una chiave funzionale, che renda accessibile la fase di ripartizione dell’attivo a quanti debbano trovare soddisfacimento su di una parte di esso: precisamente sul ricavato dalla vendita del bene che era gravato dalla garanzia reale prestata per debito altrui.
Ed è quasi superfluo avvertire che una interpretazione restrittiva (che escludesse dal novero dei destinatari della comunicazione i titolari di nuda prelazione, in quanto non «creditori») non gioverebbe di certo alla tesi qui ricusata (quella per cui la garanzia reale deve essere insinuata al passivo): detta interpretazione porterebbe egualmente a negare che il titolare del diritto ― diritto in questo caso addirittura già definitivamente accertato dal giudice delegato a norma dell’art. 96 l. fall. ― sia posto nella condizione di aver notizia del piano di riparto e di conoscere, quindi, il modo in cui sarà soddisfatto.
Tornando al reclamo, legittimati al suo esperimento sono, oltre ai creditori concorrenti, interessati a soddisfarsi sul bene che risulta gravato da garanzia per il debito altrui, il titolare del pegno o dell’ipoteca a cui va comunicato, come si è appena detto, l’avviso di deposito del piano di riparto. La disposizione del comma 3 dell’art. 110 l. fall. va difatti letta in continuità con quella di cui al comma 2: la legittimazione attiva a proporre reclamo avverso il progetto depositato dal curatore, ai sensi dell’art. 36 l. fall., compete ai destinatari della comunicazione (come pure rilevato da Cass. Sez. U. 26 settembre 2019, n. 24068, in motivazione), tra questi essendo ricompresi, per le ragioni esposte, anche i titolari di nuda prelazione che abbiano richiesto di soddisfarsi in sede distributiva: i quali, avendo fatto valere la loro garanzia reale sui beni acquisiti alla massa attiva, hanno interesse a interloquire sul piano di riparto, nella misura in cui questo abbia negato, totalmente o parzialmente, il loro diritto a soddisfarsi sul ricavato del bene.
- ― E’ dunque attraverso il reclamo (e i successivi eventuali gravami) che è assicurata la verifica giurisdizionale della pretesa del soggetto che non sia creditore del fallito, ma titolare della garanzia reale, sul bene acquisito alla massa.
Ha obiettato il Pubblico Ministero che tale sistema prospetterebbe due inconvenienti: da un lato restringerebbe la tutela giurisdizionale ai soli casi di violazione di legge (così prevede, al primo comma, l’art. 36 l. fall., cui rinvia l’art. 110); dall’altro finirebbe col differire alla fase distributiva la controversia col titolare di nuda prelazione, ritardando, così, la conclusione della procedura concorsuale.
I rilievi, osserva la Corte, hanno indubbia consistenza, ma sono valicabili.
La prima questione riprende un argomento talora proposto dalla dottrina. Va tuttavia escluso, a parere delle Sezioni Unite, che la formulazione dell’art. 36 cit., laddove consente il reclamo contro gli atti del curatore «per violazione di legge» implichi che il rimedio approntato dal legislatore sconti una qualche inadeguatezza rispetto al fine. E’ evidente, infatti, che il limite della violazione di legge valga ad escludere la giustiziabilità di contestazioni, quanto all’operato del curatore, che ineriscono alla mera convenienza delle scelte amministrative dello stesso: ove, invece, si faccia questione della legittimità delle determinazioni assunte, e segnatamente si deduca che il progetto di ripartizione sia illegittimo per aver indebitamente riconosciuto o negato, anche parzialmente, un diritto del titolare della garanzia che si assuma essere, a seconda dei casi, insussistente, invalido, inopponibile al fallimento o, rispettivamente, esistente, valido e opponibile alla procedura, è certo che l’interessato possa avvalersi del reclamo in discorso.
Né vi è modo di altrimenti dubitare dell’effettività dell’apparato rimediale operante nella fase di riparto dell’attivo: va anzi sottolineato come esso si articoli in un doppio grado di merito, prevedendo l’art. 36, comma 2, l. fall. il gravame, avanti al tribunale, avverso il provvedimento reso dal giudice delegato (a differenza di quanto è stabilito per il decreto reso in esito alle impugnazioni allo stato passivo, il quale è solo ricorribile per cassazione: art. 99, ultimo comma, l. fall.).
Quanto al paventato rischio che la collocazione della controversia nella fase distributiva ritardi la chiusura della procedura concorsuale, esso non vale a superare il dato testuale che recapita il diritto vigente. Il ritardo nella chiusura del fallimento per un reclamo da proporsi dopo la fase di insinuazione al passivo è un dato ineliminabile, dal momento che non tutte le situazioni suscettibili di protezione giurisdizionale si prestano ad essere regolate in detta fase: basti considerare che anche taluni crediti (e cioè diritti tipicamente assoggettati nella verifica dello stato passivo) sono tutelabili col reclamo (al tribunale fallimentare), come accade per i crediti prededucibili degli ausiliari nominati nel corso della procedura fallimentare sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione dei compensi (art. 111 bis, comma 1, l. fall.). In realtà, le controversie in sede distributiva sono parte integrante del disegno del legislatore: se si reputa che la lite in questione riguardi diritti assoggettabili a verifica nella fase posticipata della liquidazione del bene gravato, è fisiologico che la tutela giurisdizionale debba prendere le mosse dall’impugnazione del piano di riparto.
Peraltro, come in precedenza osservato (par. 13), il differimento dell’accertamento che qui interessa alla fase distributiva opera, almeno tendenzialmente, in senso contrario a quanto paventato dalla parte pubblica: e, cioè, nel senso di escludere una dilatazione dei tempi processuali, visto che concentra l’accertamento del diritto al riparto nel momento in cui tale diritto deve essere fatto valere (e non in un momento anteriore, quando il credito garantito può modificarsi o estinguersi).
- ― L’accertamento operato in sede di reclamo ex art. 36 l. fall. (e attraverso gli ulteriori rimedi impugnatori nella specie operanti: il reclamo al tribunale fallimentare di cui all’art. 26 l. fall. e, ove ammissibile, il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.) deve ritenersi operante sul piano endoconcorsuale: affermazione, questa, che si impone ove si guardi alla cornice in cui esso si colloca, strumentale alla corretta attuazione del riparto dell’attivo fallimentare.
Merita solo aggiungere, anche se è questa un’annotazione di contorno, che in tal modo il trattamento della fattispecie che qui interessa, avendo riguardo agli effetti dell’accertamento operato nel corso della procedura concorsuale, risulta essere il medesimo nella vigenza della legge fallimentare e nel vigore del codice della crisi: quest’ultimo, infatti, dopo aver assimilato, come si è visto, alla domanda di ammissione al passivo quella di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni ipotecati a garanzia di debiti altrui, dispone, al quinto comma dell’art. 204, che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale con riguardo a tale diritto, «producono effetti soltanto ai fini del concorso» (impiegando, in proposito, la stessa formula che l’art. 96, ultimo comma, l. fall. utilizza per circoscrivere la portata del decreto del giudice delegato sulle domande di insinuazione e sulle pronunce di opposizione, impugnazione dei crediti ammessi e di revocazione di cui all’art. 98).
Ciò implica, come conseguenza, che l’eventuale verifica inerente al credito garantito possa svolgersi in via incidentale, senza necessità di evocare in giudizio il terzo debitore; e implica, altresì, che al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, non sia opponibile l’accertamento in questione, ove sia esercitata la rivalsa nei suoi confronti (rivalsa espressamente prevista per il terzo datore di ipoteca dall’art. 2871 c.c.).
- ― Vanno in conclusione enunciati i seguenti principi di diritto:
«I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento.
«I detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati.
«Avverso il piano di riparto del curatore che escluda o includa (in tutto o in parte) il diritto del titolare della nuda prelazione alla distribuzione delle dette somme, il creditore ipotecario o pignoratizio e, rispettivamente, gli altri creditori interessati al riparto del ricavato della vendita del bene possono proporre reclamo a norma dell’art. 110, comma 3, l. fall..
«Il reclamo può avere ad oggetto l’esistenza, la validità e l’opponibilità al fallimento della garanzia reale, avendo anche riguardo alla sua revocabilità, oltre che l’an e il quantum del debito garantito.
«Tale accertamento non richiede la partecipazione al giudizio del debitore la cui obbligazione è garantita da ipoteca o da pegno e ha un valore endoconcorsuale, essendo, come tale, non opponibile al detto debitore, restato estraneo al procedimento fallimentare, in sede di rivalsa».
- ― Chiarito, dunque, alla luce di quanto osservato, che l’accertamento del diritto della banca non era suscettibile di essere fatto valere in sede di accertamento del passivo, e segnatamente, con l’opposizione allo stato passivo, va accolto il primo motivo, mentre i restanti tre, che aggrediscono una decisione che il Tribunale non aveva ragione di adottare, vanno dichiarati assorbiti.
- ― Il decreto impugnato è cassato senza rinvio, a norma dell’art. 382, comma 3, c.p.c., in quanto la domanda di insinuazione, riferita al diritto reale di garanzia prestato per debito altrui, non poteva essere proposta.
- ― Le spese del giudizio di legittimità e quelle del giudizio di merito, conclude la Corte, possono compensarsi per l’intero. Il regime della compensazione applicabile al procedimento è quello di cui al testo dell’art. 92, comma 2, c.p.c. modificato dall’art. 45, comma 11, l. n. 69/2009, non trovando applicazione, ratione temporis, la disciplina introdotta dall’art. 13 del d.l. n. 132 del 2014, n. 132, convertito dalla l. n. 162/2014. Premesso che le «gravi ed eccezionali ragioni» di cui al cit. art. 92, comma 2, possono ritenersi sussistenti a fronte dell’oggettiva incertezza della questione di diritto e dell’assenza di un orientamento univoco o consolidato all’epoca della insorgenza della controversia (in tema: Cass. 29 novembre 2016, n. 24234), va osservato che, per un verso, al momento della proposizione dell’opposizione ex art. 98 l. fall., e anche al momento in cui fu introdotto il giudizio di cassazione, la Corte di legittimità non si era ancora pronunciata sulle ricadute della riforma della legge fallimentare sulla proponibilità di una domanda di ammissione al passivo da parte del titolare di nuda prelazione e che, per altro verso, alcuni giudici di merito avevano fatto registrare, all’epoca, delle aperture in discontinuità con la giurisprudenza del passato, come pure rammentato nel decreto impugnato.