<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, V Sezione Penale, sentenza 10 marzo 2020, n. 9389</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tutti coloro che avevano avuto rapporti con la società a partire dalla prima amministratrice e socia della allora ADV s.r.l. - questa la iniziale denominazione della (OMISSIS) s.r.l. - si erano relazionati solo ed esclusivamente con il G.. La stessa sede sociale della (OMISSIS) risultata inesistente era in realtà stata trasferita presso un immobile in locazione al G. (presso cui avevano sede anche altre società amministrate dallo stesso parimenti operanti nel settore edilizio e via via dichiarate fallite). Alla luce di tale ricostruzione aspetti come quelli evidenziati in ricorso quali l'intenzione di introdurre la D.C. nei settore della commercio degli idrosanitari o la fiducia di cui godeva il G. presso le banche si risolvono in circostanze del tutto marginali e irrilevanti rispetto al costrutto portante della ricostruzione delle condotte, in alcun modo idonee a scalfirne la concludenza nei termini univocamente indicati in entrambe le pronunce di merito (ancor più diffusamente nella pronuncia di primo grado).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ad analoga conclusione, soggiunge la Corte, non si può invece pervenire in relazione al passaggio ricostruttivo dell'elemento soggettivo, non integrabile neppure alla luce della corrispondente parte ricostruttiva della sentenza di primo grado.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Con l'imputazione, difatti, è stato alternativamente contestato all'imputato l'occultamento delle scritture contabili ovvero la tenuta delle medesime in guisa tale da non consentire la ricostruzione del volume d'affari e del patrimonio della fallita. I giudici del merito in entrambi i gradi di giudizio hanno ritenuto consumata la prima delle due fattispecie prospettate dal titolare dell'azione penale, la cui autonomia in seno all'art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall. è pacifica per il consolidato insegnamento di questa Corte. <strong>Autonomia</strong> che, invero, deve essere intesa come vera e propria <strong>alternatività</strong>, nel senso che, qualora venga contestata la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari (anche eventualmente nella forma della loro omessa tenuta), non può essere addebitata all'agente anche la fraudolenta tenuta delle medesime, ipotesi che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari (cfr. ex multis Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017 Rv. 271611 - 01).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>I giudici del merito non cogliendo la <strong>struttura di norma mista alternativa</strong> della disposizione summenzionata, hanno operato una "fusione" - sia pure ciascuno in maniera differente dall'altro - tra le due fattispecie previste dalla medesima, trasformando il giudice di primo grado la seconda - tenuta delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione - in una sorta di evento della condotta oggetto della prima, ma, ciò che più rileva anche alla luce dei motivi di ricorso, sostituendo il dolo generico richiesto per la sussistenza dell'una a quello specifico invece necessario al perfezionamento dell'altra.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte territoriale, a sua volta, non ha posto rimedio all'errore in cui era incorso il primo giudice e nonostante la specifica censura al riguardo, premessa la avvenuta consegna dei documenti contabili da parte della prima amministratrice direttamente nelle mani del G., si è limitata, da un lato, ad evidenziare che il ricorrente in ogni caso non ha a sua volta consegnato quei documenti al curatore - rendendosi autore della condotta di occultamento/sottrazione delle scritture contabili - e, dall'altro, a concludere che deve ritenersi sussistente nel caso di specie il dolo specifico, in considerazione della "rilevata sussistenza della volontà, da parte dell'imputato, di impedire la ricostruzione del patrimonio sociale allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurarsi un ingiusto profitto, volontà emergente anche dalla inattendibilità di parte delle fatture rinvenute".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ciò posto, conclude la Corte, ribadito che la condotta di occultamento/sottrazione delle scritture contabili deve essere sostenuta dal <strong>dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori</strong> (ex multis, Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014 Ud. (dep. 23/04/2015) Rv. 263242 - 01), la motivazione della sentenza impugnata risulta viziata laddove non affronta affatto il tema della prova del dolo specifico. In altri termini nel caso in esame la motivazione sul punto è del tutto carente, essendosi la Corte di Appello limitata ad affermare l'esistenza degli scopi specifici indicati dalla norma desumendoli unicamente dalla mancata consegna delle scritture al curatore (accompagnata dalla emissione di fatture per operazioni inesistenti la cui finalità non risulta peraltro neppure chiara, se da inquadrare cioè nell'ottica di non rendersi ricostruibile il movimento degli affari o nell'ambito di altra motivazione).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Occorre, invece, verificare la sussistenza del dolo specifico e una siffatta valutazione non potrà prescindere dall'individuare ed esplicitare gli elementi che dimostrano la effettiva ricorrenza dello stesso nel caso di specie.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Francesca Senia</em></p>