Corte di Cassazione, Sezione Seconda, Sentenza, 09 luglio 2024, n. 18720
PRINCIPIO DI DIRITTO
In caso di cancellazione di società, il diritto del creditore sociale insoddisfatto di agire nei confronti del socio ai sensi dell’art 2495 c.c. trova applicazione (per le società di capitali) anche con riferimento alle somme riscosse dai soci in comunione tra i medesimi e non soltanto uti singulis.
Il riferimento dell’art. 2495 c.c. alle “somme riscosse dai soci” dev’essere inteso in senso funzionale e conseguentemente tale norma può trovare applicazione alle attribuzioni non soltanto pecuniarie ma anche con riferimento a beni ed altre utilità; ne consegue che l’art. 2495 c.c. trova applicazione anche con riguardo all’attribuzione di quote di partecipazione ad altra società di cui la società cancellata fu titolare.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
Il ricorso è articolato in sette motivi.
1) I primi due motivi, relativi al rigetto della domanda fatta valere nei confronti di M.T. e R.M., già soci della (OMISSIS), sono tra loro strettamente connessi:
- il primo motivo contesta, ex art. 360, n. 3 c.p.c., “violazione e falsa applicazione dell’art. 2495, comma 2 c.c., ed erronea ricostruzione della fattispecie, ove, con riferimento al fenomeno successorio prodottosi con la cancellazione della società, non ha riconosciuto individuata e provata, in difformità dalla previsione normativa e dall’interpretazione datane dalle sezioni unite, l’entità delle poste attive costituenti il limite della responsabilità dei soci e ha affermato che l’indicazione dei residui attivi della liquidazione non implichi immediata ed efficace attribuzione agli stessi soci, in contitolarità o comunione indivisa tra i soci”;
- il secondo motivo contesta, ex art. 360, n. 3 c.p.c., “violazione e falsa applicazione degli artt. 2495,comma 2, e 2697 c.c., ove ha inteso la riscossione dell’attivo da parte dei soci come effettivo conseguimento di somme e che detta riscossione costituisca elemento costitutivo del diritto fatto valere dai creditori, in contrasto con la natura impeditiva dell’eccezione di mancata riscossione; ciò anche in virtù del principio di vicinanza della prova, nonché della irragionevole conseguenza di lasciare nella facoltà – e dunque all’arbitrio – dei soci di disattivare la garanzia dell’art. 2495 c.c., non riscuotendo l’attivo; violazione e falsa applicazione degli artt. 1292e 1294 c.c., ove ritiene necessaria la prova delle somme riscosse da ciascun socio”.
I motivi sono fondati. Ai sensi del secondo comma (oggi terzo) dell’art. 2495 c.c., “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
Dall’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito risulta stanziata in bilancio sotto la voce <fondi per rischi e oneri> la somma di euro 80.000 e nella nota integrativa è specificato che tale somma è costituita da fondi per rischi di controversie future, accantonati prudenzialmente a seguito dei cantieri; nel verbale assembleare di approvazione del bilancio si dà atto del conferimento al liquidatore del mandato di provvedere al pagamento del debiti utilizzando le disponibilità accantonate a tal fine; nel bilancio e nella nota integrativa risultano poi indicati dei crediti tributari da riscuotere, ammontanti a euro 46.679 e nella delibera si dà mandato al liquidatore di incassare tutti i crediti tributari evidenziati a bilancio, quelli residui e di distribuirli ai soci; il patrimonio netto risultante dal bilancio di liquidazione, considerati i crediti appena indicati, ammonta a euro 36.220.
Ad avviso del Tribunale l’importo di euro 36.220, corrispondente al patrimonio netto della società, esprime ciò che residua al termine della procedura di liquidazione e, pertanto, costituisce un cespite che va ripartito tra i soci e sono lo stesso bilancio e il verbale dell’assemblea ad evidenziare l’esistenza dei presupposti per far valere la responsabilità dei soci nei limiti della suddetta somma e medesima conclusione vale per la somma di euro 80.000, somma che è stata destinata al pagamento dei debiti futuri. Sempre ad avviso del Tribunale, tali somme si sono trasferite automaticamente in capo ai soci, che ne sono divenuti titolari in regime di comunione pro indiviso, così che anche se i soci non hanno materialmente riscosso alcuna somma, non è venuto meno il diritto del Condominio di far valere il proprio credito nei loro confronti, dovendo i soci essere considerati gli unici titolari dei suddetti beni e crediti, residuati all’esito della liquidazione.
Ad avviso della Corte d’appello, invece, l’indicazione delle poste nel bilancio della società non implica che le somme siano state attribuite ai soci e non integra così la prova dell’entità dei crediti che dovessero considerarsi attribuiti né integra la prova dell’avvenuta riscossione da parte dei soci di tali somme.
La posizione della Corte d’appello, che richiama espressamente il precedente di questa Corte n. 15474/2017, interpreta in modo restrittivo la lettera dell’art. 2495 c.c., che parla di somme riscosse dai creditori sociali in base al bilancio finale di liquidazione. Tale interpretazione della norma non considera quanto evidenziato dalle sezioni unite di questa Corte nel 2013 con la sentenza n. 6070 (cfr., tra le pronunzia successive più recenti, Cass. n. 32790/2023, Cass. n. 30832, Cass. n. 10752/2023). Le sezioni unite hanno ricostruito “lo scarno tessuto normativo” in chiave successoria, così che i soci succedono nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all’esito della liquidazione, fermo restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c. I soci succedono anche in relazione alle sopravvenienze attive, così che, venuto meno il vincolo societario, “la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torna ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale”; sparita la società, si instaura quindi tra i soci un regime di contitolarità o di comunione indivisa.
Ciò significa che nel caso in esame, come ha sottolineato il Tribunale, del patrimonio netto della società e del fondo stanziato per rischi sono diventati contitolari i soci, che quindi, sia pure in regime di comunione, hanno riscosso tali poste in base al bilancio finale di liquidazione. La lettera dell’art. 2495 c.c. parla infatti genericamente di “somme riscosse dai soci” e non di somma singolarmente riscossa da ciascuno di essi, così che risulta applicabile anche al caso in cui l’attribuzione ai soci sia avvenuta quale fenomeno successorio di attribuzione dei beni in comunione. Quanto al sostantivo “somme” utilizzato dal legislatore, di esso deve essere data una lettura funzionale, estesa a comprendere tutto quanto sia stato percepito dai soci, si tratti di beni e/o di altre utilità, come ha precisato la pronuncia di questa Corte n. 31109/2023 (nel caso di specie erano stati attribuite ai soci quote di partecipazione di un’altra società). Tale pronuncia ha sottolineato come siano state le sezioni unite nella sentenza sopra ricordata (Cass. n. 6070/2013) a basarsi su una nozione di oggetto della responsabilità patrimoniale in termini di elementi attivi, in coerenza con la disciplina generale della responsabilità patrimoniale, di cui all’art. 2740 c.c. A tale riguardo va ancora rimarcato, in relazione alla circostanza che siano parte del patrimonio netto crediti tributari, che non si tratta di una “mera pretesa cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito”, essendo tali crediti “stati iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione” (sono parole della pronuncia sopra citata delle sezioni unite n. 6070/2013).
3) I successivi cinque motivi sono relativi al rigetto della domanda fatta valere nei confronti di N.B. e V.A.:
- a) il terzo motivo contesta erroneità della sentenza, ex art. 360, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli 1669,1229 e/o 1418, comma 2, 1343 e/o 1966, comma 2 c.c., ove ha ritenuto valida la rinuncia pattizia, preventiva e generalizzata ad avvalersi della garanzia disposta dall’art. 1669 c.c., norma inderogabile posta a presidio di interessi generali;
- b) il quarto motivo contesta erroneità della sentenza, ex art. 360, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli 1418,comma 2, 1325,n. 3 e 1346 c.c., ove non ha rilevato la nullità del negozio contenente una onnicomprensiva rinuncia di responsabilità per assenza di oggetto determinato o determinabile;
- c) il quinto motivo contesta erroneità della sentenza, ex art. 360, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli 1965,1418, comma 2 c.c., con riferimento all’art. 1325 n. 2 c.c., ove ha inquadrato la pattuizione quale transazione pure in mancanza del requisito essenziale della reciprocità delle concessioni tra le parti e ove non ha rilevato la conseguente assenza di causa del negozio, non trovando l’ampia rinuncia alcun corrispettivo;
- d) il sesto motivo contesta erroneità della sentenza, ex art. 360, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal dedotto conflitto d’interessi che inficiava la validità della pattuizione;
- e) il settimo motivo contesta erroneità della sentenza, ex art. 360, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli 1669e 1372 c.c., ove ritiene opponibile al Condominio la rinuncia a far valere la responsabilità derivante da detta norma, contenuta in una transazione stipulata tra altre parti.
Il terzo motivo è fondato. La Corte d’appello ha rilevato come N.B., in qualità di erede di B.N., abbia concluso un negozio con la cooperativa (OMISSIS), con il quale dato atto del sopravvenuto decesso di B.N., la cooperativa ha riconosciuto che, grazie all’operato di quest’ultimo, “è stato raggiunto un risultato eccellente” e ha esonerato “lo studio N. e i suoi aventi causa da qualunque responsabilità anche in via di rivalsa, riconoscendo che ogni azione o ragione dovrà essere fatta valere solo nei confronti delle imprese costruttrici”. Ad avviso della Corte d’appello è stata quindi conclusa una transazione con la quale la cooperativa ha rinunziato a fare valere nei confronti degli aventi causa di B.N. la responsabilità di quest’ultimo per i vizi e difetti dell’edificio. Tale accordo è stato ritenuto, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, valido ed efficace, in quanto non è stata esclusa la responsabilità di N. per l’opera destinata ad essere svolta in relazione ad un bene immobile ancora da progettare e da costruire, ma è stato riconosciuto dalla cooperativa l’esito positivo dell’opera già svolta da N..
L’affermazione della Corte d’appello non è condivisibile. Secondo il pacifico orientamento di questa Corte, la responsabilità per gravi difetti di cui all’art. 1669 c.c. è di natura extracontrattuale ed è sancita “al fine di garantire la stabilità e la solidità degli edifici e di tutelare soprattutto l’incolumità personale dei cittadini e quindi di interessi generali inderogabili che trascendono i confini e i limiti dei rapporti negoziali tra le parti” (così Cass. n. 81/2000; cfr. anche Cass. n. 7619/1997, Cass. n. 6393/1996 e Cass. n. 8/1990), con la conseguenza che detta responsabilità non può essere rinunciata o limitata con pattuizioni particolari dei contraenti. Il fatto che la rinuncia sia stata pattuita una volta che l’immobile era stato costruito non incide sul carattere preventivo della rinuncia, essendo questa stata posta in essere prima del manifestarsi dei presupposti di applicabilità della responsabilità di cui all’art. 1669 c.c.
La fondatezza del terzo motivo comporta l’assorbimento dei restanti motivi.
- La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Milano, che dovrà decidere attenendosi ai principi di diritto così come precisati in motivazione; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.